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Autore: Sanae77    14/07/2018    9 recensioni
Tutti pronti per i mondiali del 2018?
No?
I nostri campioni invece lo sono, o lo saranno (si spera).
Prima dovranno andare in ritiro e il capitano, purtroppo, non è molto in forma.
Insieme scopriremo che cosa lo disturba. ;-)
Ho il piacere di annunciare che la storia è stata tradotta da Lyra Nym in spagnolo
https://www.fanfiction.net/s/13826347/1/Rusia-2018-Entre-sue%C3%B1o-y-realidad
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Azumi Hayakawa, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Sabato 14 Luglio 2018
 
Contro ogni aspettativa avevano superato i quarti di finale contro Brasile e la semifinale contro Francia. Erano state giornate tese e difficili, colme di allenamenti e riunioni estenuanti. I video che avevano visionato delle squadre avversarie erano stati interessanti. Solo che vedere le medesime immagini per ore intere avrebbe scocciato chiunque, anche dei fissati cronici di pallone come loro.
Fortunatamente il giorno prima della finale Gamo aveva deciso solamente di ripassare gli schemi e di non affaticare i fisici già provati da molti giorni di stress e adrenalina a mille.
Erano carichi, i suoi ragazzi, e lui ne era orgoglioso fino alla punta dei capelli.
Gli aveva concesso un’intima riunione con le famiglie e poi aveva detto loro di andare a letto presto. Sicuro che non lo avrebbero deluso, e che Tsubasa era un ragazzo responsabile, si ritirò nei suoi alloggi salutandoli. Un’ultima occhiata ai suoi due pupilli e gli occhi s’inumidirono per la gioia, e pensare che neppure due mesi prima credeva che non avrebbe superato gli ottavi di finale.
Tsubasa era arrivato stremato dal campionato spagnolo, poi c’erano stati i problemi di sonno, e dopo non sapeva come, ma Misaki aveva risolto tutto. Li aveva visti, la premura del numero undici verso il suo capitano era totale. I due ragazzi parevano gemelli separati in culla. Aveva fatto bene a farsi aiutare da Taro a risolvere il quesito del fantasista nipponico, a lui non interessava come avesse fatto, l’importante era che ci fosse riuscito.
Nel ritirarsi li aveva lasciati intorno ai tavoli, intenti a studiare gli ultimi dettagli.
Sì, era orgoglioso.


