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Autore: summers001    31/07/2018    8 recensioni
Storia AU
Dal testo:
Se André Grandier avesse dovuto raccontare il momento in cui Oscar Françoise De Jarayes divenne la sua migliore amica, non avrebbe saputo quale scegliere. Forse quando lui la difese dai bulli, o forse quando lei mise in chiaro di non aver bisogno di lui. Oppure magari è stata la volta in cui sua nonna li aveva presentati? [...] Insomma di storie da raccontare ne avrebbero tante, alcune belle altre un po' meno.
La storia che vi sto per raccontare oggi è la storia un po' di tutti noi. E' una storia di amicizia e di qualcosa di più. E' la storia di un ragazzo che conosce una ragazza, che si innamora della suddetta ragazza che a sua volta ricambia o forse no, ma ci arriveremo alla fine. E' una storia di scelte e del caso, perché cos'è la vita se non una serie di decisioni, giuste o sbagliate che siano, basate su fortuite coincidenze?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 

 

18 anni (1977)

Ci sono momenti nella vita di una persona che sono difficili da dimenticare.

Marron-Glacè per esempio non avrebbe mai dimenticato gli infiniti pomeriggi da ragazza passati china sui fornelli con sua madre, che continuava a dirle che quel sudore, colato nella zuppa, le sarebbe stato d'aiuto in futuro; il giorno in cui ebbe sua figlia e quello in cui la vide spegnersi; le sere spese ad ascoltare le lezioni di filosofia dai suoi ragazzi, imparando anche lei dell'archè, di Socrate e Platone.

Nella memoria di Marguerite invece sfilavano immagini del suo matrimonio, delle numerose rinunce che aveva fatto, delle sue figlie, della sua vita che sfioriva inutilizzata.

L'ippocampo di Reynier era ugualmente triste, ma più movimentato: la guerra gli si palesava davanti agli occhi ogni volta che col capo volgeva gli occhi al cielo. Questo da solo era sufficiente a spiegare il suo carattere ligio, l'intransigenza, la determinazione e il suo distaccamento da qualunque tipo di oggetto matariale, che per lui era "solo una cosa".

Se però voi lettori poteste spulciare nelle menti di Oscar, invece, trovereste fino ad ora solo e soltanto momenti su momenti che compongono l'intero ricordo dell'ultimo anno (o meglio dell'ultimo mese) delle scuole superiori e dell'esame Bac (1). Era come un rito di passaggio, un confine tra l'essere adulti o ragazzini, tra la libertà o la scuola. Ci sarebbe stato tempo poi per scoprire che l'essere adulti non significa essere liberi

La Francia stava vivendo quel piacevole periodo di passaggio che va dal durevole all'usa e getta e con lei il resto del mondo. Niente più era fatto per essere conservato: ogni oggetto era diventato sempre più economico, sempre meno solido. Dalle automobili ai televisori, dai vestiti alle penne persino. Non si ricaricavano più con l'inchiostro nero che si appiccicava sui polpastrelli. Quante volte Oscar era dovuta stare attenta a non toccare nulla prima di esserselo pulito via dalle mani.

Quando scriveva Oscar doveva adesso rimarcare più volte sullo stesso punto, scrivere la parola d'accapo, a volte era costretta persino ad arronzare uno scarabocchio innervosita dal fatto che avrebbe dovuto ricomprare una penna nuova, a cui si sarebbe dovuta fare un callo nuovo, impararne di nuovo il peso sotto le dita. E così scarabocchiava e poi lanciava la penna per aria, finendo quasi per colpire il povero Andrè che aveva avuto solo la colpa di essere passato a controllare che fosse tutto okay.

Quella reazione comunque gli fece capire che non era tutto okay. "Perché non chiudi quei libri?" le chiese gentilmente, cercando di parlare quanto più piano possibile, quasi si sentisse un panno rosso di fronte ad un toro "I tuoi compagni di classe sono fuori a farsi una passeggiata." disse col fare di un ragazzo spensierato che aveva superato la maturità l'anno prima e che adesso guadagnava qualcosa, facendo lavoretti qui e lì, per esempio come lavapiatti.

"I miei compagni di classe?" chiese lei, pensando a tutto fuorché a loro, con la testa china sui libri. "Vuoi dire Girodel e tutti gli altri? No, grazie." rispose ironica.

"Avanti, ormai sai tutto!" fece lui, che aveva voglia di stare con lei. Gli mancava così tanto da essere egoista, ma non scherzava nel dire che Oscar sapeva tutto: ogni volta che parlavano, qualunque fosse l'argomento, dalla storia alla geologia, Oscar aveva qualcosa da dire. Era impressionante e gli scatenava dentro sbigottimento, ammirazione ed un soffio caldo nel petto che gli faceva battere il cuore come niente. Avevano smesso persino di guardare Happy Days insieme la sera con il suo fantastico Philips marroncino, per permetterle di studiare per l'ultimo esame! Se non era impegno quello!

