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Autore: missiswolf03    17/07/2018    0 recensioni
"Attenta a ciò che desideri, Sol, perchè un giorno potrebbe avverarsi"
*
Sol ha diciassette anni, lunghi capelli color miele e unghie perfettamente curate. Vive a Milano, va a scuola, si diverte... forse. Perché quando sei la figlia del più grande imprenditore del millennio e di un'ereditiera brasiliana, non è che tu possa andare proprio dove vuoi, non è che tu possa fare proprio come vuoi... non è che la tua vita sia proprio in mano tua. Sol vuole scappare, vuole andarsene, lo ha sempre desiderato... Ma è davvero quello che vuole? Una notizia sconvolgente, una rivelazione scioccante, un viaggio verso la sua nuova esistenza. Riusciranno otto ragazzi a farle tornare il sole negli occhi e a placare il vento che le scombussola il cuore?
{Illuminati Crew}
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Illuminati Crew, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Sono passate settimane da quando sono a Roma, e ormai mi sono abituata a questa vita movimentata e così diversa dalla mia.

La mattina mi alzo per prima e preparo la colazione, poi do una ripulita e vado a fare una passeggiata.

Ormai conosco il quartiere come il palmo della mia mano.

Quando rientro, aiuto Vale con Alice e la accompagno a scuola, poi faccio un po' di faccende, aiuto col pranzo, e studio, con il maestro privato che “mio padre” ha assunto per me, perché “la tua istruzione deve essere all'altezza del nome che porti”. Umpf.

Dopo di solito mi chiudo nella mia camera, che Brazo e Valentina hanno messo in piedi all'ultimo ripulendo il ripostiglio. All'inizio sembrava davvero una cella, con un letto di seconda mano raccattato Dio solo sa dove, e le pareti grigie. Ora che ci ho messo le mani, però, è molto meglio. Ho dipinto le pareti di bianco e verde pastello, appeso qualche quadretto, rimediato una scrivania, cuscini colorati, un tappeto troppo buffo a forma di Pikachu... Insomma, una camera un po' sgangherata, ma che sa di casa.

Casa... non avevo mai colto appieno le sfumature dietro questa parola, almeno non prima di arrivare qui. In inglese, il concetto è più evidente.

“The house”, l'edificio; “Home”, casa.

Casa tua, il posto che ami e dove tornerai sempre, qualunque cosa accada, perché è li che vive il tuo cuore.

E, adesso, il mio cuore vive qui...

Un quadro cade improvvisamente, riscuotendomi dai miei pensieri. Mi alzo dal mucchio di cuscini dove ero sprofondata, leggendo un libro di cui nemmeno ricordo il titolo... Penso che dovrò ricominciarlo da capo, magari staccando i pensieri stavolta. Mi chino, stando attenta ai frammenti di vetro, e prendo la cornice con attenzione. Appena la volto, però, il mio cuore involontariamente si ferma.

Cazzo.

Potrebbe sembrare solo un misero quadretto con dei fiori, ma la verità è che, nascosta dietro, vi è una foto. Una foto di mia madre, me e Lui, scattata in un giorno di tre anni fa.

La mia mano comincia a tremare, senza che io possa fermarla, e gli occhi si riempiono di lacrime.

Ricordo il passo di un libro, Novecento, che parla di un quadro che cade, all'improvviso, e sconvolge tutto.

Ecco.

Non sono andata avanti, ecco come stanno davvero le cose.

Col cavolo.

Di giorno è facile, mi tengo impegnata e non ci penso, ma la sera, quando spengo la luce... i fantasmi cominciano a correre.

E, diamine, vanno davvero veloci.

Ho nascosto ogni cosa mi ricordasse anche solo lontanamente “prima”, e quando Brazo o Vale provano a entrare nell'argomento, svio i loro discorsi su altro.

Non ho mai aperto un giornale da quando sono qui, per paura di vederci la foto di mamma e papà che sorridono, felici e perfetti...

