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Autore: Leonhard    13/08/2018    2 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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Nella sua testa passava e ripassava sempre lo stesso pensiero: scorreva davanti ai suoi occhi e svaniva oltre il lato destro solo per ricomparire sul lato sinistro ripetendosi sempre, riproponendosi di continuo, in qualche modo pavoneggiandosi come quegli struzzi impomatati che aveva visto nello spezzone di un film su FurTube. Andava e veniva come un sottotitolo, come un messaggio in sovraimpressione con uno schermo blu sullo sfondo; in quel momento non escluse a priori la possibilità di essere definitivamente, irrimediabilmente,

finalmente

uscito di testa. Si distaccò dalla finestra dell’ufficio e si sedette pesantemente sulla sedia del sindaco, riflettendo immediatamente dopo sulla possibilità che in fondo lo era sempre stato. Possibile che il siero modificato avesse come effetto collaterale una forma di follia che obbligava a prendere il potere su una città in quel modo?

Una città che sicuramente lo meritava, ma quel pensiero aveva perso ogni efficacia. Si sentiva spaesato e nonostante la stanza insonorizzata poteva quasi sentire la baraonda che stava ruggendo nella piazza sotto di loro, ben lungi dal suo termine. Ma nonostante tutto non era pentito, quello era l’unico pensiero che sembrava essere lontano anni luce da lui: aveva fatto quello che doveva fare ed avrebbe fatto quello che doveva fare e questa consapevolezza gli donò la sua solita voce annoiata nel rispondere ai tre colpi alla porta.

“Ah, i tre moschettieri” commentò guardando con occhi neutri Judy, Jack e Nick attraversare con passo deciso e sicuro la moquette dello studio e fermarsi a qualche passo dalla sua scrivania. Non risposero alla provocazione e nello studio aleggiò un silenzio che gli permise di studiare gli intrusi; l’ex-agente Hopps lo guardava con occhi decisi, senza la minima traccia di emozione che non fosse un solenne ed impettito risentimento quasi comico nella cornice della piccola coniglietta. Lo sguardo di ghiaccio di Jack era non meno comico, ma più azzeccato secondo la reputazione che per anni aveva aleggiato attorno al suo nome.

E poi c’era Wilde: una volpe a quattro zampe che palesemente aveva visto giorni migliori, probabilmente tutti iniziati con una doccia ed una pettinata alla coda. Il suo sguardo era neutro, forte e deciso come quello di ogni predatore; Bogo lo riconobbe come lo sguardo di un animale che stava cercando di capire se aveva davanti a lui una preda o qualcosa al cui cospetto era suo dovere stare tranquillo. Jack mosse infine un passo e si schiarì la bocca.

“Sindaco Bogo…” salutò. Lui ricambiò il saluto con un lento cenno del capo.

“Posso fare qualcosa per voi?” chiese. La lepre non ruppe il contatto visivo: se fosse sorpreso, inorridito o infuriato per la domanda o per il suo tono, Bogo non lo seppe mai.

“Avete fatto un bel casino in questa città” disse. “Rioni isolati e malgestiti, unità addette alla sicurezza cittadina assolutamente inadeguate, leggi che sono nulla più che regole non scritte ed una totale assenza di qualsivoglia assistenza: io non sono un genio come poteva essere la Duecento, ma non ho alcun dubbio né vergogna a chiamare tutta questa situazione anarchia. Noi siamo venuti qui dentro a fare una cosa che l’intera città si è palesemente dimenticata di poter fare”.

“E sarebbe?” commentò lui. La risposta fu data con altrettanta neutralità.

“Parlare, Bogo” replicò Jack; si avvicinò alla scrivania e si arrampicò sulla sedia davanti ad essa. “Parlare”.

“Forse voleva dire trattare…” osservò il bufalo. Quel pensiero era tornato, ma questa volta lo sfondo non era blu. Lui fece una spalluccia.

“Lo possiamo chiamare come vuole” disse. “Ma che sia una chiacchierata o una trattativa, bisogna sempre parlare: è ciò che ci distingue dagli animali primitivi”.

“Dai predatori, Savage” corresse malignamente Bogo. La lepre aggrottò un sopracciglio, mentre Judy tamburellò stizzita la moquette con una zampa. “Da quello che mi risulta, Wilde non è di molte parole”.

“Non credo sia nella condizione di fare del sarcasmo, sindaco” rimbeccò freddo Jack.

“E perché no?” replicò lui. “Perché c’è una città nel caos? Perché sono tornate le volpi?”.

“Esattamente, capitano” replicò Judy, guadagnandosi l’attenzione di Bogo ed un’occhiataccia da Jack.  Il Bufalo scoppiò sonoramente a ridere: sembrava genuinamente divertito.

“E quindi dovrei avere una paura matta di ciò che sta accadendo” commentò. “Per favore, Hopps. Dove pensa di essere, nel Montone degli Anelli? La città è sempre stata in preda al caos: il siero, gli Ululatori ed il caso Tujunga sono soltanto gli episodi più eclatanti. La città è arrivata al suo zenit, al punto di rottura e fidatevi, è solo un bene se tutta questa tensione sfocia in questo modo.