Era tutta la sera che la Golden Combi si fissava da lontano, la piccola festicciola riservata alla nazionale e alle loro famiglie si stava per concludere. L’indomani si sarebbe disputata la finale e loro avevano l’ordine di andare a dormire presto. Gamo si era già ritirato circa una mezz’ora prima. Le mogli parlottavano tra loro, divertite, mentre i bambini avevano l’onore di indossare gli stessi indumenti dei loro padri.
Il giorno dopo sarebbero, anche loro, entrati in campo al fianco della nazionale avversaria. Tsubasa parlava degli ultimi dettagli con Jun. I fogli aperti su uno dei tavoli del bar e il capitano con i palmi delle mani appoggiati contro di esso.
Ozora, quella sera, era un attentato alla sanità mentale. Sanità mentale che era andata a farsi fottere insieme al pensiero dell’ultima notte da trascorrere insieme. Inspiegabilmente, la finale dei mondiali non pareva avere tutta questa importanza nella sua testa. Inspiegabilmente era passata in secondo piano, mentre il podio era occupato dal pensiero della loro ultima notte insieme.
I pantaloni della tuta ufficiale, indossati con precisione, fasciavano alla perfezione i muscoli delle gambe e dei glutei. Per non parlare della maglietta a maniche corte e dei bicipiti messi in risalto dalla postura assunta per osservare gli schemi di gioco.
Il discorso di Hikaru improvvisamente sfumò come un pezzo di un brano musicale giunto alla fine. Fu quell’immagine così nitida, tra parole sbiadite, che fece capire a Taro che quella sarebbe stata l’ultima notte insieme. Quando si sarebbero rivisti poi? All’inizio del nuovo campionato, ovviamente. Sicuramente con i ritiri della nazionale, ma i mondiali erano quasi finiti e i prossimi prima di quattro anni non ci sarebbero stati. Senza considerare che non erano certi di poter essere presenti alle future competizioni, non avevano più vent’anni e nei quattro anni di gioco, che li avrebbero attesi, gli infortuni si sarebbero indubbiamente accumulati.
“Taro, mi stai ascoltando?” Hikaru se lo stava chiedendo da qualche minuto vista l’assenza di risposte o cenni da parte del compagno.
“Scusa, sono stanco, credo sia meglio che andiamo tutti a riposarci, vado a dirlo al capitano” non aveva finito neppure la frase e si era diretto verso l’altra metà della Golden Combi.
“Ma sono solo le 21.30…” la protesta di Matsuyama era caduta nel vuoto.
Misaki era arrivato da dietro e, posando una mano sulla spalla di Tsubasa, ne richiamò l’attenzione.
Il capitano si girò di scatto e trovarselo così vicino, inaspettatamente, gli fece scaldare le guance.
“Dimmi, Taro. Fa caldo stasera!” esclamò, tentando di mascherare un imbarazzo involontario scaturito dal tocco inaspettato.
“Penso che sia il caso di andare tutti a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata e una partita importante.” Il guizzo di desiderio nelle iridi nocciola non passò inosservato allo sguardo attento di Ozora che inarcò un sopracciglio perplesso, smorzando un piccolo sorriso.
“Condivido, quindi: ragazzi, è l’ora di ritirarsi nelle nostre stanze, domani abbiamo una giornata importante, siamo in finale e dobbiamo dare il meglio di noi stessi. E non voglio trovare nessuno stanotte ad allenarsi di nascosto, chiaro?!” il tono risoluto e lo sguardo deciso aveva zittito tutti. Sollevando il braccio aveva saluto i compagni e la famiglia; dopo, insieme a Taro, si erano diretti verso l’ascensore.
Mettendosi ai lati opposti delle pareti si scrutavano senza dirsi nulla. Il capitano appoggiato stava con un piede accavallato l’uno sull’altro fissando di tanto in tanto il display dei piani.
“Perché sei voluto andare a letto così presto?” chiese improvvisamente, interrompendo il silenzio.
“È l’ultima notte che passiamo insieme, poi staremo tanto senza vederci.” Un sorriso spento e triste si palesò sulle labbra del numero undici.
Dopo essersi dato uno slancio con gli avambracci e aver fatto un passo in avanti, Ozora arrivò di fronte al compagno, imprigionandolo contro la parete. Le mani a circondargli la vita e la fronte appoggiata all’altra. Un leggero bacio all’angolo della bocca fece rabbrividire Taro, prima che il caldo respiro e le parole di Tsubasa giungessero al suo lobo in un soffio.
“Non pensarci, ci saranno i campionati, i ritiri…”
Misaki chiuse gli occhi per assaporare la delicatezza dei baci con cui Tsubasa lo stava avvolgendo.
“…le vacanze insieme…” Taro lo sussurrò, esalando un sospiro.
DLIN
Il rumore dell’ascensore fece ricomporre i due e mettere tra loro la dovuta distanza, quella che non avrebbe insospettito nessuno. Quando le porte si aprirono Taro prese la carta magnetica dalla tasca dei pantaloni con la speranza di guadagnare anche quei pochi attimi.
Arrivati alla porta la infilò nella fessura producendo uno scatto metallico. Il capitano da dietro si avvicinò all’orecchio e, bisbigliando, chiese allusivo: “Che cosa intendevi per le vacanze insieme? Che strani progetti hai in mente, Misaki?”
Taro si voltò, trovandosi spalle alla porta e Tsubasa a pochi centimetri dal volto che lo fissava.
Accennò un sorriso prima di sollevare gli occhi al cielo e vagare con lo sguardo oltre il capitano. Averlo così vicino era una tortura indicibile, senza considerare che ancora erano nel corridoio e quindi visibili a tutti.
“Ma niente, ho sentito le nostre mogli che hanno prenotato una casa al mare non so dove…”
“COSA? E perché non le hai fermate?” Ozora con le braccia sollevate e i palmi rivolti al cielo era la rappresentazione dello stupore fatta persona.
“Ah, sentiamo, grande fantasista del calcio, cosa avrei dovuto dire loro, esattamente, dopo che da quasi dieci anni facciamo così?”
“Ma ti rendi conto quanto sarà difficile condividere la stessa casa con tutta la truppa e noi che non potrem-…”
La frase non riuscì a finirla visto il bacio con il quale il numero undici gli sigillò le labbra. Attirandolo verso di sé, Taro rimase intrappolato tra il legno e il corpo del compagno. Con la mano destra trovò la maniglia e una volta afferrata la girò per aprire la porta. Dovevano togliersi dal corridoio al più presto.
La porta si aprì piano trattenuta dal braccio di Misaki, mentre a lenti passi scomparivano dal cono di luce del corridoio per piombare nel tenue chiarore della camera illuminata dai lampioni esterni. Le pesanti tende, insieme alla moquette della stanza, ovattavano sagome, passi e il rumore della porta che Tsubasa aveva chiuso con il piede. Ogni bacio, che inesorabilmente li stava avvicinando al letto, era accompagnato da un indumento lasciato a terra.
Che la pelle di Tsubasa potesse essere così liscia lo aveva già constatato, ma ora che sotto di lui s’inarcava affinché i loro sessi fossero sempre più in contatto lo mandava fuori di testa.
Vederlo così eccitato ed essere consapevole del fatto che fosse lui a farlo accendere così era la libidine in terra.
Che gettasse la testa indietro, affondando nel cuscino la folta chioma per scoprire ancora di più il collo e permettergli di baciarlo gli offuscava i pensieri. Non sapeva più cosa toccare e cosa lambire di quel corpo arreso sotto al suo. Abituato ad altre forme non gl’importò di trovare il torace forte e muscoloso sotto le dita.
Gli importò invece di farle scendere lungo il fianco sinistro e sentire la pelle incresparsi sotto il suo tocco. L’altra mano accarezzava la guancia mentre il pollice destro tracciava il contorno delle labbra gonfie di baci.
Il piacere si tramutò in suono quando uscì dalla bocca del capitano, quando il pollice fu stretto tra i denti e tormentato dalla lingua, quando la bocca di Taro discese lungo il petto con una scia di baci continui.
Baci che non cessavano, baci che si facevano sempre più esigenti sulla pelle increspata come le onde dal vento.
Il suono del piacere adesso aveva un nome, adesso che Taro lo aveva sentito dalla bocca della sua metà in campo. Adesso che i loro corpi finalmente erano fusi in un’entità sola, come in campo, come i loro tiri a effetto unici e inimitabili.
Come i baci e i morsi che non riusciva a smettere di dare.
Come le mani intrecciate a quelle del compagno.
Come le gambe strette alla sua vita che lo facevano sentire un tutt’uno con lui. Ne era certo, la loro unione fisica avrebbe influito anche sul campo da calcio. Il movimento cadenzato gli ricordò l’onda del mare sospinta dal vento. L’infrangersi sulla spiaggia e il ritirarsi verso il mare aperto era esattamente come il suo corpo su quello del capitano.
E se averlo sotto di sé era stato bello, sentire il suo fisico pesargli addosso fu il piacere assoluto. Il fascio di luce arancione, filtrato dallo spicchio di tenda rimasto aperto, fece risplendere i capelli corvini del capitano. Ancora i corpi impegnati in un’unione sconosciuta godevano dell’inesperienza reciproca. I sensi ampliati al massimo percepivano ogni singolo muscolo in movimento. Gli occhi pece brillarono, innamorati, tuffandosi nelle iridi nocciola del numero undici. Taro imprigionò il volto del capitano tra le mani e, dopo averlo baciato con ardore, dal cuore oramai aperto provenne un suono che uscì dalla bocca in un: “Ti amo”, soffocato tra le labbra.
 
