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Autore: Gwen Chan    08/07/2009    1 recensioni
Quella notte sembrava che tutte le memorie che aveva nel cuore avessero deciso di riemergere e di togliergli il sonno. Setsuna incrociò le braccia dietro la schiena, si alzò a sedere, si rimise sdraiato. A fianco a lui, Sara dormiva tranquilla. Beata lei. E a giudicare dal russare che veniva dall’altea stanza, anche Kira stava dormendo alla grossa.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sakuya Kira, Sara Mudo, Setsuna Mudo
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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“Anche gli angeli capita, a volte, sai si sporcano”.

 

Setsuna si ridestò da quello stato di torpore in cui era piombato mentre si abbandonava al passato. Kira…. All’inizio non ci aveva creduto, pensando che si trattasse solo di un sogno, un bel sogno, dal quale, purtroppo, avrebbe dovuto svegliarsi. Ma col passare dei giorni, aveva capito che quella era la realtà perché, a volte, i miracoli succedono. Il giovane si alzò a sedere e, quasi sonnambulo, si alzò e si diresse verso la camera di Kira, spinto da un qualche istinto. Era convinto che l’amico potesse tranquillizzare il suo animo così da poter finalmente scivolare tra le braccia di Morfeo. Così attraverso il corridoio e si fermò sulla soglia della camera dell’amico, appoggiandosi allo stipite della porta e sventolandosi con una mano per l’afa. O forse c’era anche qualcos’altro? Ultimamente il giovane si era accorto che sentiva sempre molto caldo quando stava con Kira e che il cuore iniziava a battere come dopo una lunga corsa. Il letto di Kira era sotto la finestra, così la luce lunare che filtrava attraverso le tapparelle, disegnava la silhouette dell’uomo. Sakuya era girato su un fianco, con il viso rivolto dalla parte di Setsuna, un braccio attorno al cuscino, l’altro abbandonato su un fianco. Le coperte, o meglio il lenzuolo, visto che faceva davvero un caldo infernale, erano state gettate a furia di calci in fondo al letto, così che lo coprivano solo dalle ginocchia in giù. Indossava un paio di pantaloncini ed era a torso nudo, la pelle abbronzata grazie alle ore passate in spiaggia, sotto il caldo sole australiano. Aveva trovato un lavoro come bagnino. Le ragazze impazzivano per lui, rendendo Setsuna un po’ geloso. Il giovane si ritrovò a pensare che il suo senpai era davvero un bell’uomo e arrossì nel buio; senza sapere bene perché, cominciò a sudare e, quasi contro la sua volontà, accese la luce. Kira si scosse, si stropicciò gli occhi, schermandoli con una mano, e si sollevò leggermente sui gomiti. Setsuna lo vide fare un rapido giro della stanza a occhi socchiusi, per poi posarsi su di lui.

“Secchan, che hai? Sono le…” guardò l’orologio “le tre del mattino!” bofonchiò, la voce impastata, per il sonno e la sbronza della sera prima. C’era stata una festa al molo e avevano fatto baldoria, con grande disappunto di Sara. Setsuna non rispose, limitandosi a fissarlo e a restare sulla porta.

“Non riesci a dormire, vero?” chiese con una voce dolce, calda e leggermente preoccupata. Setsuna annuì piano, lasciandosi scivolare sul pavimento e abbracciandosi le ginocchia.

 

Non riesci a dormire?

 