Andrè la vide alzare solo un attimo lo sguardo, inclinando il capo per appena il tempo di sfiorarlo con gli occhi, che sentì di nuovo quel soffio che lo costrinse a prendere un respiro profondo e dissumularlo chiudendole quel dannato libro.

"Ma che fai?" chiese lei sorpresa, appendendosi con le dita alle pagine che le sfuggivano via, sentendo già un fremito d'ansia per l'una o l'altra domanda che la commissione avrebbe potuto farle.

"Hai studiato fin troppo, sai tutto, avanti, usciamo."

"No, io non sono come te che ti bastano cinque minuti sui libri." si lamentò Oscar in tono rabbioso e polemico.

Era vero però, bisognava ammetterlo: ad Andrè bastava una sola lettura o gli appunti presi in aula per poter ricordare un intero concetto di letteratura o addirittura tutta un'equazione. Sotto sotto, Oscar, almeno un po', lo invidiava e lo odiava per questo ed il sentimento era aumentato ancora di più quando lui le aveva detto che non avrebbe mai proseguito gli studi: ancora altro talento sprecato.

"Dico sul serio, ho bisogno di ripetere ancora la tesina o non ricorderò niente domani." cercò di chiarire un'ultima volta con voce ferma, evitando consapevolmente di guardarlo in viso per non lasciarsi convincere. Era così che aveva calcolato tutto alla perfezione, dimenticando però solo un unico, piccolissimo particolare: gli ultimi dieci anni in cui Andrè aveva imparato a conoscerla alla perfezione, meglio persino della tesina che stava studiando ed aveva riletto centinaia di volte negli ultimi giorni.

Il suo comportamento evitante aveva praticamente aperto la porta ad Andrè, supplicandolo quasi di tirarle via quel libro, di portarla fuori a distrarsi e farle dimenticare solo per un'ora quello stupido esame che sapeva sarebbe andato benissimo. Così diede retta al suo istinto, allungò due dita e col terzo afferrò le pagine facendole scivolare sotto al gomito di Oscar per trovarsele addosso. Con un balzo s'allontanò, strinse il libro distruggendone anche quasi la copertina e poi sfruttò la sua altezza e quella più ridotta di lei, stendendo il braccio in alto ed allontanandole il suo nuovo bottino dalle mani. Era scorretto lo sapeva, ma il fine giustifica i mezzi.

"Vienitelo a prendere!" la stuzzicò allora, un po' per farla ridere e per farla arrabbiare e distrarre.

Se l'Andrè del giorno dopo avesse saputo come sarebbe finita la serata, non le avrebbe preso solo quel libro, ma anche altri due. Se l'Andrè dell'anno dopo l'avesse saputo, non ne avrebbe preso neanche mezzo e l'avrebbe aiutata a ripassare letteratura probabilmente. Se l'Andrè di dieci anni dopo l'avesse saputo, avrebbe rimpianto di non averlo fatto addirittura prima. Avrebbe riscritto la storia e l'avrebbe baciata nell'istante in cui lei si sarebbe alzata sulle punte per riprendersi quello stupido libro.

Quanto potrebbe essere diversa la nostra storia se conoscessimo fin da subito le conseguenze delle nostre azioni? Se ci fermassimo a pensare per ogni singolo gesto impulsivo? O se addirittura ne conoscessimo il finale? Ne apprezzeremmo il viaggio o vorremmo saltare subito alla fine?

"Dovresti smetterla e pensare un po' al presente, goderti quello che hai adesso." disse Andrè, quasi sentisse i pensieri di questo narratore.

Quella parole inaspettatamente colpirono Oscar, che si bloccò di colpo e gli lasciò tenere quello stupido coso. Cambiò idea così repentinamente da non accorgersene nemmeno. "Ho voglia di una birra." disse alla fine, lasciando l'amico sbigottito ed a bocca aperta.

"Cosa?" pensò lui ad alta voce. Ce l'aveva fatta? L'aveva convinta? E quando mai era successo? Quando mai aveva bevuto una birra?

La vide alzarsi in piedi, recuperare un giacchetto ed andarsene, probabilmente davvero fuori in città a prendersi una birra. "Aspettami!" le urlò dietro correndo.

**

Finirono poi davvero fuori in città a prendere una birra.