Senza di me.

Soffoco i singhiozzi nel cuscino, quando il dolore si fa troppo forte, perché non mi sentano dalla stanza accanto, e prendo degli ansiolitici per non avere attacchi di panico.

Bella vita, vero?

Pensavo davvero di superare tutto, di ricominciare da capo, ma la mia forza di volontà non dev'essere molto forte...

Perciò eccomi qui, accovacciata in un mare di vetri con in mano una vecchia cornice e...

Oh, è sangue quello che mi sta scivolando lungo le gambe?

Poco importa, le lacrime mi hanno offuscato la vista, e tutto ciò a cui riesco a pensare sono tutti i momenti che ho passato con Lui... E poi arriva, quel momento...

Rivedo me, così ingenua, che sfoglio le riviste di moda alla ricerca dell'abito perfetto per la cena del giorno dopo, seduta in soggiorno.

Rivedo mio padre, serio, che entra e, con voce fredda, mi sgretola in pochi secondi

“Sol... È morto. Lui non c'è più.”

Mi rivedo morire, il cuore che si spezza, la testa che gira...

Lancio un urlo, istintivo, viscerale.

È come morire di nuovo, i sensi si appannano, sento il calore del sangue che pian piano scorre sulle cosce, la testa si fa pesante...

- Ti prego, torna da me...

È tutto quello che riesco a dire, poi cado a terra, sdraiata sui vetri. Sento bucarmi la pelle, ma non fa male, non più male del mio cuore ridotto in polvere.

Chiudo gli occhi, esausta.

La porta si apre.

Buio.

 

*

 

Mi sveglio.

Da sotto le palpebre vedo una luce bianca, accecante, come quelle...

Come quelle degli ospedali.

Sono in ospedale.

Frammenti di ricordi mi si affacciano in mente; la foto, i vetri, il sangue... il dolore mi colpisce tutto insieme, sento delle fitte al basso ventre, al fianco destro e alle gambe. Sto per aprire gli occhi e chiamare un infermiera, quando sento due voci; Vale e Brazo.

Mi metto in ascolto.

- Amò, così non può andare avanti... Il giorno ride e sembra star bene, e la sera piange di nascosto... Star chiusa in questo quartiere non la guarirà -, dice Vale.

- Che possiamo fare? Non voglio vederla stare male ancora e far finta di niente...

- Portiamola via, via da qui, lontana... In un posto dove possa rimettersi in sesto... Non so, un posto lontano tipo...

- Amò -, la interrompe Brazo, - lo so io che fare. Il NoidaVoi. La prima data è vicina, potrei portarla con me, presentarla ai ragazzi... E magari potrebbe alloggiare da alcuni di loro per un po', cambiare aria spesso, viaggiare...

- Potrebbe funzionare. Certo, deve decidere lei... Ne parleremo quando si sveglierà, con calma, a casa.

Detto questo, sento delle sedie che si spostano, dei passi, e poi una porta che si chiude.

Ora sono da sola.

Apro gli occhi, piano piano, e, dopo che mi sono riabituata alla luce, osservo la stanza. È una doppia, ma il letto accanto a me è vuoto, nonostante ci siano diverse cose ammucchiate sul comodino. In fondo al letto ci sono le due sedie dove era seduta la coppia.

Per il resto è una normalissima stanza d'ospedale. Mi accorgo solo ora di avere la gola secca, così giro la testa alla ricerca di una brocca d'acqua, ma prima che possa anche solo visualizzare cosa si trova sul comodino alla mia destra, la porta si spalanca di scatto, e delle risate maschili mi arrivano all'orecchio.

Due ragazzi entrano nel mio campo visivo, uno ha le stampelle. Entrambi hanno una mascella molto pronunciata, roba che “Edward Cullen spostati”, e capelli scuri, arruffati.

