Videogiochi > Fallout
Segui la storia  |       
Autore: Hell Storm    10/07/2018    1 recensioni
Da bambina papà mi diceva che dove c'era la luce, c'era la vita, la speranza ... e il pericolo. Solo nel 2077 mi fu ben chiaro il vero significato di quelle parole, quando le bombe caddero e il mondo bruciò. Io e altri miei commilitoni ci salvammo nascondendoci fra le mura della nostra base, ma quando uscimmo alla luce, il nostro mondo non c'era più. Rimasti soli e a guardia di uno dei più grandi tesori prebellici della storia, decidemmo di fondare il primo insediamento della Zona Contaminata. Un faro di speranza in un oceano di morte e buio che avrebbe attirato altri superstiti in cerca di aiuto e di conseguenza anche intere legioni di mostri nati dalle radiazioni e predoni senza scrupoli.
Io sono il sorvegliante Rocket Earp. Noi siamo i fondatori di Beacon City. La Zona Contaminata è il nostro mondo. E questa ... è la nostra storia.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dritti all’Inferno

Ritorno non garantito

 

 

27/01/2078 D.C.

 

Stati Uniti d’America/Commonwealth delle pianure/Oklahoma

Contea di Logan/In avvicinamento a Oklahoma City

Ore 20:46

 

35°51'05.3"N 97°27'54.1"O

 

Per risparmiare l’energia dei reattori e non schiantarci al suolo, la formazione ci mise quasi tre ore a raggiungere la periferia della città. Ovviamente l’intento dei nostri piloti era anche quello di non farci rilevare dai possibili insediamenti che il nemico aveva creato nella Zona Contaminata. Ecco perché al posto di andar dritti verso la città e volare ad una quota di crociera standard, la formazione effettuò un volo a bassa quota, modificando lievemente la direzione ogni dieci miglia e procedendo a velocità moderata. La deviazione verso Tonkawa ci aveva fatto perdere parecchio tempo, ma per lo meno, in caso di avvistamento, l’Orda avrebbe pensato che la nostra base fosse a nord, invece che ad ovest. L’unico ostacolo che incontrammo, fu la tempesta radioattiva di media intensità, che quella notte decise di sferzare la Zona Contaminata con potenti raffiche di vento, a loro volta cariche di sabbia, detriti e cenere radioattiva. Tutto ciò causò un viaggio piuttosto turbolento, ma in compenso la tempesta coprì il rombo dei nostri motori e ci rese impossibili da vedere.

-Si comincia.- Annunciò Isaac.

Il pilota era stato zitto per tutto il viaggio, escludendo un paio di imprecazioni dovute alle forti raffiche di vento. Ma appena una tra le tante luci verdi sulla console si accese, egli capì che era giunto il momento di sciogliere la formazione.

Il bombardiere fu il primo a virare verso sudest, seguito poi dal V4 e in fine dal V6. Il V1 non modificò in alcun modo la sua rotta, dato che la stazione di Midtown era esattamente a sud rispetto alla nostra formazione.

-Interessante.- Continuò il pilota.

-Cosa?- Gli chiesi guardando il monitor del radar.

-L’intensità della tempesta sta calando.-

-Guardate!- Esclamò Amelia.

Tornando a guardare il paesaggio davanti a noi, iniziai ad intravedere delle flebili luci arancioni trapassare gli strati di pulviscolo trasportati dalla tempesta. E poco a poco, tutto cambiò.

Per un attimo, pensai che fossimo piombati in qualche dimensione infernale creata da un disegnatore di Hubris Comics, ma era tutto reale.

Oklahoma City era stata trasformata in una necropoli dantesca. La skyline non aveva subito molti danni a prima vista, anche se una mezza dozzina di grattaceli e palazzi più a nordovest doveva aver subito molteplici danni strutturali. Dal centro della città spuntavano delle flebili luci, ma identificarne l’origine da lontano era impossibile. Il mio istinto però mi suggeriva che l’origine di quelle luci era opera dell’uomo. Anche perché la T.O.K. si trovava in quella zona. In alcune parti della periferia devastata dall’onda d’urto, le fiamme degli incendi nucleari non avevano ancora smesso di bruciare. Specialmente nell’enorme cratere creato dalla bomba, la cui potenza aveva sparso le radiazioni di quella sporca per mezzo stato. Il luogo dell’impatto della bomba sporca, doveva trovarsi oltre il confine segnato dalla tempesta, ma in compenso, la sua devastazione si poteva vedere ovunque l’occhio potesse arrivare. L’intera città, dalle strade della periferia, fino alle vie del centro, era irradiata. Una tetra foschia rossa luminescente avvolgeva i palazzi della città, illuminandone i dintorni per chilometri. E il cielo … beh, quello era anche peggio. Di un rosso fuoco acceso. Come un tramonto continuo che si stagliava al centro del cielo come il sole di mezzogiorno.

-Ehm, Doc? Qualche spiegazione logica ad una cosa simile?- Chiesi continuando a fissare lo scenario apocalittico in cui ci stavamo andando ad infilare.