Quella semplice domanda riportò alla sua memoria antichi e confusi ricordi. Kira gli aveva già fatto quella richiesta, in un passato lontano e ancora piuttosto felice, se mai c’era stato un solo momento felice in tutta la sua vita.  Setsuna aveva dieci anni. Era stato un giorno di dicembre, circa cinque mesi dopo il loro primo incontro. Da allora non si erano visti spesso, e le poche volte Setsuna era stato sempre trascinato, suo malgrado, in imprese non proprio legali. Eppure si era divertito, com’è giusto che faccia un bambino di dieci anni. Quella sera, comunque, doveva aver fatto qualcosa di grosso, non ricordava più cosa, ma di sicuro doveva essere stato qualcosa di grosso. Forse aveva alzato le mani contro qualcuno o, peggio, aveva mostrato un atteggiamento troppo affettuoso nei confronti di Sara per la quale provava già un sentimento molto simile all’amore. Qualsiasi cosa avesse combinato, sua madre ci era andata giù pesante con gli schiaffi e gli insulti. “Non dovevi nascere”. Una frase che nessuno, tanto meno un bambino vorrebbe mai sentirsi dire. E poi, che cosa aveva di così sbagliato da essere odiato da sua madre, da aver spinto suo padre a scappare con un’altra donna e a lasciarlo sempre più spesso solo in casa? Il ragazzino, preso dalla rabbia, era uscito, sbattendosi la porta dietro e, prima che potesse rendersene conto, si era ritrovato in strada. Una volta recuperata la lucidità, aveva cominciato a tremare di freddo e a piangere di rabbia e di paura. Non sapeva dove andare, non aveva nessun posto in cui si sentisse veramente a casa. Aveva pensato che sarebbe stato bello camminare fino a crollare sul selciato, lasciandosi coprire dalla neve che aveva cominciato a cadere sottile. Sparire dal mondo, togliere un peso morto, tanto a nessuno sarebbe importato della sua scomparsa. Setsuna non ricordava quanto avesse camminato, solo che a un certo punto si era accorto di essere arrivato nel quartiere dove abitava Kira, precisamente sotto casa sua. Un segno del destino? Anche Kira aveva problemi familiari, sua madre era morta in un incidente d’auto e non andava molto d’accordo con suo padre. Quando stava con Kira, Setsuna si sentiva protetto e accettato, si divertiva. Kira per lui era insieme un padre, un fratello maggiore e un amico.  Col tempo, inoltre, era diventata una presenza sempre più insostituibile. Tremando per il freddo, il ragazzo si era alzato sulle punte e aveva premuto il campanello. Dalla casa era provenuto un gran trambusto.

“sì, sì, vecchio, vado io… che palle!”. Kira si era affacciato alla finestra e aveva guardato giù. “Chi è a quest’ora? O Setsuna, che vuoi? Aspetta che scendo…. Caspita, come sei conciato. Vieni dentro, che ti prendi un raffreddore.” aveva esclamato, vedendolo tutto scarmigliato e aprendo la porta. Lo aveva poi guidato in un piccolo salotto, un po’ tirandolo e un po’ spingendolo, dandogli delle pacche sulla schiena per evitare che dormisse in piedi.

“Allora, che cosa è successo?” gli aveva chiesto, porgendogli una tazza di latte caldo. Setsuna aveva bofonchiato qualcosa, per crollare addormentato subito dopo, rovesciando il latte sul pavimento.

“Caspita, sei un disastro ambulante! Guarda che hai combinato.” si era lamentato Kira, raddolcendosi alla vista del ragazzino addormentato, la fronte leggermente corrugata. Lo aveva preso in braccio e depositato delicatamente su un futon.

“Ehi, che ci fai ancora qui.” aveva bofonchiato circa un’ora dopo, vedendoselo comparire in camera. Setsuna non aveva risposto, era troppo stanco, ma si era limitato a restare sulla soglia, il futon in una mano.

“Non riesci a dormire? Certo che sei proprio un bambino. Dai, vieni qua.” Lo aveva aiutato a sistemare il futon vicino al suo e Setsuna si era rannicchiato contro il corpo caldo del suo senpai. Da allora era andato a dormire da lui tante altre volte.

 

Nonostante fossero passati più di dieci anni, nonostante fosse ormai un adulto, la scena era la stessa. Setsuna si sentiva ancora un bambino triste e solo. Così, prima che Kira potesse protestare, andò dritto verso il letto e s’infilò sotto le coperte.

“Ehi, che fai? Dai, non sei più un bambino! Scendi, non ci stiamo.” protestò Kira. cercando di buttarlo sul pavimento. Setsuna in tutta risposta si rannicchiò ancora di più contro il petto dell’amico, esattamente come aveva fatto quella notte.

