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Autore: ineedofthem    04/08/2018    5 recensioni
Anita, un metro e sessanta di dolcezza e allegria, è una specializzanda in pediatria. Adora il suo lavoro, sa che è quello che deve fare perché ci crede da sempre e, spinta dalla passione per questo lavoro, comincia a passare le sue giornate in ospedale.
Qui conosce Lucia: una bambina rimasta orfana, con una grave disfunzione cardiaca, ricoverata nel reparto di pediatria.
Anita sente di provare per lei un affetto profondo e il loro diventa un rapporto viscerale.
Tutto procede bene, finché non arriva lui: Luca Franzese, il nuovo cardiochirurgo dell'ospedale, e Anita capisce che la sua vita non sarà più la stessa. Riconoscerebbe quella zazzera di capelli castani e quei lucenti occhi verdi tra mille. Sa che il ritorno in città del ragazzo porterà solo guai per lei. Il rapporto con Lucia li accomuna entrambi e la piccola sembra l'unica in grado di sciogliere il suo sguardo da duro e quel carattere burbero che lui si porta dietro.
Anita crede di averci messo una parola fine su quel capitolo, ci ha avuto a che fare in passato e non intende ripetere lo stesso errore. Ma se Lucia ci mettesse il suo zampino, cosa potrebbe succedere?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricominciare'
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Capitolo 35
RICOMINCIAMO DA QUI

Capitolo 35



Sento di non poter affrontare quello che mi è successo. Se avessi una macchina del tempo, vorrei tornare alla mia vita di mesi addietro, per poter cancellare tutto questo.
Da ragazzina pensavo che vedere il ragazzo che ti piace baciare un'altra fosse uno dei mali peggiori del modo, eppure, oggi ho scoperto che c'è di peggio. Io mi chiedo come farò ad affrontarlo, a vederlo ogni giorno a lavoro. Non posso dopo che lui mi ha fatto questo. E alla fine mi tocca dar ragione a Nicola quando mi diceva che Luca non sarebbe mai cambiato, ma io ero troppo innamorata di lui per capirlo.
E adesso scusami Nic, se ci ho messo tutto questo tempo, ma vorrei che tu fossi qui, a tirarmi su il morale come meglio sapevi fare...
È ormai calata la sera e penso di non voler tornare a casa. Casa mi sembrerebbe troppo vuota e silenziosa. E stasera meno che mai io abbia bisogno di stare sola. E allora prendo una direzione, quella che mi porterà al sicuro.

La villetta dove abitano i miei genitori è dalla parte opposta, ma ci metto poco, la città, stasera, è tranquilla. Guardo i condomini dai colori tenui che si stagliano fieri sulla città, osservo il piccolo quartiere dove ho vissuto per anni, e mi sembra quasi di sentire le risate dei bambini che giocano a pallone nel cortile, le urla animate dei vicini che litigano. Ammetto di averli odiati da ragazzina, quando mi toglievano la concentrazione dallo studio, ma adesso, a pensarci, questa semplice quotidianità mi manca. Perché era bello poter tornare a casa la sera e sapere che mamma e papà sarebbero stati lì e mi avrebbero protetto da tutto.
Suono al campanello di casa, e sento la voce di mamma che parlotta con papà.
"Tesoro, ciao!" mia madre si dimostra sorpresa di vedermi e, nonostante io non riesca a ricambiare il suo stesso entusiasmo, lei non mi fa domande.
"Ciao, mamma" la saluto.
Lei mi guarda a lungo, cercando di andare oltre alla mia maschera e nel momento in cui avverto le sue mani poggiarsi sulle mie spalle, le sue dita stringermi delicatamente, mi rendo conto che lei abbia capito ci sia qualcosa che non va.
"Non pensavamo venissi, se mi avessi avvertita ti avremmo aspettato per la cena" mi fa presente, amorevole.
Accenno ad un sorriso. "Non c'è problema, devo solo prendere alcune cose in camera". Bugia.
Lei annuisce, lasciandomi entrare, ma non sembra affatto convinta di quello che le stia dicendo. Sento che questo gran peso sullo stomaco potrebbe schiacciarmi da un momento all'altro. Sono la prima a disdignare le bugie, oggi ho scoperto me ne siano state dette fin troppe, ma ho bisogno di nascondermi dietro questa menzogna per non preoccuparla ulteriormente.
Mi spoglio del cappotto, appendendolo all'ingresso. Un forte e buono odore mi invade. L'odore di casa.