Nessuno dei due sapeva quale scegliere, così chiesero aiuto al barista che servì loro due bottiglie verdi. Erano birre tedesche a bassa gradazione alcolica, dolci e fresche, perfette due ragazzi.

Si andarono a sedere all'aperto. Il muretto di pietra che avevano scelto era umido, sporco ed il muschio vi cresceva così folto da creare un vero e proprio cuscino.

"Beh, almeno tu non dovrai lavarteli da sola!" ironizzò Andrè per rompere il ghiaccio.

Oscar lo guardò enigmatico, con quell'espressione di qualcuno che sta per farti una domanda ma rimane senza parole.

"Sei grande, Andrè!" fece lui imitando la vocina stridula di sua nonna, mettendo in tensione la vena isterica della sua ugula "Non sei più un bambino, Andrè! Devi imparare a lavarti i panni, Andrè!" continuò.

Come faceva lui l'imitazione della nonna non la faceva nessuno! Gli venne così male da far partire uno scoppio di risate direttamente dal ventre di Oscar, che le risalì così all'improvviso su per l'esofago che le fece sputare tutta la birra che aveva accumulato nelle guance come un criceto. Oscar aveva questo brutto vizio di passarsi qualunque cosa bevesse da una guancia all'altra, per farselo scivolare sulla lingua e gustarsi di nuovo il sapore. Vizio che però questa volta le fece finire il mento bagnato e tutto appiccicoso. Continuò a ridere ancora fino a che non perse il controllo e le partì un colpo di tosse, a cui, come chiunque farebbe, Andrè reagì dandole un paio di colpi dietro le spalle, aggravando ancora di più la situazione. La tosse continuò fino a farle uscire le lacrime dagli occhi e poi all'improvviso, come era venuto, tutto finì.

"Ehi!" le fece lui come incoraggiamento, temporeggiando con la mano sulla schiena un po' più del previsto. "Domani hai un esame, non puoi morire!"

Fino ad allora, negli ultimi giorni, Oscar era stata così silenziosa che non si ricordava nemmeno quanto fosse divertente ridere di gusto. Si era persino dimenticata del super potere che il suo amico aveva e che le faceva dimenticare tutto solo con una battuta, solo essendo il solito, unico Andrè. "Grazie." gli bisbigliò, un po' per le risate, un po' per non averla lasciata morire.

Il ragazzo curvò le labbra, non se lo aspettava. A quanti uomini, a parte il generale, veniva detto grazie? Gongolò soddisfatto e le strinse la mano, prendendosi quel contatto come ulteriore ricompensa. "Prego." stava cominciando a dire, ma Oscar riattaccò con uno dei suoi "ma".

"... Ma dovresti pensare un po' al futuro ogni tanto." fece lei riecheggiando le parole di lui, con una piccola modifica. Lo sentì ritrarsi, sapeva che quella suonava alle sue orecchie come una delle tante prediche che aveva ricevuto nell'ultimo anno, così lo riacciuffò al volo, stringendogli ancor di più la mano e tirandoselo verso di sé. "Sei intelligente." continuò, non sapendo esattamente dove andare a parare. Lo stava quasi pregando, sentì la sua voce farsi supplichevole, però era la verità. "Puoi fare di più." disse alla fine. "Devi."

Quelle parole lo colpirono in modi diversi, provocando dolori diversi: colpirono il bambino orfano che da tempo aveva perso ogni sicurezza nelle proprie capacità; colpirono il ragazzo innamorato che non voleva separarsi dalla sua amica, né prendere strade diverse o crescere; colpirono l'uomo che stava crescendo, che sapeva cosa covava nella sua testa e provava un certo risentimento verso gli altri due per averlo costretto a rimanere indietro con loro. Andrè era convinto che Oscar tutte quelle cose le sapesse. Nascose gli occhi verdi da quelli limpidi e cristallini di lei, che aspettavano solo quella sua reazione.

"Sarai un ottimo avvocato." le disse solo guardandosi i piedi.

La vide abbassare lo sguardo e sorridere imbarazzata. Come al solito Oscar non sapeva come reagire ai complimenti, come quando, solo due anni prima, era andata dal parrucchiere per la prima volta convinta da sua madre e, da una criniera spettinata, asimmetrica, brutta ed arricciata, era tornata a casa con dei bellissimi boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle. Le aveva detto che era bella, incantato come un imbecille. Sentì un sorriso dolce amaro fermarglisi sulla bocca.

Si aspettava un timido grazie, una qualsiasi cortesia e poi un cambio di rotta per tornare a parlare di nuovo dell'esame dell'indomani.

"Credo in te." disse invece lei.