-Ti riferisci alla devastazione causata dalla follia umana, o al fatto che la tempesta non sta colpendo minimamente la città?-

Inizialmente non ci avevo fatto caso, ma quella dannata tempesta non avanzava. Continuava a sferzare la Zona Contaminata con le sue potenti raffiche di vento, lasciando invece la città e i dintorni intatti. Praticamente Oklahoma City era diventata l’occhio di un ciclone senza fine.

-Com’è possibile una cosa simile?- Chiesi allo scienziato.

Spectrum e i miei compagni si erano accalcati tra i due sedili per poter osservare con i loro occhi quell’orrore.

-Così a prima vista non posso darvi una risposta. Però una cosa è certa. Qualunque cosa impedisca alla tempesta di investire la città, dev’essere potente.-

-Tenetevi pronti. Ci stiamo avvicinando.- Affermò Isaac.

Mentre il resto della squadra si dedicò agli ultimi controlli e io controllavo che il Pip-Boy avesse criptato i dati più sensibili come da programma, il pilota ci portò ancora più in basso. Grazie ai sistemi per la visione notturna, non fummo costretti ad accendere i fari del velivolo, garantendoci una perfetta visuale dei dintorni senza dover rischiare di farci scoprire.

Nonostante l’elevata velocità del velivolo, riuscii comunque ad avvistare delle oscure sagome che si aggiravano tra i rottami delle auto e le macerie degli edifici crollati. Già a prima vista mi fu chiara la loro identità, sia dal modo di camminare, che dalla loro reazione alla vista del vertibird mentre questo gli passava a pochi metri sopra le teste.

-Ghoul. A centinaia.-

-E questo?- Mi chiese il pilota.

In un primo momento non mi fu chiaro cosa stessimo per sorvolare, ma una volta sorvolato intuii sia la sua natura, che il suo scopo. L’ungo la strada principale che conduceva alla stazione di Midtown, era stato eretto un muro di auto rottamate e travi d’acciaio tra due grossi edifici. Oltre, una marea di ghoul si era accalcata contro quel muro improvvisato.

-Okay. Naalnish aveva ragione anche sulle centinaia di migliaia di ghoul. Buono a sapersi.- Confermai con un pizzico di ironia.

-Un muro difensivo?- Ipotizzò Issac.

-Forse. No, aspetta! E quello?-

Sorvolati altri tre isolati e un centinaio di ghoul di ogni specie possibile, trovammo un altro muro. La composizione era la stessa, con l’aggiunta di un cartellone pubblicitario del gioco da tavolo Blast Radius al centro. Rimasi stupita non vedendo alcun ghoul oltre il secondo muro.

-Credi che ci sia una logica in questo?- Mi chiese Isaac. -Un secondo muro in caso di cedimento del primo?-

-È inutile fare certe ipotesi adesso. Più avanzeremo e più risposte otterremo.-

Man mano che il V1 si faceva strada tra gli edifici della città, potemmo constatare che oltre il secondo muro, la presenza di ghoul era quasi nulla. Certo, alcuni potevano essersi nascosti negli edifici o nei vicoli più bui, ma a prima vista sembrava che il perimetro difeso dal secondo muro fosse totalmente sgombro.

-Un minuto al bersaglio.-

-Vault, fatevi le iniezioni. Doc spegni le luci.- Ordinai.

A parate il pilota, Atom e Spectrum, tutti i membri della squadra si iniettarono i mutageni creati dagli scienziati. Il cambiamento lo avvertimmo tutti quando le sostanze iniziarono a tirare i nervi facciali e i tessuti della pelle in vari punti. Mugolai un pochino quando il mio naso si assottiglio.

-Cavolo dottore! Questa roba l’averesti dovuta vendere prima della guerra.- Si complimentò Nick.

-Quei mutageni valevano oro e l’effetto durerà per soli due giorni. Evitate di danneggiare i tessuti del viso o di grattarvi la faccia.-

-Hey, che dite? Sono cambiata?- Chiesi voltandomi a guardare gli altri.

Rimasi stupita nel vedere i cambiamenti degli altri. Tony e Amelia erano diventati entrambi biondi ed erano invecchiati di una decina di anni. Bud ed Earl si erano praticamente scambiati la carnagione, diventando un colosso di razza caucasica con dei lineamenti da perfetto ariano e l’altro un soldato dalla carnagione scura e i capelli neri. Trinity era semplicemente passata da bionda a bruna, mentre Nick … beh lui si era trasformato nello sceriffo senza macchia di una serie televisiva. Nessuno avrebbe mai pensato che fosse di razza ispanica.

-Non male Nick. Ora potrai entrare in un qualsiasi bar per cowboy senza sentirti a disagio.- Scherzai.

-Già, sai che OH MIO DIO!-

Lo stupore di Nick mi spaventò.

-Che c’è?! Sono un cesso?!- Chiesi toccandomi la faccia.

-Non direi, Ann Cosby.- Mi rispose Earl.

Anche gli altri erano rimasti stupiti nel vedere il mio cambiamento. Perfino io rimasi senza parole quando mi specchiai in un monitor spento della console sulla mia destra. La siringa mi aveva trasformata in tutto e per tutto nell’attrice hollywoodiana Ann Cosby. I capelli corvini mi donavano un sacco.

