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Autore: Ysis Donahue    14/07/2018    0 recensioni
[Castlevania]
Storia ambientata nel contesto di "Castlevania Order Of Ecclesia"
Dopo aver sconfitto Dracula, Shanoa non sa che fare della sua vita: senza una casa, senza nessuno al mondo, per cosa vivrà la guerriera?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mano a mano che vi si addentrava, la bizzarra architettura di quella villa le diveniva nota, seppur non comprensibile.

Era impossibile, per la logica, giustificare i vicoli ciechi, i labirinti tortuosi, le prospettive sbilenche e le scale improvvisamente troncate sul nulla: eppure mentre li percorreva 

Shanoa scopriva che i locali e gli ambienti di quella dimora infernale riemergevano con microscopico anticipo dalla sua mente confusa, come sagome massicce che apparivano improvvisamente in una brughiera densa di nebbia.

Era già stata in quel luogo raccapricciante, ne aveva già respirato l'atmosfera strana e pesante in modo indefinibile e studiato le tracce decennali di demoni e mostri.

Ogni centimetro di spazio che vedeva, la mente dopo qualche secondo lo ricordava, trasmettendole un soffocante senso di predeterminazione.

Era un qualcosa di insondabile e profondo, che le incombeva sulle spalle e nelle gambe e, a tratti, sembrava serrarle il petto in una morsa micidiale.

Cosa era successo in quella casa?

Shanoa sospirò, scuotendo il capo affranta: ai pensieri razionali si sovrapponevano disordinatamente i ricordi e le emozioni appena ritrovati, ingarbugliando tutto in una matassa dalla quale non avrebbe saputo come distinguere ed estrarre i vari bandoli, almeno per il momento.

La cosa migliore che potesse fare, probabilmente, era continuare ad andare avanti senza fermarsi, sperando che quella sgradevole inquietudine svanisse.

Percorse quindi la villa fino a raggiungere i solai per poi ridiscendere al pianterreno, sempre più scorata mano a mano che le stanze si succedevano l'una all'altra: asimmetriche, insensate, deturpate, odiosamente ricordate eppure al tempo stesso anonime alla sua memoria. Chissà cosa...

Fu l'istinto, perfezionato dagli anni di allenamento costante, ad impedirle di sbattere contro il muro: mentre rimuginava, infatti, le sue gambe l'avevano automaticamente ricondotta alla ripida scala che portava alla cantina, salvo poi indirizzarla verso il lato opposto del ballatoio, chiuso da una parete sporca e sbrecciata.

Shanoa aggrottò la fronte, perplessa, e fece per voltarsi, ma in quel momento un sottile refolo di aria umida le sfiorò il mento e le labbra, riaccendendo una luce nella sua mente: una luce smorta ed implacabile, ipnotica e malefica, diversa da qualsiasi altra perché emanata da Agonia, l'ultimo pezzo di Dominus.

Ricordò ogni cosa: la nicchia quasi invisibile, la scaletta ripida e contorta, la corsa nel buio.

Il gusto della caccia e l'odore della preda, finalmente in trappola. 

Desiderò con tutto il cuore fermarsi, eppure non concesse al suo passo di esitare neppure per un istante.

Percorse la scala e lo stretto corridoio, varcò la soglia e l'oscena vividezza della scena che le si presentò d'innanzi riuscì in quello in cui il suo cuore aveva fallito.

La morte di Albus per mano sua era evocata in quella stanza, replicata sin nei minimi dettagli.

Un' altra lei stessa le dava le spalle, i capelli sollevati verso l'alto dalla magia, l'estremità della gonna svolazzante, la schiena e le braccia nude illuminate dal bagliore del glifo appena attivato.

Un glifo falce nero, stretto con tanta naturalezza dalla sua mano da sembrarne parte integrante e talmente affilato da aver squarciato e trapassato il petto di Albus senza quasi fare fatica, sollevandolo verso l'alto come un fantoccio privo di peso.