“Fai un po’ come ti pare, non lamentarti se poi cadi dal letto. “ sospirò rassegnato l’altro, si tirò l’amico vicino, poggiandogli la testa sul cuore, che batteva forte, e, prima di addormentarsi, lo circonò con le braccia.

 

Il mattino dopo Kira si risvegliò senza il familiare corpo di Setsuna accanto, perché l’amico era tornato a dormire nel letto matrimoniale con Sara.

“Sei tornato da lei in modo che non si svegliasse da sola? Come ti dissi una volta, una donna amata da te sarà felice.” gli sussurrò in un orecchio. Setsuna si agitò nel sonno e si girò dall’altra parte. “Comunque, credo proprio che Sara abbia già capito tutto.” Formulato l’ultimo pensiero, la mente di Kira tornò a quel giorno di circa un anno prima, quando Raphael lo aveva consegnato, di nuovo vivo e vegeto, nelle mani di Sara.

 

Sei invecchiato.” aveva commentato la ragazza, aprendo la porta della sua casa londinese.

“Raphy-kun ha trovato un modo, altrimenti sarebbe stato un po’ strano vedere due, aspetta, quanti anni hai ora?”

“Ventidue.”

“Ecco due giovani di ventidue anni che chiamano senpai un diciottenne.”. Ed erano scoppiati a ridere, o meglio, Sara aveva appena sorriso, giusto per cortesia. Dopo lo aveva fatto accomodare in cucina, ma era stato Kira a rompere il ghiaccio.

“Hai paura di perderlo, vero?” aveva chiesto, poggiando il mento sulle palme aperte e sporgendosi in avanti. Sara aveva annuito piano ed aveva emesso un lungo sospiro.  Ed era partito lo sfogo.

“ Quello che voglio è che il mio onicha sia felice, ma capisco che non posso renderlo tale, non da sola. Gli ho causato troppi problemi; non so che cosa abbia passato mentre mi cercava, lui non ne vuole parlare, ma deve essere stato qualcosa di terribile. Mi sento così in colpa. Quando siamo tornati a Tokyo dall’Atziluth ho temuto di perderlo; i suoi occhi non mi guardavano mai e le poche volte che si posavano su di me rimanevano freddi e vuoti. I suoi occhi sono caldi, grandi, da eterno bambino. Da angelo. Quello sguardo da automa faceva paura! Una volta, poi, sarebbe stato totalmente preso da me, scusa se mi vanto, invece allora, o avresti dovuto vederlo! Continuava a guardarsi intorno febbrilmente come un bambino spaventato! Ti cercava!”

Sara aveva fatto una pausa e si era asciugata le lacrime che avevano cominciato a scendere. Kira era piuttosto imbarazzato, perché di solito era Setsuna che correva da lui a confessargli tutte le sue paure, non la sorella. Anzi, Sara non si era mai aperta così in sua presenza. E Kira, si sentiva meschino ad ammetterlo, ne avrebbe fatto volentieri a meno, preferendo mille volte che davanti a lui ci fosse Setsuna. Nel frattempo Sara, recuperato un pizzico di controllo, aveva ripreso: “La notte era addirittura peggiore. Anch’io per molto tempo ho avuto gli incubi, ma lui, lui… Una sera ero uscita a prendere un caffè in un bar vicino l’hotel; quando sono tornata l’ho trovato che dormiva, ma “dormire” è una parola grossa. Si agitava nel sonno e urlava. Urlava frasi sconnesse, ma sono riuscita a decifrare una parola, “senpai”. Ti chiamava, Kira. Sono corsa via in strada, lontano da quelle urla di dolore che non potevo placare. Mi sono sentita così inutile e impotente e ho pensato che, se ci fossi stato tu con lui, saresti stato in grado di calmarlo. Ha bisogno di te per ricominciare a sorridere.”.

 L’ultima frase era stata spezzata dai singhiozzi; Kira era arrossito, non tanto per ciò che aveva appena sentito, quanto perché Sara somigliava dannatamente a Setsuna, una specie di versione al femminile. E la cosa gli provocava non poco turbamento.

