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Autore: Erenas    07/08/2018    0 recensioni
Maggie Pitts è una giovane ventitreenne. Vive a Toronto in Canada, studia all'università e nel frattempo lavora nel negozio del suo amico Caleb. Maggie ha difficoltà nel crearsi degli amici della sua età. Non ama le feste, non ama bere, non ama uscire. Resta in casa, con le tapparelle chiuse. I suoi unici amici sono la signora anziana della porta accanto, il fioraio e il musicista di settanta anni.
Durante il turno di lavoro alla cassa, Maggie incontra Shawn. I due avranno modo di rincontrarsi la sera dopo quando l'auto del ragazzo si blocca nel vialetto davanti alla casa della ragazza. I due inizieranno ha vedersi nuovamente la sera dopo.
Maggie che è sempre stata dentro casa, inizierà ad amare il mondo esterno?
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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Erano le undici meno un quarto ed io ero ancora fuori con Shawn. Le nostre spalle si sfioravano e lentamente ed in silenzio camminavamo l'uno accanto all'altra. Era così strana quella sensazione e Dio mi perdoni, non sapevo cosa fare, come comportarmi quando avevo lui attorno. Ed è la terza volta che succede. Tutte queste volte che l'ho avuto vicino, ho provato questa fastidiosa sensazione di nervosismo, di agitazione. 
Ero così dannatamente nervosa.

«Tutto bene?», chiese il ragazzo al mio fianco.

«Tutto bene», risposi guardando davanti a me.

«Che ne dici di conoscerci meglio?», fece lui. «Una domanda a testa. Parti tu», aggiunse.

«Non credo che sia il caso», risposi seccamente.

«Oh andiamo. C'è pur sempre qualcosa che vuoi raccontare, che vuoi dire; non puoi essere seria tutto il tempo. Le poche volte che ci siamo visti non hai parlato, solo farfugliato», fece una pausa. «Solo un: "Per stasera rimani ma domani te ne andrai". Voglio conoscerti».

Mi fermai sul mio posto, «La mia vita non è interessante, e non ho niente da raccontare», spiegai. 

Shawn ride. Si mise le braccia incrociate al petto e replicò: «non può essere. Almeno dirmi: il tuo compleanno, il tuo colore preferito. Qualunque cosa che parli di te; anche il tuo animale preferito. Qualsiasi cosa», supplica.

«Sono nata a novembre in un ascensore di un hotel a Santa Monica. Il mio colore preferito è il solito cliché nero, il mio animale preferito è l'alpaca e vorrei tanto che sputasse a qualcuno in questo momento», risposi facendo ridere il ragazzo accanto a me.

«Vedi? Non era così difficile», disse.

Sbuffai. «Per te, ma non per me», spiegai.

«Tocca a te. Fammi qualche domanda», disse guardandomi.

Pensai. Poteva essere la richiesta più facile, più semplice del mondo; ma passarono ben venti minuti dopo che Shawn me lo aveva chiesto. Ed io ero ancora lì a pensare. Shawn nel frattempo stava guardando il laghetto del piccolo parco in cui ci trovavamo. 
Mi fermai un attimo ha guardarlo. Notai che aveva alcuni tatuaggi suk braccio destro. Lì contai. Erano tre, da quel che potevo vedere.

«Sono belli», dissi. «I tatuaggi, intendo.»

Shawn osserva il suo braccio, facendolo muovere. Si spostò in alto la manica della maglietta fine che portava, mostrando un'altro messaggio, questa volta colorato.

«Ne ho quattro su questo braccio in realtà. Anzi, cinque se aggiungi l'otto. E uno, sulla mano sinistra fra due dita», spiega mostrando l'elefante.

Li osservai meglio. «Posso sapere i significati?», chiesi timida.

«Quello sulla mano, la rondine; è dedicato alla mia famiglia, alla voglia di stare a casa, di ritornare a casa. Quello con la chitarra ha diversi significati: come puoi vedere, qua c'è un lago. Poi, più in sù, ci sono delle onde sonore ovvero le voci della mia famiglia che mi dicono: "ti voglio bene". Infine, qua c'è la CN Tower. La puoi vedere tu stessa, guarda in alto a sinistra», spiega.

E lo feci. Guardai in alto a sinistra. La punta della CN Tower si vedeva da qui, in tutta la sua bellezza e maestosità. Ritornai su Shawn.

«Questo invece è molto particolare, e personale. Non mi sento di spiegarlo. L'elefante invece l'ho fatto insieme a mia madre. L'otto invece... ero ubriaco», risi alla sua ultima esclamazione.

