Libri > Forgotten Realms
Segui la storia  |       
Autore: NPC_Stories    25/07/2018    5 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

.
[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
.
***********************************************************
.
Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
.
Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1287 DR: La loro famiglia (Parte 3)


Johel considerò per un momento il mezzo biscotto che aveva ancora in mano e poi prese una decisione improvvisa e sovversiva: se lo cacciò tutto in bocca, masticando velocemente. Quando suo padre entrò nella stanza, ogni prova del misfatto era sparita.
“Non voglio che tu pensi che ti sto evitando.” Cominciò Tazandil, varcando la soglia. Dritto al punto, come sempre. “Quindi, sei qui per parlare. Parliamo.”
Johel annuì seccamente. Per tutto il viaggio aveva pensato a cosa dire e sapeva che suo padre non apprezzava le esitazioni.
“Vi lascio soli.” Annunciò sua madre, e nell’uscire sfiorò la mano di Tazandil con la sua. Per un momento, a Johel sembrò che suo padre ricambiasse il gesto, ma forse era solo un’impressione.
“Padre, sbaglio a supporre che la tua visita a Myth Dyraalis sia legata alla tua decisione di accettare Daren nella foresta?”
“Non sta a me accettarlo nella foresta.” Lo corresse Tazandil. “Io posso esprimermi solo per i territori che sono affidati alla mia supervisione. Ma hai ragione, sono venuto qui per spiegare la mia decisione e proporre che questo permesso venga esteso all’intera Sarenestar.”
Johel non sapeva che pensare di questo, quindi espresse ad alta voce i suoi dubbi. “Sono sorpreso, padre. Non hai mai speso una parola in suo favore.”
“Tu invece ne hai spese, e molte.” Borbottò l’elfo più anziano, in tono di rimprovero. “Ma ieri si è presentata l’occasione di metterlo alla prova e si è comportato bene. Non voglio dire in modo esemplare, è stato ben poco amichevole, ma nei fatti si è comportato bene.”
“Quindi ora mi credi perché l’hai visto con i tuoi occhi? Che ne è delle tue obiezioni sul fatto che i drow sono maestri nell’inganno?”
“Non si può ingannare un sacerdote.” Fu l’aspra risposta.
Johel impallidì, sentendo il sangue che defluiva verso i piedi.
“Lo hai fatto divinare?”
“Era un nostro diritto. Questa è casa nostra.”
“Oh. Oh. Non l’avrà presa bene…” Mormorò il giovane ranger, nascondendo il viso in una mano.
“Non è affar mio come prende certe cose. Era un nostro diritto, i drow sono nemici del nostro popolo. Quello che mi sorprende, Johlariel, è che tu avessi ragione sul suo conto.”
“Perché l’unico modo per capire le persone è sottoporle a indagini magiche?” Più che una domanda era un’affermazione, carica di sarcasmo. “Hai sempre pensato che Daren volesse ingannarmi, ma sono stato io a insistere perché diventassimo amici, non lui. Hai visto come si comporta: non è mai stato gentile o accattivante. Gli riesce più facile collezionare nemici, che amici.”
“In un certo senso è un bene, rende più improbabile che sia un falso amico, ma anche questo avrebbe potuto essere un complicato inganno.”
Johel sospirò, sapendo che quello che stava per dire non sarebbe piaciuto a Tazandil. “Padre, i drow crescono in una cultura molto diversa dalla nostra. È probabile che gestiscano le emozioni in modo completamente diverso, per questo giudico improbabile un doppio inganno come lo stai immaginando tu. Un drow non dovrebbe sapere come noi elfi esprimiamo le nostre emozioni e come manipolarci in tal senso. E poi, so riconoscere una persona che pone deliberatamente una barricata davanti ai suoi sentimenti. So riconoscere un gesto premuroso anche dietro una facciata di indifferenza. Ho dovuto imparare… crescendo con un padre che si comporta nello stesso modo.”