Andrè alzò lo sguardo sorpreso. Gli bastava così poco perché il bambino, il ragazzo e l'uomo si placassero. La trovò vicina, vicinissima, con gli occhi nei suoi, la punta del naso che quasi gli sfiorava una guancia e le labbra a solo un respiro di distanza. Aveva uno sguardo diverso dal solito: spensierato, lascivo, forse quasi languido, ma forse era solo un'illusione. Strinse il tessuto dei jeans nei pugni, pregando che si avvicinasse ancora e che insieme non lo facesse.

Nella testa di Oscar c'era invece un tumulto. Una voce le urlava "di più, di più, di più" ossessivamente. Ma aveva bevuto, non c'era da fidarsi. Non tanto ad essere sinceri, ma era la sua prima volta. Aveva appena scoperto che l'alcol la faceva pensare in modo diverso, anzi non la faceva pensare affatto. Saltava all'agire fermandosi solo dopo a riflettere. Ma no, no, no, non poteva farlo, anche se non sapeva cosa, non poteva farlo e basta.

Oscar si allontanò all'istante, lasciando Andrè con un sospiro a metà. Sorrise imbarazzata e tornò seduta, ben piantata al suo posto. Strinse la bottiglia di vetro, accorgendosi solo in quel momento del nervoso che l'aveva presa, facendole grattare via tutta l'etichetta con le unghie. Nascose nel pugno l'etichetta mezza grattata ed alzò la birra. "Cin cin." disse per riempire il silenzio.

"Cin cin." le fece eco lui incrociando i colli verdi. 

**

 

Oscar era l'ultima a dover esporre ed era una giornata caldissima. L'ansia la faceva sembrare ancora più calda e più lunga. Pareva non dovesse finire mai.

Quando si sentì chiamare per nome invece il tempo s'accorciò e parve non essercene più abbastanza. Il cuore le schizzò in gola e con le gambe che tremavano salì i tre scalini di legno che la portarono sul palco. Là sopra tutto le faceva paura: il leggio, il microfono, il banco di professori ordinati per materie, la folla di persone che assistevano sedute ordinatamente nei loro vestiti da cerimonia, con tutte quelle spalline e quei colori scuri. Guardava quelle facce cercando un volto amico. Trovò subito Andrè e la nonna, che sventolava un fazzolettino bianco per farsi notare. Nascose un sorriso e più in là, due file dietro, c'era sua madre. Era da sola, Reynier l'aveva avvisata appena due ore prima che non ce l'avrebbe fatta in tempo a venire. Sarebbe stato il grande assente.

Oscar se l'aspettava: suo padre le imponeva le sue scelte, ma non veniva mai per riscuoterne i frutti. A lui non interessava la gloria, ma che si facesse solo quello che lui decideva che si sarebbe fatto. Al diavolo tutto il resto.

Oscar si girò verso i suoi professori: c'era quello che s'aspettava tanto da lei, quello che puntava su Girodel, quello che aveva sostenuto suo padre alle elezioni e quindi avrebbe sostenuto anche lei, quello che era interessato solo all'esposizione della sua materia e quello che invece si sventolava con un pezzo di carta, impaziente di tornarsene a casa.

Oscar sapeva che poteva farcela. Doveva farcela. Come avrebbe fatto altrimenti in un'aula di tribunale un giorno? Alzò il mento, guardò in alto e cominciò a discutere della sua tesi, coinvolgendo tutti i professori e rispondendo a tutte le domande, ricevendo addirittura un applauso dal pubblico che la guardava, persino dai più anziani che Oscar guardò con più soddisfazione. Una volta qualcuno le aveva detto che se riesci a spiegare e far capire un argomento anche a tua nonna, vuol dire che ce l'hai fatta. E Oscar ce l'aveva fatta. Era stata bravissima e ce l'aveva fatta.

Prese la pergamena del diploma e schizzò giù per raggiungere la sua famiglia, ma non stava andando da sua madre. Era strano quell'istinto. Stava correndo quasi per raggiungere Andrè e non la donna che l'aveva partorita. Era con lui che voleva condividere quell'euforia. Con lui che l'aveva sostenuta, che l'aveva aiutata in matematica, che l'aveva ascoltata ripetere storia. A sua madre in realtà non le era mai importato niente del suo diploma, come se fosse scontato che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato. Forse pensava che, come lei, un giorno avrebbe sprecato il suo titolo in una gabbia di un matrimonio insoddisfacente.

"Sei stata bravissima." si complimentò Andrè con lei quasi urlando, aspettandola impalato in piedi come un baccalà, mentre Oscar sorrideva con tutto il viso e cercava di contenersi, ma quasi non ce la faceva. Se la immaginò saltergli contro, abbracciarla e stringerla forte, anche se questo poteva farlo e lo fece. Ed anche questo momento, quanto sarebbe stato diverso se la notte prima Andrè avesse parlato, le avesse detto quello che si teneva dentro? Forse non avrebbe più potuto abbracciarla così. O forse sì ed avrebbe potuto anche far altro.

