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Autore: _Destinyan_    02/08/2018    1 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Luglio, 1958

Vienna

Lovino passò la notte insonne. Per circa due ore continuò a rigirarsi nel suo letto, fino a quando non si stufò e non si alzò in piedi per andare a fumare vicino la finestra. Appuntò qualcosa sul suo taccuino, era troppo ansioso, doveva scrivere come si sentiva. Lovino odiava il suo modo di scrivere, odiava la sua calligrafia e anche i suoi disegni, ogni attività diventava frustrante e questo lo rendeva ancora più ansioso e nervoso. La notte era fresca e silenziosa. Vienna in realtà non gli dispiaceva affatto, ma l’indomani sarebbero partiti. Guardò l’orologio “Le 3” mormorò. Sbuffò e accese un’altra sigaretta. Si allontanò dalla finestra, tanto l’odore di fumo sarebbe sparito prima o poi, e vagò per la stanza, immaginò il loro incontro con il nonno. Immaginò, mentre guardava il volto tranquillo del fratello mentre dormiva, che probabilmente avrebbe preferito Feliciano a lui. Dopotutto Lovino non aveva nulla di speciale. Feliciano era bello, sapeva cantare, sapeva disegnare, era bravo nella scrittura e con le parole, aveva una calligrafia dolce e sapeva anche ballare. Lovino si guardò per qualche secondo allo specchio nella camera. Lui non si trovava attraente, e non aveva una voce dolce, aveva un carattere terribile… all’improvviso gli tornò in mente quando Antonio gli disse “Ti amo”, a quando si baciarono, e gli tornarono in mente i loro abbracci e le gentilezze di Antonio. Arrossì e si rese conto subito che stava sorridendo, e poi realizzò che aveva rovinato anche quello. Scosse la testa e tornò a guardare verso lo specchio. Come poteva qualcuno essersi innamorato di lui?
Tornò a letto, provò a dormire, ma ormai Antonio continuava a tornargli in mente. La sua voce era rimasta impressa nella sua memoria e si ricordava il modo chiaro in cui gli disse “Ti amo” ogni lettera era scandita. Pensava a quando Antonio gli chiese se era ricambiato, Lovino arrossì e si coprì le mani con la faccia, voleva piangere. Aveva mandato via Antonio quando avrebbe potuto dirgli la verità. Si tolse le mani dal viso, guardò la finestra e vide l’alba. Tornò verso l’orologio “Le 5”, era ora di andare.
“Feliciano!” Strattonò il fratello “Feliciano, alzati!” Lo spinse più forte.
Il fratello sbadigliò “Cosa?”
“Muoviti, sono le 5, fra un’ora abbiamo il treno.” Lovino andò fuori e lasciò la porta aperta. Feliciano continuò a lamentarsi fino a quando non si alzò e raggiunse il fratello per fare colazione. Lovino prendeva caffè amaro, Feliciano preferiva il latte dolce. Andarono a vestirsi e nel frattempo Elizabeta e Roderich si svegliarono, dovevano accompagnare i due fratelli in stazione. Entrambi avevano un’aria spenta, Lovino non riusciva a guardarli in faccia. Dopotutto era colpa sua se Feliciano stava andando via.

Una volta raggiunta la stazione, erano le 5:50. Lovino e Feliciano andarono sul binario, seguiti dai genitori del secondo. Elizabeta continuava a ripetere le raccomandazioni, Roderich ripeteva tutto quello da cui bisogna stare attenti. Quando sentirono l’annuncio, si guardarono tutti in silenzio. Elizabeta andò verso Feliciano e lo strinse a sé, lui ricambiò l’abbraccio. Iniziarono a parlare in austriaco fra di loro, Lovino capì qualche parola tra cui “ti voglio bene” “anche io”. Roderich nel frattempo si avvicinò a Lovino. “In caso ci fossero problemi, potrete tornare entrambi a casa nostra.”
Lovino inarcò un sopracciglio “Intendi…”
“In caso di evenienza puoi venire a vivere con noi, Lovino.” Disse aggiustandosi gli occhiali che gli cadevano sul naso. Lovino arrossì e annuì.
Si sentì da lontano il rumore del treno che si avvicinava. Roderich si affrettò a salutare il figlio, mentre Elizabeta rimase ad osservare Lovino.
“Posso abbracciarti?” chiese la donna allungando un braccio. Il ragazzo ci pensò qualche secondo, poi si avvicinò. Elizabeta gli massaggiò dolcemente la schiena mentre lo teneva stretto. Non dissero nulla. Quando il treno arrivò, Lovino si voltò e borbottò “Grazie.” E fece un cenno con la mano. Feliciano tirò su con il naso e salutò i genitori. Quando salirono sul treno e presero posto, Feliciano continuava ad agitare la mano, mentre Lovino continuò a fissare Elizabeta che gli sorrise. Non avrebbe mai ammesso a se stesso di essersi affezionato.