-Vedo la stazione. Preparatevi per l’atterraggio.-

Isaac portò il velivolo sulla banchina della stazione con una precisione degna dei migliori piloti. Appena le ruote del V1 toccarono terra, i miei compagni scesero a terra con le armi spianate e dopo una meticolosa ricognizione della stazione, diedero il via libera.

Il pilota ghoul spense i motori e dando uno sguardo alla mappa della città aprì il portellone per scendere.

-Che fai?- Gli chiesi scendendo dal vertibird.

Una mezza idea però già ce l’avevo.

-Credevi che vi avrei portati fin qui e poi me ne sarei stato in panchina come sempre? Vado a salvare i miei amici con voi.-

-Non puoi venire. Se ti accadesse qualcosa, come faremmo a tornare a casa?-

-Non me ne starò con le mani in mano, mentre Baatar e Zack sono in pericolo. Non questa volta.-

Isaac non stava scherzando. Si era già preparato con uno zaino da campo e una carabina d’ordinanza. La sua tenacia era ammirevole, ma se fosse morto, ce la saremmo dovuta fare a piedi fino a casa con l’Orda alle calcagna.

-Tu resti qui, e questo è un ordine soldato!- Ordinai con tono autoritario.

-Ma Red?!- Protestò lui.

-Ho detto, che è un ordine. Chiaro soldato?-

Il ghoul non disse più niente. Se ne tornò dentro al velivolo imbronciato e senza dire una parola.

Voltandomi, vidi che il resto della squadra aveva assistito alla scena. Ma nessuno di loro fiatò. Tutti sapevano quanto il pilota tenesse a Zack e a Baatar, e al tempo stesso, tutti sapevano quanto fosse importante per la riuscita della missione.

Con un gesto della mano, ordinai alla squadra di avanzare. Il primo a muoversi fu il Mr Gutsy offertoci come supporto per la missione. Seguirono poi il resto della squadra e la sottoscritta.

Quando mi passò vicino, notai che Doc aveva agganciato al suo scafandro uno dei suoi soliti congegni da scienziato pazzo. Era una cassetta metallica con delle morse ai lati e un nucleo a fusione al centro.

-Hey Doc. Cos’è quella?-

-Il mio oscillatore elettromagnetico di Tesla. Un prototipo di “macchina terremoto”.-

-E funziona?-

-Non sono riuscito a renderlo tascabile, ma credimi. Se sarà necessario, ci basterà agganciarlo ad una delle travi d’acciaio della T.O.K. e goderci lo spettacolo da lontano.-

-E se ce lo requisissero?-

-Tranquilla. Funziona solo con il mio segnale. Tu fagli credere che è attrezzatura per l’edilizia e in caso di necessità fammi sapere.-

Arrivati dall’altro lato della banchina, scendemmo sui binari, dove mesi addietro passavano vagoni stracarichi di passeggeri. Non potei fare a meno di buttare un occhio giù di di sotto. Gli archi dei binari erano sostenuti da delle lunghe e spesse colonne di cemento armato alte venti metri. Questo ci garantiva un’ottima protezione dagli attacchi dei ghoul nelle strade, i quali però non sembrava presenti in quella zona della città.

Continuammo a percorrere i binari della monorotaia in direzione della T.O.K. per parecchio tempo, aggirando edifici e palazzi di tutti i tipi e in tutte le condizioni possibili. Avemmo soltanto un piccolo incidente, quando Tony scambiò un manichino alla finestra di un centro commerciale per un cecchino.

Ad un certo punto però, fummo costretti a fermarci nei pressi di un grande incrocio, dove alcuni dei pilastri avevano ceduto, facendo sprofondare quattro sezioni di binari e costringendoci a scendere a terra.

-Occhi aperti. Può esserci di tutto laggiù.- Dissi scendendo insieme agli altri lungo la sezione di cemento inclinata verso terra.

Terminata la discesa restammo sulle sezioni di cemento crollate, dato che queste ci permettevano comunque di non toccare terra.

Arrivati precisamente al centro dell’incrocio, ispezionai la zona cercando possibili nemici o fattori ambientali che ci mettessero in pericolo. Nebbia radioattiva a parte.

L’incrocio era senza vita. Niente predoni. Niente ghoul. I palazzi dal nostro lato dovevano essere bruciati, vista le condizioni in cui gravavano. Davanti a noi, all’angolo sinistro dell’incrocio, una tavola calda aveva subito pochi danni e quasi tutte le su finestre e vetrate erano rimaste intatte. Doveva essere il luogo di ritrovo per i poliziotti del distretto locale, viste le cinque macchine della polizia che stavano a prendere la ruggine nel parcheggio del locale. Tra le macerie di un edificio crollato al lato destro dell’incrocio, si era formata una voragine molto grande. Il cratere era un cerchio perfetto, al cui interno si era raccolta una qualche sostanza gialla bioluminescente dall’aria parecchio radioattiva. Non ci voleva un contatore geiger per capire che era meglio starne alla larga. Ad attirare maggiormente la mia attenzione, fu l’ultima sezione della monorotaia ad essere crollata, che a differenza di quella dalla quale eravamo scesi, era crollata definitivamente impedendoci di poter continuare a viaggiare lontani dalle strade.