Adoravo i tatuaggi fatti da ubriachi. Una volta, per un pomeriggio intero, grazie ad internet, passai un'ora intera a cercarli. Un ragazzo di soli diciassette anni da ubriaco, si tatuò Putin che cavalcava un pony sopra un arcobaleno con tante stelle attorno.

«E tu?», mi guardò. «Hai dei tatuaggi nascosti da farmi vedere?», chiese.

Negai con la testa. «Ho paura dell'ago. Non riuscirei mai ha farmi un tatuaggio», confessai.

«Fra una settimana ho un appuntamento con un tatuatore, verrai con me», sorrise.

«Non puoi costringermi», dissi nascondendo un sorriso che nel frattempo si era creato pian piano.

«Oh si, lo sto facendo. Prima o poi tutti superano le proprie paure», esordisce.

«Sentiamo signor, mi faccio gli affari degli altri: tu di cosa hai paura?», chiesi.

Ci fu un minuto di silenzio. Poi, scoppiò a ridere. «Fidati, è meglio che tu non lo sappia.»

Corrugai la fronte. «Perché? Hai ucciso qualcuno? Ti prego dimmi di no.»

Sorrise. «Diciamo che, non è una paura comune», fece una breve pausa. «Pomodori. Ho paura dei pomodori. Insomma, non è che ho paura; è che... mi fanno senso, mi fanno schifo», disse iniziando a parlare ha raffica. 
Scoppiai a ridere. Molte persone hanno paura dei ladri, squali, dei cani grandi, dei pipistrelli. Lui, ha paura dei pomodori. «Hai ragione, è strano», aggiunsi.

«Era meglio se stavo zitto», si impietosisce.

«Ok. Te ne dico una io. Anzi, te ne dirò due: ho paura degli squali e delle persone troppo alte. Tipo te», dissi indicandolo. Ricordo che lo feci ridere, quella sera.

Ridemmo entrambi, insieme. Ed era così magico, così genuino. Ricordo la freschezza di quella sera, il vento gelido ma piacevole che ti solleticava la pelle facendoti venire dei piccoli brividi. I peli che si alzavano creando il fenomeno della "pelle d'oca". La notte con quelle poche stelle che ha reso quella serata indimenticabile.

Le luci della città rendevano l'atmosfera romantica. Fottutamente romantica. E mi piaceva, dannazione se mi piaceva. E trovavo tutto così strano. Tuttavia, tornai al mondo reale quando mi accorsi che Shawn mi stava parlando.

«C'è qualcosa che non va?», chiese. «Stai tremando», aggiunse.

«Sto bene», dissi. «È solo che... vedere Toronto di notte mi fa strano», confessai.

«In che senso? Non hai mai visto Toronto di notte?», chiese sorridendo sotto i baffi.

Non me la presi. Nonostante io vivo qui da quasi un anno, non sono mai uscita la sera. Non ho ancora mai esplorato la città a pieno. Sono sempre stata in casa, da sola o con Tabitha e gli altri. Sono sempre stata con loro e mai con i miei coetanei. Per questo lo lasciato ridere e non me la sono presa.

«No, neanche un po'. Sono sempre stata in casa», confessai di nuovo. Il sorriso di Shawn si spense guardandomi poi, serio.

«E con questo cosa vorresti dire?», chiese cercando di trovare una soluzione alla mia affermazione.

«Che, in pratica, il mondo esterno non mi piace», confessai per la terza volta, quella sera. «Le persone in particolare», aggiunsi.

«È strano. Fottutamente strano», commentò.

Annuii. «Lo so», dissi. «È come se fossi allergica, mettiamolo per esagerazione. Università, casa, il negozio di cd e poi casa. È una rarità che io questa sera stasera sia uscita», spiegai.

«E perché l'hai fatto? Se detesti così tanto il mondo esterno?», chiese curioso.

«Volevo dimostrare qualcosa. Sai, all'anziana. Quella con i tanti capelli ricci e grigi ed occhiali e stile anni settanta con vestiti lunghi», spiegai. «Una sottospecie di sfida».

Il ragazzo rise. «Dannazione se è strano. In tutta la mia vita non ho mai incontrato nessuno come te, e ne ho incontrate tante, di persone», disse.

Lo interruppi, «Non mi piace essere presa in giro, Shawn. Ho fatto questa passeggiata con te per curiosità; per vedere come si comportano le persone normali. Come si comportano i miei coetanei, come si comportano le ragazze ad uscire con un ragazzo», spiegai. «Voglio che tu sappia una cosa: quando tornerò a casa, tutto questo finirà. Non sperare di rivedermi ancora», aggiunsi iniziando a camminare verso la strada di casa.

   
 
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