Avverto mia madre seguire ogni mio passo e gesto, quasi avesse paura mi possa capitare qualcosa da un momento all'altro, e quando la ritrovo al mio fianco, mi volto verso di lei.
"Vuoi che ti riscaldi qualcosa? È rimasto del pollo, se lo vuoi..."
"Mamma, sono a posto così. Te l'ho detto, devo solo..."
"Sì, sì, devi solo prendere delle cose in camera, ho capito. E allora andiamo, ti accompagno" mi fa presente con un sorriso ironico.
"Mamma" le replico di rimando, "conosco la strada".
Attraverso il corridoio in silenzio, sentendo i suoi passi rimbombare al mio fianco. L'ingresso dà sul salone, lì mio padre è seduto al suo posto, sulla poltrona accanto al caminetto acceso, lo sguardo fisso ad un libro di letteratura. Ha lo sguardo concentrato, gli occhiali da vista che un po' gli scivolano sul naso, una grossa ruga sulla fronte per la concentrazione.
Al rumore dei nostri passi, i suoi occhi si posano su di noi e io riesco a notare tutta la sorpresa che li invade alla mia vista.
"Tesoro, chi era...Anita, che sorpresa!" mi saluta con un sorriso caloroso.
"Ciao, papà"replico.
Mamma sopraggiunge dietro di me, appoggiandomi una mano sulla spalla, il suo tocco è rassicurante.
"Hai visto chi ci è venuta a trovare, Alfonso?" Si rivolge nei suoi confronti, lasciando che le sue dita imprimano una stretta sulla mia spalla.
"Dovresti farlo più spesso" mi sussurra.
"Tua madre ha ragione" le dà manforte mio padre, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Il suo sguardo si fa improvvisamente serio e si posa su di me per diversi secondi, forse minuti.
"Vuoi venirti a sedere accanto a me, nel frattempo che tua madre scalda qualcosa?" mi domanda.
Le sue parole sanno di premura e di quella quotidianità che stasera cerco, quella che nel corso degli anni è andata un po' persa. Con le sue parole,però, lui sembra anche dirmi sono qui. Mi sono sempre meravigliata della sensibilità che i miei genitori dimostrano di avere, e stasera più che mai credo di potermi mettere a piangere per tutto l'amore che dimostrano di provare per me.
Ma prima sento di dover assimilare le cose da sola. "No papà, ho bisogno di prendere alcune cose".
Mia madre mi lascia andare senza dire niente e nemmeno mio padre, ma le loro voci mi arrivano forti e chiare mentre attraverso il corridoio che conduce alle scale del piano superiore.
Mia madre è la prima a dare voce ai suoi pensieri:"Credi anche tu che le sia successo qualcosa?"
"Sì, e credo non sia un bene se ne stia da sola in camera"
"Dopo ci andrò a parlare, magari mi dirà qualcosa, lo sai che ci siamo sempre dette tutto".

Quando mi chiudo la porta della stanza alle spalle, mi ci appoggio contro, rilasciando un lungo sospiro. Sono sicura che i miei genitori si siano accorti di qualcosa, soprattutto dopo che li ho sentiti parlare, così come so che non mi domanderanno niente se non sarò io la prima a parlare.
Adesso per stare bene mi basta poco, solo sentirmi a sicuro in queste quattro mura che mi hanno vista crescere. La mia camera è intatta, sembra quasi che qui dentro il tempo si sia fermato e io sia di nuovo la ragazzina di un tempo.
Osservo la finestra davanti a me, coperta dalle tende, e mi ci avvicino. Ricordo che da piccola mi rilassava affacciarmi per guardare i campi che si estendono oltre i palazzi. Nelle sere di estate mi era possibile anche ascoltare il canto dei grilli.
Apro un'anta, ignorando il vento che mi sferza i capelli, e tiro un lungo sospiro. Respiro l'aria fresca, socchiudendo gli occhi. L'orizzonte è già scuro, con una luna chiara e piena ad illuminare la notte. Osservo i campi coltivati estendersi sotto i miei occhi e mi viene da pensare a come questo posto sia racchiuso in una piccola bolla di tranquillità, quando a pochi passi si estende la statale che ci collega all'altra parte della città.
Mi è sempre piaciuto restarmene qui, così, con un senso di pace addosso. Ma, stasera, mi rendo conto che io provi tutt'altro che pace dentro di me. Sento che se non mi lascerò andare, questo peso, che mi opprime, finirà per schiacciarmi.