-E adesso? Continuiamo per strada subito, o proviamo a risalire?- Domandò Bud.

Le opzioni erano due. La prima era raggiungere la prossima stazione percorrendo le strade, mentre la seconda era cercare un modo di salire sulla monorotaia e riprendere il viaggio in sicurezza.

Mentre ponderavo una soluzione al problema, mi accorsi che l’insegna della tavola calda era vicinissima al bordo della monorotaia. Tanto da violare le norme sull’edilizia. Arrampicandosi sulle travi di metallo che la sostenevano si poteva arrivare sulla monorotaia con un piccolo salto.

-Bud, credi che quell’insegna possa sorreggere il tuo peso?- Chiesi all’indiano puntando la pistola contro il locale.

-Certo. Ma mi serve qualcosa per arrivare al tetto.-

-Okay, tu e Tony venite con me. Tutti gli altri formate un perimetro difensivo e tenetevi pronti. Trovato un accesso al tetto iniziamo a salire.-

Appena scesi a terra, mi accorsi di due cose. La prima era che a terra il contatore geiger del Pip-Boy segnava una leggera, ma persistente, dose di radiazioni. E la seconda fu che la monorotaia doveva essere crollata al momento sbagliato. Almeno tre veicoli erano rimasti schiacciati dal cemento e in un paio di punti, tra l’asfalto della strada e il cemento armato della sezione, spuntavano delle ossa umane. Per lo meno, quei poveri disgraziati erano morti sul colpo, invece che soffrire le pene dell’olocausto nucleare.

La tavola calda era stata barricata dall’interno con delle travi di legno alle finestre e un muro di tavoli dietro alla porta d’entrata. Forse la gente che si era barricata dentro aveva temuto i superstiti che da fuori volevano entrare in cerca di cibo o un rifugio.

Usai la luce del Pip-Boy per guardare attraverso le fessure nelle barricate, ma non vidi molto.

-Prova ad aprirla Tony.-

Sia Nick che Tony erano abili con le serrature, e infatti il soldato non perse un solo secondo. Con l’aiuto di una forcina presa dalla tasca e un cacciavite estratto dallo stivale, iniziò a scassinare la porta di ingresso.

-Hey, Red. Sai dove siamo?- Mi chiese Bud.

-Si guarda.-

Impostando il Pip-Boy sulla mappa, mostrai al soldato la mappa della città e la freccia che stava ad indicare la mia posizione.

-Noi siamo qui e la T.O.K è qui.-

-Potremmo sempre continuare a piedi. Guarda qui. La prossima stazione è a tre isolati da noi.-

-No. Ricordati che queste strade non le conosciamo e in più con questo buio potremmo incappare in un …-

Uno strano rumore mi interruppe durante la spiegazione. Mi guardai in giro per capirne la provenienza, ma neppure Bud trovò l’origine di quel rumore. Anche Tony si era fermato, e anche lui non trovando niente, fece spallucce e tornò alla serratura.

-Dov’ero rimasta? Ah, si. E con questo buio …-

Ma lo stesso rumore mi interruppe per la seconda volta. Insospettita, mi voltai verso Tony, dato che il rumore sembrava provenire da lui.

-Hey, Tony. Non è che UHHH!-

E per la terza volta venni interrotta. Per giunta, bruscamente e da un forte colpo alla schiena che mi fece cadere vicino a Tony.

-BUD! Sei impazzito?!-

-Porca puttana! Guarda Red! GUARDA CHE ROBA!!!- Urlò l’indiano come mai prima dall’ora lo avevo sentito.

Ascoltando il suggerimento dell’indiano, seguii la luce del proiettore sul suo elmetto, e a pochi centimetri dai miei stivali, vidi anch’io una strana poltiglia gelatinosa con delle zampette e qualche altro strano pezzo.

-Che diavolo è quella roba?!- Chiesi rialzandomi in tutta fretta.

-Era una fottuta formica gigante!- Mi rispose Bud con il fiato corto.

-Scherzi amico?- Continuò Tony tenendo sotto tiro i resti di quella cosa.

-Magari. Quello schifo sembrava essere uscito da un film dell’horror.-

In quel momento, intuii che se per ucciderla, Bud aveva dovuto colpirmi alla schiena, allora quella bestiaccia mi doveva essere salita addosso da dietro.

-Che schifo! Ce l’avevo addosso!- Dissi agitandomi come una ragazzina e cercando di raggiungere la schiena con le mani. -Ho dei rimasugli sulla schiena?-

-No, tranquilla. Non hai niente sullo spolverino.- Mi rispose Tony.

-Meno male. Tony, a che punto sei con … AH!-

Voltandomi verso la tavola calda, vidi l’incubo di tutti gli entomologi. Dalle fessure nelle barricate, decine di formiche troppo cresciute, stavano cercando di raggiungerci con le loro mandibole lunghe come delle cesoie taglia siepi. A causa delle radiazione due di quelle mostruosità erano diventate perfino bioluminescente. A spaventarmi non fu solo il loro numero, ma anche le dimensioni, che variavano da quelle di un grosso ratto, come quella che Bud aveva ucciso, fino alle grandezze di un cane.

-Guardate quella!- Disse Tony inorridito.