Quando iniziarono il viaggio Feliciano agitava la gamba, doveva essere nervoso. Dopo un po’ prese un quaderno e iniziò a disegnare qualcosa, Lovino preferì osservare il paesaggio che scorreva velocemente.
“Lovi, una volta arrivati a Milano a che ora abbiamo l'altro treno?” chiese Feliciano, la sua voce era quasi coperta dal rumore del treno.
“Alle quattro.” Rispose sbuffando “Te l’ho ripetuto milioni di volte.”
“Oh sì, sì, giusto.” Rise.
Piano piano gli occhi di Lovino si chiusero e il paesaggio divenne nero.


“Non potete partire.” La voce di un uomo. “Vi posso nascondere io.”
“No, sarebbe troppo pericoloso per i bambini.” La mamma prese le mani di Lovino e Feliciano. Lovino stava guardando suo fratello, nascosto dalla gonna grigia della madre. L’uomo fece un passo, Lovino vide il piede muoversi. “Roma, io e tuo figlio ne abbiamo già parlato. Andrò in Inghilterra dalla mia famiglia.”
“Ma non hai notizie da parte loro da un anno ormai.” L’uomo andò verso la porta “Voglio proteggere i bambini.”
“Anche io, Roma. E questo è l’unico modo per farlo.” La voce della mamma era così dura solo poche volte. “Vai prima che qualcuno possa vederti qui, ci sono tedeschi ovunque in questi giorni.” 


Lovino riaprì gli occhi e il paesaggio si muoveva veloce. Chi aveva sognato? Il nonno? Chi era Roma?
“Lovi?” Feliciano gli poggiò una mano sulla gamba “Tutto bene? Sei pallido.”
“Sì…” Era scosso, come ogni volta che faceva un sogno come quello. “Quanto ho dormito?” si strizzò gli occhi che bruciavano.
“Credo 3 ore circa.” Poi si mise a ridere “Dovevi vedere che facce hai fatto!”. Lovino incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo. Mancavano ancora 6 ore prima di raggiungere Milano, e altre 3 prima di raggiungere il paese del nonno.
In quelle ore Feliciano iniziò a dormire, e Lovino nel frattempo si mise a disegnare, quando Feliciano si svegliò giocarono a carte, mangiarono quello che Elizabeta gli aveva preparato per il pranzo e ormai mancavano due ore prima di raggiungere Milano. La carrozza in cui si trovavano era quasi del tutto vuota, c’era solo una famiglia con quattro bambini. Feliciano all’improvviso iniziò a parlare. “Vuoi sapere qualcosa su me e Ludwig?” rise “Mi sto annoiando, mancano ancora due ore.”
Lovino arrossì, non voleva assolutamente sentire le storie che riguardavano Ludwig e il fratello. Lo sguardo di Feliciano era speranzoso, voleva davvero parlarne, i suoi occhi nocciola brillavano alla luce che entrava dal finestrino del treno. Lovino deglutì “Feli…”
“Te ne parlerò comunque.” Disse “Non parliamo mai di queste cose, i ragazzi della nostra età parlano sempre delle loro relazioni.”
Lovino arrossì ancora di più, non gli piacevano quei tipo di argomenti.
“Ci siamo dati il primo bacio quando è venuto a trovarmi a Vienna.” Disse contento, cercando di non farsi sentire dalla famiglia nel treno “Durante la notte, mentre tutti dormivano.” E i suoi occhi brillarono ancora di più. “Ci siamo alzati contemporaneamente e ci siamo ritrovati in salotto, è stato molto bello, parlavamo a bassa voce per non farci sentire e io sentivo il suo respiro.” Feliciano iniziò a descrivere il bacio fra lui e Ludwig e Lovino fece delle smorfie. La sua immaginazione lo portò a pensare cose che non avrebbe mai voluto nemmeno immaginare. “Siamo andati avanti per un po’. Poi all’improvviso abbiamo sentito un rumore nella stanza di mamma e papà, spaventati abbiamo smesso. Stavo provando una tale paura, temevo che il cuore esplodesse da un momento all’altro. Decidemmo di tornare a dormire e Ludwig mi ha dato la buonanotte con un bacio sulla guancia.” Poi prese a respirare, aveva parlato di fretta preso dall’emozione. Il volto di Lovino era completamente rosso. “È troppo imbarazzante!” affermò, mentre agitava le mani. Feliciano rise.
“Tu hai mai baciato qualcuno Lovi?” chiese, rendendo il fratello ancora più rosso. “Quanti anni avevi quando è successo?”
Lovino ricordò di quello successo con Antonio “Mai fatta una cosa del genere!” e si accigliò. “Basta, non voglio più parlarne!” continuò.
Feliciano sorrise, capiva semore quando il fratello mentiva, e Lovino tornò ad osservare fuori dal finestrino. Alberi, campi, strade, qualsiasi cosa diventava un susseguirsi di macchie colorate che correvano.