“Se ami qualcuno, lascialo volare via.” Aveva recitato Kira, con la sua straordinaria capacità di inquadrare il succo di ogni situazione in poche parole e di centrare il problema.  Sara aveva fatto una smorfia; sembrava una bambina che, dopo aver deciso di regalare il suo giocattolo preferito in un impeto di generosità, ora si pente e spera che la sua offerta venga rifiutata.

“Già, ma fa tanto male.”

 

Per molte notti Setsuna continuò ad oscillare tra le due camere. Si alzava alle due di notte e andava da Kira e restava lì fino alle cinque del mattino. Ormai era diventata una routine. Kira si lamentava sempre un po’, dicendo che il letto era troppo piccolo per due persone, ma, alla fine, si tirava indietro verso il muro e faceva posto a Setsuna. Se lo teneva stretto sia per averlo vicino sia per evitare che cadesse. Quando, certe notti, Setsuna cominciava a parlare nel sonno, preso dagli incubi, Kira gli mormorava all’orecchio finché l’amico non si calmava. D’altra parte anche l’anima di Kira sembrava trarre benficio dalla sola presenza di quel ragazzo così innocente. La loro, per ora, era una relazione notturna, della quale non traspariva niente di giorno, quando Setsuna tornava a dedicarsi a Sara. A colazione, tuttavia,  Kira lanciava delle occhiate a Setsuna, una sorta di linguaggio segreto, che servivano a ricordare il loro tacito accordo.

Tutto ciò continuò finché Setsuna, preso da certi scrupoli di coscienza, non decise di rivelarlo a Sara e per farlo decise di addolcirla un po’. Come quando ci si mostra premurosi nei confronti di una persona alla quale pensiamo di chiedere in seguito un favore importante.

“Hai preparato la colazione!” esclamò la ragazza, trovando già tutto pronto, un’afosa mattina d’agosto. “Non nasconderai qualcosa?” gli chiese, dubbiosa, versandosi i cereali. Setsuna per poco non si strozzò con i biscotti che gli andarono di traverso.

“No, no!” si affrettò a negare, appena ebbe recuperato l’uso della voce. “Succo?”

La sorella accettò e soffiò nel bicchiere per nascondere il riso. Setsuna non era proprio capace di mentire! Ma sarebbe stato scortese farglielo notare.

Intanto Setsuna si scervellava su cosa dire e come e quando! Lì, al momento? O nel pomeriggio? O fuori? Magari avrebbe potuto portare Sara a fare un giro a Sidney. Le sue riflessioni furono interrotte da Kira che, come suo solito, si materializzò in cucina e gli tolse con disinvoltura il pacchetto di biscotti dalle mani.

“Ehi, li stavo mangiando” protestò Setsuna, ma troppo tardi.

“Io vado in spiaggia!” gli disse Sara, schioccandogli un bacio veloce su una guancia.

“Stasera ti devo parlare.” .

Sara annuì e scomparve.

Per tutto il giorno Setsuna continuò a rimproverare se stesso. Avrebbe fatto meglio a dirle tutto a colazione! Invece ora non solo doveva aspettare, ma c’era anche il rischio che Sara tornasse dalla spiaggia di cattivo umore. Così quando la sentì rientrare, alle sei di sera, scattò in piedi come una molla.

“Ehi, Secchan, hai un riccio sulla sedia?” lo punzecchiò Kira. Setsuna non ci badò e, in preda all’agitazione, andò dritto in cucina.

“Hai preparato anche la cena! Tu nascondi qualcosa”. Sara lo guardò, divertita e seria allo stesso tempo.

“Sì, hai ragione.”confessò Sestuna, prendendo una sedia.

“Non dovevi dirmi qualcosa?” domandò Sara, sedendosi a sua volta.

Setsuna fece un gran respiro: “Qualche volta, vado a dormire con Kira.”

“Io lo sapevo da un po’ ” gli rivelò Sara e rise.

“Come? Tu? “ balbettò Setsuna, cadendo quasi dalla sedia. Sara gli allungò un braccio e lo tirò su.

“Intuito femminile….”

