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Autore: losingyourmemory    14/07/2018    0 recensioni
[La principessa e il folletto]
In un lontano regno fantastico, viveva in pace un popolo, finché l’arrivo di un re tiranno non li costrinse ad abbandonare il suddetto regno. Essi scomparirono, ma solo per rifugiarsi sottoterra, negli intricatissimi umidi e oscuri cunicoli delle miniere. Qui, questo popolo ha vissuto per secoli, dimenticando completamente com’era fatto il mondo in superficie; il loro aspetto mutò nel corso degli anni, trasformandoli in creature orride, piene d’odio e risentimento. Vennero così chiamati “folletti” da chi un tempo li aveva costretti ad andarsene. Ma i folletti non dimenticarono mai il torto subito e di generazione in generazione la voglia di vendetta verso il “Popolo del Sole” crebbe. Tre secoli dopo, la principessa Irene e il suo amico Curdie cercheranno di ristabilire quella pace un tempo perduta e tanto agognata, sia dal padre di Irene, re Arthur, sia, in fondo, anche dai folletti.
La storia è liberamente ispirata al romanzo di George MacDonald, "La principessa e il folletto", del 1872.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Turnip aspettami!»

Il piccolo gattino correva qui e là, esplorando e soffiando su tutto ciò che gli era estraneo. Irene lo seguiva col fiatone finché Turnip non si fermò accanto ad una strana buca.

«Finalmente, birichino di un gatto! Quasi mi fai prendere un colpo. Allora? Si può sapere cos’hai trovato?»

Turnip miagolò e si avvicinò alla buca con le zampe.

«È la tana di una talpa Turnip. Guarda, lì ce ne sono altre due.» Si avvicinarono insieme alle altre fessure nel terreno.

«Questa sembra appena scavata. Ti va se le diamo un’occhiata dentro?» Irene scrutò il suo gatto con aria di sfida. Turnip girò su sé stesso contento.

«Allora non sei così fifone.» Rise di gusto.

Turnip e Irene si sporsero e guardarono nella buca scura e profonda, quasi come se cercassero di entrarci. Era stata scavata perfettamente. Irene si stupì di quanto fosse stata brava la talpa; avrebbe voluto tanto vederla da vicino… avrebbe voluto che sbucasse fuori da un momento all’altro. Persa in questo suo desiderio, le parve di veder muoversi qualcosa in profondità, come una figura. Scosse la testa e pensò “che stupidaggine”.

«Andiamo Turnip non c’è niente. Non sperare di poter ingaggiare una lotta con la talpa oggi, non c’è nessuno in casa.» E si allontanò, convinta che il suo gatto la seguisse ma, Turnip era come pietrificato.

«Ma che c’è di tanto affascinante, non avrai mica trovato un tesoro laggiù, eh Turnip?» Tornò verso la buca e si inginocchiò, osservando di nuovo all’interno.

Irene fece appena in tempo ad alzare la testa che una mano verdastra e pelosa la afferrò per il vestito. Iniziò ad urlare e a strattonare il vestito con quanta più forza aveva, ma quella strana mano non voleva saperne di lasciarla andare. Irene cercò allora di strappare quel lembo di vestito che la mano le tirava sempre più, ma Turnip fu più veloce e con un rapido movimento mordicchiò la mano verde e maleodorante. Irene cadde a terra, ma si rialzò velocemente non appena vide che dalle buche, che aveva creduto tane di piccole talpe, sgusciavano e strisciavano fuori degli strani animali verdi, blu e neri. Inorridita, afferrò Turnip e prese a scappare urlando. Ma nessuno poteva sentirla, Lucy non poteva sentirla.

Stava correndo a perdifiato, cercando invano di non inciampare e di non impigliarsi nei rovi. Cadde tre volte ma tre volte si rialzò, con le lacrime agli occhi e più disperata di prima. Quegli strani esseri le stavano alle calcagna e Irene non riusciva a guadagnare neanche dieci metri di vantaggio. Era quasi stremata dal tanto correre, saltare e schivare, le sembrava quasi di perdere i sensi quando arrivò in uno spazio senza cespugli e alberi. Si lasciò cadere a terra con un tonfo, la faccia arrossata, gli occhi gonfi e le gambe graffiate dai rovi. Le creature sotterranee la stavano raggiungendo, doveva continuare a correre a scappare pensava, ma il suo corpo l’aveva abbandonata. Turnip le leccò le guance. Erano lì, l’avevano accerchiata. Chiuse gli occhi, sperando che finisse presto. In lontananza, sentì qualcuno che cantava. Timorosa aprì gli occhi. Le bestie erano come impazzite, urlavano, correvano e con le zampe cercavano di coprirsi le orecchie. Stavano scappando mentre chi cantava la canzone era sempre più vicino. Sempre più vicino. Irene chiuse di nuovo gli occhi.