Questa affermazione azzardata fu accolta da un prevedibile, gelido silenzio. “Quindi secondo la tua opinione tuo padre si comporta come un drow.”
Johel riconobbe il tentativo di deviare il discorso con una falsa equivalenza per farlo sentire in colpa, e si rifiutò di fare un passo indietro.
“Per quanto ne so, i drow cancellano completamente i loro sentimenti positivi. Io sto parlando solo di una difficoltà ad esprimerli. Padre… non sei una persona che si esprime molto. Ho dovuto imparare a leggerti fra le righe, e sì, questo mi è stato utile quando Daren ha iniziato a fare cose che non mi spiegavo. Quando agli inizi viaggiavamo insieme perché gli serviva una guida, ma non si fidava abbastanza di me da lasciarmi maneggiare un’arma, dopo un po’ mi sono reso conto che non solo non mi voleva fare del male... ma in caso di necessità mi aveva anche protetto. All’inizio pensavo fosse solo perché gli servivo, ma quella motivazione poteva reggere solo fino ad un certo punto. Con il tempo ho capito come ragiona. In molte cose siete diversi, lui non è una persona disciplinata e non sempre usa il suo buonsenso, ma nei fatti è un tipo pragmatico che guarda al bene superiore. Come te, quando arrivi a farti odiare dalle tue reclute perché pensi che insegnare loro a sopravvivere sia più importante di essere amato.”
“Non ho mai pensato che questo avrebbe potuto disturbarti, in quanto mio figlio.” Borbottò Tazandil, in tono difensivo. Forse non erano delle scuse, ma Johel sapeva che una presa di coscienza della situazione era il massimo che avrebbe avuto da suo padre. “Io ti ho trattato come tutti gli altri, perché dovevo. Non sarebbe stato equo altrimenti, e non ti avrei fatto un favore se fossi stato molle nell’addestrarti.”
“Lo so. L’ho capito molto tempo fa.” Riconobbe Johel. “Ma tu sei mio padre, quindi io dovevo amarti per forza. O almeno tentare. Per questo ho imparato a capirti e a riconoscere i segni del fatto che tu ci tenevi; a me, al nostro clan, alla nostra foresta. E sapevo a che tipo di addestramento sarei andato incontro, quando ho scelto di diventare un ranger.”
“Lo hai scelto?” Per la prima volta, Johel vide qualcosa di simile al dispiacere negli occhi di suo padre. “Non lo hai fatto solo nel tentativo di compiacermi?”
Johel rifletté un momento su come rispondere.
“Ho sentito che mia cugina Freya sta attraversando l’adolescenza.” Commentò, prendendo il discorso alla lontana.
Tazandil corrugò la fronte, senza capire. “Sì, e allora?”
“E allora, è un’età di ribellione. Un’età in cui si fanno cose… a volte folli… per dimostrare che si è adulti, che si è capaci di prendere le proprie decisioni. Tu sei convinto che io non abbia mai attraversato una simile fase.” Un’affermazione, non una domanda.
“Sei sempre stato un ragazzo assennato.” Confermò Tazandil. “Forse ho sbagliato. Forse sono stato troppo repressivo con te, ti ho caricato delle mie aspettative, invece avrei dovuto lasciarti tentare e fare sciocchezze.”
“Non crucciarti, padre, l’ho fatto. Ho avuto il mio moto di ribellione. Ricordo perfettamente che un giorno mi stavi dicendo quanto fossi inetto e inadeguato e che non sarei mai diventato un bravo ranger con quell’atteggiamento. Io non avevo mai detto di voler fare il ranger, ma tu l’avevi dato per scontato… e avevi ragione. Ero cresciuto nel mito dei grandi ranger della nostra foresta, per me era come la figura dell’eroe, ma quel rimprovero mi ha mortificato. Ma anziché farmi sentire debole, come al solito, mi ha fatto arrabbiare. Era l’adolescenza, probabilmente. In quel momento ho realizzato con grande lucidità cosa volessi fare nella vita. Volevo diventare un grande ranger. Ma non perché lo volevi tu. Questo è stato un immenso gesto di ribellione da parte mia… scegliere il mio futuro perché lo volevo io.”