“Sì, sono tornate le volpi. Questo non vi fa riflettere? Non vi fa venire la curiosità di sapere almeno dove sono state? E proprio tu Hopps, così palesemente fissata con quel caso, dovresti solo trarne vantaggio da tutto questo: adesso che hai nuovamente al tuo fianco Wilde, non dovrebbe essere un problema fare luce su ciò che è veramente successo”.

“Non occorre, so già cosa è successo” replicò lei, maledicendo subito dopo la sua lingua lunga. Il sorriso del bufalo, tuttavia, non appassì.

“Oh certo” disse. “Posso immaginare che tu conosca il rapporto mai stilato di quel caso: lavorando con Savage e la Duecento immagino che qualche voce ti sia arrivata all’orecchio. Ma non ti sei mai chiesta come sia stato possibile? Non ti è mai capitato di domandarti come sia successa una sparizione di massa del genere di una singola specie animale?”. Si sporse verso di lei; con la coda dell’occhio vide i nervi di Jack tendersi, ma non dedicò loro l’importanza che avrebbe attribuito in altri casi.
“Non ti sei mai chiesta chi ci fosse dietro il caso Tujunga?”.

“Stiamo sviando il discorso, sindaco” s’intromise Savage, pacato. “Non siamo qui per rivangare casi passati”. Bogo assentì e tornò seduto, ma non mancò di riconoscere che il seme che aveva lanciato era atterrato nel posto giusto: non ci avrebbe messo tanto ad attecchire.

“E allora di cosa vogliamo parlare?” chiese.

“Della sua deposizione” fu la risposta. Diretta e brutale, esattamente il genere di risposte che gli piacevano. Sbuffò un sorriso e rimase in ascolto. “Noi le ordiniamo di rassegnare in questo momento le sue dimissioni e di uscire dall’edificio: il ritorno delle volpi è guidato dall’FBI, da cui si farà arrestare per abuso di potere d’ufficio, istigazione a delinquere, tentata strage ed un altro paio di reati a cui sicuramente sapranno dare un nome”.

“E con quale autorità mi ordinate una cosa del genere, se posso?” chiese ancora Bogo. Era tranquillo, come se sapesse di avere il coltello dalla parte del manico. Jack gli restituì uno sguardo glaciale.

“Con l’autorità che lei stesso ci ha conferito” rispose.

“Ah, con l’autorità dei Quattro Cavalli” commentò lui. Si abbandonò contro lo schienale della sedia. “Forse è il caso che vi informi che ufficialmente non siete mai esistiti: già prima non avevate alcun tipo di autorità ed ora…beh, facciamo la conta dei Cavalli sopravvissuti. Abbiamo una lepre disconosciuta e fuggiasca, una ex-poliziotta ed una volpe incapace di esprimersi: in questo momento non avete l’autorità nemmeno per far smontare una bancarella al mercatino delle pulci”.

La zampa di Judy era intorpidita a furia di tamburellare a terra. Era furiosa, era frustrata, era tristemente consapevole che loro non potevano nuocere a Bogo in alcun modo; era sul punto di prendere la rincorsa e fare…cosa voleva fare lei?...quando una zampa volpina si frappose fra lei e la porzione di pavimento davanti subito dopo.

Nick era lì, immobile ed apparentemente calmo. Judy lo studiò come se lo vedesse solo in quel momento: aveva davanti la sorgente di tutti i mali, uno dei pochi mammiferi in grado di indicargli il colpevole della morte di suo padre, eppure era fermo. Guardava Jack perdere terreno in una trattativa che non avrebbe mai vinto con uno sguardo altezzoso e pacato; deglutì pensando che quello era lo sguardo che aveva sempre riservato a Bogo in un tempo apparentemente remoto, quando entrambi indossavano una divisa blu.

Esplose prepotente il bisogno di un contatto con quella zampa, ma fu stroncato dal frastuono di una porta che sbatteva nel corridoio dietro di loro. Un rapido ticchettio di artigli contro il marmo e dalla porta aperta dello studio comparve Howler; il pelo era arruffato, la divisa lacera, gli occhi sbarrati in un’espressione di rabbiosa follia e i denti scoperti allo spasmo. Judy vide il pelo agli angoli della bocca macchiati di rosso.

Di Howler si stava occupando Vixen: cosa le è successo?

Judy ebbe appena il tempo di formulare la silenziosa domanda, poi Nick svanì dal suo fianco in un lampo rossastro. Alla vista della volpe scagliarglisi addosso, Howler trasformò il suo ringhio in un orripilante ghigno poi accolse la carica di Nick ed entrambi rotolarono fuori, svanendo dietro l’angolo con un concerto di ringhi, latrati e guaiti. Judy fece per seguirli, ma Jack la fermò.

“Non farlo, Hopps” disse pacato. “Di Howler si occuperà Wilde”. La coniglietta non si volse nemmeno.