“Solo?” Setsuna aveva sempre pensato che le donne, specialmente quelle che conosceva, possedessero come un sesto senso, ma quella volta gli sembrava che mancasse qualcosa.

“In verità, no. L’intuito c’entra poco, sei solo molto rumoroso. Fai cigolare il letto e ce ne vuole, dato che è nuovo! E quando cammini… insomma, mi hai svegliata e sono andata a vedere.” continuò Sara. Setsuna le prese le mani.

“Scusa, scusa”

“Non c’è problema, davvero. Io lo sapevo già. Da quando ho deciso di riportarti Kira” aggiunse, ma l’ultima parte la tenne per sé e la disse a voce così bassa che il fratello non la sentì. Ci fu silenzio per qualche minuto prima che il ragazzo riprendesse a parlare, sempre più impacciato.

“Ti amo ancora, però…” Setsuna si dondolò, a disagio. Perché era così difficile? Perché non poteva tradurre a parole un sentimento così semplice?

Noi siamo innamorati, è una cosa semplice, eppure non riusciamo a dirla.”

“Sei innamorato di lui?” domandò Sara. Cercava di apparire tranquilla, ma aveva gli occhi lucidi. Se li asciugò furtivamente, come ormai si era abituata a fare.

Setsuna ci pensò su un attimo, quindi: “No, non solo.”

“Che cosa è lui per te, quindi?” gli chiese la ragazza.

C’erano dei gesti e delle parole che risvegliavano in Setsuna brutti ricordi. Sara non lo sapeva, Setsuna non gliel’aveva mai detto, ma la domanda che gli aveva appena posto rientrava in quella categoria. Il giovane si rivide ferito e chiuso in una gabbia, mentre un angelo dai capelli rossi gli urla contro: “rispondimi!” All’epoca era stato troppo sconvolto per pensare alla domanda, ma ora la risposta gli si presentò prima in mente poi sulla lingua, chiara, limpida, precisa.

“E’ la mia vita.” rispose.

Non sapeva in che altro modo definire quello che provava; era un sentimento, anzi un legame, più forte dell’amicizia e, forse, anche dell’amore.

“E così sarei la tua vita. Di tutte le dichiarazioni che ho sentito, e sono state tante, questa è la più strana.” disse Kira entrando e buttandosi su una sedia. Gli occhi di Setsuna si focalizzarono subito su di lui, mentre il giovane tentava di tradurre a parole ciò che provava.

“Una volta, senpai, mi regalasti una pietra rossa, dicendo che era un portafortuna. In realtà conteneva la tua anima: era la tua vita. Affidasti a me, uno così imbranato, la tua vita! Forse, però, fui io ad affidarti la mia vita.” spiegò, gli occhi bassi.

“Ti avevo pregato di dimenticarmi e di continuare a vivere, ma forse deve essere stata una richiesta troppo ardua da realizzare, Secchan. Eppure, sono di nuovo qua, a restituirti la tua vita che, come dici, portai con me nella morte.”

Entrambi tacquero e ripensarono, ciascuno a modo suo, a quel giorno.

Setsuna rivide l’amico in ginocchio, con una spada nel petto, che, calmo come sempre, gli intima di continuare a vivere.

Kira ricordò gli occhi spalancati e pieni di dolore di Setsuna, mentre urla che non sarà più felice senza il suo senpai, che non esiste nulla come “tutto bene.”

“Vennero da me i tuoi amici, tuo padre, a chiedere dove fossi finito e io non sapevo cosa rispondere. Continuavo a vedere il tuo fantasma!“ singhiozzò Setsuna, sfiorandosi l’orecchio destro. Le dita incontrarono due cicatrici che si era procurato strappandosi gli orecchini, regalo di  Kira, in un impeto di dolore e rabbia.  Kira lo abbracciò, mormorando parole di scusa.

“Sono stato uno sciocco, non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Ma ora sono qui e non vado da nessuna parte. Ma se mai dovesse succedermi qualcosa, promettimi che non farai pazzie. Eh, diglielo anche tu, Sara” continuò, girandosi, ma la ragazza se ne era già andata. Setsuna la ringraziò in silenzio. Kira sorrise.

 

 

   
 
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