Tazandil rimase senza parole davanti a questa confessione.
“È… una decisione molto matura per un adolescente. Sono fiero di te, figlio mio.”
Johel rispose con un sorriso ironico.
“Nel mio fervore adolescenziale, questo non doveva avere alcuna importanza. Ma ora che sono adulto, ora che so che non dipendo da questo, mi fa comunque piacere sentirlo, padre.” Esitò un momento, poi aggiunse: “Io sono fiero di te per aver saputo vedere oltre i tuoi pregiudizi sul mio amico.”
“La mia giusta prudenza, vuoi dire.”
“È la stessa cosa che dice lui.” Replicò Johel, ripensando alle parole di Daren di qualche giorno prima.
L’espressione di suo padre rivelò un’ombra di fastidio, poi tornò impassibile come sempre.
“Tuo zio Fisdril ha accettato di estendere il permesso a muoversi liberamente in tutto il territorio del clan Arnavel. Gli altri due clan non si sono espressi, quindi rimane valida la regola che applichiamo a qualsiasi estraneo: può transitare, se accompagnato da un elfo di Sarenestar. Le sue azioni future potrebbero modificare il modo in cui la foresta lo accoglierà.”
Johel annuì, accettando quelle decisioni. Era meglio di quanto avesse sperato.
“Certamente. Grazie per quello che hai fatto, padre.”
Tazandil si voltò per andarsene, probabilmente per tornare da sua moglie. Poi però ci ripensò e si trattenne per dare a suo figlio un ultimo avvertimento.
“Intendo sia in meglio che in peggio, Johlariel.”
Questo era implicito. Pensò il giovane fra sé e sé. Non sono un folle che vive di pie illusioni, padre.

Tazandil si arrampicò fino all'ultimo ramo occupato da una piccola, accogliente costruzione in legno. Era la camera da letto che condivideva con la moglie, almeno quando era a casa.
Quando entrò, la scoprì seduta sul letto, impegnata in un’occupazione che lui non aveva mai compreso fino in fondo, e che un po’ lo inquietava: stava leggendo le sue carte divinatorie.
Non la chiamò, non voleva rompere la sua concentrazione (poteva essere pericoloso), ma si avvicinò e con tutta calma si sedette al suo fianco.
Aveva dispiegato un telo che usava apposta per la divinazione, per fare in modo che le preziose carte non toccassero oggetti di uso comune. Le belle lame, dipinte con figure aggraziate e splendide, erano disposte in uno schema più o meno circolare. C'erano tre carte in centro, circondate da un largo cerchio di altre diciotto carte. Intorno ad esso c'era una specie di altro cerchio più esterno, ma interrotto all'estremità superiore e a quella inferiore.
Tazandil rimase accanto a sua moglie mentre lei guardava quelle figure. Alla fine lei scosse la testa e si concesse un sospiro che sembrava di frustrazione.
“Accidenti.” Mormorò, massaggiandosi il viso.
Quando Tazandil poggiò delicatamente le mani sulle sue spalle, lei sobbalzò.
“Tazandil! Non mi ero accorta… quando sei arrivato?”
“Appena qualche minuto fa. Non volevo disturbarti, Hinistel. Sembravi in una specie di trance.”
“Ero solo profondamente concentrata. Ma ho fatto tutto per niente, temo. Questa lettura non ha alcun senso.”
“Che cosa cercavi di vedere? Non ti ho mai vista disporre le carte in questo schema.” Lasciò correre lo sguardo sulle figure, notando subito qualcosa di strano. “È normale che alcuni simboli compaiano diverse volte, uguali?”