«Ti senti bene?» Era la voce di un ragazzo.

«S-si. Almeno credo.»

«A me sembra di sì.» Abbozzò un sorriso e le tese una mano. Irene la afferrò.

«Mi sono solo spaventata. Beh, molto a dire la verità.»

«Non dovresti esserlo. Hanno paura della luce e odiano la musica, specie le canzoni in rima. Per questo vado in giro per il bosco con una lanterna intonando canzoni. I folletti e i loro animali non mi hanno mai spaventato.» Mostrò una certa fierezza. Irene era stranita.

«Un folletto? E che cos’è?»

«Tutti al villaggio conoscono i folletti e i loro animali, tranne quelli che abitano al castell… Abiti al castello non è così?»

«Si.» rispose timida.

«E non sai come tornare a casa, giusto?» Il tono era un po’ divertito.

«Giusto. Non ridere di me però.» Arrossì e sbuffò.

«Ci mancherebbe. Andiamo, seguimi, ti riporto al castello.» S’incamminarono tra la boscaglia, seguiti da Turnip.

«I folletti non sono così crudeli… se sai come trattarli.» Esordì il ragazzo.

«Ma sono orribili!»

«Beh hai ragione, non è che siano così attraenti. Però, non saresti dovuta fuggire. Hanno fiutato la tua paura e ti hanno rincorsa. Avresti dovuto affrontarli cantando a squarciagola, anche se cantare laggiù non funziona.»

«Laggiù dove?»

«Sottoterra, nelle miniere, è lì che vivono. Non ti hanno insegnato proprio niente lì al castello vero?»

«Mi hanno insegnato a leggere, a scrivere, l’aritmetica e cose così ma niente sui folletti.»

«Si, l’aritmetica.» Rise. «Almeno sarai in grado di contarli.» Rise di nuovo. Irene lo guardò offesa, poi sorrise.

Erano sul vialetto che entrava nelle mura del castello quando sentirono una voce chiamare il nome di Irene. Era Lucy.

«Oh santo cielo, è Lucy. Dio, sarà preoccupatissima. Vieni Turnip, andiamo.» Fece tre passi e poi si fermò, si girò indietro a guardare il ragazzo.

«Allora io vado. Il mio dovere l’ho fatto, sei a casa. Ci vediamo… mh… ehm…»

«Irene.»

«Giusto. Ci vediamo Irene.» Si voltò per andarsene.

«Aspetta.» Irene si avvicinò al ragazzo. «Mi piacerebbe ringraziarti con… uhm… si, un bacio. Con un bacio.»

«Un bacio?» La guardò negli occhi azzurri. Gli sembrava di vedere il suo riflesso.

Irene si fece più avanti e chiuse gli occhi. Il ragazzo fece lo stesso. Il tempo scorreva lento mentre le loro labbra stavano per toccarsi. Erano a meno di tre centimetri l’una dall’altra, quando Lucy chiamò di nuovo, più forte, il suo nome. Il ragazzo si allontanò, Irene anche. Si guardarono imbarazzati, rossi in viso.

«Principessa Irene! Ma dove siete?» La voce di Lucy risuonava nella calma della sera.

«Principessa?» Disse sorpreso. «Non mi avevi detto di essere una principessa!»

«Ma tu non me l’hai mica chiesto» Sorrise un po’ ammiccando. Lui la guardò divertito, poi imbarazzato.

«O-ora devo andare, a casa mi staranno cercando.» Se ne andò. Irene lo guardava allontanarsi.

«Aspetta, non mi hai neppure detto come ti chiami!» Gli urlò dietro. Il ragazzo si bloccò sul viale. Prima di girarsi, sorrideva.

«Mi chiamo Riccardo, ma tutti mi chiamano Curdie.» Sparì oltre la siepe.

La voce di Lucy continuava chiamando il nome di Irene, ma lei se ne stava appoggiata al muro del castello, con l’aria un po’ trasognata.

«Curdie.» Sospirò.
   
 
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