Inarcato dall'impatto e dal dolore, privato di una sostanziosa parte di sangue, scavato dalla follia omicida di Dominus e dalla fame: più che un giovane studioso prossimo alla morte, quello a Shanoa era sembrato il concreto incarnarsi di una delle innumerevoli statue o raffigurazioni di anime dannate che ricoprivano ed arredavano buona parte degli ambienti di Ecclesia come monito costante. 

Ucciderlo era stato facile, quasi giusto.

Solo ora, dopo aver recuperato ricordi ed emozioni, aveva notato gli occhi, ancora vigili nonostante il dolore e la sorpresa.

Roteavano nelle orbite, furibondi e disperati: per la sconfitta? Per il dolore? Per la consapevolezza? Per il rimorso? La guerriera non lo avrebbe mai scoperto.

La risata beffarda di Albus,  tramutatasi in un grido di dolore non appena il glifo falce lo aveva colpito, aveva raggiunto il suo culmine ed ora si stava rapidamente spegnendo, perdendosi nella notte assieme alla sua vita.

Esattamente come ricordava, la morte restituì al corpo dello studioso tutto il suo peso inanimato, e la giovane lo vide scivolare lentamente giù, verso il pavimento sporco ed intriso di sangue. Albus cadde a terra, spezzato, e finalmente la guerriera fu libera di risvegliarsi da quella lunga notte. 

Spalancò gli occhi e si alzò a sedere, ripiegandosi poi su se stessa  e tentando di soffocare con un pugno serrato sulla bocca l'urlo che lottava per uscirle dalle labbra, senza però potere nulla per le calde lacrime che le zampillavano dagli occhi e scavavano brucianti solchi di dolore e vergogna sul viso.

Non che avesse mai avuto dubbi sul ruolo più che cruciale che aveva ricoperto nella morte di Albus, ma riviverlo inaspettatamente, in maniera tanto nitida e soprattutto mentre non aveva il minimo controllo sulla marea di ricordi ed emozioni che aveva recuperato era stato davvero troppo.

Aveva bisogno di aria, di muoversi, di solitudine.

Ancora più agile e silenziosa del solito, nel tentativo di non svegliare Monica, Shanoa si alzò in piedi, percorse la stanza appena illuminata dalle ultime braci del focolaio e risalì la scala di legno, trovandosi per la seconda volta sullo stretto ballatoio che conduceva al piano superiore. 

Non indugiò neppure questa volta e, discesa la scala, si ritrovò in quella che solo ora notava essere stata con tutta probabilità la vecchia carbonaia della villa.

L'ambiente era sporco e male illuminato, ma l'incubo era stato nitido abbastanza da farle intuire chiaramente i segni della collutazione e le macchie ormai rugginose di sangue, quindi raggiungerle non fu un problema. 

La rigida educazione che aveva ricevuto era molto chiara circa quello che avrebbe dovuto fare, ora, per sentirsi meglio: aveva ucciso un essere umano, certo, ma per volere di Dio e per salvarlo dall'opera del maligno, quindi sarebbe bastato porgere le proprie scuse e quell'opprimente peso sul petto sarebbe svanito in un attimo.

Ma già mentre si inginocchiava, la guerriera sapeva che, almeno in quell'occasione, le scuse e le preghiere non sarebbero servite a nulla: l'anima di Albus era stata divorata da Dominus, e dubitava che fosse così facile poterla raggiungere.

Inoltre era stato Barlowe ad insegnarle come comportarsi, in quella circostanza come in mille altre, esaltando la grandezza e potenza del Signore e la necessità di combattere nella sua luce e per il suo trionfo. Ma Barlowe si era dimostrato folle, corrotto dal male, bramoso solo di resuscitare il vampiro che lo aveva posseduto. 