Milano

Scesi a Milano, Lovino e Feliciano si ritrovarono in una stazione enorme. Prima di prendere il treno dovevano aspettare mezz’ora, quindi si recarono direttamente al binario, senza perdere tempo, per paura di potersi perdere. Sentire le persone parlare in italiano gli sembrò familiare, ma strano. L’accento che sentì era diverso da quello che usavano i suoi genitori. Lovino però si rese conto di un’altra cosa. “Feliciano, tu capisci quello che dicono?” il fratello scosse la testa. “Cazzo.” Disse fra i denti. Non ricordavano tutte quelle parole in italiano, non riuscivano a capire tutto quello che dicevano. Le lettere che si scrivevano erano in italiano, ma Lovino aveva passato troppi anni a parlare inglese, e Feliciano troppi anni a parlare inglese e austriaco. Rimase ad origliare le conversazione di alcune persone cercando di capire quali parole ricordava.
Il treno iniziò a fischiare e si fermò. Lovino e Feliciano salirono con le loro enormi valigie e si sedettero in una carrozza affollata rispetto alla precedente. Due famiglie, una coppia di vecchietti, un gruppo di ragazzi, poi altre tre persone che sembravano essere da sole. Altre 3 ore di viaggio. “Che facciamo adesso?” Chiese Feliciano scuotendo la gamba del fratello. Lovino sbadigliò, si sentiva gli occhi pesanti. “Ho sonno.” Disse semplicemente e Feliciano capì. Sperò di non sognare nulla questa volta, altrimenti si sarebbe svegliato di nuovo spaventato e con il mal di testa.

Baciarsi? Che cosa assurda. Oltretutto Lovino lo trovava disgustoso. Poggiare le labbra su quelle dell’altro… non si sarebbero mischiati nessuna malattia?
Baciare Antonio? Solo l’idea gli faceva venire la pelle d’oca. Gli occhi verde scuro di Antonio lo osservarono, era triste, lo stava pregando, voleva farlo davvero.
“Oooh, e va bene!” non poteva dirgli di no “Deve restare un segreto, ok?” La paura di quello che sarebbe potuto succedere forse riuscì a nasconderla con il tono duro della sua voce. 
“Perché?”
Stupido Antonio.
“Perché siamo due maschi! I maschi non si baciano fra di loro.”
“Bene, allora saremo i primi!” rise e Lovino si imbarazzò. Sarebbero stati i primi? Proprio loro due?
Antonio non sapeva come si facesse, nemmeno Lovino.
“Chiudi gli occhi.” E li strizzò il più forte possibile, si sarebbe vergognato troppo a vedere Antonio. Sentì le labbra dell’altro poggiarsi per pochissimi secondi. Antonio stava premendo moltissimo, forse non era quello il modo giusto per farlo. Però a Lovino vennero i brividi e quando smisero avrebbe voluto rifarlo.
Se la signorina li avesse scoperti forse si sarebbe arrabbiata però.

“Ti amo.”

“Lo ha detto davvero?” pensava

“Da diverso tempo ormai.”

“Perché io?” pensava ancora


Lovino stava per piangere. Antonio lo baciò. Non era come quando avevano 10 e 13 anni. Questa volta era diverso. Le labbra di Antonio erano calde, a Lovino piacque e gli vennero di nuovo i brividi. Non voleva spingerlo via. Non voleva che Antonio andasse via. Le mani si mossero da sole verso il collo dell’altro e sentì i ricciolini alla fine del collo fra le sue dita.

No.

Lo spinse via.

Non lo avrebbe ammesso, non lo avrebbe accettato.

 “Non voglio vederti mai più.”