E allora ci penso, come si fa a superare una delusione d'amore e come ci si riesce quando a farti soffrire è la stessa persona che l'ha fatto tempo addietro? Mi sento così ferita e arrabbiata con me stessa per essermi fidata e lasciata abbindolare da lui.
Non è bastato che tu tornassi, no. Dimmi, ti sei divertito a giocare alle mie spalle in tutti questi mesi, quando mi facevi credere che fossi importante? Non ti è bastato tornare, hai dovuto intralciare la mia vita con la tua, tessendo una tela di intrigi e bugie. Così, come hai sempre fatto, mi hai portato su, e mi hai lasciato cadere in un attimo.
E adesso, Luca, vorrei che tu andassi via, e sparissi dalla mia vita, per non soffire più.
Richiudo la finestra dietro di me con uno sbuffo e fisso un punto davanti a me. Alla fine mi lascio cadere di peso sul letto, girandomi da un lato e poi dall'altro, senza trovare una posizione adatta. Lascio andare un lungo sospiro, giungendo le mani sotto la guancia.
Un album sul comodino accanto attira la mia attenzione: deve avercelo messo mia madre, perché non ricordo fosse mai stato qui.
Spinta dalla curiosità, lo afferro, carezzandolo con le dita.  È molto datato perché la copertina presenta segni di ingiallimento, e a quel punto inizio a sfogliarlo. È un colpo al cuore, questo album sembra ripercorrere la mia vita da quando ero ancora in fasce. Sfoglio le pagine intrise di ricordi, foto di me bambina, con i miei genitori, i nonni, i miei primi passi e compleanni, per arrivare ad una me più grande, l'apparecchio che negli anni adolescenziali ho odiato, il mio taglio all'ultima moda, le mie amiche, Nicola e poi eccoti qui, ancora tu.
È così difficile non pensarti e fare a meno di te, quando tu sei qui, in ogni momento, in ogni più piccolo gesto!
La cosa carina e curiosa di questo album è l'aggiunta di note sotto ogni foto, con annessa didascalia.
Ma anche se non ci fosse scritto nulla, questa foto me la ricorderei benissimo. Riporta la data e uno scarabocchio riportato a penna: Noi <3
La nostra gita scolastica a Barcellona.
Tu eri bellissimo, come sempre, e io avevo capito che stessi iniziando a innamorarmi di te. La sera prima, mi avevi rivolto la parola, e io mi ero sentita la ragazza più felice di questo mondo.
Pensavo che quella gita sarebbe stata un punto di svolta per me e per te, nonostante non ci fosse ancora niente a legarci, eppure Luca, stavamo iniziando a passare più tempo insieme per via dei nostri amici in comune, ed era sembrato che ti fossi accorto di me.
E allora mi avevi guardata, facendomi contorcere lo stomaco in una morsa. I tuoi occhi erano rimasti a lungo su di me, oserei dire con un velo di curiosità, prima che ti rivolgessi a me.
"Anita, ci sei anche tu, stasera?"
La tua domanda mi era sembrata stupida, in un primo momento, anche perché era chiaro che ci fossi anche io, ma tu con una semplice frase eri stato capace di mandarmi in tilt.
"Si..." ti avevo risposto intimidita.
Inspiegabilmente mi avevi sorriso, ma eravamo tornati ad ignorarci il momento dopo.
Quello che non mi aspettavo è che tu mi parlassi ancora, il giorno successivo.
La Sagrada Familia si stagliava alta e imponente davanti ai nostri occhi. Più la guardavo e più mi veniva da pensare che capolavoro di architettura fosse, con le guglie frastagliate, a farla sembrare un grande castello di sabbia.
Ti eri avvicinato; non c'era stato nemmeno bisogno che mi voltassi a guardare per sapere fossi tu. Avevi incrociato le braccia davanti a te, con lo sguardo serio rivolto alla struttura di fronte a noi.
"Bel posto, non è vero?" mi avevi domandato, allora.
E io mi ero voltata verso di te, scoprendoti a sorridere ancora e ancora. Mi piaceva tanto quando sorridevi, nonostante portassi l'apparecchio, sembrava che tu non te ne vergognassi affatto. Tu eri alto e fiero.
Ti osservavo da tempo ormai e mi venne da pensare se da un momento all'altro non ti fossi messo a raccontare della costruzione della Sagrada nel minimo dettaglio, per uno come te, innamorato dell'arte, doveva essere un onore ritrovarsi davanti al capolavoro di Gaudì.