Il soldato puntò la sua arma contro la più grande delle formiche. La bestiaccia era grande quasi quanto un uomo, e come se non bastasse, nella sua mandibola destra era rimasto impiantato un teschio umano.

Fui tentata anch’io di sparare a quei mostri, ma ancora prima di attivare il V.A.T.S., capii che lasciare integri i vetri del locale, era più vantaggioso che iniziare una sparatoria contro l’esercito del sottosuolo.

-Formiche rosse del fuoco mutate dalle radiazioni.- Intervenne Spectrum sbucando alle nostre spalle.

-Ma che?! Sparano fuoco?!- Gli chiese Tony scattando all’indietro.

-No. I morsi di quelle normali causavano sensazioni di bruciore. Queste ci faranno a pezzi ancor prima di sentire caldo!-

-TORNIAMO AI BINARI! SBRIGATI DOC!-

Assicurandomi che lo scienziato non restasse indietro, corsi insieme a Tony e Bud verso i binari crollati, e un attimo dopo eravamo già dietro ai pilastri crollati insieme agli altri.

Il resto della squadra si era schierato appena dietro al cemento della monorotaia, il cui unico utilizzo pratico era diventato quello di fungere da muro difensivo. Solo Atom e Bud rimasero un po in disparte. Il cane stava ringhiando in direzione della tavola calda, anche se probabilmente non sapeva cosa ci avesse messi in fuga, mentre il soldato sembrava essere rimasto scosso dall’incontro con gli insetti giganti.

-Bud, stai bene?- Gli chiesi preoccupata.

-Scusatemi, ma io … io … ho troppa paura.- Confessò l’indiano.

Era la prima volta che vedevo il gigante pellerossa in quelle condizioni.

-Hai paura delle formiche?- Gli chiese Tony stupito.

-No! Ho paura delle loro zanne. Da piccolo ero andato al cinema a vedere “Gli Invasori dalla Terra”.

-Visto!- Intervenne Nick.

-E dopo aver guardato le formiche del film tranciare le persone, ho iniziato ad averne una paura fottuta.-

-Ehm, Trinity. Prova ad aiutare Bud un attimo.-

-Red, vieni a vedere.- Mi chiamò Amelia.

La soldatessa era sdraiata sui binari caduti che ci separavano dalla tavola calda e fissava l’orizzonte con il suo binocolo.

Dopo essermi arrampicata per la seconda volta su quella dannata sezione di cemento, mi accovacciai vicino a lei e facendomi prestare il binocolo, guardai anch’io dall’altro lato. A un miglio dalla nostra posizione, delle strane luci si stavano avvicinando verso la nostra posizione. La foschia della città non mi permise di identificarle facilmente, ma esaminando i loro movimenti e le loro colorazioni, ne intuì l’origine.

-Earl, sali un attimo.-

Il soldato ci raggiunse subito e dopo aver osservato le luci con il suo binocolo, arrivò alle mie stesse conclusioni.

-Robot. Un sacco di protectron e due sentinelle robotiche. Forse anche altro.-

-Ostili?-

-Difficile a dirlo. Non capisco però chi userebbe tutti quei protectron per il pattugliamento, invece che per la sorveglianza. Comunque si stanno dirigendo qui. E se ci attaccheranno non potremmo gestirli. Che facciamo?-

La situazione in cui ci eravamo ritrovati non era delle migliori. Il mio piano per raggiungere la monorotaia rischiava di saltare, e più noi restavamo in quel dannato incrocio e più nemici potevano raggiungerci. Alzai lo sguardo al cielo, nella speranza di ricevere un aiuto divino, ma invece ottenni un illuminazione.

-Doc, il tuo oscillatore potrebbe far crollare quella facciata?- Chiesi indicando il palazzo mezzo bruciato sulla nostra sinistra.

L’edificio era rimasto abbastanza integro, ma le fiamme e le scosse della bomba avevano creato una grossa e lunga crepa a forma di sorriso sulla facciata che dava sulla strada che lo separava dalla tavola calda.

-Certamente, ma se dovesse crollare con le macerie potrebbe rompersi.-

-Allora seguimi. Tutti gli altri restino in assetto difensivo e non si facciano vedere.-

Saltando giù dalla sezione di cemento e sperando di non incontrare altre formiche giganti, entrai attraverso la vetrata del palazzo più vicina. Non dovetti sfondare i vetri, dato che questi erano già stati distrutti. E non dovetti neppure temere di incontrare ghoul ferali, dato che l’incendio doveva essere avvenuto da pochi giorni. Le pareti stavano ancora fumando. Controllai solo che Doc mantenesse il passo. Senza le luci blu accese era diventato più difficile vederlo.

Il piano era quello di far crollare la facciata del palazzo sopra al gruppo di robot, quando questi sarebbero arrivati davanti alla tavola calda. Con un pizzico di fortuna, le macerie non avrebbero danneggiato il locale e camminandoci sopra saremmo potuti arrivare al tetto. Da li ci saremmo arrampicati sull’insegna e dopo un piccolo salto avremmo ripreso il nostro viaggio lungo i binari rialzati. C’erano un sacco di variabili e rischi, ma vista la situazione, non avremmo potuto fare di meglio.