Quando si svegliò il suo mal di testa era peggiore del solito. Era la prima volta che sognava una cosa del genere. Sembrava che i ricordi riguardanti Antonio lo stessero tormentando in quei giorni.
“Feliciano.” Disse con la voce bassa. Il fratello lo sentì e si avvicinò per sentirlo. “Quanto manca?”
Un’ora. Stavo per svegliarti.” Rispose. Lovino si ricompose. “Ti senti bene?” chiese Feliciano preoccupato.
“Non molto.” La verità. Ma ora non era il momento di pensare ad Antonio o a nessun altro. Stavano per raggiungere casa del nonno, era quella l’unica cosa che contava.
Il treno si fermò, e Lovino iniziò a tremare. La paura stava prevalendo su tutte le altre emozioni. Lovino aveva il terrore di aver sbagliato tutto, e di aver coinvolto anche Feliciano in tutto questo. Dalla stazione, minuscola, vecchia e con solo due binari, iniziarono ad incamminarsi. Sembrava un paese non molto diverso da quello dove si trovava l’orfanotrofio in Inghilterra, piccolo, antico e noioso. Si guardarono intorno. “Dove andiamo Lovino?”
“In paese.” Disse convinto “Qualcuno saprà dove si trova.” Erano le sette di sera e i loro stomaci iniziavano a lamentarsi.
“Sei sicuro di quello che stiamo facendo?” Feliciano chiese spaventato alle spalle del fratello, che non si voltava e non rispondeva. Lovino non era sicuro, aveva paura di aver sbagliato tutto. Anche se non avessero sbagliato, non era sicuro che il nonno li avrebbe accolti in casa, ma non poteva mostrarsi spaventato a Feliciano altrimenti avrebbe iniziato a lamentarsi ancora di più. Camminarono ancora trascinando i bagagli. Gli uomini, gli anziati, seduti al bar si distraevano per qualche secondo dalle carte per osservarli. Passarono dei bambini in bicicletta e altri che correvano verso casa. Dai balconi qualche donna ritirava i panni e si fermava ad osservare Lovino e Feliciano.
“Che hanno da guardare?” Lovino disse innervosito, mentre si sentiva ancora più osservato.
“Non lo so, mi stanno spaventando.” Rispose l’altro “Lovino, io ho fame.” Si lamentò nel momento in cui il suo stomaco iniziò a brontolare.
“Anche io, dannazione, smettila di lamentarti!” l’odore della cena proveniva dalle case intorno. Loro due passavano facendo un gran rumore con le valigie che sbattevano sulla pietra della vecchia strada e questo faceva affacciare ancora più persone. Stanchi e affamati si ritrovarono davanti ad una pasticceria.
“Ti prego, fratello, entriamo. Possiamo chiedere informazioni.” Feliciano disse con l’acquolina in bocca.
Lovino sbuffò “Va bene, andiamo.” Non aveva molta voglia di mangiare, per l’ansia, al contrario del fratello.
“Buonasera!” Lovino disse in italiano, imbarazzato. Aveva sempre parlato in una lingua diversa dall’inglese solo con il fratello. La pasticceria era arredata in modo squisito, pareti rosa e viola, scaffali di legno pieni di pane, taralli e dolci.
“Salve.” Una ragazza con i capelli a caschetto biondo scuro, un cerchietto rosso, e gli occhi verdi li salutò. Si aggiustò il grembiule sulla gonna e andò dietro il bancone. Era molto giovane, probabilmente aveva la loro stessa età. “Che cosa vi serve?” chiese. Lovino iniziò a parlare “Noi…” ma Feliciano lo interruppe “Questo!” indicò un dolcetto ripieno di crema, la ragazza sorrise e lo mise in un sacchetto. Poi guardò verso Lovino, che imbarazzano scosse la testa. Mentre Feliciano pagava, il fratello iniziò a parlare.
Scusa, conosci… Vargas?” chiese titubante, il suo accento doveva suonare molto strano. La ragazza uscì dal bancone. “Intendi il vecchio Roma?”
Roma,
come nel suo sogno. Lovino annuì “Sì… forse.”
Lei rise “Perché lo cercate?”
A Lovino ci volle un po’ per pensare a cosa dire “Siamo i nipoti.” Non era molto sicuro di quello che stava dicendo. Lei gli mostrò tutti i denti con un sorriso. “Io sono Emma.” Allungò una mano per presentarsi.
“Lovino… Vargas.” Strinse la mano e guardava in basso.
“Feliciano Vargas!” Feliciano lo disse con la bocca piena di crema e fu lui ad allungare la mano verso Emma, che stava ridendo.
“La casa?” Chiese Lovino, sperando che Emma capisse. Lei li portò fuori dalla pasticceria.