"Sì"ti avevo risposto, come se fosse la sola cosa che sapessi dire. La verità è che pensavo a quanto, invece, fossi bello tu.
Per uno strano scherzo del destino, mi ero sentita successivamente tirare per un braccio ed entrambi eravamo capitati vicini, stretti in un groviglio di corpi insieme ai nostri compagni.
"Dai che il prof ci fa una foto!"
Un nostro compagno aveva affidato la sua macchina fotografica nelle mani del professore di storia dell'arte, che ci aveva invitati ad un sorriso. Il solo minimo contatto con te mi aveva fatto arrossire, ma non c'era stato spazio per altro imbarazzo perché, l'attimo dopo,  ero finita contro il tuo petto e la fotocamera aveva immortolato il momento.

Adesso questa foto la guardo e la sfioro, con delicatezza, quasi a paura di sgualcirla. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno l'avrei rivisto.
Quando mia madre entra in camera, richiudo con uno scatto l'album sulle mie gambe.
Lei incrocia il mio sguardo e i miei occhi non possono che celarsi di colpevolezza.
"Devo averlo lasciato lì, dopo che mi sono messa a sfogliare le tue foto. Bei ricordi, non è vero?" accenna ad un sorriso, facendo riferimento all'album tra le mie mani.
"Si..."ammetto, abbassando lo sguardo.
Mia madre rilascia un sospiro profondo prima di ricominciare a parlare. "Hai trovato quello che cercavi?" mi domanda.
"No, a dire il vero, non ne ho avuto ancora il tempo" ammetto.
"Di cosa hai bisogno, esattamente? Posso darti una mano".
Di essere felice.
 Mi rendo conto solo in seguito il suo sia un riferimento alla situazione che mi tormenta.
"Vecchi libri, di quando andavo all'università, sono sicura siano ancora qua da qualche parte, ricordo di averli lasciati..."
"Anita" mi interrompe lei, con la voce decisa ma dolce.
"Sì, mamma?" le replico con ingenuità.
"Lo sai che non mi riferivo a questo" pronuncia comprensiva. "Sono tua madre e capisco benissimo quando ci sia qualcosa in te che non va. Abbiamo sempre avuto un rapporto solido, aperto, e credo di essere la prima a comprenderti meglio di quanto possa fare tu stessa. Mi sono resa conto dal primo momento che hai messo piede in questa casa che ci sia qualcosa che ti faccia stare male, e sai che a me puoi dire tutto. Io sono qua, Anita. Sono qua e sarò qua ogni volta che vorrai".
"Oh, mamma..."
Lei mi è accanto in un attimo, la sua mano si posa sul mio ginocchio a mo' di conforto.
Soffoco un singulto al gesto.
"Se ti senti di piangere, fallo. Può aiutarti a stare meglio" mi fa presente con dolcezza.
La guardo e mi viene da pensare sia vero lei mi capisce sempre, anche meglio di quanto faccia io, e quando, finalmente, mi lascio andare alla tristezza e allo sconforto, non esita a stringermi a sé. Le sue braccia sono rassicuranti e mi infondono quel senso di protezione di cui sento di aver bisogno.
E adesso tu, mamma, stringimi così, tienimi tra le tue braccia e fammi sentire ancora bambina.
"Mamma" le sussurro contro la spalla, "cosa ho fatto di male per meritarmi questo?"
"Oh, Anita"replica, accarezzandomi il capo. "Non dire sciocchezze."
"E allora mamma, allora spiegami tu perché debba stare così male per lui!" le confesso.
Non c'è bisogno che io dica altro, lei capisce subito di chi stia parlando. "Cosa ha fatto Luca?" mi domanda comprensiva.
Quando me lo chiede, io, finalmente, mi lascio andare e le racconto tutto. Le parlo delle sue bugie, del modo in cui mi ha ingannata per tutti questi mesi, di come io sia arrabbiata con lui e con me stessa per essermi lasciata intortare.
Mia madre mi ascolta, in silenzio, sostenendomi tra le sue braccia mentre singhiozzo.
"E alla fine, mi sono ridotta così, per lui" pronuncio, coprendomi il volto con le mani, con frustazione.
"Oh, tesoro" ammette lei con rimmarico, "non immaginavo che la situazione fosse tanto grave".
Lascio andare uno sbuffo, appoggiandomi alla sua spalla. "Mamma, non so che fare. Io, io mi sento così ferita e male al pensiero di rivederlo. Come posso solo pensare di incontrarlo, domani, al lavoro e fare finta di niente?!".