Arrivati al terzo piano dell’edificio trovai un paio di cadaveri carbonizzati, e questo mi convinse a mantenere comunque la guardia alta. Tanto per avere un’assicurazione in più.

Al settimo, udii qualcosa che mai avrei pensato di sentire in quell’inferno. Un assolo di chitarra.

-I hurt my self to day. To see if I still feel.- Qualcuno si era messo a cantare.

-I focus on the pain. The only thing that's real.-

Seguì una breve pausa, durante la quale guardai in velocità Spectrum per capire se anche lui stava sentendo la stessa cosa.

Intuendo che il nostro cantante solitario si trovava al nostro stesso piano, smisi di salire le scale e svoltai a sinistra, in un grande salone che le fiamme avevano in parte risparmiato.

-The needle tears a hole. The old familiar sting.-

Lui era li da qualche parte. Ne ero sicura.

-Try to kill it all away. But I remember everything.-

Il salone era suddiviso in diverse stanzette, divise da delle sottili pareti di cartongesso, come i laboratori nel reparto di Spectrum. Lo scienziato continuava a seguirmi, mantenendo il silenzio e il suo piccolo cannone laser pronto alluso.

-What have I become. My sweetest friend.-

Il tizio ci sapeva fare. Non avevo mai sentito quella canzone, ma il modo in cui la cantava era … speciale. Chi sa se prima della guerra era stato uno di successo come Joshua Sawyer o Nat King Cole?
-Everyone I know. Goes away in the end.-

A quel punto, capii dove si trovava. Era nell’ultima stanza a destra, a pochi metri da me.

-And you could have it all. My empire of dirt.-

Forse stavo commettendo un errore a raggiungerlo così frettolosamente, senza prima controllare le altre stanze, ma qualcosa mi spingeva a non fermarmi.
-I will let you down.-

Dopo una furtiva corsetta, accompagnata da quelle note melodiose, lo raggiunsi alla porta della stanza con la 10mm puntata verso di lui.

-I will make you hurt.-

Lui sedeva su una poltrona da salotto con la chitarra in mano, rivolto ad est e con il bagliore delle luci rosse della T.O.K. che illuminavano la stanza e il suo lato destro. Dalla mia posizione però, non riuscivo ad identificare il chitarrista. La parte del viso che riuscivo a vedere era oscurata dall’ombra.

Neppure quando lui smise di cantare e si voltò per vedermi ebbi il tempo di illuminarlo con il Pip-Boy e scoprire chi fosse.

-Ciao.- Disse semplicemente. -Ti stavo aspettando Rocket.-

-Come fai a sapere chi sono?- Gli chiesi restando calma.

-So bene chi sei. Ma prego, accomodati.-

Lo sconosciuto sembrava essere ospitale. Inizialmente non me ne accorsi, ma come se a guidarmi fosse qualcun altro, rimisi la pistola nella fondina e andai a sedermi sulla poltrona a fianco di quella su cui sedeva il chitarrista.

La stanza era rimasta intoccata dalle fiamme. L’unico danno serio era il crollo della parete davanti alle poltrone. Da li si poteva ammirare il panorama sulla zona est della città e la T.O.K. a sud in tutto il suo lugubre splendore rosso infernale. Ebbi qualche timore quando vidi che anche l’angolo del pavimento davanti a noi era crollato insieme alla parete. Tra le due poltrone era stato messo un tavolino, dove due Nuka-Cole aspettavano di essere stappate. La pozione era perfetta come tana per una sentinella, ma quel tipo l’aveva trasformata nel suo personale salotto con vista sulla città.

-Lei chi è?- Gli chiesi.

Anche standogli vicino non riuscivo a vedergli bene il volto.

-Mi chiamo Jeremiah “Virgil” Raider. Per gli amici Jeremy.-

-La canzone che stava cantando … non l’ho mai sentita. L’ha scritta lei?-

-Ah, magari. No, questa la cantava sempre mio nonno. Diceva che era il triste epilogo di una leggenda del country, ma a me è sempre piaciuta. Ora però vorrei chiederti io una cosa. Tu chi sei?-

-Che intende dire? Lei sa chi sono io.- Lo contraddissi.

-So come ti chiami. Quali grandi imprese hai compiuto. E so anche che molte persone ti chiamano in molti modi. Sorvegliante, Sceriffo Rosso, Spirit. O anche Red e basta. Ma tu … chi sei per te?-

Jeremy, sempre se fosse quello il suo vero nome, sapeva parecchie cose su di me. Anche troppe. Ma nonostante tutto, non mi sembrava che le sue fossero cattive intenzioni.

-Io … io …- Non seppi rispondere.

Il chitarrista si lasciò scappare una breve risata.

-Stai tranquilla. Ci vorrà ancora un po di tempo prima che tu scopra chi sei veramente.-

-Fermo un secondo!- Esclamai riprendendo il controllo delle mie facoltà. -Cosa sta succedendo? Siamo in una metropoli radioattiva, infestata da mostri di ogni genere e lei se ne sta qua a suonare la chitarra?! Quali sono le sue intenzioni e per chi lavora?-

-Rilassati cowgirl. Non hai nulla da temere. Guarda tu stessa.- Disse Jeremy indicando la strada.