Pur con l'enorme confusione che le annebbiava la mente, Shanoa ora vedeva nitidamente che nella richiesta del suo mentore di recuperare il glifo era anche racchiusa la speranza o la certezza che Albus morisse nel conflitto. 

Albus, che come lei era stato allevato ed istruito da Barlowe stesso, che aveva vissuto, studiato, mangiato, pregato in seno ad Ecclesia sin dal principio della sua vita e che era stato infine da essa tradito, ed ucciso per mano di un'amica a causa della menzogna di un uomo corrotto.

Niente di tutto ciò che era stato o di quello che aveva fatto era stato considerato, e a niente sarebbe servito inginocchiarsi e chiedere perdono, anche se non avesse fatto altro per tutto il resto della sua vita.

E siccome quella vita era un dono dello studioso, ora la guerriera giurò a se stessa che, oltre a battersi quotidianamente contro i mostri per difendere gli umani, avrebbe fatto tutto il possibile per riabilitare il nome dell'amico presso chiunque avesse orecchie per sentire. 

Tuttavia non riuscì ad impedirsi di congiungere le mani e pregare, nonostante sentisse che era del tutto vano: gli anni passati nell'Ordine erano stati tanti, troppi per poterli cancellare da un momento all'altro.

Pregò con concentrazione e serietà, nonostante tutto, e si rialzò in piedi solo dopo molte ore, quando ormai il sole era alto e le sue orecchie percepirono la voce di Monica che la chiamava, lontana ed assonnata.

Stiracchiando appena le membra indolenzite e spazzolando distrattamente con le mani il tessuto blu della gonna, Shanoa si alzò in piedi. 

Esitò un solo secondo e poi varcò la soglia della carbonaia, evitando con intenzione di guardarsi indietro. Il passato non le serviva a nulla, se davvero voleva andare avanti. 


Monica la incontrò a metà di un corridoio, e tirò un sospiro di sollievo: chiaramente il sonno l'aveva rimessa in sesto.

Avrebbe voluto poter dire lo stesso, ma nonostante la cena e la notte di riposo, tutta la fame, la tensione e la stanchezza che aveva accumulato nei giorni precedenti sembravano essersi intensificate, invece che attenuate, al punto che persino restare in piedi e vigile le richiedeva un enorme sforzo di concentrazione e volontà.

Avrebbe voluto coricarsi di nuovo e dormire, dormire, dormire per tutta la vita, ma purtroppo non era possibile: doveva tornare a Wygol da Daniela, Irina, padre Nikolaj, Jacob e tutti gli altri. 

Oramai doveva mancare da casa da più di una settimana, invece dei pochi giorni che aveva previsto, e il solo pensiero di quanto dovessero essere in ansia per lei gli abitanti del villaggio la avviliva profondamente. 

Inoltre era preoccupata per Shanoa, per quanto assurdo potesse suonare: la giovane era una guerriera portentosa, intelligente e tenace, sicuramente più che in grado di cavarsela da sola in ogni situazione.

Eppure Monica sentiva che qualcosa non andava, che la ragazza dissumulava un qualche genere di problema, e desiderava con tutto il cuore poterla aiutare. 

La guerriera però non era tipo da lasciarsi andare a confessioni a cuore aperto o richieste di aiuto, quindi il lungo viaggio di ritorno era tutto il tempo che Monica aveva per individuare la causa del male della giovane o, in alternativa, trovare il modo di farla fermare al villaggio per qualche tempo.

La sarta sospirò lievemente e si concentrò sulla ricca colazione che Shanoa aveva velocemente materializzato dalla sua bisaccia, soppesando mentalmente varie ipotesi e strategie. 

La guerriera notò il suo insolito silenzio, ma lo accolse con gratitudine: era ancora troppo provata dalla difficile nottata appena trascorsa. 

Inoltre era sempre preferibile muoversi in silenzio, quando si percorrevano le infestate strade della regione transilvanica. 