"Anita"mi richiama lei, appoggiando l' indice e il medio sotto il mio mento, in modo tale da incrociare il mio sguardo.
"Non puoi fare finta di niente, non devi.  Da mamma ti dico che non valga la pena stare male per lui, versare tutte queste lacrime non ha molto senso, a maggior ragione quando lui ti ha fatto tutto questo, ma sono stata ragazza anche io e ti posso assicurare che in amore non è sempre tutto così roseo. Credi che io e tuo padre non abbiamo mai avuto da ridirci negli anni? Eppure guardaci, siamo ancora qui e ci amiamo come dal primo giorno, forse ancora di più. Io capisco come ti senta, sei ferita e delusa dalla persona che ami, e in cui avevi riposto tante aspettative, ma vedi, io penso tu debba parlarci e chiarire con lui, solo a quel punto potrai decretare la parola fine a questa storia.
Permettigli di spiegare le ragioni del suo gesto, e mi auguro che lui ne abbia di molte e valide per averlo indotto a questo. Dopo di ciò, quello che ti dirà, potrà significare due cose: la prima è che non avrete più niente da dirvi, e a quel punto non potrei fare altro che rialzarti e andare avanti per la tua strada, la seconda è, dopo aver compreso le sue ragioni, di concedergli un'altra possibilità, e nel migliore dei casi, vivere una storia d'amore."
Mia madre ha ragione, ma d'altronde da una donna molto saggia come lei, non potevo aspettarmi altro, eppure, come ci si comporta quando cuore e mente sono in contrapposizione?
"Credi che riuscirei a reggere il confronto con lui, ancora?" le sussurro, nascondendo il viso sul suo petto.
Le carezze di mia madre sul mio capo sanno di premura e dolcezza.
"Certo che ce la farai"
"Mamma" rialzo lo sguardo, puntandolo nel suo, "grazie per tutto quello che fai per me, grazie per quello che sei".
Mia madre, in risposta, sorride, e riesco a notare i suoi occhi velarsi di commozione.
"Non devi nemmeno dirlo, lo sai che anche per la piccola sciocchezza, sono qua ad ascoltarti" asserisce.
A quel punto, la stringo forte a me, e lei si lascia andare ad una risata divertita.
"Che ne dici se, adesso, andiamo di là a far compagnia a tuo padre?" mi chiede poco dopo.
"Mi do una sistemata e vi raggiungo, ok?" le replico.
"Ok" si apre in un sorriso, lasciando la mia stanza.
Tiro un lungo sospiro, asciugandomi il viso. Non deve essere uno bello spettacolo, ma al momento poco mi interessa. Raggiungo il salotto, flemmatica. I miei genitori si sono appropriati del divano e siedono lì, abbracciati. Mia madre con la testa sulla spalla di mio padre, e lui che la stringe a sé, a mo' di conforto. È grazie a loro se ho una visione dell'amore vero e puro, perché i miei genitori si amano tanto, e se lo dimostrano ogni giorno, nei più piccoli gesti quotidiani.
Mi fermo a guardarli così, e quasi mi dispiace dovere interrompere questo loro momento.
"Oh, eccoti!" esclama mio padre, vedendomi entrare.
Gli sorrido, prendendo posto alla poltrona dove poco prima sedeva lui, e osservo il fuoco del camino alimentarsi; il suo calore mi avvolge.
"Allora, hai trovato quelle cose che cercavi?" mi domanda.
Li guardo entrambi, osservo mia madre sorridermi in modo rassicurante e mi viene da pendare che io, stasera, abbia fatto la scelta giusta a venire qua.
"Sì".
Sì, adesso sto meglio, ed è solo grazie a voi.

Il mio risveglio non è come lo speravo. Dopo essere rimasta a casa dei miei, ho finito per riaddormentarmi.
Non ho riposato molto bene, a dire la verità, e al mattino il mio viso non è un granché, soprattutto con i segni del trucco sciolto sulle guance e le occhiaie.
Cerco di darmi una sistemata ma sarà difficile. Potrò curare la mia parte esteriore ma non quella interiore.
La casa è ancora silenziosa quando esco, ma preferisco sia così. Non voglio destare altra preoccupazione nei miei genitori. Così, lascio un messaggio veloce a mia madre per avvisarla, e mi chiudo la porta alle spalle.