“Camminate verso la campagna, dista a 15 minuti da qui più o meno.” Lovino e Feliciano macinarono quello che gli era stato detto. Il negozio si trovava in effetti distante dal centro del paese e avrebbero raggiunto la campagna in poco tempo.
“Grazie!” dissero insieme e si avviarono.
“Ciao, ciao!” lei disse in modo carino agitando la mano.
Si avviarono e in poco si trovarono davanti una distesa di campi, le case erano sparse qua e là, alcune proprio all’interno dei campi. La distesa di alberi con le foglie verdi e estive lasciarono Feliciano a bocca aperta, a Vienna non c’era nulla del genere. Trovarono una casa in mattoni, sembrava molto vecchia, circondata alla campagna. Attorno alla casa si alzavano albicocchi e peschi e i frutti maturi erano caduti dai rami creando un tappetto a terra. Lovino si avvicinò per controllare la cassetta delle lettere, riuscì a leggere il nome “Vargas”.
“Feliciano.” Chiamò a voce bassa. Il fratello si avvicinò, Lovino stava tremando. “È questa.” Aggiunse. Feliciano gli poggiò una mano su una spalla, si guardarono negli occhi, entrambi erano pieni di preoccupazione. “Lovino, cosa facciamo?” la sua voce era agitata.
“Andiamo a bussare alla porta…” Non era molto convinto. Il cuore stava battendo più forte che mai. Feliciano lo prese per mano e annuì. Si avviarono con calma verso la porta. Lovino avvicinò la mano e bussò due volte. Sentirono un rumore provenire dall’interno della casa. La maniglia fece rumore e videro davanti a loro la figura di un uomo.
“Chi siete voi?” Chiese lui. Un uomo con i capelli quasi tutti bianchi, ma si vedeva ancora il castano color cioccolato, aveva una barbetta incolta sotto il mento e poco più sopra. Lovino balbettò, non sapendo cosa dire, Feliciano strinse la sua mano ancora di più. L’uomo li osservò a fondo. “Avete capito cosa ho detto?”  
“S-sì.”
Lovino disse a bassa voce.
“Perfetto, chi siete?” Chiese di nuovo, sembrava preoccupato. Lovino non riusciva a parlare, l’uomo assomigliava a suo padre.
“Lovino e Feliciano… Vargas.” Dissero insieme i due fratelli. L’uomo spalancò gli occhi, barcollò all’indietro e si coprì la bocca con la mano.
“Cosa?” fu l’unica cosa che riuscì a dire. Un silenzio imbarazzante crollò sui tre. Dall’interno della casa proveniva un odore di carne e lo stomaco di Lovino iniziò a farsi sentire, insieme alla stanchezza a causa del viaggio. L’uomo continuò a fissarli a lungo e i ragazzi non sapevano cosa fare.
“Venite.” Disse all’improvviso e aprì di più la porta “Entrate.” Era visibilmente scosso. Lovino e Feliciano fecero come gli era stato detto. Quando entrarono l’odore della cena si fece più forte. La casa era polverosa e spoglia. Qualche foto in bianco e nero esposta, una che ritraeva il nonno da giovane, con una donna e un bambino in braccio. Il salotto e la cucina erano un unico spazio, a dividere la cucina c’era solo una penisola e c’era un ingresso in cucina. I due si avvicinarono titubanti al lui, che poggiò le sue enormi braccia sulle spalle di entrambi e li avvicinò a sé. Li stava abbracciando, era molto più alto di loro che gli arrivavano al petto, ed era molto muscoloso per l’età che aveva. Feliciano ricambiò ovviamente l’abbraccio, Lovino preferì non farlo. Il nonno li fece accomodare al tavolo di legno, apparecchiato per la cena, e lui si sedette di fronte a loro. Nel poco tempo in cui lo videro camminare, Lovino e Feliciano si accorsero che zoppicava.
“Io sono Julius Vargas.” Disse, questa volta parlò in inglese, Lovino iniziò a domandarsi come facesse a conoscerlo, ma non fece domande. “Tutti però mi chiamano Roma.” aveva le mani incrociate e poggiate sul tavolo, le stava fissando intensamente. Lovino ripensò al suo sogno.
“Perché?” Feliciano, come al solito, si soffermò sul particolare più stupido, ma questo fece ridere Roma.
“Feli, non è il momento!” Lovino diede un colpo con il piede sulla gamba di Feliciano e il nonno rise ancora di più.
“Non siete cambiati di molto, per quelle poche volte che vi ho visto.” L’ultima parte la disse con un po’ di amarezza. “Vostra madre?” la sua domanda fece sussultare Lovino. Lui… non lo sapeva?
Feliciano abbassò lo sguardo.
“Lei è…” Lovino deglutì “…Morta” Il volto del nonno si fece scuro.
“Ragazzi… Ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo parlare.” Disse in modo cupo.