Intanto però dovette lasciarla andare, perché sentì la mano di sua nonna sulla schiena, avvicinarsi per partecipare a quel momento di giubilo. La nonna gli strinse la camicia nel pugno, quasi gli grattò la schiena sotto, gesto che Andrè era convinto che non fosse casuale.

Sciolse quell'abbraccio con la sua Oscar con un'espressione cupa sul volto, che si riaccese solo quando lei incontrò i suoi occhi e gli bisbigliò un "Grazie" tutto sorridente e spensierato.

Aveva le mani ancora sulla sua toga, lungo gli avambracci, e sentiva le dita di lei sfiorargli il polso. La strinse tra il pollice e l'indice ed aggiunse a voce bassa "Dico davvero!" .

Sebbene sua nonna lo stesse quasi tirando per quel codino assurdo che ancora portava, sebbene la sentisse impaziente battere un piede a terra, sebbene riuscisse ad intuire la sua immotivata preoccupazione, ad Andrè sembrava di essere in una bolla. I suoni gli arrivavano ovattati alle orecchie, quasi come quando da piccolo aveva preso l'otite. C'era solo Oscar, Oscar e i suoi occhi messi ancora più in risalto dalla toga blu.

Quando però Marron Glacè si metteva qualcosa in testa, riusciva sempre ad ottenere quello che voleva. Aveva cresciuto una figlia da sola dopo la morte del marito? Aveva mandato a scuola Andrè? Era riuscita a tenersi il lavoro fino ad oltre sessant'anni? E allora che il cielo l'aiutasse, avrebbe anche impedito a quello sciagurato di nipote di fare una sciocchezza!

"La prima della scuola!" urlò per farsi sentire, rompendo quell'idillio o quella bolla in cui s'erano chiusi quei due. Allontanò poi Andrè con uno spintone pretendendo attenzioni.

"Non esageriamo." rispose Oscar arrossendo, nascondendo le guance dietro i capelli che le ricaddero ai lati della testa.

"Ma è così!" insistette la nonna.

"Ha ragione." le diede man forte il nipote, ancora con quella voce da babbbalucco innamorato. Fu solo un attimo e poi Andrè tornò sulla terra. Notò lo sguardo inquisitorio della nonna e si leccò le labbra, fece un passo indietro e cercò di sfuggirle innervosito. "Sai che c'è?" iniziò dopo essersi schiarito la voce. "Festeggiamo, un gelato adesso, vi va?" chiese coinvolgendo entrambe le donne, volgendo lo sguardo prima da un lato e poi dall'altro.

"No, una cena, stasera!" esclamò Oscar nell'euforia del momento, presa da quella gioia mista a soddisfazione, che si mischiava con l'orgoglio e finalmente anche con l'impazienza di cominciare presto una nuova vita. Per la prima volta in vita sua poi stava uscendo dagli schemi e si poteva essere più folli di così? Ok, era la seconda volta, ma valeva comunque.

"Oh, no cara, devi festeggiare con i tuoi amici." cercò di rabbonirla la nonna, che non voleva che una ragazza giovane come Oscar passasse una delle serate migliori della sua vita con una vecchia come Marron-Glacè.

"Ma chi, Victor Girodel e i suoi?" chiese ironica Oscar, che alla sola idea di passare una serata con quelle persone provava ribrezzo. "Andiamo, nonna!" disse usando quell'appelativo che sapeva l'avrebbe convinta, chiedendoglielo quasi come fosse una bambina. E poi l'indomani suo padre le aveva già promesso che l'avrebbe presentata (presentato) ai suoi colleghi del partito, che già cercavano nuove leve da circuire.

"Già," ci si mise pure Andrè "andiamo, nonna!"

"E va bene!" cedette lei, cercando di ignorare quella vocina nella testa che le diceva che aveva già deciso un minuto fa.

Ed era così deciso: cena a base di pesce e vino bianco per sentirsi finalmente adulti, una prenotazione a nome del generale ed il suo libretto degli assegni per pagare, predendendosi così una piccola vendetta su suo padre che non le aveva neanche augurato buona fortuna. Quel piano però dovette includere un pranzo veloce e leggero con sua madre, che più di un'insalta non poteva permettersi (più tardi Oscar apprese quanto fosse difficile controllare il peso in menopausa). Fece un segno con un dito per dire "dopo" alla nonna ed Andrè e se ne andò, lasciando i due da soli.