“Sì, quello può succedere.” L'elfa dissipò i dubbi del marito, agitando distrattamente una mano. “Le carte sono bianche, all'inizio. I disegni si formano quando le dispongo nel giusto ordine. Se è necessario, a volte più carte assumono lo stesso aspetto. Quello che è strano è il loro significato. Stavo cercando di capire qualcosa in più sul drow amico di nostro figlio.”
“Non ti fidi del responso dei chierici?”
La dama si strinse nelle spalle, come per scusarsi. “Non è questo, ma non sempre le conseguenze di una scelta sono legate alle intenzioni delle persone. Quel drow può anche essere benintenzionato, ma se avesse dei nemici potenti e trascinasse la loro ira sulla nostra foresta?”
“È questo che temi?”
“Questa è solo un'ipotesi. Una delle tante. È vero che in questi anni non è successo nulla di male a Johel, ma… ora si tratta di tutti noi. Anche di persone che non possono difendersi.”
“Se questa preoccupazione non ti dà pace, hai fatto bene a chiedere alle carte.” Riconobbe Tazandil. Era un elfo saggio, a modo suo, e non ci teneva a vivere accanto a una moglie in preda all'ansia.
“Sì, ma l'unica cosa che ho capito è che non dovrei divinare quando sono stanca.” Sbuffò lei, guardando storto le carte. “Insomma, niente di tutto questo ha un senso. Guarda le tre carte centrali, dovrebbero definire a grandi linee la persona che è oggetto della lettura. Il Ladro, la Luna e il Sole. Se dovessi spiegarti perché non ha senso, non saprei da che parte cominciare.”
Tazandil cominciò a massaggiare con calma le spalle della moglie. “Quel ladro non mi sembra una carta positiva.” Tentò, partendo dall'unica delle tre carte che rappresentasse una figura umanoide.
“È una carta ambigua.” L'elfa non si sbilanciò. “Spesso è una carta negativa, ma dipende dal contesto. Simboleggia una persona che traffica nell'ombra, una persona fra la luce e le tenebre, un ingannatore, una spia, o un ladro vero e proprio. Le carte che ha intorno, però… la Luna e il Sole, sono sempre carte positive. Immagino che si possa essere anche un imbroglione a fin di bene.”
“E perché sarebbe insensato? Ha molto senso per me, visto che è un drow.”
“Il Sole e la Luna non compaiono mai insieme.” Spiegò lei. “Rappresentano due diverse scelte di vita, entrambe volte al bene, ma è difficilissimo che qualcuno le segua entrambe. Sarebbe come servire due padroni. O due ideali, che coincidono solo fino ad un certo punto. Prima o poi si deve fare una scelta.”
“Hai visto anche questa scelta, nelle carte?”
Lei indicò le lame disposte a cerchio intorno alle prime tre. “Ho visto tante cose, ma poco sensate. Le carte a sinistra rappresentano le azioni che la persona subisce nel corso della sua vita. Quelle a destra, rappresentano le azioni che compie volontariamente. Passivo e attivo, ricettivo e proiettivo, capisci?”
Tazandil scrollò le spalle e abbracciò la moglie da dietro, lasciando che lei si appoggiasse a lui. “Hinistel, sei tu la veggente. La tua spiegazione è comprensibile, ma ne parli con qualcuno che non capisce queste faccende esoteriche.”
“Bè, comunque sia, qui le carte stanno dicendo… insomma, nessuno nasce tre volte e muore cinque volte.” Sbottò, in preda alla frustrazione. “Se non sapessi che è impossibile, direi che si è premunito contro questo tipo di divinazione.”
“Mi sembra che non ci siamo con la matematica.” Il ranger le diede ragione, per quel che riusciva a capire. “Non è che le carte ti stanno mostrando vite passate o future? Alcune persone credono nella reincarnazione.”
“No, questo schema parla esplicitamente del corso di una singola vita. E poi, guarda quante volte compare la Luna in questa lettura. Compare al centro, è coinvolta in una delle sue morti, ed è anche la causa dell'unico amore della sua vita. Penso che rappresenti la sua Dea. Le persone molto religiose di solito non si reincarnano.”