- Che scemo che sei, Daniè...-, dice quello senza stampelle, che sembra essere il più grande, ridendo.

Poi si accorgono di non essere soli.

Smettono di ridere, e sulla stanza scende uno strano silenzio.

Distolgo lo sguardo, imbarazzata.

Beccata a fissare due sconosciuti. Che figura.

- Ehm... Ciao.

La voce di prima mi arriva alle orecchie.

Ecco, adesso devo fare conversazione.

Riporto gli occhi su di loro, e mi tiro su a sedere.

- Ciao. -, rispondo, un po' titubante.

Non faccio conversazione con un ragazzo da una vita, ormai.

È... strano.

Il tipo sorride e si avvicina.

- Sono Davide, piacere.

Ha un sorriso bellissimo, e una voce nasale, buffa. Gli si addice.

- Sono Soledad, piacere mio.

Non so perché, ma improvvisamente mi sento più a mio agio. Sto parlando con qualcuno che non sa chi sono, chi è mio padre, e che non ha idea di ciò che ho passato. È fantastico.

Davide guarda il ragazzo con le stampelle, e gli fa cenno di avvicinarsi. Il ragazzo, riluttante, lo raggiunge accanto al mio letto.

- Daniele. -, dice solo. È bellissimo. Ha due occhi verdi che sembrano gemme, con qualche sfumatura marrone, e un orecchino all'orecchio sinistro. Sembra un duro, eppure... Scommetto che in realtà è solo timido.

- Che hai fatto alla gamba? -, chiedo, curiosa. Daniele accenna un sorrisetto imbarazzato e distoglie lo sguardo, mentre Davide soffoca una risata.

- Rispondi tu o lo faccio io? -, chiede il secondo. Davide sospira.

- Diciamo che ho passato un po' il limite con la moto e che sono caduto...

- Un po'? Andavi a 120 su una strada con limite 30, diciamo che è molto più di un po', e che sei fortunato a respirare ancora -, ribatte Davide. Mi guarda, e ride. Rido anch'io, mentre Daniele è rosso come un peperone.

- Perché vuoi dare questa cattiva immagine di me alla signorina qui presente? Sei proprio un fratello di merda...

Gli da una piccola botta con una stampella, poi gli fa una linguaccia.

Davide lo guarda, e, con aria divertita, gli tira un lieve cazzotto sul braccio.

Lieve, si fa per dire.

Se lo avessero dato a me, mi sarebbe venuto il livido sicuramente, ma mister occhi belli sembra non sentirlo nemmeno, e ride.

Perfetto, ho un compagno di stanza pazzo, con un fratello altrettanto pazzo. Ci sarà da divertirsi.

Dopo un paio di botte amorevoli, riportano l'attenzione su di me. Stavolta è Daniele a parlare. Sembra essersi rilassato anche lui.

- Soledad, eh? Che nome strano. Di dove sei?

- Mia madre è brasiliana, ma io sono nata in Italia, come mio padre.

Pronunciare queste parole fa male. Fa tanto male. Però mi sforzo di non darlo a vedere, non voglio mostrare questo mio lato depresso.

Chiacchieriamo ancora per un po', sto bene con loro.

Parliamo del più e del meno, cose futili principalmente, come si fa di solito con chi si è appena conosciuto.

Sono davvero divertenti, e hanno quella cadenza romanaccia che mi fa impazzire, uguale a quella di Brazo e Vale.

Ad un certo punto, Davide riceve un messaggio. Lo legge, poi ci guarda.

- Devo andare, c'è Catia che mi aspetta, non voglio fare tardi. -, dice a suo fratello. Poi si rivolge direttamente a me.

- È stato divertente chiacchierare con te, alla prossima!

Ed esce, lasciando me e suo fratello da soli.

- Catia è la sua ragazza? -, chiedo, impicciona come sempre.

