Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: SherlokidAddicted    29/07/2018    1 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La polaroid



La serata alla fine è andata abbastanza bene. Siamo rimasti alla villa fino a oltre la mezzanotte. Ci siamo tutti spostati sulle scalinate a osservare i fuochi d'artificio che alcuni del ristorante vicino avevano deciso di sparare in cielo. Sui nostri visi risplendono le luci dei fuochi, risaltando la lucentezza dei nostri occhi felici per la serata appena trascorsa.
Ci siamo salutati tutti e poi ci siamo ridiretti a casa. Sherlock è particolarmente silenzioso sul tragitto verso il 221 B. Quando mi giro a guardarlo lo trovo intento a giocherellare con uno dei bottoni del suo lungo cappotto, anche se il suo sguardo è perso a guardare qualcosa fuori dal finestrino. Non so bene a cosa stia pensando ma non riesco ad attaccare un argomento così delicato con il tassista e la signora Hudson seduta accanto a noi.
Scendiamo davanti all'ingresso ed io lascio una considerevole mancia prima che il taxi parta. La nostra padrona di casa sbadiglia stancamente mentre cerca le chiavi nella sua borsetta di pelle. Quando le trova e apre la porta, si limita a un "buonanotte cari", prima di sparire all'interno del suo appartamento. Io e Sherlock raggiungiamo il nostro salotto e mio marito si lascia subito dopo cadere sul divano, senza togliersi né il cappotto e né la sciarpa blu elegantemente allacciata intorno al collo.
- Ti ricordi cosa avevamo detto? Quando ti ho chiesto se ti piaceva il Natale mi hai risposto che ne avresti avuto la conferma solo oggi. - Inizio io mentre mi accorgo di come di sfuggita abbia lanciato un'occhiata alla mappa di Londra ancora appesa sopra al divano.

 

La delusione è per un momento nei suoi occhi.

 

- Perciò cosa puoi dirmi adesso? - Chiedo mentre mi sfilo la giacca e la appendo all'attaccapanni, lasciandomi ricadere di peso sulla mia poltrona. Il contatto con il cuscino morbido è un grazie da parte della mia schiena dolorante.
- La trovo una festa inutile. - Dice mentre con uno strattone deciso della mano la sua sciarpa scivola sul tappeto. - Però ho passato una bella serata. - L'angolo delle mie labbra si solleva per un momento e poggio comodamente la nuca alla spalliera della poltrona, chiudendo gli occhi rilassato. - Tranne il momento in cui ho sentito te e mio fratello parlare dell'America. Ecco, lì non è stato poi il massimo. - Alle sue parole sbarro gli occhi e raddrizzo la schiena, rivolgendogli uno sguardo dispiaciuto e terrorizzato allo stesso momento. - Ah, non fare quella faccia. - Dice lui mentre si sfila il cappotto e lo lascia ricadere sul pavimento assieme alla sciarpa.
- Ci hai sentiti? -
- Ogni parola. - Deglutisco, forse troppo rumorosamente dato che attiro la sua attenzione verso il mio pomo d'Adamo.
- Sherlock, io... -
- Non devi giustificarti, John. Mycroft è assillante e ha questo strano modo di proteggermi, lo capisco. Certo, io non sarei mai voluto andare in America senza di te. - Il modo in cui mi parla e calmo, anzi accenna un sorriso, anche se piccolo, che mi porta ad appoggiare nuovamente la schiena alla poltrona, un po' più rilassato questa volta. - E il modo in cui gli hai risposto è stato... -
- Intimidatorio? - Dico, cercando di andare a indovinare. Mi aspetto mi dica qualunque cosa, del come "tosto", "forte", "convincente", ma mai quello che dice in realtà, rivolgendomi subito dopo un sorrisetto che la dice lunga.

 

Sexy.

 

Sì, ha detto proprio sexy.

 

- I tuoi atteggiamenti da bravo soldatino sono il mio punto debole. - La sua affermazione mi rende stranamente imbarazzato e il mio istinto mi spinge a spostare lo sguardo sulla poltrona di Sherlock, come se la vedessi per la prima volta e prestandovi talmente tanta attenzione da notare particolari che prima d'ora non avevo mai notato. Sento gli occhi di Sherlock addosso e so che ancora sta accennando quel sorriso malizioso.
- Ricordamelo la prossima volta che vorrò provocarti. - La sua risata affettuosa e spontanea arriva alle mie orecchie come fosse musica, una dolce musica che mi costringe a guardare il suo viso rilassato mentre si lascia andare a quell'emozione liberatoria.