 
Un raggio di sole penetrò dalle tende. Tsubasa era dalla parte della finestra, prono, con la testa voltata verso il compagno. Taro si svegliò per la luce negli occhi, e dopo un primo momento di stordimento, dovuto al bagliore e al sonno, riuscì a mettere a fuoco la figura controluce di fronte a lui.
I capelli neri come l’ebano brillavano incendiati dal sole. Le lunghe ciglia ancora adagiate sugli zigomi gli fecero capire che stava beatamente dormendo. La bocca socchiusa e il respiro tranquillo gli permisero di restare con una mano sotto la guancia in attenta osservazione.
Che Tsubasa fosse bello lo aveva sempre saputo, ma averlo nudo sopra e sotto di lui era stata la sensazione più forte mai provata nella sua vita. La mano sinistra si mosse contro il suo volere e gli accarezzò prima la testa, per poi discendere sulla spalla svestita e proseguire sul fianco.
Il lenzuolo lo copriva solo dalla vita in giù e resistere a quella pelle candida e liscia era impossibile.
Un suono di protesta uscì dalle labbra di Tsubasa che, sollevando una mano, iniziò a stropicciarsi un occhio.
“Buongiorno.” Bisbigliò Misaki, prima di stampargli un bacio in fronte.
“Che ore sono?” domandò l’altro, stiracchiandosi.
“Le sei.”
“Allora è presto, Gamo aveva detto di scendere verso le otto, tanto la partita è in serata” constatò il capitano, avvicinandosi al compagno e tuffando il viso tra il collo di Taro e il cuscino. I leggeri baci che iniziò a lasciare da sotto l’orecchio lungo tutto il collo lo fecero rabbrividire.
“Cos’è, vogliamo sfatare il mito del sesso pre-partita?” ridacchiò, chiudendo la spalla a mo’ di difesa, gli stava facendo il solletico.
Il fantasista nipponico si sollevò leggermente, reggendo la testa con il palmo della mano sinistra, lo sguardo curioso e malizioso allo stesso tempo annunciarono la domanda: “Vuoi dire che sei sempre stato ligio alle regole?”
Misaki iniziò a ridere di gusto mentre, ripetendo i gesti di Tsubasa, si tuffava nell’incavo del suo collo, baciandolo. “Francamente no, ma…”
“Ma?”
“A così poche ore da un incontro mai.” Ammise, guardandolo dal basso con sguardo finto innocente. Tsubasa si allontanò un po’ per osservarlo meglio.
“Quindi cosa proponi? Di vedere se stasera in campo facciamo faville?”
“Mh-mh, direi che abbiamo il dovere d’informare il resto della squadra.”
“Quindi è da considerare come un sacrificio, giusto?” chiese il capitano, mentre le dita risalivano lentamente la spalla del compagno, fino a giungere alla nuca per afferrarla e attirarla a sé.
“Sì, un ottimo sacrificio.” Rispose il numero undici prima che il corpo dell’altro fosse sopra di lui.