Daniele annuisce, ma sembra diventato freddo, come a voler nascondere un dolore di qualche tipo. Forse sono solo paranoica, ma è esattamente ciò che faccio io quando qualcuno nomina mia madre, o peggio ancora, Lui.

- Ho toccato qualche nervo scoperto? -, indago, cautamente.

Il giovane sospira.

“Ecco, lo sapevo, sono stata indelicata come sempre, ora si chiuderà e non mi parlerà più...”.

E invece, Daniele mi sorprende. Non sono per niente brava a giudicare le persone.

- Famme spazio. -, mi dice. Sposto le gambe con attenzione e, con altrettanta cautela, lui si siede sul letto. Sembriamo due vecchietti in un ospizio, e la cosa mi fa ridere, considerando che in realtà siamo tutto l'opposto. Però mi trattengo, non voglio sembrare irrispettosa, di nuovo...

Daniele guarda il lenzuolo. I suoi occhi sono qui, ma chissà dov'è la sua mente. Sposto lo sguardo per la stanza, evitando il suo. Non che io non voglia sapere cosa, o in questo caso chi, affligga i pensieri di questo ragazzo bello e tormentato, il classico “bad boy”.

Sto seriamente iniziando a pensare che non dirà più niente, che ormai si sia perso, quando la sua voce roca interrompe i miei pensieri.

-Se chiamava Greta. Me faceva 'mpazzì, roba da matti proprio. Però a 'n certo punto la cosa c'è sfuggita de mano, e diciamo che lei è 'mpazzita pe' davero... Ha 'ncominciato a annà 'n giro a dire peste e corna de me, ecco. Senza motivo. Però... Però io ancora la amo, la amo 'na cifra...

Non riesce più a continuare. Gli si sono arrossati tutti gli occhi.

Ora, io non so se sia senso del dovere perché lui si è aperto con me o semplicemente voglia di condividere finalmente questo dolore, ma non riesco a frenarmi e sputo fuori la mia storia.

-Anch'io ho perso una persona importante. O meglio, non so come siano realmente andate le cose. Un giorno mi disse che doveva assolutamente parlarmi e mi diede appuntamento al nostro solito posto. L'ho aspettato un paio d'ore, poi me ne sono tornata a casa, incazzata nera. Quando però mio “padre”-, pronuncio la parola con disprezzo, - è tornato a casa, mi ha detto che era morto.

La voce si riduce a un soffio, mentre sento lo sguardo di Daniele su di me. Percepisco che sta per dire qualcosa, così mi affretto a continuare.

-Circa un mesetto fa, in una mattina qualunque, “papà” mi ha detto che dovevo lasciare casa mia, andarmene, senza volermi spiegare il motivo. Dopo una furiosa lite, mi ha detto che Lui era tornato. Mi aveva mentito. Mi aveva fatto credere che fosse morto. Ti rendi conto?

Ho paura di stare per piangere, ho paura di scoppiare di nuovo, eppure non lo faccio. E credo che le braccia di Daniele che mi stringono a lui siano il principale motivo.

-Non vojo chiedette altro, penso che avemo parlato de ste robbe tristi già abbastanza. Famo che mo me fai n'soriso e ce annamo a prenne 'n cafè?

Si stacca piano, e mi guarda, sorridendo, e ha un sorriso così contagioso che inevitabilmente faccio quello che mi ha detto.

-E caffè sia.-, rispondo ridendo.

-E brava regazzì, me stai sempre più simpatica.

Poi, con la stessa cautela con cui ci siamo messi in questa posizione, ci alziamo e, dopo che lui mi ha aiutata a sedermi sulla sedia a rotelle che mi hanno lasciato in dotazione, date le ferite a gambe e busto, ci dirigiamo verso la macchinetta dell'ospedale.

Mentre ridiamo e scherziamo, aspettando un caffè che sarà sicuramente schifoso, una nuova consapevolezza si fa strada dentro di me: mi sono appena fatta un nuovo amico, e l'ho fatto da sola.

   
 
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