 

È bellissimo.

 

- Lo dirai a Mycroft? - Gli chiedo a un certo punto, mentre guarda fisso il soffitto sopra di sé. In risposta fa spallucce e porta elegantemente un braccio sotto alla nuca per stare più comodo.
- Che so del suo malefico piano? Nah! In fondo il primo a non volermelo dire è stato lui. - Il mio sorriso è soddisfatto, volevo proprio rispondesse in questo modo. Non mi aspettavo che la prendesse così, come se non gli importasse, non dopo i comportamenti dell'ultimo periodo. Mi aspettavo piagnucolasse, che avesse qualche sbalzo d'umore seguito da un attacco di panico. Ma non è questo il caso. È così tranquillo che quasi mi fa paura. Sarà che la serata e l'ultima tappa del nostro "gioco" lo hanno rasserenato a tal punto? Non posso che essere felice del fatto che io sia in grado di farlo sentire così, la mia autostima stasera non è ai livelli pietosi delle ultime settimane.

 

A proposito di questa sera!

 

- Oh, quasi dimenticavo! - Dico alzandomi di scatto dalla poltrona. A passo svelto mi avvio verso la cucina sotto il suo sguardo confuso. Apro uno degli armadietti sopra al lavello e recupero un pacco regalo dalla carta dorata e il fiocco rosso, poi torno in salotto, dove Sherlock si è messo seduto e mi guarda con un sopracciglio sollevato finché non gli sono proprio di fronte. Con un'alzata di spalle gli porgo il regalo e lui lo fissa per dei secondi che sembrano interminabili, con un'aria smarrita e decisamente adorabile per i miei gusti. Lo afferra con entrambe le mani e lo poggia sulle sue gambe, infine solleva lo sguardo verso di me.
- Mi hai fatto un regalo... - Dice, e per un po' mi stupisco sia lui stesso, Sherlock in persona, ad affermare l'ovvio. In risposta mi faccio sfuggire una risatina.
- Buon Natale, Sherlock. - Lo vedo accarezzare la carta lucente con entrambe le mani, e spero che dalla forma del pacco non abbia già intuito che cosa ci sia dentro.
Fargli delle sorprese è sempre stata un'impresa. Negli ultimi anni ha sempre indovinato tutti i miei regali, perfino quando decidevo di cambiare scatola per confondergli le idee. Mi sono sempre chiesto come diavolo facesse. Una volta gli ho anche chiesto di fingere almeno di non sapere, ma il risultato era stato pessimo. Quando li scartava e fingeva di essere sorpreso, con la sua scarsa capacità di esprimere sorpresa, veniva voglia di strangolarlo.

 

"Oh, ma che bello, John. Ti ringrazio, non me lo aspettavo."

 

Insopportabile.

 

- Prima che arrivi il prossimo Natale. - Dico a un tratto, risvegliandolo da quello stato di trance. Lentamente le sue mani iniziano a strappare la carta dorata, lasciandola ricadere sul pavimento, fino a che non è a stretto contatto con una custodia di pelle nera che apre, con le mani quasi tremanti. Rimane pietrificato quando ne capisce il contenuto e finalmente posso notare della reale sorpresa nei suoi occhi, non sta fingendo per farmi contento.
Prende il violino fra le mani come fosse fatto di vetro e lo osserva finché per necessità non sbatte le palpebre e solleva la testa per guardarmi.
- Allora? - Chiedo, ansioso di una risposta plausibile che mi faccia capire cosa vuol dire quello sguardo smarrito sul suo volto.
- Io... John, è... bellissimo, non so che dire. - Dice sinceramente commosso mentre afferra l'archetto e lo scruta attentamente. 

 

Non è cosa di tutti i giorni lasciare Sherlock Holmes senza parole.

 