 
Taro sentiva le voci come ovattate, lontane. Era concentrato e impegnato ad allacciare l’ultimo laccio degli scarpini.
Osservava Tsubasa che, vicino alla porta degli spogliatoi, già vestito di tutto punto con la maglia della nazionale, gli scarpini allacciati, le braccia incrociate al petto e un piede appoggiato al muro, ascoltava.
Ascoltava le ultime direttive di Gamo; battere la Croazia non sarebbe stato facile.
Era una squadra tosta, che in campo si era fatta valere e non si era mai fatta cogliere impreparata.
Sulle ultime parole d’incitamento, i compagni iniziarono a uscire dalla porta. Ozora lo stava aspettando. Senza la sua metà non si sarebbe mai mosso da lì. Taro traccheggiò per essere l’ultimo, poi si alzò e raggiunse la porta.
“Andiamo?” chiese, sollevando un sopracciglio.
Per tutta risposta il campione nipponico lo afferrò per la maglia e, attirandolo a sé, gli rubò un bacio a fiori di labbra. La sensazione di vuoto d’aria nello stomaco lo stordì per un secondo: Taro, quel bacio nello spogliatoio, non se l’era aspettato.
“Il bacio è di buon auspicio, e ora facciamogli vedere chi è la Golden Combi!” camminando nel tunnel, che li avrebbe condotti al campo, quella frase, Ozora, gliela aveva sussurrata da dietro, facendolo rabbrividire.
 