“Ma compare sempre sul lato sinistro. Il sole compare sul lato destro.”
“No, guarda, qui… la Luna compare una volta anche a destra. Sai, sul lato sinistro, le carte esterne, quelle del secondo cerchio, indicano le cause degli eventi che capitano al soggetto. Sul lato destro, le carte esterne indicano le conseguenze delle azioni volontarie. Sul lato destro c'è un fante, con una spada in mano. Un fante è un guerriero che si sposta per il mondo, ma non è una figura importante come un cavaliere, è un semplice esecutore, un servitore. Accanto al fante c'è il Sole, significa che viaggerà nel mondo portando conseguenze positive. Ma sul lato destro c'è anche un ladro capovolto; siccome il ladro è lui, ed una carta capovolta indica la morte, ed è sul lato delle azioni consapevoli… si tratta di un suicidio, e non indiretto, un vero suicidio compiuto di proposito. E la conseguenza di questo suicidio è di nuovo la Luna. È un servo del Sole, ma la sua vita è dedicata alla Luna.”
“E nasce tre volte e muore cinque volte.” Le ricordò Tazandil, abbastanza perplesso. “Sai almeno che cosa lo uccide?”
“Sì, sempre che la divinazione sia esatta.” L'elfa si lanciò nella sua interpretazione. “Una volta è suicidio, per la Luna, non so come mai ma dovrà trattarsi di una cosa importante. Ma quel suicidio è connesso a una delle nascite, quindi forse tornerà in vita. Le altre volte, subisce la morte a causa di… la Guerra, l'Inganno, la Caccia e l'Orgoglio. Non necessariamente in quest'ordine.”
“La Guerra? Sai se avverrà qui?”
Hinistel girò un'altra carta e la posò sopra a quella della Guerra. Sul prezioso foglio bianco si tratteggiò un disegno, come per opera di un pennello invisibile. Era un disegno molto verde. Tazandil trattenne il fiato quando riconobbe la veduta di una foresta.
“No.” Negò sua moglie, con suo immenso sollievo. “Accadrà in una foresta, ma se fosse stato qui sarebbe apparsa la Casa.”
Il ranger lasciò andare il sospiro che aveva trattenuto.
“Le due carte ai poli? Questa in alto con una maschera, e quella in basso con quel fantasma inquietante? Perché non hanno alcuna carta più esterna?”
“Rappresentano solo il modo in cui una persona reagisce alle cose che le succedono. In modo conscio, come indicato dalla carta in alto, e in modo inconscio, secondo quanto detto dalla carta in basso. Qui la maschera indica che lui finge di reagire sulla spinta del ragionamento logico, o forse ci crede perfino, ma in realtà non è così. Il fantasma indica problemi irrisolti, attaccamento morboso a qualcosa, e le catene che ha ai polsi e alle caviglie simboleggiano qualcosa che lo trattiene dal crescere: può essere anche un ricatto, o senso del dovere, o anche senso di colpa. Non è una buona carta, tantomeno in quella posizione. Ma non indica una persona necessariamente malvagia o pericolosa.”
“Una persona che non ha il pieno controllo delle sue emozioni, ma pensa di averlo, è pericolosa.” Obiettò Tazandil. “Non è affatto pragmatico come crede Johlariel.”
“Amore, tu sei pragmatico e hai comunque delle profondità che non vuoi affrontare. Tutti abbiamo qualcosa che nascondiamo anche a noi stessi.”
“Sciocchezze. L'unica cosa profonda che ho è la mia faretra.” Poi si forzò a chiedere quella cosa che voleva e non voleva sapere. “Hai visto anche Johlariel in mezzo a tutto questo?”
“Credo di sì. Ho visto una carta che rappresenta un forte legame di amicizia o di parentela, e una delle figure sulla carta assomigliava molto a nostro figlio. Ma era sul lato sinistro, e la sua causa scatenante era la Ruota della Fortuna. In pratica non diceva nulla di utile. Solo cose che sappiamo già.”