Prima di andare al lavoro, passo da casa per cambiarmi. In realtà, sembra io sia un'automa, scelgo gli abiti vedendoli a stento e svolgo le mie solite funzioni mattutine controvoglia.
Mi do una sciacquata alla faccia, appoggiandomi al lavandino di fronte, e mi ripeto che sono forte abbastanza per superare anche questa.
Non ti permetterò più di farmi del male, Luca. Non soffrirò più per te.
Lo scrosciare dell'acqua rimbomba nelle mie orecchie e abbasso lo sguardo, vedendola venir risucchiata dallo scarico.
Mi bagno le mani, massaggiandole poi, con forza, sul mio viso, quasi come se potessi lavare via tutta la tristezza. Poco dopo, quando sono pronta per andare al lavoro, cerco di armarmi di tutta la volontà di cui sono capace.

Quando arrivo in ospedale, le note di "I hate you, I love you" rimbombano nell'abitacolo della mia automobile, e mi viene da pensare che mai più canzone sia giusta per me, adesso.
E poi lo vedo arrivare. Cammina stretto nel suo cappotto a doppio petto, le mani nelle tasche, come se volesse proteggersi dal freddo della giornata. Il suo sguardo è basso e mi viene da chiedermi se si senta in colpa solo un po'. Si sente in colpa, sta male all'idea di avermi ferito?.
Io lo guardo e mi ripeto che non avrà più importanza, che non mi farà più del male, eppure, sono qui che piango per lui.
Abbandono l'abitacolo dell'auto e richiudo lo sportello dietro di me, con forza.
Inizio a camminare verso l'ingresso, con lo stomaco in subbuglio e il cuore che martella nel petto.
Luca non si accorge di me, ma, d'altronde, io faccio di tutto pur di non avvicinarmi a lui. Proseguiamo per la stessa strada per diversi minuti, ma lui ignora completamente la mia presenza, poi prendiamo due direzioni diverse.
Vorrei fosse per sempre, vorrei che lui prendesse una direzione diversa dalla mia, per sempre.
Mia madre pensa che la giusta soluzione sia affrontarlo, fare in modo che mi spieghi cosa lo abbia spinto a fare questo, ma io, oggi, decido di scegliere la strada più facile: ignorarlo.
So che mi costerà parecchio farlo, ma ne va della mia salute mentale.
Maria si accorge, subito, che qualcosa non vada. È impossibile non capirlo.
Non mi chiede spiegazioni, anche se il suo sguardo si vela di consapevolezza, non è difficile comprendere chi sia il motivo del mio malessere.
E allora lei si fa mia complice e mi accompagna durante la giornata. Ignorare Luca si rivela essere,però, più difficile del previsto.
Non so se sia un caso o lui lo faccia di proposito, ma sembra che oggi passi più tempo qui dentro che in qualsiasi altro reparto. A quel punto faccio in modo di non mettere piede nei luoghi in cui sono sicura di trovarlo. Evito di andare in sala comune, alle macchinette, ma mi rendo conto non serva a molto quando lo ritrovo nei corridoi.
L'unica reazione che mi viene spontanea alla sua vista è quella di sbuffare, sonoramente.
Gli occhi di Luca si posano du di me e riesco a leggere nei suoi un velo di sorpresa ma anche di turbamento.
Guardami Luca, sono il risultato di quello che mi hai fatto.
Maria segue il mio sguardo, facendolo alternare da me a lui, continuamente.
"Anita..."sussurra lei al mio fianco.
I miei occhi sostengono quelli di Luca, aspettando che lui faccia qualcosa e cerco di macchiare i miei di tutta l'indifferenza di cui sono capace.
Poi, quando mi rendo conto di non riuscirci più, la mia attenzione torna a Maria.
"Andiamocene, Maria" la supplico con lo sguardo.
Lei annuisce, comprendendo sia l'unica cosa possibile per me, ma quando meno me lo aspetto, sento la voce di Luca rimbombare nelle mie orecchie.
"Anita" cerco di trovare un'incrinazione nella sua voce ma,al contrario, il suo torno è fermo e serio.
Scelgo di ignorarlo.
Ma lui ritenta, imperterrito. Avverto muovere alcuni passi nella mia direzione e mi auguro non si spinga oltre, non quando siamo in ospedale e potrebbero guardarci tutti.
"Anita, forse..."Maria appoggia una mano sul mio braccio, stringendolo appena, ma facendo in modo che mi fermi. Io mi volto nella sua direzione, la guardo e questo basta per farle capire che non le darò ascolto.