 

**

 

"Andrè, posso parlarti?" chiese sua nonna, intrufolandosi nella sua stanza prima ancora che potesse dirle di sì o di no. La verità è che la nonna voleva prenderlo contro piede perché non gli sfuggisse, quindi l'effetto sorpresa, in pieno pomeriggio, era più che necessario.

"Certo." le rispose lui ignorando quella parte del piano di lei, che comunque aveva compreso.Si tirò su a sedere, con una voce che sperava suonasse indaffarata, nonostante fosse stato colto sul suo letto con un libro ed un plico di fogli in mano.

Marron-Glacè si trascinò e con fare stanco s'afflosciò sul letto. Rispetto a qualche anno prima, la sua postura si era curvata, le anche le facevano tremare le gambe dal dolore, le mancava il fiato quando camminava ed ogni tanto qualche dolorino in petto l'aveva spaventata. Insomma, non era più una ragazzina, non sapeva quanti altri anni avrebbe retto o per quanti altri anni sarebbe stata lucida, quindi era fondamentale dirgli quella cosa. Al più presto anche. "Lo sai, Andrè," cominciò "quando ad un ragazzo piace una ragazza..." non sapeva esattamente bene come approcciare la questione.

"Oh dio, nonna, no!" la interruppe, sperando che scherzarci su non l'avrebbe fatta andare oltre "Non vorrai farmi il discorsetto, spero! Sono un po' cresciuto." aggiunse con voce divertita, o che almeno pretendeva di sembrarlo.

Marron-Glacè sapeva i trucchetti di quel ragazzo. Sapeva che la buttava sempre sul ridere al posto di esser serio quando doveva affrontare una questione. Come quando da piccolo aveva rotto un vaso di cristallo di madame Marguerite ed era finito per farla sbellicare facendole vedere un balletto. O come quando si era impuntata l'anno prima per farlo continuare a studiare e lui le aveva risposto che gli hippy non hanno la laurea, indicandosi quello stupido codino ed andandosene via ridendo. Beh, questa volta non sarebbe potuto andare via!

Marron-Glacè si spazientì e con la voce grossa che coprì quella del nipote pronunciò poche semplici parole: "quella ragazza non può essere madamigella Oscar".

"Per me è solo Oscar." chiuse immediatamente lui con voce ferma e sguardo rabbuiato, rivendicando almeno i suoi diritto di amico.

"Non può essere lei."

"Oh dio, nonna." sbuffò stufo Andrè, che s'alzò in piedi e se ne andò verso quello spiraglio di luce che chiamava finestra. Si girò e per un attimo guardò quel libro e quei fogli che prima stringeva ed aveva abbandonato sulla scrivania.

"Oscar è una ragazza particolare," cominciò la nonna a mettere insieme, elencandogli tutte le ragioni per cui suo nipote non poteva pensare ad una cosa del genere. Ce le aveva nella sua testa, s'era contata i punti sulle dita di una mano, doveva solo dirglieli tutti. "E' stata cresciuta in un certo modo, ha un futuro brillante davanti e..." non sapeva come dirglielo "...è confusa." sputò alla fine, usando la parola più gentile che le venisse in mente.

"Non è confusa per niente." cercò di giustificarsi lui o di giustificare lei, non tollerando quasi che qualcuno, persino sua nonna, pensasse di poterla conoscere meglio di quanto la conoscesse lui. Gli altri non la conoscevano come la conosceva lui, no, per niente. Loro non la capivano. Loro non capivano niente. Oscar non era confusa, Oscar sapeva bene chi era e cosa voleva. Lei era semplicemente un po' diversa, ma non confusa. Sapeva che avrebbe solo avuto bisogno di tempo per capire i suoi sentimenti verso di lui, ma che c'erano. Andrè lo vedeva, lo sentiva, come faceva sua nonna a non capirlo? L'avrebbe aspettata, sarebbe stato gentile e rispettoso. L'avrebbe amata, accarezzata ed avrebbe esorcizzato con la dolcezza quel demone che le aveva messo dentro suo padre. Come faceva sua nonna a non vedere tutto questo? Non si fidava? Credeva che suo nipote fosse un insensibile ragazzino, preda degli ormoni? Forse quel discorso addirittura lo offendeva oltre che feriva.

"Il generale ci ha accolti nella sua casa, ti ha dato un tetto sopra alla testa, un lavoro per me e se non fossi stato tanto cocciuto anche per te." gli spiegò senza alzare la voce, senza rabbia, solo fredda e calcolata lucidità che quasi spaventava suo nipote, mettendolo addirittura sulla difesiva, perché mai l'aveva vista così preoccupata.