“Cioè la loro amicizia è dovuta al caso?”
“Pochissimi incontri non sono dovuti al caso, o alla fortuna, mio caro.” Sentenziò lei, cominciando a raccogliere le carte. “Pensare altrimenti è solo un vezzo della nostra vanità.”
“Se tutto è dovuto al caso, cosa ti mostrano le carte? Come possono funzionare?”
Lei finì di raccogliere tutte le lame e gli sorrise, apprezzando quell'obiezione intelligente. “Tutto ciò che accade ha cause e conseguenze. Il generico corso della vita è deciso dalle nostre azioni e da quelle di chi vive intorno a noi. Il caso può farci deviare, anche molto, dal corso delle nostre vite. Pensa a questo: un giovane elfo nasce in una famiglia di rinomati ranger, decide di diventarlo a sua volta, prevedibile, non credi? E potendo contare sul miglior addestramento, diventerà molto bravo nel suo lavoro. Ma quel giovane elfo può rimanere coinvolto in una grande battaglia, immagina, frecce che volano da tutte le parti… è il caso, o la fortuna, a stabilire se sarà colpito. Il giovane può morire, e questo metterà fine alla sua storia che sembrava già scritta. Oppure può vivere. Le Carte mi dicono cosa succederà, secondo i moti delle cause e conseguenze, se il caso non ci metterà lo zampino.”
La spiegazione fu accolta da un lungo silenzio.
“Questo per me è un discorso terribile.” Ammise infine Tazandil.
“Lo so. Perdonami, amore, ma tu me l'hai chiesto.”


Altrove, qualche ora prima.

“Daren, ehi. Hai finito le tue flessioni?”
“Per oggi”. Spiegò sbrigativamente, ancora con il respiro pesante. “Ciao, Raerlan.”
Raerlan gli sorrise come se fosse davvero felice di vederlo e si sedette al suo fianco. Daren non era certo di capire l’entusiastica amicizia di Raerlan, ma forse dipendeva dal fatto che fosse anche lui un ospite a Sarenestar. Era un alicorn, una creatura nata dall'amore proibito fra un elfo ed un unicorno, e la sua eredità traspariva dal tozzo accenno di corno che aveva sulla fronte. A volte lo nascondeva indossando uno strano cappello. Gli elfi di Sarenestar lo avevano accettato ed accolto, ma erano ancora molti quelli che lo guardavano con distacco. Gli alicorn di solito non erano bene accetti fra gli elfi. La sua stessa presenza lì testimoniava che gli elfi di Sarenestar dopotutto guardavano più al valore personale che alla razza. Daren non sapeva come avesse fatto Raerlan a meritarsi di vivere lì, ma non era un ficcanaso e non glielo avrebbe chiesto esplicitamente.
“Lo hai fatto apposta.” Disse invece. Non era una domanda.
“Che cosa?”
“Quel bambino. Ha detto che era un tuo amico. Lo hai mandato per tendermi una trappola!”
“Una trappola? È così che chiami il fatto che ora sei qui?”
“Sì, visto che mi hai manipolato.”
L’alicorn semplicemente si strinse nelle spalle. “Se non vuoi essere manipolato, prova a cominciare a fregartene del benessere altrui.”
Daren sbottò in una breve risata, riconoscendo l’ironia di quel commento.
“Grazie. Mi serviva proprio che un elfo chiaro mi insegnasse a fregarmene degli altri. Non sono mai stato capace.” Rispose con finta sincerità, stando al gioco.
Il sorriso di Raerlan però si spense lentamente, come se ci fosse qualche pensiero che oscurava il suo solito buonumore.
“Adesso ti arrabbierai ancora di più. Non ti ho trascinato nella foresta con l’inganno solo per godere della tua compagnia, o per darti l’occasione di dimostrare le tue buone intenzioni.”
“Non ti ho mai chiesto questa opportunità comunque. Quindi dimmi, creatura fastidiosa, per quale motivo mi trovo qui?”