***

Germania

Erano le sette di sera, Francis si era offerto di preparare, nel frattempo Gilbert era fuori a fare delle commissioni, ma sarebbe tornato a breve. Ludwig era sul tavolo del salone a scrivere il suo libro e Antonio, steso sul divano, si rese conto che il rumore dei tasti che battevano lo rilassava profondamente. Quando il rumore si fermò, Antonio si sedette sul divano e osservò Ludwig che leggeva e rileggeva mentre si massaggiava le tempie. Aveva i capelli tirati all’indietro come al solito, ma spettinati rispetto a come li aveva sempre, sembrava nervoso.
“Lud.” Lo chiamò.
“Sì?” Ludwig si schiarì la voce e si portò indietro i ciuffi che gli erano caduti sugli occhi.
Antonio guardò la pila di fogli staccati e pieni di scritte accanto a lui “Posso leggere come sta venendo il tuo libro?”
Le guance di Ludwig si colorarono di rosa, che risaltava anche di più sulla sua pelle pallida. “No! No!” agitò una mano “È ancora una bozza, non è finito, non mi piace molto. Forse non riuscirò mai a scrivere qualcosa di qualità!”
“Ehy, non dire così, fammi leggere, giudicherò io.”
Ludwig si morse un labbro “Quanti libri hai letto?” poi aggiunse “Non voglio essere scortese!”
Antonio si sentì in imbarazzo, aveva lavorato nella libreria con Arthur, ma non aveva mai letto un libro in realtà. L’ultima volta che lo aveva fatto fu quando la signorina Braginskaya portò da casa sua “Winnie The Pooh” che lei aveva letto quando aveva 6 anni. “Alcuni.” Mentì.
Ludwig inarcò un sopracciglio “Se proprio ci tieni.” Indicò i fogli ad Antonio “Sono i primi 5 capitoli.”
Antonio li prese e iniziò a sfogliarli “Hai scritto davvero tanto!”
Ludwig rise “Sono solo 50 pagine, ne mancano ancora molte.”
“Ah.” Antonio abbassò lo sguardo.
Ludwig sospirò e tornò a scrivere “Dimmi quando hai finito.”
In quel momento sentirono le chiavi girare nella serratura e Gilbert entro in casa. Francis chiamò per la cena, e andarono a mangiare mentre bevevano birra e scherzavano, anche se Ludwig sembrava ancora pensieroso per il libro. Francis raccontò alcune storie, raccontò gli anni del liceo, di quando aveva conosciuto Jeanne e a volte nominava anche Arthur. Antonio invece parlò di quando lui e Arthur vivevano insieme e raccontò qualcosa di divertente successo in libreria o a casa Kirkland, mentre parlava, Francis lo osservava come se aveva qualcosa da dirgli.