La colazione fu ben presto terminata, gli avanzi riposti e le tracce del loro passaggio cancellate.

Sempre in silenzio, le due giovani percorsero tranquillamente gli ambienti della casa fino a raggiungere il malandato stanzone d’ingresso, dominato da ampie intelaiature di quelle che un tempo dovevano essere finestre.

Solo allora la guerriera rallentò la sua marcia: intimando a Monica di fermarsi con un cenno, si avvicinò con fare circospetto ad uno dei finestroni badando bene di non venire scorta dall’esterno, e, dopo aver equipaggiato un glifo spada, osservò a lungo fuori, cercando movimenti o tracce che indicassero la presenza di mostri, demoni o semplici briganti.

Dopo alcuni minuti, finalmente Shanoa poté dirsi soddisfatta e, abbassata la lama, fece alla sarta cenno di seguirla fuori.

La mattina era limpida e tersa, con un luminoso sole invernale che faceva scintillare la generosa spruzzata di neve caduta in quei giorni, rendendola abbacinate. 

Riparandosi appena gli occhi col dorso della mano, la guerriera si guardò attorno per circa una frazione di secondo e poi iniziò a marciare a passo sostenuto verso Sud Ovest. 

Monica la seguiva, meditabonda, insensibile persino a quello che, senza ombra di dubbio, era il suo periodo dell’anno preferito, l’inizio inverno, quando il freddo non era ancora così mortalmente intenso e la neve conservava ancora gran parte del suo fascino magico.

Si stava scervellando sul problema, ma non riusciva proprio a farsi venire in mente una soluzione valida. In cerca di spunti, sollevò il capo ed osservò a lungo la ragazza che camminava davanti a lei, aprendole la strada: la guerriera avanzava con passo sicuro, rapido ed elastico, la schiena perfettamente diritta e le braccia rigide lungo i fianchi.

Alzava ed abbassava continuamente il viso,  in modo da monitorare i dintorni e seguire contemporaneamente il sentiero, ma la sarta era certa di riuscire ad indovinare l’espressione sul volto dell’altra anche senza bisogno di vederla: vuota, distante, trasognata.

Cosa poteva aver lasciato un segno simile nell’animo di una ragazza tanto caparbia e forte?

Monica non ne aveva idea, ma era più che mai determinata a scoprirlo: non avrebbe lasciato Shanoa sola nella sua disperazione, a sfogarsi combattendo follemente ancora, ancora ed ancora, fino a cadere uccisa. 

Doveva trovare il modo, ma come fare?

Shanoa teneva gli occhi perennemente aperti da ore ed ore, ignorando il bruciore e le lacrime causate dal riflesso della neve.

Sapeva la strada a menadito, ma non osava permettere a nessun altro pensiero, che non fossero le indicazioni e la sicurezza di Monica, di farsi largo nella sua mente.

Non la scala oscura, non il rumore del glifo falce, non al fatto che, una volta lasciata la sarta al sempre più vicino villaggio di Wygol, resistere a quei ricordi sarebbe stato quasi impossibile, visto che il solo scopo della sua vita sarebbe stato nobilitare in qualche modo la memoria di Albus.

La guerriera scosse seccamente il capo, liberando i capelli neri da qualche fiocco di neve: ci avrebbe pensato dopo. 

Avrebbe potuto raccontare la sua storia in qualche taverna, o magari ad un giornalista come Marcel. O forse… 

La lama le penetrò profondamente nel fianco destro, trapassando facilmente lo spesso mantello di lana ed arrivando a mordere la robusta corazza di cuoio e il tessuto semplice e resistente dell’abito blu. 

L’impatto del fendente e l’effetto sorpresa lasciarono la guerriera stupefatta e boccheggiante, mentre cadeva nella neve fresca e la fredda e grigia apatia in cui era caduta quella mattina veniva momentaneamente infranta e colorata di rosso sangue. 