Raerlan esitò ancora un momento. Era a disagio, o forse voleva lasciarlo credere.
“Vieni al mio accampamento. Ho cucinato qualcosa, sarai affamato. Lì potremo parlare in pace e godendo di una certa riservatezza.”
Questa proposta senza dubbio solleticò la curiosità del drow, oltre a ricordargli che effettivamente non mangiava nulla da quella mattina. Che cosa poteva volere da lui Raerlan? Era soltanto uno dei ranger, non aveva alcun potere decisionale, eppure aveva dei segreti che nascondeva ai suoi compagni?

Per quella sera Daren rimase ospite nell’accampamento di Raerlan, e in questo modo scoprì due cose: la prima, che il piccolo Mavael effettivamente viveva con lui. La seconda, che Raerlan era un cuoco incredibilmente poco dotato.
“Che cosa c’era, esattamente, in questo stufato?” Domandò il drow, rimestando il contenuto della sua ciotola con il cucchiaio, con aria dubbiosa.
“Perché? Non è buono? Mi dispiace, non sono molto bravo…”
“No, è che… non si riconoscono gli ingredienti e non sa quasi di nulla. Be', non è che non ci sia di peggio… ma come fai ad occuparti di questo ragazzino se nemmeno sai cucinare?”
Raerlan sorrise a mo’ di scuse, e Mavael ammise tranquillamente che lui non la mangiava mica, la roba cucinata da Raerlan.
C’era qualcosa di strano in tutta la faccenda, Daren avrebbe dovuto chiedersi come mai un ragazzino vivesse con i ranger anziché al sicuro a Myth Dyraalis, ma non lo fece. In qualche modo, la sua mente non riusciva a formulare quel pensiero, e lui non se ne accorgeva nemmeno.
“Allora, adesso ti degni di dirmi perché sono qui?” Domandò, dopo aver finito di mangiare la strana poltiglia. Dopotutto la fame è il miglior condimento.
“È colpa mia.” S’intromise Mavael, parlando tutto d’un fiato. “Sono io che ho bisogno del tuo aiuto.”
Daren lo fissò sbalordito per un momento. Di cosa poteva avere bisogno, un bambino? Doveva forse spostarsi in un’altra zona della foresta e aveva bisogno di protezione? E in quel caso, non sarebbe bastato Raerlan?
Poi l’intelligente drow ricordò una cosa che Mavael aveva detto il giorno prima: Mia mamma è morta. Mio padre è in missione.
“Ha qualcosa a che fare con la missione di tuo padre?”
“Come fai a saperlo?” Chiese Mavael, a bocca aperta per lo stupore.
“Non lo so, ma sono un guerriero, è l’unica mia utilità. Perché mai un bambino dovrebbe aver bisogno di un guerriero?”
“Mio papà è scomparso. Circa un anno fa. Stava indagando su… una possibile infiltrazione drow.”
Poche parole, ma cambiarono completamente la prospettiva di Daren sulla vicenda. S’irrigidì, come un gatto davanti al pericolo.
“Mi dispiace. Se hai paura lo capisco. Tu non mi devi nulla.” Mormorò Mavael.
“Non ho paura.” Negò Daren, per allontanare i suoi dubbi. “Ma è una cosa molto pericolosa, per tuo padre e forse per tutti. Vuoi dire che ci sono dei drow nella foresta di Sarenestar? Oltre a me, intendo?”
Il bambino annuì, con aria greve. “Sono sotto la foresta. Mio padre mi ha detto dove avrebbe cercato. Ma è scomparso, gli altri ranger del clan lo hanno cercato ma senza successo, e l’hanno dato per morto.”
“Loro sapevano dei sospetti di tuo padre sulla presenza di drow?”
Mavael scosse la testa. “Lui non glielo ha detto e nemmeno io, là sotto potrebbe essere un labirinto, potrebbero morire tutti. Per gli elfi è molto difficile combattere i drow nei loro cunicoli.”