***

Italia

Roma avvicinò un piatto di carne ai nipoti, Feliciano iniziò a mangiare, Lovino rifiutò di nuovo. Il nonno si schiarì la gola e si decise a parlare.
“Inizio prima io allora…” e rise “Da dove cominciare?”
“Dal principio.” Disse Lovino in tono sicuro, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Il nome sbattè le palpebre rapidamente.
“Bene.” Tossì “Vostro padre nacque nel 1919, e di lì a qualche anno, mia moglie venne a mancare. Nel 1925, per essere precisi. Mi ritrovai con un bambino di 6 anni a cui badare, un negozio da portare avanti e da solo. Lo mandavo spesso dalle mie sorelle per tenerlo a bada, anche perché non fu facile affrontare la morte di vostra nonna.” Lovino continuava a fissarlo e ad ascoltare ogni minima parola. “Penso non vi interessi tutto, quindi parlerò delle parti importanti. Io e mio figlio avevamo un rapporto terribile, lui faceva tutto il contrario di quello che gli veniva detto, non voleva lavorare, per quanto potessi… era impossibile che lui mi ascoltasse.” Per qualche motivo questo lo fece sorridere.
“E quando si sono conosciuti lui e la mamma?” Feliciano chiese con la bocca piena di pane.
Roma rispose “Fammi pensare… Aveva 19 anni quindi. Sì, era il 1938. Si conobbero la sera di una festa di paese, durante l’estate. Vostra madre era qui per una vacanza dall’Inghilterra con la sua famiglia. Lei aveva la nonna di origine italiana, ma ella si trasferì in Inghilterra da piccola, fu lei ad insegnare l’italiano a vostra madre.”
Lovino iniziò ad immaginare a come potessero essere i suoi genitori a quell’età. Avevano più o meno l’età che lui e Feliciano avevano ora, si domandò se sarebbero andati d’accordo se fossero nati nello stesso periodo.
“Comunque, quando la vacanza finì, lei non volle tornare più a casa, ma decise di restare qui con vostro padre e sposarsi. Per un primo periodo restarono qui, ma vostro padre non mi voleva attorno e quindi si costruirono una casa e si trasferirono.” Lovino la ricordava la loro casa. “L’anno dopo siete nati voi.” Lovino si voltò verso Feliciano che stava sorridendo, e aveva anche finito di mangiare.
“Dal 1939, come sapete la guerra stava divampando. Né io, né vostro padre partimmo.” Si bagnò le labbra “Io a causa della mia gamba e lui fu rifiutato, ma comunque non sarebbe mai partito. Vostro padre era contro la guerra e Mussolini. State attenti, questo è molto importante.”
“Era un partigiano.” Lovino disse, scandendo ogni lettera. Il nonno fece un ghigno.
“Sì, esatto. Durante tutti quegli anni veniva a trovarmi ogni tanto, due volte portò anche voi, ma finivamo con il litigare ogni volta.”
“Perché?” Feliciano parlò.
“Perché io non volevo che facesse quello per l’Italia.” Spostò il suo sguardo verso la finestra. “Avevo già perso mia moglie, non potevo… non potevo perdere anche il mio unico figlio.” Socchiuse gli occhi, e le rughe aumentarono “Vostra madre, lei si impegnava con tutte le sue forze per nasconderlo, anche se era così malata.” Si voltò di nuovo a guardarli “E voi due eravate in pericolo. Quando la situazione si fece complicata e ormai i tedeschi avevano quasi scoperto tutto, iniziarono le fucilazioni.” Lovino pensò ad un suo sogno, una volta si ricordò di aver sentito uno sparo. “Vostra madre decise di partire per l’Inghilterra, non sentiva i suoi familiari da troppo tempo, io pensavo fossero morti, ma lei volle andare lo stesso.” Poi si fermò, fece una pausa. “Nel 1944, ci fu una fucilazione in paese, sentii gli spari fino qui. Vennero a chiamarmi, mi portarono in piazza…” si coprì il volto con una mano, quando la tolse trovò la faccia di Lovino “Tu ci assomigli tantissimo.” Sorrise, ma Lovino riuscì a vedere che i suoi occhi erano lucidi. “Mandai una lettera a vostra madre, poi non so più nulla.”
Lovino e Feliciano si guardarono. Ricordavano il giorno in cui la loro mamma venne a conoscenza della notizia. La sua malattia si mischiò alla depressione, si rifiutava di alzarsi dal letto, di mangiare, e dal quel momento non la videro più.
“In Inghilterra non c’era nessuno, i nostri nonni erano morti, per i bombardamenti.” Era Lovino che parlava, mentre si spremeva le meningi per ricordare tutto “Io ricordo come trovammo la casa… ma ricordo che… dopo la lettera, mamma peggiorò, e non sapendo più cosa fare ci portò all’orfanotrofio.”
Roma spalancò gli occhi “Cosa?”
“Io sono cresciuto lì, sono uscito dopo aver compiuto 18 anni, per raggiungere Feliciano in Austria che nel frattempo era stato adottato e si era trasferito.” Feliciano sorrise quando il fratello disse questo.
“Fermi, fermi…” Roma guardò prima uno e poi l’altro “Come avete fatto a trovarmi?”
Lovino si morse un labbro, lo avrebbe preso per pazzo se gli avesse detto qualcosa. Feliciano però, parlò senza permesso. “Lovino ti ha sognato!” L’uomo sentendo quelle parole scoppiò a ridere.
“Sul serio, ragazzi.”
“Ma è vero.” Feliciano guardò verso il fratello “Diglielo, Lovino.”
Lovino era diventato rosso, iniziò a guardare il pavimento “Io… faccio dei sogni che mi ricordano il mio passato, non so da cosa dipenda, ma ti ho sognato e poi ti ho cercato in tutti i modi.” Alzò lo sguardo e vide lo sguardo di Roma sbalordito “Questa mi è nuova.” Poi aggiunse “Sei incredibile, Lovino.”
Il petto di Lovino si gonfiò di gioia, per un momento sorrise e si coprì la bocca con la mano.
“Nonno, possiamo restare qui da te adesso?” Feliciano chiese.
Roma sorrise intenerito “Certo, ovviamente.”
Lovino si sentì sollevato, ce l’avevano fatta, in qualche modo erano riusciti a raggiungere l’Italia, il nonno, la loro famiglia. Rimasero ancora a parlare al tavolo, e ben presto si accorsero che era passata la mezzanotte, a quel punto il nonno li portò in camera. Feliciano e Lovino dormivano in un letto, mentre il nonno in un altro, e tutto sembrava una fantasia.