“Shanoa!” Monica si slanciò verso la compagna, ancora incredula per ciò che aveva visto: dal nulla era improvvisamente comparso un mostro grottesco, simile al mezzo busto di una donna completamente putrefatto, che aveva infilzato la guerriera con una sorta di falce e poi era nuovamente sparito, ridendo sguaiatamente. 

“Monica, no!” Urlò la guerriera, scattando e portando la sartina, ancora totalmente sbalordita, dietro il proprio corpo nel momento esatto in cui il demone ricompariva e sforbiciava l’aria nel punto in cui fino a pochi secondi prima si trovava la giovane. 

L’essere emise un verso di disappunto e veleggiò verso di loro, ma Shanoa non si fece cogliere impreparata una seconda volta. 

“Allontanati da me, ma rimani dove posso vederti.” Sussurrò alla sarta, prima di lanciarsi all’attacco, caricando sul braccio destro un glifo Melio Macir, dall’aspetto di una grossa e letale mazza ferrata.

Nonostante il peso dell’arma, l’attacco partì rapido e sicuro, ma il nemico si spostò appena e così il colpo, invece di centrarlo in pieno petto, si abbatté su una delle sue braccia armate, strappandogliela di netto dal corpo. 

Shanoa sibilò un’imprecazione tra i denti e balzò all’indietro per evitare la furia del mostro, che prese ad attaccarla con violenza triplicata, volteggiando qua e là e smaterializzandosi senza sosta, cercando di coglierla nuovamente di sorpresa. 

La guerriera saltava e schivava gli attacchi con relativa facilità, ma lo sforzo per tenere sempre sott’occhio la compagna e l’impeto furibondo della creatura non solo le impedivano di contrattaccare, ma la stavano anche costringendo ad arretrare verso gli alberi del bosco che stavano costeggiando, con il chiaro intento di chiuderla in trappola. 

“Sta’ giù!” L’urlo di avvertimento rovinò parzialmente l’effetto sorpresa, ma per il resto il piano di Monica funzionò egregiamente: Shanoa si scostò di qualche centimetro e così la falce colpì solamente il demone, distogliendo momentaneamente la sua attenzione dalla guerriera, che approfittò immediatamente del vantaggio per rigirare contro l’avversaria il suo stesso stratagemma. 

Un po’ bersagliandola con sfere di fuoco incantato ed un po’ incalzandola con la mazza ferrata, la ragazza spinse la creatura contro una folta macchia di alberi bitorzoluti e cominciò a colpirla forsennatamente, non dando importanza allo strano pulsare dei disegni incantati sulle sue braccia. 

L’arma ed il fuoco colpirono in pieno il petto del nemico e poi piovvero inarrestabili sul braccio superstite, sul cranio, nell’incavo tra collo e spalla, sul viso. 

Nulla di tutto ciò, però, parve anche solo minimamente in grado di abbattere il demone che, anzi, si stava velocemente riprendendo dallo stordimento e cominciava a rispondere vigorosamente agli assalti.

Snervata ed accecata dalla rabbia e dalla frustrazione, Shanoa abbandonò ogni tattica e prudenza, slanciandosi ferocemente nello scontro con violenza. 

Le sue braccia mulinavano colpi potenti e precisi, dalle sue dita scorrevano come fuochi artificiali i glifi magici più disparati e complessi, ma nulla di tutto questo sembrava in grado di fermare la sua avversaria. 

E, nella concitazione dello scontro, la guerriera non si rese conto del fatto che le maniche del suo vestito blu iniziavano a bruciare.

Qualcosa non andava.

Monica era praticamente sicura che, dopo il suo intervento, Shanoa avrebbe concluso lo scontro in un batter d’occhio e invece, per quanto gravemente ferito, il demone continuava ad attaccare senza mostrare il minimo segno di cedimento.

Per di più, la sua compagna sembrava aver perso totalmente la calma e la sarta dubitava che, in quelle condizioni, sarebbe riuscita a concentrarsi abbastanza da cercare di analizzare la situazione.