- Mi dispiaceva non sentirti più suonare dopo che hai distrutto il tuo. - Un leggero sbuffo ironico gli sfugge dal naso mentre ripone tutto nella custodia, senza però chiuderla, cercando di godersi con lo sguardo ogni particolare del nuovo strumento che ho scelto meticolosamente con l'aiuto del commesso del negozio di musica. Un negozio che Sherlock frequentava spesso quando ancora se lo ricordava. Mi aveva detto fosse uno dei migliori della città e nonostante ci volesse un bel po' per raggiungerlo con la metro, per lui l'ho fatto senza esitare.
- Credevo non sopportassi il violino. -
- No no, non mettermi in bocca parole che non ho mai detto. Non sopporto che tu lo suoni a ore improponibile della notte, quello sì. - L'angolo delle sue labbra si solleva appena divertito, poi sposta la custodia dalle sue gambe al divano e si alza in piedi per poter essere faccia a faccia con me.
- Grazie, John. Grazie davvero. - Non faccio nemmeno in tempo a rispondergli "Figurati!" che vengo letteralmente travolto dal suo bacio candido e lento. Le sue labbra carezzano le mie con dolcezza e la sua mano stringe in un pugno il mio maglione fatto a mano, proprio all'altezza del fianco, sgualcendolo. La sua bocca sa di mele per colpa del dolce che aveva preparato la signora Hudson, e di champagne. È piacevole e rilassante il movimento della sua lingua contro la mia, tanto che sto quasi per approfondire il tutto, quando improvvisamente non lo sento più sulle mie labbra. Si è allontanato da me come se lo avessi scottato, e ora mi guarda con terrore.
- Cosa... che c'è? - Chiedo improvvisamente preoccupato.
- Mi hai fatto un regalo di Natale. -

 

Di nuovo afferma l'ovvio.

 

- Sì, e allora? -
- Io non ti ho preso nulla. - I suoi occhi trasmettono una nuova consapevolezza, trasmettono delusione, ma non nei miei confronti, piuttosto nei suoi. Si sente, oserei dire, preso alla sprovvista da quella nuova informazione. Le sue palpebre iniziano a tremare e così fanno anche le sue mani mentre sono poggiate ai miei fianchi. Vedo le sue iridi riempirsi di lacrime, lucidi come una superficie di ceramica. - Ecco cosa avevo dimenticato. - Dice, anche la sua voce subisce le conseguenze di quel tremore improvviso.
- Sherlock. - Cerco di richiamarlo con calma, ma dà ancora segni di panico, perché abbassa la testa e la scuote in un cenno negativo.
- Volevo farlo ma l'ho dimenticato. - Continua cercando di divincolarsi dalla mia presa ai lembi della sua giacca nera. - In questo periodo sentivo che... che dovevo fare qualcosa ma... -
- Sherlock, non fa niente. - Una lacrima sgorga dal suo occhio destro e finisce oltre il mento, rigando perfettamente il suo zigomo spigoloso e subito dopo la sua guancia liscia.
- No, John io... io non sono uno di quelli bravi, io... - Sento che sta per avere un attacco anche dal modo in cui respira nervosamente, come se stesse per perdere la capacità di farlo, in più sembra quasi si sia dimenticato il vocabolo che avrebbe voluto usare.
- Cosa non sei? - Chiedo immobilizzando le sue braccia, tenendo stretti i suoi polsi con le dita e riuscendo a impedirgli di muoversi.
- Non sono un buon... un buon... - Strizza gli occhi, come se facendolo quella parola sarebbe fuoriuscita dalla sua testa per dare senso alla sua frase.
- Sherlock, respira. Non è successo nulla. - Gli dico con voce carezzevole, nel disperato tentativo di calmarlo. Lui emette uno, due, tre sospiri profondi ma non accenna a voler sollevare la testa, continua a guardarsi la punta delle scarpe. Quando mi assicuro che è più tranquillo gli prendo il viso fra le mani e carezzo con dolcezza le sue guance. - Cosa volevi dirmi? Non sei un buon...? -
- Io non... - Cerco di sforzarmi in tutti i modi, voglio proprio capire a cosa si stia riferendo, voglio dire quel vocabolo in modo che si tranquillizzi. Allora mentre gli accarezzo piano le braccia ci penso e a un certo punto ho un'illuminazione. La più terribile delle illuminazioni.
- Marito... - Dico a bassa voce, e lui smette di tremare. - Non sei un buon marito? - Chiedo a bassa voce, mentre finalmente solleva lo sguardo verso il mio. Le sue pupille si muovono velocemente sul mio viso fino a fermarsi in direzione dei miei occhi, poi annuisce e sospira.
- Sì, quello... - Dice con voce ancora turbata. Io scuoto la testa in risposta e gli prendo il viso fra le mani. - Sono un pessimo marito. - Continua lui imperterrito.
- Un regalo mancato non ti rende un pessimo marito. - Gli dico, e c'è un attimo di silenzio in cui mi osserva ancora impaurito dalle reazioni del suo corpo al precedente attacco di panico che ora andava scemando pian piano. - Ci vuole ben altro per esserlo e tu non lo sei. Non fa niente se non mi hai preso un regalo, davvero. - Ed è così vero, il mio unico pensiero al momento è solo che lui stia bene, non desidero altro. Questo sarebbe un regalo di Natale perfetto.
- Avrei dovuto ricordarmelo, è questo il punto. -
- Sherlock, è tutto a posto. - Adesso è tranquillo, i suoi occhi sono lucidi ma almeno ha smesso di balbettare, di tremare e di dimenarsi dalla mia presa. L'unica sua risposta è un sospiro frustrato e pesante mentre si raddrizza sulla schiena. - Per me non fa differenza, credimi, non sono uno che si sofferma su queste cose - Gli dico, sistemandogli la giacca, stirando le pieghe visibili con le dita. Lui annuisce e accenna un sorriso sollevando solo un angolo delle labbra.
- Già... è anche per questo che ti amo. - Quelle parole stupiscono Sherlock stesso, non si è reso subito conto di averlo detto finché non mi ha guardato negli occhi e ha notato il mio sguardo sorpreso. È la prima volta che lo dice da dopo l'incidente, ed è sembrato come trattenere il respiro fino a questo esatto momento, forse per entrambi. Avrei voluto dirglielo per primo ma credevo che non fosse ancora pronto, che una confessione del genere lo avrebbe spaventato o chissà che altro.