Nell’ultimo tratto del tunnel trovarono i loro figli già posizionati con i calciatori della squadra avversaria, questi si girarono e sollevarono il pollice verso l’alto.
Desirée che emozionatissima per mano a un calciatore, era il ritratto dell’immobilità, cosa strana per lei che di solito sprizzava vivacità da ogni poro.
La bambina si girò verso il padre e con il dito indice di fronte al naso indicò al numero undici di fare silenzio. Taro sorrise, era buffissima con quel completino del Giappone miniaturizzato e così tesa per l’ingresso in campo.
La Golden Combi si posizionò e afferrò le paffute manine dei bambini a loro assegnati, pochi attimi dopo le due squadre ricevettero l’ordine di uscire dai tunnel.
Prendendo un profondo respiro, iniziarono a salire i gradini in direzione del campo. Appena i primi giocatori della fila furono fuori, i cori partirono da ogni lato dello stadio.
I bambini si guardavano intorno con occhi brillanti di felicità. Le squadre a centrocampo eseguivano le foto di rito, gli inni nazionali e il lancio della moneta.
Tsubasa, con al suo fianco Taro, aveva scelto il possesso palla. Le squadre si posizionarono in campo e l’arbitro si apprestò a fischiare il calcio d’inizio.
Misaki, a pochi metri, dal capitano lo osservò sul disco del centrocampo, il piede sulla palla nella classica posa d’inizio partita. Il pallone assunse la stessa forma ovalizzata della sera in cui Ozora gli aveva confessato di essere la fonte dei suoi incubi. Il battito accelerò per qualche secondo al ricordo. Il capitano invece era attento e concentrato con gli occhi rivolti alla porta.

Quante cose erano accadute da quel giorno?
Quante complicazioni ci sarebbero state per il futuro?


Il fischio dell’arbitro lo riportò alla realtà mentre scattava veloce verso l’attacco, sapeva che entro pochi metri avrebbe incrociato la palla datagli dalla sua metà.
 