***

Germania

Era passata la mezzanotte, Ludwig continuava a scrivere, mentre Antonio, Francis e Gilbert passavano il loro tempo in cucina, così da non disturbarlo. Francis stava fumando una sigaretta, seduto accanto alla finestra spalancata che dava sul balcone, Antonio e Gilbert erano al tavolo, prima a giocare a carte poi piano piano abbandonarono il gioco. Francis riprese il discorso che avevano fatto a cena “Antonio, quando vivevi con Arthur com’erano le cose?” quando parlò dalla sua bocca fuoriuscì una nuvola di fumo.
“Normali.” Antonio alzò le spalle “Voglio dire… qualche volta avevamo delle discussioni, ma le cose andavano bene.” Poi aggiunse “Anche se a volte Arthur era isterico.” E Gilbert rise. “Perché lo chiedi?
Francis lo scrutò con i suoi occhi azzurri “Antonio, Arthur ti ha mai parlato di qualcosa riguardo a me?”
“So solo che lo prendevi in giro con i tuoi amici.” Inarcò un sopracciglio.
“Ecco noi…” si schiarì la gola e guardò verso Gilbert e poi di nuovo Antonio “Quando ci siamo rincontrati, passammo un po’ di tempo insieme, eravamo comunque amici di infanzia. Arthur però era gracilino e diciamo, un po’ effemminato, quindi io feci amicizia con altre persone, mentre lui veniva evitato e preso di mira…”
Antonio subito rispose “E tu hai lasciato che accadesse?”
Gilbert intervenne “Ehy, anche noi tre ci siamo presi gioco di lui da piccoli.” Antonio si sentì subito in colpa, ma rispose. “Sì, ma eravamo molto piccoli… non…” premette le labbra, non poteva trovare una giustificazione.
“In ogni caso… Antonio…” Francis si avvicinò con la sedia “Iniziarono a girare delle voci sul fatto che Arthur fosse omosessuale.” Spiegò. “Veniva preso di mira per quel motivo, e nessuno voleva farsi vedere in giro con lui.”
“Oh!” disse Gilbert “E ci hai vissuto insieme?” rise e sembrava abbastanza sconvolto.
Antonio spalancò gli occhi, gli venne subito in mente l’ultima volta che vide Arthur, e pensò ad Alfred nella sua camera. “Questo non significa nulla.” Si alzò in piedi.
“Sì, ma io… Passavo comunque il mio tempo con lui, ma non potevo farmi vedere dagli altri.” 
“Non ti ha mai perdonato.” Antonio disse, lo stava fulminando con lo sguardo.
“Eravamo ragazzi, le cose non hanno importanza quando si è adolescenti.” Scosse la testa “Io non ho mai creduto lui fosse omosessuale.”
“Ma quindi lo è davvero oppure no?” Gilbert gracchiò cercando di essere notato.
Il petto di Antonio iniziava a bruciare “Anche se lo fosse?” Alfred e Arthur sembravano felici insieme.
Gilbert e Francis si guardarono per qualche secondo “Bhe…” dissero entrambi.
Gilbert iniziò a parlare “Antonio… non è una cosa del tutto normale.” Alzò le spalle, come se fosse una cosa ovvia. La mente di Antonio volò immediatamente a Lovino.
“Vado a dormire.” Uscì dalla stanza, con la testa bassa, e scandendo ogni parole in modo duro. Non poteva parlare di Lovino come Francis parlava di Jeanne. Quando uscì dalla stanza si poggiò al muro, e sentì gli occhi iniziare a diventare lucidi, si sentiva così solo, i suoi amici non lo avrebbero mai potuto sapere o capire. Nella cucina sentì Gilbert dire “Perché se l’è presa tanto?” e Francis dire “Domani gli parleremo e ci scuseremo.”
“Ma…”
“Zitto Gil.” Rispose l’altro.
 






---Angolo dell'autrice---
Tra il caldo e lo studio non so come ho fatto a pubblicare. Sto anche impazzendo per trovare il tempo da dedicare alla lettura e alle serie tv (Giuro che ho anche un minimo di vita sociale.)
Il prossimo capitolo sarà quello che aspettate tutti. 
Al prossimo aggiornamento!
   
 
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