"E cosa?" urlò per difendersi lui. "Mi avrebbe concesso l'onore di preparargli la colazione? Mi avrebbe comandato a bacchetta come tutti gli altri, come fa con te o con lei?" il cervello gli si arrovellò e si confuse. Pensò al suo futuro, che doveva essere diverso, che poteva esserlo, gliel'aveva detto proprio lei. Era strano. Quella fiducia, il modo persistente in cui Oscar credeva in lui, lo piegava. Forse l'amore non bastava? Oscar non meritava quel razza di reietto che era diventato? Ora capiva dove sua nonna volesse andare a parare. Le si sedette accanto e si sentì di nuovo un bambino. "E che ne sarà di lei, nonna?" le chiese spezzato, con le lacrime che già gli colavano nel naso.

Marron-Glacè sapeva che quel pomeriggio avrebbe dovuto spezzare il giovane cuore innamorato del suo nipotino, maledicendo il fatto che fosse cresciuto così in fretta. "Un giorno, forse, sarà diverso." disse, facendo crescere in lui il germe della speranza. "Un giorno si stuferà di suo padre e... Vedremo quel che succederà.".

Andrè pensava di conoscere la sua Oscar meglio di chiunque altro. Era preso da quella speranza e quell'entusiasmo che solo i giovani hanno. Andrè non sapeva che questo Marron-Glacè l'aveva previsto anni ed anni prima, prima ancora che i due si conoscessero. Sapeva che sarebbe andata in questo modo e sapeva che il suo ragazzo ne avrebbe sofferto, perché lui aveva un animo troppo nobile e gentile per quella gente, gente come il generale che ti spezza. Sapeva che la sua bambina non era stata molto amata da piccina e che avrebbe rincorso suo padre e gli avrebbe dato retta in ogni cosa, portandola su una strada solitaria. Sapeva che il generale un giorno, con la vecchiaia, si sarebbe pentito di quello che aveva fatto a sua figlia, una donna in gamba, forte, laureata, ai vertici del successo, ma sola. Chissà allora che cosa sarebbe successo.

Coccolò suo nipote, nascondendogli il resto della storia che lui non riusciva a vedere. Quando sei innamorato il futuro sembra una via dritta in discesa. Gli nascose i dossi, le colline ed i dirupi, le deviazioni e le scelte difficili, l'incertezza ed il buio lungo il cammino. Gli nascose tutto e lo coccolò, sperando che le carezze di una vecchia potessero ancora avere qualche potere sul suo povero cuore martoriato. 
 

**

 

La cena pareva deliziosa.

S'erano seduti fuori al fresco, sui tavolini in ferro battuto di un ristorantino appena fuori città, lontano dai caotici rumori degli struduli clacson delle automobili e dei motorini, che ormai avevano tutti. Il silenzio era interrotto solo da un timido chiacchiericcio e dal tintinnio delle posate. Le luci invece erano soffuse e permettevano addirittura di ammirare le stelle. C'era del venticello che rinfrescava i volti, ma che non riusciva ad ondeggiare i capelli dei presenti.

Era tutto delizioso: il pesce, la carne, il vino. E lo era ancora di più se Oscar pensava che presto, alla fine dell'estate, sarebbe partita per studiare legge alla Sorbona, a Parigi. Non le piaceva l'idea di salutare casa sua, ma sarebbe tornata ad ogni festa e per qualche fine settimana. Allora avrebbero potuto avere tante altre cene come quella.

C'era solo una nota stonata: Andrè. Era stranamente silenzioso ed aveva bevuto tanto. A tratti sembrava volesse dir qualcosa e poi si spegneva di nuovo. Ad occhi bassi guardava sua nonna.

Oscar s'aspettava di vederlo sorridente ed allegro come quella mattina. Possibile che non fosse capace d'esser contento per lei una volta tanto? "Stai bene?" gli chiese ad un tratto, più con l'intento di ricordargli dove si trovasse e perché, che per reale preoccupazione.

"Certo." rispose lui. Alzò gli occhi, ma la ragazza non pareva convinta. Forse fu addirittura quel "certo" a preoccuparla per davvero. Allora le sorrise, sperando di sembrar rassicurante o che lei ci cascasse e quando i suoi occhi non gli restituirono la stessa espressione, sorrise ancora di più "Un brindisi?" propose allora, versando vino per tutti.

"Oh, se ne faccio un altro scoppio!" disse la nonna bonariamente, tenendosi addirittura la pancia per enfatizzare, ricordando ai due della sua presenza. "Bridate voi. Questa vecchia deve andare ad incipriarsi il naso." poi s'alzò, lanciò uno sguardo al nipote ed un sorriso alla ragazza e se ne andò al bagno chiedendo "con permesso".