Aveva calciato verso Misaki e senza neppure sincerarsi che il passaggio fosse andato a buon fine progredì in avanti per siglare il primo goal. Voleva subito mettere una distanza con gli avversari e voleva ripetere quello che da anni era stato uno dei suoi goal preferiti, era tanto che non faceva.
Dopo un paio di scambi ai quali aveva partecipato anche Kojiro, si voltò verso destra, trovando Taro pronto al passaggio, quindi si posizionò di fronte alla porta e, avuta la palla a tiro, la calciò con precisione millimetrica. Il portiere si sollevò per toccare la sfera, ma non fu necessario perché questa s’impennò verso l’alto dopo aver picchiato nel palo. Il NO proveniente dal pubblico constatò la profonda delusione di tutti; tutti quelli che non conoscevano Ozora. Taro sorrise quando vide saltare Tsubasa per poi rovesciare su se stesso prima di tirare un bolide che s’insaccò nell’angolo sinistro della rete. Il portiere, pietrificato tra i pali, non si era neppure reso conto di quanto fosse accaduto. Era così che, a tre minuti dall’inizio, il Giappone era già passato in vantaggio.
Misaki era corso dal compagno e lo aveva aiutato a rialzarsi prima di stringerlo a sé, per sussurrargli all’orecchio: “Quindi abbiamo sfatato il mito del sesso pre-partita!”
Tsubasa rise di gusto poco prima che tutti e due venissero travolti dai compagni.
L’adrenalina era a mille e non accennava a placarsi, velocemente si erano ricomposti ed erano tornati a centrocampo per la ripresa del gioco.
Fu Hikaru a rubare la palla agli avversari e spedirla dritta tra le gambe di Kojiro. La Golden Combi si lanciò un paio di occhiate d’intesa, avrebbero seguito le evoluzioni del compagno dalle retrovie. Dopo tanti anni sapevano benissimo che Hyuga andava fatto sfogare, e visto che dopo pochi minuti erano già in vantaggio, lasciarono al compagno spazio libero per tirare i suoi bolidi.
Infatti, consapevoli di questo, sorrisero quando da fuori area videro partire un missile che, per fortuna del portiere, finì alle sue spalle, insaccandosi in rete. L’esplosione di gioia era stata vedere Kojiro saltare più volte, mostrando il pugno al cielo. Poi i compagni arrivati in corsa sommersero anche lui.
Era quasi la fine del primo tempo quando Genzo aveva fatto una delle sue parate micidiali. Gli era anche caduto il cappellino dalla testa e questo poteva dirla lunga su quanto si fosse impegnato per quel tiro.
Infatti, appena l’arbitro fischiò la fine del primo tempo, lui raccolse il berretto; a grandi falcate e imprecando come un pazzo, attraversò il campo picchiandolo sulla gamba.
Fu Taro a intervenire prima che rovinasse l’umore di tutti.
“Rilassati, stiamo vincendo!”
“Se la difesa non mi darà retta la porta non resterà inviolata, cazzo!” aveva guardato oltre Misaki, rivolgendosi a tutti.
A quel punto Ozora intervenne in suo sostegno.
“Ragazzi, dovete rispettare le direttive di Genzo, è lui l’ultimo difensore e sa come fare, forza!”
Mettendo la mano al centro del cerchio incitò gli altri al medesimo gesto d’unione.
Dopo essersi ristorati rientrarono in campo prendendo posizione. Gamo aveva deciso di rafforzare la difesa per mantenere il risultato, ovviamente non era nell’indole della squadra chiudersi a riccio.
Il secondo tempo fu un continuo attacco da parte della squadra avversaria e, nonostante l’impeccabile regia di Genzo in difesa, si trovarono in netta difficoltà.
Lo sguardo che la Golden Combi si scambiò passò inosservato ai più, ma ben presto tutta la squadra capì le loro intenzioni dai fluidi movimenti con cui stavano progredendo in avanti. Avevano deciso di mettere fine a quella partita prima dello scadere del tempo, e assicurarsi il terzo goal a metà della ripresa avrebbe fatto crollare gli avversari e i loro attacchi pericolosi.
Le grida d’incitamento dei compagni provenivano da ogni angolo del campo mentre con disinvoltura e senza problemi si apprestavano a raggiungere la porta avversaria. In una coordinazione millimetrica si prepararono al nuovo tiro.
Taro lanciò la palla in alto, sopra le loro teste, spiazzando la difesa avversaria: tutto si sarebbero aspettati, meno che un tiro del genere.
Insieme saltarono, elevandosi in aria per poi eseguire una perfetta rovesciata. L’effetto datogli fu incredibile, il portiere si buttò esattamente dal lato opposto, ingannato dalla traiettoria che si era modificata all’ultimo minuto.
Lo stadio esplose per la terza magnifica rete. Il commentatore non faceva che urlare ‘GOLDEN COMBI’ ai microfoni. I ragazzi a terra furono sommersi dall’intero gruppo. Si erano assicurati il mondiale e l’agognata coppa.
Per il tempo restante, la squadra si chiuse in difesa. Genzo si rilassò tra i pali in attesa del fischio finale, che quando arrivò portò i compagni alla follia totale dovuta alla vittoria. Misaki e Ozora vennero afferrati e portati in trionfo fino alla curva dei tifosi. Gli allenatori, preparatori e dirigenti invasero il campo raggiungendo i ragazzi per festeggiare.
Dopo aver sfogato tutta l’adrenalina del momento, furono premiati sopra il palco con una pioggia di coriandoli e la musica sparata a tutto volume.
Dal tunnel degli spogliatoi l’accesso fu consentito anche alle famiglie dei giocatori per dar loro modo di festeggiare.
Fu quando videro le rispettive mogli, con le lacrime agli occhi per la gioia della vittoria, che capirono che quello avrebbe siglato la fine della loro vicinanza.
Dopo un ultimo sguardo a Taro, Ozora si asciugò le lacrime con il braccio prima di innalzare la coppa del mondo al cielo.
Era certo che tutti avrebbero scambiato quelle lacrime di tristezza per gioia.


 




Angoletto dell'autrice
Ve lo avevo detto che il MIO mondiale era diffrente... XD

Le vacanze sono prossime, e con loro la futura convivenza, ma siamo così sicuri che saranno così bravi a mascherare il tutto?
A presto.
Sanae77
   
 
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