Sporgendomi dalla sedia vidi uno dei protectron in avvicinamento all’incrocio. All’inizio pensai di sbagliarmi, ma guardando più attentamente ebbi la conferma che il robot era immobile.

-Hey, Doc. Vieni a vedere.-

Ma Spectrum non mi rispose. Voltandomi a controllare vidi che anche lui era immobile. L’eyebot non stava neppure ondeggiando come a suo solito.

-Non temere. Non sei in pericolo, e neppure i tuoi compagni.- Mi tranquillizzò Jeremy.

-Il tempo si è fermato. Siamo in un sogno?- Gli chiesi iniziando a preoccuparmi seriamente.

-Si e no. Diciamo che avevo bisogno di parlarti in privato e fino ad ora non avevo trovato l’occasione per farlo. Prima che me ne dimentichi però, questo è per te.-

Jeremy mi lanciò quello che all’inizio scambiai per l'acceleratore di una motocicletta. Poi capii di avere tra le mani un detonatore per il comando a distanza con tanto di grilletto.

-Ho già piazzato una discreta quantità di esplosivi fatti da me per far crollare le macerie. Ti basterà tornare dalla tua squadra e premere il grilletto. E credimi. Le mie bombe faranno un lavoro di precisione.-

Quel chitarrista sapeva già da tempo che sarei entrata in quell’edificio, che avrei cercato di far crollare la facciata in rovina e soprattutto sapeva tutto di me.

-Sei come Naalnish? Un essere psionico?-

-Preferisco definirmi, un tipo con molte risorse. E stai tranquilla. Non cercherò di ipnotizzarti o farti esplodere il cervello.-

-Va bene. Parliamo.- Dissi tornando a sedermi sulla poltrona.

Una cosa su quel tipo la intuii. Era lui che muoveva i fili di quel teatrino. Quindi preferii non dargli battaglia.

-Per prima cosa, sappi che ti ammiro. Dico sul serio.- Si complimentò Jeremy. -In pochi avrebbero pensato di eliminare un branco di robot impazziti facendogli crollare addosso un edificio.-

-Aspetta! I robot sono impazziti?-

-Si, ma non so esattamente come. Comunque i lori inibitori di combattimento si sono guastati e ora attaccano qualsiasi cosa. Sono parecchio temuti in questa parte della città.-

-E perché l’Orda non gli ha eliminati?-

-Sono una perfetta difesa contro gli intrusi ignari dei pericoli che la città nasconde. Come le formiche, i radbat, i ghoul, i mutatori, …-

-I mutatori? Che sarebbero?-

-Organismi monocellulari mutati dopo le bombe. Sono gialli e incandescenti come il muco che ricopre la loro pelle. Sono in grado di assimilare le cellule delle loro vittime e dei cadaveri, se questi sono ancora abbastanza integri, e il loro sangue se non ti brucia fino alle ossa, ti infetta e ti trasforma in uno di loro. Temono solo il freddo.-

-Come fai a uccidere una cosa simile?-

-Appena la vedi, mira al nucleo della cellula principale e scaricagli addosso tutto quello che hai. Una guerriera con le tue abilità dovrebbe essere capace di eliminarne uno, mantenendo le giuste distanze.- Poi il suo tono di voce, diventò serio. -Ma adesso sto divagando. Devo parlarti di ciò che accadrà a breve.-

A quel punto della conversazione, cominciai a preoccuparmi seriamente. Jeremy sembrava uno che la sapeva lunga. Su tutto. Forse più di Doc su certe cose, e il fatto che stesse per parlarmi di eventi futuri, forse non era un bene. D'altronde aveva predetto il nostro incontro.

-Hai visto il mio futuro?- Chiesi spaventata.

-Più o meno. Posso solo dirti una cosa. Ciò che accadrà nei prossimi giorni, sarà decisivo per il futuro di questo mondo.-

Il mio cuore ebbe un sussulto.

-Stai parlando dell’Orda? Come può Woden e la sua gente cambiare il mondo? Cosa posso fare io?!-

Stavo per mettermi a delirare. Per l’ennesima volta mi stava per essere chiesto di prendermi delle grandi responsabilità e compiere l’impossibile.

-Calmati. Rilassati. Non sto per annunciare la tua sconfitta o la tua morte. Il mio è solo un avvertimento.-

Come consigliatomi da Jeremy, presi un profondo respiro, stappai una delle Nuka-Cole e ne bevvi mezza in un colpo. Un toccasana per gli attacchi di panico. Avrei comunque preferito le mie pillole per gli attacchi di ansia.

-A breve, sarai costretta a fare importanti scelte, che a loro volta avranno importanti conseguenze su tutti noi. Ma non temere. Sono certo che farai le scelte giuste.-

-Come fai a dirlo? Chi sono io per decidere il destino di tutti noi?- Continuai cercando di non tornare a dare di matto.

-Chi sei? Tu mi stai chiedendo chi sei?!- Mi chiese Jeremy come se la risposta fosse ovvia anche per un tordo.

Per un attimo riuscii a intravedergli anche il viso, ma date le circostanze non ci feci più tanto caso. Magari me lo stavo solo immaginando.