Ci voleva un diversivo, qualcosa che riuscisse a spostare nuovamente su di sé l’attenzione di quella creatura e che permettesse a Shanoa di riprendere il suo rigido autocontrollo. 

La sarta si guardò attorno febbrilmente, cercando invano una grossa pietra o qualcosa di simile, ed improvvisamente la sua attenzione venne attirata dalla falce demoniaca che aveva brandito pochi istanti prima: quando l’aveva imbracciata la prima volta non aveva avvertito nulla di particolare, ma ora l’arma riluceva e sibilava appena, come animata da una qualche misteriosa forma di energia, e aveva sciolto il cumulo di neve dentro il quale era precipitata durante la colluttazione. 

Senza esitare, Monica si slanciò verso l’oggetto e lo afferrò, ma l’arma demoniaca sembrò animarsi di vita propria ed iniziò a contorcersi tra le sue mani, cercando in ogni modo di attaccarla.

Un’intuizione si fece strada nella mente della giovane che, afferrata la falce nel punto che reputò più sicuro, prese a sbatterne e strisciarne violentemente la lama sul terreno gelato e contro gli alberi e le rocce, puntando a smussare e rovinare la lama con tutte le sue forze.

Il mostro fermò a metà un fendente e si slanciò violentemente verso sinistra, ululando e cercando disperatamente di divincolarsi.

Shanoa riuscì a mantenere l’equilibrio e la presa per un soffio e voltò il capo, cercando di capire il perché di tutta quell’agitazione. 

Quando vide Monica e intuì ciò che la giovane stava facendo, un grido di giubilo le salì alle labbra e si voltò per fronteggiare il nemico con nuovo vigore. 

In qualche misteriosa maniera, la sarta era riuscita a trovare il punto in cui il demone aveva nascosto la propria energia vitale e, avendo intuito che distruggerlo era l’unico modo per abbattere la creatura, si stava impegnando con tutte le sue forze in quello che, la guerriera lo sapeva bene, non sarebbe stato un compito per nulla facile. 

Shanoa avrebbe voluto poter aiutare la compagna ma ora che aveva visto il proprio trucco svelato e la sua sconfitta profilarsi imminente, la creatura era diventata ancora più difficile da trattenere. 

Tanto che, nonostante il dolore a braccia e schiena cominciasse a diventare davvero intenso, la guerriera si trovò praticamente costretta ad armare a piena potenza tutti e tre i suoi glifi. 

Fiamme, ghiaccio e scariche di energia si abbatterono sul mostro, circoscrivendolo, nonostante tutti i suoi sforzi e le sue urla, all’interno di un’invalicabile barriera magica. 

Ritta in piedi innanzi al cerchio magico, la giovane concentrava tutta se stessa nello sforzo di mantenere attivi i tre incantesimi elementali: si fece scivolare addosso la stanchezza, il dolore, la rabbia e la sensazione dell’abito che, per la consunzione dei glifi, le ardeva su braccia e schiena.

Chiuse gli occhi ed ignorò le urla della bestia, le imprecazioni di Monica, il rumore ritmato della lama del glifo falce sulla roccia. Nulla ebbe più importanza, finché non udì l’urlo trionfante della compagna, quello terrorizzato del demone e, infine, uno scoppio tremendo, improvviso ed inaspettato, che la fece barcollare.

Spalancò gli occhi. 

Monica era accasciata a terra, il volto coperto di sangue e l’impugnatura fumante della falce ancora fermamente stretta tra le mani. 

Terrorizzata, Shanoa si voltò per raggiungere la ragazza, ma proprio in quel momento i suoi glifi raggiunsero il loro limite e si squarciarono, strappandole un lungo grido di dolore. 

La ragazza piombò a faccia in giù nella neve, svenuta, col nome della compagna sulle labbra.

   
 
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