"No Maria. Io devo andarmene, andiamocene" le sussurro, sentendo le lacrime salirmi agli occhi.
Lei non dice più nulla e, quando mi lascio Luca alle spalle, lui non fa più niente per fermarmi.

La porta del mio studio si chiude con un tonfo dietro di me.
"Non ti ho chiesto nulla, ma dopo questo, dopo che vi ho visti così, non posso fare finta di niente". La voce di Maria suona decisa alle mie spalle.
Mi volto, appoggiandomi alla scrivania dietro di me. Sono stata brava, ho ricacciato tutte le lacrime, non ho pianto. Devo solo resistere un altro po'.
"Non  c'è nulla da spiegare, Maria" ammetto, con gli occhi bassi.
Lei, allora, muove un passo verso di me, incrociando le braccia al petto.
"Anita, invece, io credo di sì. Sai, non mi è sfuggito come vi siate guardati in corridoio".
Il mio tono, a quel punto, si macchia di irritazione. "Cosa vuoi che ti dica, Maria? Vuoi che ammetti come io mi sia lasciata fregare dal bel dottorino? È questo che vuoi faccia? E allora lo farò, perché la verità è proprio questa e non c'è niente di più squallido nell'essere delusi e feriti dall'unica persona che avresti voluto non lo facesse!"
"Anita..."
"Va tutto bene" replico, avvertendo una lacrima scivolarmi lungo la guancia. No che non va bene, non va bene niente.
"Anita, tesoro" aggiunge Maria, facendosi vicina. Quando mi stringe in un abbraccio, ho la vista appannata dalle lacrime e lascio che lei mi dia conforto.
"Va tutto bene, ok?" mi sussura e io non faccio più niente per trattenermi, lascio che le lacrime facciano il suo corso.
Va tutto bene.

Da quando sono arrivata non ho ancora salutato Lucia, e me ne dispiace davvero tanto, perché se penso che lei un giorno possa andare via dall'ospedale, mi sale il magone.
Non voglio, però, che lei mi veda in queste condizioni ma, allo stesso tempo, ho intenzione di passare ogni momento libero con lei.
Incrocio nei corridoi lo sguardo di parecchi colleghi, e mi viene da pensare perché molti mi guardino in modo compassionevole. Sono messa davvero così male? O magari la scenetta di me e Luca ha dato scalpore e non ha fatto altro che alimentare i pettegolezzi.
Non me ne curo, adesso non ho tempo per questo. Voglio solo andare dalla mia piccola Lucia ed è quello che faccio.
Ma qualcosa, appena sull' uscio della sua stanza, mi fa bloccare.
Luca è lì, accanto a lei.
Vattene via Luca, vattene via.
Una mano si posa sullo stipite, e mentre sento il bisogno di andare via, le mie gambe faticano a muoversi dal loro posto. Allora rimango qui, e il mio sguardo si sofferma su di loro. Sono così belli. È bello il modo in cui Luca gioca con Lucia, e lo è altrettanto lei che si lascia andare ad una risata. Gioiosa, piena di luce.
Io vi guardo, Luca, e mi viene da pensare che tu saresti un padre perfetto, e sarebbe ancora più bello se tu lo fossi per Lucia.
Li guardo, silenziosa, spettatrice di un momento solo loro. Ma quasi come se Luca si fosse accorto del mio sguardo su di lui, si volta nella mia direzione e i suoi occhi bruciano su di me.
Beccata, è l'unica parola che riesco a pensare. Lui si è accorto di me e, quando mi nascondo, appiattendomi al muro dietro di me, mi rendo conto di non poter scappare.
Mi auguro solo che Lucia non se ne sia accorta, non riuscirei a sopportare la sua delusione nei miei confronti.
Avverto i passi di Luca farsi vicini e ci provo lo stesso. Provo a sfuggirgli. Muovo un passo, poi due, poi tre. Ma mi rendo conto che sia troppo tardi quando avverto la sua voce. Sono in trappola.
Prima che possa solo muovere un altro passo, sento le sue dita stringersi attorno al mio polso. La sua stretta è decisa. A quel punto, Luca mi tira verso di sé, costringendomi a voltarmi nella sua direzione.
Lo scontro con i suoi occhi è disarmante.
"Lasciami andare, Luca" gli sussurro, ma lui non mi dà ascolto. Sento la sua presa intensificarsi. "Adesso mi ascolti, invece"
"Lasciami. Adesso." gli replico, allora, con foga.