-Tu sei Rocket Earp, la ragazza che ha superato con il massimo dei voti l’esame per le selezioni della Vault-Tec Industries. Tu sei il Sorvegliante dei magazzini governativi e delle attrezzature Vault-Tec di Boise, che quando le è stato chiesto di andare in giro per la Zona Contaminata mettendo a rischio la sua vita per la sua gente non si è tirata indietro. Tu sei lo Sceriffo Rosso, che infischiandosene delle minacce del nemico ha messo in salvo degli innocenti che prima d’allora non aveva neanche conosciuto. Tu sei Spirit, la guerriera da capelli rossi che nel caos più totale ha salvato un intero popolo e ottenuto una grande vittoria su un potente nemico. Tu sei la ragazza, che non si è fatta ingannare dalle apparenze e ha fatto nascere una grande alleanza tra umani e deathclaw. Ecco chi sei tu!-

Jeremiah Virgil Raider era un grande motivatone e ci sapeva fare. Neppure il mio coach ai tornei di baseball delle medie sarebbe stato capace di eguagliarlo. Forse neppure Baker.

-Wow, okay. Io ho sempre pensato di fare soltanto “la cosa giusta”. Non pensavo … cavolo.-

Ero rimasta senza parole.

-E quando giungerà il momento in cui le tenebre ti metteranno alla prova, so che trionferai. E questo non mi serve vederlo nel futuro. Perché lo vedo già in te.-

Mi ci volle qualche secondo per elaborare il tutto. Non sapevo neppure cosa stavo veramente provando in quel momento.

-Okay. Va bene. Vado a salvare il mondo.- Dissi semplicemente.

-Ottimo! Ero passato solo per darti una botta di fiducia e farti anche un saluto.- Disse Jeremy alzandosi in piedi e mettendosi la chitarra sulla schiena.

Ora che non era più seduto, mi accorsi che il chitarrista era anche piuttosto alto e robusto. Eppure non riuscivo ancora ad identificarlo a causa dell’ombra.

-Come scusa? Tutto qui? Non passi a vedere anche gli altri?-

-No, tranquilla. Facciamo che per adesso quest’incontro sia solo tra noi due.- Disse Jeremy avvicinandosi all’apertura nel muro. -Ah, quasi dimenticavo. Se nel tuo viaggio ti dovesse capitare di mettere le mani su una cosa chiamata Nucleo Argent, portamene almeno uno. Te ne sarei molto grato.-

-Lo cercherò. Puoi contarci.- Gli risposi con fermezza.

-Grazie, Rocket. Ti auguro buona fortuna, anche se so che non ti servirà.-

-No. Grazie a te Jeremiah Virgil Raider.- Dissi salutandolo.

-If I could start again. A million miles away.-

Jeremy riprese a cantare quella bellissima canzone e a camminare all’indietro verso l’apertura nel muro. Non sembrava preoccuparsi del vuoto che si trovava alle sue spalle.
-I will keep my self.-

Poi fece un salto all’indietro, gettandosi giù di sotto. E prima che io potessi raggiungerlo per vedere dove fosse finito, tutto ebbe fine.

-I would find a way.-

Quando la canzone terminò, anche il sogno ebbe fine. L’ultima parte della canzone, fu come un eco lontano che svaniva tra i vicoli della città.

Al mio risveglio, mi ritrovai in piedi appena oltre la soglia della porta, in compagnia di Spectrum. La stanza era come prima, solo che sul tavolo non c’era nessuna Nuka-Cola. Neanche una mezza bevuta.

Distinto, corsi verso l’apertura nella parete e assicurandomi di non mettere i piedi su una crepa nascosta dalla moquette verde, mi sporsi per guardare in basso. Nel vicolo che separava il palazzo in rovina da quello vicino, non c’era nulla. Solo dei cassonetti aperti e un cumulo di spazzatura in un angolo.

-Che cos’era quello?!- Mi chiese Spectrum con ansia.

-Non lo so esattamente. Ma credo che stia dalla nostra parte. Tu hai qualche idea su chi o cosa fosse?-

-No, mai visto nulla di simile. Appena ho provato a scansirlo, ho ricevuto una miriade di dati e informazioni indecifrabili che non sono neppure riuscito a memorizzare. E credo che sia stato lui a farmeli vedere.-

Da come ne parlava, lo scienziato doveva esserne rimasto sconvolto. Non doveva essere bello farsi battere con le proprie armi. E per giunta con una scansione.

-Io invece sono finita a parlare con lui in una sorta di illusione. Forse ti considerava il terzo in comodo.- Ipotizzai.

-In tutti questi anni non mi era mai capitato di rimanere preda di una scansione. Neppure Naalnish sarebbe capace di interferire con i miei apparati di analisi ambientale.-

In quell’attimo mi tornò in mente la richiesta di Jeremy.

-Doc. Tu per caso sai cos’è un Nucleo Argent?-

-Si tratta di una potente fonte d’energia … ASPETTA!!! TU COME FAI A SAPERE DEI NUCLEI?!-

-Perché?! Tu sai cosa sono?-

Spectrum rimase zitto un attimo. Sicuramente stava cercando di trovare le parole giuste per rispondermi.

-No.-

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Fallout / Vai alla pagina dell'autore: Hell Storm