“Sai una cosa, Jack?” disse con voce ferma. Strinse il piccolo pugno, radunando il coraggio di parlare. “Di tutto ciò che ha detto il capitano Bogo fino a questo momento, solo su una cosa mi trova perfettamente d’accordo”. Si volse verso la lepre. “Tu non hai l’autorità per fermarmi”.

“Lì fuori è pericoloso” replicò lui. Come a sottolineare il concetto, dal corridoio arrivò un guaito più forte accompagnato dal rumore di un vetro che andava in frantumi. “Non sei tu a dover salvare Wilde: le cose veramente importanti sono dentro questa stanza, non fuori”.

“Fai quello che devi fare” sbottò Judy. “Se dovessi scegliere tra questa città e Nick, per quanto mi riguarda Zootropolis può anche bruciare”.

“Zootropolis sta già bruciando” rispose Jack. “Comunque è vero: non ho l’autorità per fermarti. Solo, evita di farti sbranare”. Si disinteressò completamente alla coniglietta e si volse nuovamente verso Bogo, che guardava Judy lasciare la stanza con scarso interesse. Saltò sulla scrivania, attirando nuovamente la sua attenzione, si avvicinò e gli abbassò il collo taurino dalla cravatta; con l’altra zampa afferrò un tagliacarte e glielo appoggiò alla gola.

“Oppure possiamo rientrare ognuno nel proprio personaggio, sindaco Bogo” disse. La voce non era più fredda, ma compassata e tradiva un tono tagliente. “Si ricordi che prima del mio ingresso in polizia ero un assassino e ciò che quel lavoro insegna non lo si dimentica nemmeno in cento anni”. L’espressione di Bogo cambiò: il sorrisetto svanì ed un espressione grave gli invase il muso. “Può dare le sue dimissioni e farsi arrestare oppure possiamo raccontare di come un poliziotto, assunto personalmente da lei, nel mezzo di una crisi data dai suoi problemi mentali l’abbia uccisa e di come Wilde si sia prodigato alla cattura ma che, sventuratamente, il lupo era così mentalmente devastato da obbligarlo ad ucciderlo”.

“Non lo puoi fare” costatò lui. Jack sorrise: era maledettamente sinistro.

“Ah no?” soffiò lui. “Howler è su questo piano, Wilde lo sta combattendo e, cosa più importante, in questa stanza non ci siamo che io e lei: è convinto di ciò che ha appena detto?”.

 
Tutto fini in pochi secondi, troppo pochi perché Bogo potesse riflettere bene sulla sua situazione: riuscì solo ad elaborare che, in fin dei conti, Savage poteva effettivamente fare quello che aveva appena detto e molto probabilmente la sua storia sarebbe passata per vera. Vide la sua immagine riversa sulla scrivania con un lungo e profondo squarcio nella gola, quei tre piccoletti che amavano farsi chiamare con un titolo altisonante come i Quattro Cavalli scendere in piazza e dare istruzioni alle volpi perché calmassero definitivamente le acque. Li vide prodigarsi per distruggere tutto ciò che aveva creato e ricostruire una città che non si meritava nulla se non il caos, l’oblio.

Ma vide anche l’immagine della pistola carica e senza sicura che riposava tranquilla nel cassetto della scrivania, a pochi centimetri dalla sua zampa: avrebbe potuto prenderla se avesse giocato bene le sue carte. A tradirlo fu nuovamente il pensiero in sovraimpressione sullo sfondo blu: lo accecò per quel secondo di troppo, necessario a Nick di saettare dentro l’ufficio e buttarlo nuovamente contro lo schienale con una forza tale da strappare la cravatta dalla zampa di Jack.

I nasi dei due animali erano a pochi centimetri di distanza; Bogo era fisicamente incapace di distogliere gli occhi dalla volpe: gli occhi erano sbarrati e pericolosamente piccoli, il pelo irto e scarmigliato, i denti scoperti e quel basso ringhio prolungato mandava zaffate di morte. Ma fu solo quando notò gli angoli della bocca gocciolare sangue che il suo pensiero fisso venne accompagnato dalla paura: una paura ancestrale, primitiva, che mai in vita sua aveva provato.

Un paura che donava finalmente una risposta.

 
Sono un bufalo predatore.
Niente di personale, tesoro.
 



 
NOTA DELL’AUTORE:

Alla fine ci siamo: ci ho messo un bel po’ tra pause e ritardi, ma alla fine ci siamo arrivati.

Naturalmente mi riserverò un altro angolo, ma già da adesso ci tengo a ringraziarvi per il vostro supporto e la vostra pazienza. So che alcuni di voi si sono persi per strada e non posso assolutamente biasimarli, ma i miei ringraziamenti vanno anche a loro, a tutti coloro che hanno letto anche solo un capitolo di questa saga.

Con il prossimo capitolo giungeremo al tanto sospirato epilogo di questa storia: rinnovo l’appuntamento al prossimo aggiornamento, online quanto prima con la speranza che sia una fine degna delle aspettative.

Alla prossima, stay tuned
Leonhard
   
 
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