Luca scuote il capo a destra e a sinistra, rendendosi conto che nessuno ci stia ascoltando o sia nei paraggi. A quel punto,  nonostante io cerchi di divincolarmi dalla sua presa, puntando i miei a terra, lui prende a trascinarmi per il corridoio.
Non mi lascia finché non siamo nel mio studio. La sua presa è forte su di me e sento sia destabilizzante per il mio corpo.
Lui richiude la porta dietro di sé, appoggiandosi ad essa, facendo così in modo che non scappi.
Non posso scappare da lui e dal suo sguardo. E allora mi abbatto contro di lui, colpendolo al petto. Una, due, tre volte.
Ma mi rendo conto che, a differenza di quello che pensavo, ad ogni corpo sferrato, la rabbia invece di affievolirsi, aumenta.
"Adesso basta!" è un attimo prima che mi ritrovi bloccata dalla sue braccia. Ci osservo, ascolto il mio cuore che batte forte, il respiro affannoso.
Lo guardo a mo' di affronto. "Non voglio ascoltarti Luca, lo capisci o no?" gli rinfaccio con astio.
Luca sembra sorpreso dal mio tono, ma è un attimo, perché il momento dopo riprende ad urlarmi contro.
"E invece adesso mi ascolti e la smetti di fare la bambina. Credi che non mi sia accorto di quello che hai fatto prima, pensa se Lucia ti avesse vista scappare...sei proprio infantile!".
Sento ribollirimi dentro dalla rabbia e quando riesco a liberarmi dalla sua presa, lo spintono con forza.
"Tu?! Tu osi dare dell'infantile a me? Dopo tutto quello che hai combinato, la bambina sarei io? Ma ti senti?!"
"E allora ascoltami, posso spiegarti!"
"Ma cosa, cosa vuoi spiegare?" sbotto.
Non so esprimere con esattezza cosa succeda subito dopo ma è chiaro che l'urlarsi contro diventa quasi una sfida. 
Maria entra nella stanza, trovandoci trafelati per lo sfogo. Mi viene da pensare che non abbiamo sentito nemmeno che avesse bussato, tanto presi dalla nostra discussione, ma le sono grata per la sua intrusione.
Lei, al contrario, rimane ferma sulla soglia, in imbarazzo, resasi conto di aver interrotto qualcosa. Sia io che Luca cerchiamo di darci un contegno, voltandoci verso di lei, aspettando che apra bocca.
"Dottoressa, c'è la sua amica, ha bisogno urgente di parlarle".
Luca lascia la stanza poco dopo, nel silenzio più totale e quando Carlotta fa il suo ingresso nel mio studio mi rendo conto che ci sia qualcosa che non vada.
Maria ci lascia sole, e Carlotta comincia a parlare a raffica, gesticola nervosa. Sembra sia in preda ad una crisi isterica.
"Lottie..."la richiamo, ma sembra quasi impossibile calmarla.
"Io non ci credo, non ci credo..."proferisce in un sussurro.
"Di cosa si tratta esattamente?" le domando.
A quel punto lei lascia andare un sospiro frustrata, sembra che le costi tanto ammettere questa cosa.
"Si tratta di Federico, mi ha ingannata".
Rilascio uno sbuffo sonoro, portando le mani al cielo. "Anche lui? Andiamo bene!" ammetto esasperata.
Di una cosa ne sono certa, non c'è mai fine al peggio.

ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti, come state?
Spero stiate trascorrendo delle buone vacanze e che vi stiate godendo un po' di meritato riposo. Io sono al mare, in vacanza, ma qui c'è davvero un tempaccio, sta piovendo e ne ho approfittato per dedicarmi alla stesura del capitolo.
Ammetto che una buona parte di esso fosse pronta da tantissimo, ma un po' per mancanza di tempo, un po' per voglia, mi sono ridotta a finirlo solo ora. Però, meglio tardi che mai. Mi auguro che a qualcuno possa ancora interessare questa storia, e che il capitolo possa piacervi. Spero che Anita non risulti troppo melodrammatica, ma mettetevi nei suoi panni: si è sentita presa in giro e ferita dall'uomo che ama, non è una situazione facile da superare per lei...
Questo, però, è solo l'inizio di tante peripezie, anche perchè il motivo del comportamento di Luca non è ancora chiaro. Avete teorie a riguardo?🤔
Aspetto i vostri commenti e vi do appuntamento alla prossima, sperando non sia tra altri tre mesi!😅😂
A prestooo!







  
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