Oscar sorrise sotto i baffi. "Vescica piccola?" chiese, svelando la bugia.

Andrè rise con lei e come lei cercò di nasconderlo. "Dovessi sentirla di notte. Si incipria il naso di continuo!" scherzò, facendole scoppiare una risata dalla pancia.

Ed eccolo il momento che stava aspettando. Quella breve complicità gli diede il coraggio di parlarle, in barba a sua nonna. Doveva farlo, doveva dirglielo. Non poteva dare retta alla vecchia. Sì, magari lei era anziana e saggia ed era compito suo dargli consigli, ma non era forse dovere dei giovani invece trasgredire e batter la testa da soli?

Andrè sistemò una sedia per mettersi di fronte all'amica. Le prese le mani e prese un respiro profondo. "Ho una notizia." disse solo, aspettando una qualsiasi reazione.

Oscar gli lasciava sempre fare quei piccoli gesti: abbracciarla, prenderle le mani, stringerle una spalla, metterle una mano dietro alla schiena. Era come se il suo amico ne avesse bisogno ed in un certo senso si era abituata anche lei a quei piccoli contatti. Più in là avrebbe scoperto che le sarebbero mancati, che senza sembrava che la giornata non avesse senso, ma per quel momento, per la ragazza di appena diciotto anni erano diventati un'abitudine. "Dimmi." gli rispose, sperando che non dovesse raccontarle di aver conosciuto una persona o che avesse trovato un lavoro lontano o che non potessero passare l'ultima estate insieme o che si dovesse solo trasferire e non l'avrebbe trovato nemmeno a casa durante le vacanze.

"Sai, ho pensato a quello che hai detto ieri."

"Davvero?" chiese lei, domandandosi a quali delle tante cose che gli aveva detto stesse pensando, senza calcolare che della cosa più importante, quella strana sensazione, quella voce imperante che chiedeva e chiedeva, non gliene aveva parlato.

"Davvero." confermò lui e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni dei fogli ripiegati in quattro parti ed un po' stropicciati. Sull'intestazione figurava "Université Paris Sud", lungo la pagina, i campi vuoti erano riempiti invece coi dati di Andrè. "Non è la Sorbona, ma..."

"E' fantastico!" disse solo lei, esplodendo in un sorriso felice. "Studieremo insieme anche a Parigi!"

"Dovrò..." cominciò a spiegarle Andrè, ma la voce gli si ruppe mentre il pensiero che lei lo volesse vicino persino lì all'università gli germogliò dentro "Dovrò stare in un convitto, studierò solo scienze politiche, ma è..." almeno qualcosa, avrebbe voluto dirle. Una laurea, per lo meno.

"E' fantastico." ripeté Oscar.

"Non dovrò fare il lavapiatti per il resto della vita!"

Oscar sorrise per la battuta. "Non dovrai fare il lavapiatti!" ripeté lei. "Sono felice per te." aggiunse alla fine e si lasciò abbracciare inaspettatamente all'improvviso. Chiuse gli occhi e si godette quel contatto al profumo di pesce alla griglia e di vino bianco. 

Poco più in là la nonna li stava guardando. I suoi più bei sogni e peggiori incubi stavano diventando realtà. I suoi due ragazzi viaggiavano su binari diversi, a velocità diverse. Sarebbero finiti con spezzarsi il cuore a vicenda. Perché non lo capivano? Perché non davano retta quella vecchia che già aveva visto tante favole come quelle svolgersi e finire? Aveva proprio ragione il generale: la storia è un ciclo che si ripete.

Non le restava che arrendersi ed incoraggiare e consolare quei cuori giovani che avevano bisogno di vivere senza essere frenati.




(1) il diploma
 



Angolo dell'autrice
Ed eccoci qua! Scusate del ritardo, ma ho dato da poco l'esame per un concorso e ci si è messo in mezzo il lavoro, dove sono tutti in ferie lasciando i pochi che rimangono con troppe cose da fare. 
Bene, che ne pensate? Questo capitolo mi è piaciuto molto e stiamo finalmente entrando nel vivo. Avrei voluto inserire più riferimenti storici, ma ho pensato che farlo in ogni capitolo fosse pesante e tedioso. 
Dal prossimo introdurrò anche altri due personaggi: il mio arci nemico (aka Fersen) e qualcun altro. Confesso che mi sono persa nello scrivere quello piuttosto che pubblicare questo :P 
Come sempre vi saluto e vi ringrazioe vi invito per qualsiasi dubbio/problema/commento nel farmi sapere. Finalmente potrò rispondere per ora e per tempo. Un saluto a tutti. 
Bacio :*
  
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