“Non devi giustificarti, hai ragione, le perdite sarebbero eccessive.” Avrebbe dovuto chiedersi come facesse un bambino piccolo ad essere così consapevole, ma non riuscì a fare nemmeno questo. Le parole di Mavael gli sembravano troppo sincere e coerenti per fargli nascere dei dubbi. “Io sono un drow, conosco il modo di agire dei miei simili e so muovermi nei cunicoli. Se qualcuno ha una possibilità di farcela, sono io. Ma non pensi che Tazandil e gli altri elfi dovrebbero almeno saperlo?”
Mavael s’irrigidì, il suo volto venne attraversato da un’espressione di allarme. “Ho paura di come ragiona il vecchio ranger. Lui è uno che vuole la guerra. Se i drow sapranno di essere stati scoperti, uccideranno il mio papà.”
“Come… come sai…” Daren non sapeva come porre la domanda, non c’era un modo delicato per farlo. “Come sai che tuo padre è ancora vivo?”
“Si chiama Filvendor. E io so che è ancora vivo. Lo sento. Lo so e basta.”
Daren sospirò, pensando che quella sicurezza derivasse solo dall’affetto di un figlio per il padre. Non era sicuramente una certezza. Ma anche se il povero Filvendor fosse stato già ucciso, Daren era comunque preoccupato per quella possibile infiltrazione drow nella foresta del suo migliore amico. Doveva indagare, vedere se fossero davvero lì, e in quel caso, chi fossero e perché proprio sotto Sarenestar. A meno che non fossero altri seguaci di Eilistraee, come lui, i drow rappresentavano un pericolo per gli elfi; e se fossero stati seguaci di Eilistraee, il ranger non sarebbe scomparso.
“Andrò a cercare tuo padre, Mavael. Devo solo recuperare le mie armi.”
“Posso farlo io.” Gli venne incontro Raerlan, volenteroso.
“Domattina possiamo partire e ti indicherò dove è scomparso papà.” Propose Mavael. “Quel luogo si trova a circa un giorno di cammino da qui, nel territorio del clan Gysseghymn.”
“Un giorno? Come giustificherò il fatto di recarmi nel territorio di un altro clan? Non ho il permesso. Sarà forse il caso di partire di notte e arrivare lì di nascosto? Raerlan, cosa ne dici?”
“Dico che apprezzo il tuo modo di fare così furtivo.” Disse l’alicorn, con fare riflessivo. “Ma la tua assenza qui sarebbe subito notata. Potremmo andare via, io e te, ufficialmente in pattuglia. Nessuno obietterà, se viaggerai con me. Però forse, nel territorio del clan Gysseghymn, sarà meglio non farsi notare.”
“Per questo penso che sarebbe comunque meglio partire ora. Sarenestar mi sembra una foresta molto fitta e gli elfi di Superficie non ci vedono perfettamente, al buio.”
“Va bene. Questa è di certo un’argomentazione valida.”
“Ce la fai a muoverti furtivamente, Raerlan?”
L’alicorn distolse lo sguardo dal drow, a disagio. “Eh… ammetto che non è il mio forte. Ma potremmo separarci ad un certo punto, e non è strano che io pattugli la foresta.”
“E tu, Mavael? Ce la fai a stare sveglio tutta la notte? Posso portarti in braccio o in spalla, ma tu devi indicarmi dove andare.”
Il bambino annuì senza alcuna esitazione. “Non ho per niente sonno.”
“Va bene, allora è deciso.” Raerlan batté le mani, convinto. “Andiamo a recuperare le tue armi, Daren. E andiamo via, prima che Johel ritorni.”
Il pensiero dell’amico elfo e di come avrebbe reagito aveva il potere di mettere le ali ai piedi ad entrambi.


****************
Nota: Se vi interessa il sistema divinatorio usato da Hinistel, lo potete trovare qui.

           

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Forgotten Realms / Vai alla pagina dell'autore: NPC_Stories