 

Mi faccio solo troppe paranoie, vero?

 

Me lo ha appena detto ed è tranquillo, ma cosa vado a pensare?

 

Sulle mie labbra spunta un leggero sorriso che lui non ricambia, ancora insicuro su quello che io posso dire in risposta.
- Sherlock Holmes, l'uomo privo di sentimenti che ama qualcuno? - Dico cercando di prenderlo in giro, lui scuote la testa divertito e si permette di pizzicarmi un fianco per dispetto al quale fingo un'espressione sconvolta.
- Finiscila, non sai quante ho volte ho pianificato di dirtelo. - Dice lui poggiando la fronte contro la mia e ridacchiando. - Ma non dovevo pianificare nulla, per questo non riuscivo a dirtelo. Dovevo solo essere spontaneo, credo. - Mi dice con voce più ferma.
- Ti amo anch'io. - Dico nell'esatto momento in cui Sherlock sta per continuare a parlare. Rimane con le labbra schiuse, poi sorride quando si rende conto di ciò che ho detto, e non perde un momento per avvicinarsi e baciarmi. Mi aggrappo ai suoi fianchi e stringo la stoffa nei pugni, mentre lui mi incornicia il viso con le mani. All'inizio è solo un toccarsi di labbra, ma poi quel bacio si trasforma in qualcosa di più intenso e deciso. Le nostre lingue si cercano con fare quasi disperato, la foga è così tanta che non mi rendo conto di essere stato spinto contro la parete, me ne accorgo solo quando la mia schiena ci si poggia contro in un modo... non molto delicato, ecco.
Fra un bacio e l'altro riesco a percepire Sherlock che si sfila la giacca e la lancia contro una delle due poltrone. Sinceramente non so se l'abbia beccata o se sia finita sul pavimento.
Sta per mettere le mani sul mio maglione, quando si stacca all'improvviso dalle mie labbra e si porta il palmo aperto sulla fronte con un'imprecazione a denti stretti. Stringe gli occhi ed io mi lascio sfuggire un sorriso rassegnato. È stanco, vorrebbe riposarsi, non l'ha fatto per giorni e adesso ne sta subendo le conseguenze.
- Dovresti andare a letto. -
- No, no... sto bene. - In risposta sollevo entrambe le sopracciglia mentre i miei occhi si posano sulle sue occhiaie evidenti e sul suo viso spossato e letteralmente esausto.
- Oh, certo, come no! Vai a letto, ordini del medico. - Si limita ad aprire gli occhi e a guardarmi, forse per vedere se sono realmente serio, infine sospira e si strofina un occhio con un pugno chiuso prima di lasciarmi un leggero bacio a stampo sulle labbra. Quando si stacca, però, è ancora a pochi millimetri da me, e nei suoi occhi oltre alla stanchezza c'è un leggero accenno di malizia che per un attimo mi fa tremare.
- Va bene, ma non ho finito con te. - Mi sussurra, lasciandomi poi contro la parete con lo sguardo perso per quel suo tono di voce sensuale e quel suo respiro che mi ha sfiorato la pelle, facendomi rabbrividire sul posto.

 

Dannazione, dovrò farmi una doccia fredda prima di andare a letto.

 

***

 

Quando apro gli occhi, accanto a me non c'è nessuno. Il sole mi ha accecato nel sonno e mi ha svegliato con cautela, facendomi mugolare ancora assonnato. A poco a poco riesco a percepire anche i rumori nell'ambiente, e la prima cosa che sento è il rumore del getto della doccia che proviene dal bagno. Sorrido al pensiero che Sherlock oggi sembra essersi svegliato di buonumore, poi finalmente apro gli occhi e la prima cosa che vedo è il soffitto, più i granelli di polvere che luccicano alla luce del sole.
Mi metto seduto e mi stiracchio, poi mi passo una mano sugli occhi per stropicciarli e mi alzo dal letto per recuperare la mia vestaglia e indossarla. Con uno sbadiglio mi reco in salotto. Rimango fermo sullo stipite della porta quando noto il pacchetto regalo sul tavolino. C'è un biglietto poggiato sopra e la carta che ricopre il regalo non è stata messa nel migliore dei modi, il che mi fa sorridere come un imbecille non appena mi avvicino per afferrarlo.

 

"Ho improvvisato. Meglio tardi che mai."

 

Dice il biglietto.
Curioso mi metto seduto sul divano e inizio a scartare il pacchetto, rivelando quello che sembra un piccolo diario. Somiglia molto a quello che utilizza per le sedute con Portman, ma so perfettamente che non si tratta di quello, perché la copertina di pelle è di un altro colore ed è leggermente più grande rispetto all'altro. Me lo rigiro confuso fra le dita per cercare di intuire di cosa si tratti, ma sono ancora intontito dal sonno e per capire non mi resta che aprirlo.
La scrittura è quella di Sherlock, la riconoscerei ovunque.

 

GIORNO 1

 

Mi sono risvegliato solo due giorni fa ed è strano, è come se fossi nato proprio nell'esatto momento in cui ho aperto gli occhi. Sono consapevole di aver avuto una vita prima che tutto questo accadesse, ma la cosa straziante è non sapere quale vita io abbia vissuto.
Il mio trauma deve essere stato più grave del previsto.
C'era una persona accanto a me, quando ho aperto gli occhi, dice di chiamarsi John. Era piuttosto sconvolto quando ha capito che non mi ricordavo di lui. Ha detto di essere un amico, il mio coinquilino, ma ho notato nei suoi occhi che mi nascondeva qualcosa.
È stato naturale per me parlare con lui, sfogarmi. Era come se qualcosa ci legasse.

 

Leggo il tutto trattenendo il fiato. Sono incredulo perché non avevo idea stesse tenendo un diario dal momento in cui si era svegliato in ospedale. Forse ne aveva bisogno, in effetti, forse doveva parlare con qualcuno e ha pensato che il modo migliore per farlo fosse scriverlo. Certe cose in fondo non puoi spiegarle a uno psicologo, altre sono difficili da raccontare.
Giro la pagina, poi le altre per dare un'occhiata veloce, e la parola più frequente tra quelle scritte dalla sua calligrafia tremante è "John".
Sono convinto di sentire gli occhi pungere.

 

È il miglior regalo che mi abbia mai fatto.

 

A un tratto vengo colto di sorpresa da un rumore alle mie spalle. La mappa di Londra era rimasta attaccata alla parete per tutto questo tempo, ma adesso è scivolata dietro il divano. Le puntine da disegno non avevano più retto il suo peso e la carta era troppo bucherellata.
Poggio il diario sul tavolino e mi alzo in piedi, poi sposto il divano e vedo la mappa sul pavimento. Quando la afferro mi accorgo che non è l'unica cosa che giace lì dietro. Assottiglio lo sguardo e mi rendo conto che si tratta di una polaroid. I buchi sulla parte superiore mi fanno intuire che nemmeno per quella le puntine avevano retto. La afferro, credendo sia sfuggita a Sherlock quando aveva deciso di mettere via tutto, ma quando guardo meglio di cosa si tratta, la mappa mi sfugge dalle mani per la sorpresa e cade nuovamente sul pavimento freddo.
L'immagine ritrae un uomo brizzolato sulla quarantina, Sherlock lo ha cerchiato con un pennarello rosso, sotto a caratteri cubitali aveva scritto "BECCATO!". E solo leggendolo mi rendo conto che ha avuto ragione per tutto questo tempo. Sherlock non sta impazzendo. Ellen non c'entra davvero.

 

Sto stringendo tra le dita tremanti la foto del vero colpevole.

 

Nota autrice:

Visto? Ve l'avevo detto che in settimana avrete avuto altri capitoli.
Vi volevo informare che comunque il prossimo sarà l'ultimo, e successivamente ci sarà un breve epilogo per concludere la storia.
Che ve ne pare del finale di questo? Ve lo aspettavate?
A prestissimo!

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SherlokidAddicted