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Autore: KiarettaScrittrice92    15/08/2018    1 recensioni
Questa sarà una raccolta di storie che probabilmente tutti i fan dei due gemelli Kagamine (Rin & Len) conoscono già.
Ho deciso di farmi ispirare dai testi delle loro canzoni e tradurre il tutto in dei brevi racconti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Lime | Avvertimenti: Incest
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Migikata no Chou

 

Lo capisco. Capisco ciò che ti ha portato a lasciarmi. Oramai a scuola non si faceva altro che parlare di noi. La succulenta storia di quel bacio nell’aula di musica dei fratelli Kagamine era sulla bocca di tutti e non ti biasimo per avermi lasciato.
Eppure, se prima mi svegliavo nel risentire le note di quel pianoforte che tu accidentalmente avevi suonato, nel momento in cui venivamo scoperti, ora è un’altro terribile incubo a darmi fastidio.
Un incubo che ho proprio qui, davanti agli occhi. Vorrei svegliarmi, ma non posso. Perché non sto dormendo, sono chiaramente sveglio. Sono qui, a scuola, quella stessa scuola che ha parlato male di noi, nella stessa aula in cui è cominciata a crollare la nostra storia.
Tu stai sorridendo ingenuamente a lui e probabilmente è solo quello. Una cotta ingenua e semplice, ma non è la prima volta che succede, non è la prima volta che vedo questa scena e sta incominciando a infastidirmi. Nonostante non stiamo più insieme, nonostante tu voglia negare ciò che proviamo l’uno per l’altra, nonostante tutto, non posso vedere ciò che sta accadendo senza sentirmi quasi male.
Deglutisco, cercando di trattenere la bile e la rabbia, mentre lui, mi supera e se ne va e tu ti avvicini a me.
«Stai bene? Sembri pallido.» mi dici in un sussurro.
Ormai le parole tra di noi sono talmente rare, che mi pare ancora un sogno risentire la tua voce. Eppure mi domando perché. Perché mi stai chiedendo se sto bene? Come posso io darti una risposta? Quale risposta vorresti, poi?
«Sto bene.» rispondo appena, per poi andarmene e lasciarti lì.
Sento la rabbia montare in me. Non posso credere che mi hai chiesto seriamente come sto. Come se non mi stessi rendendo conto di cosa stia succedendo. Come se non avessi capito cosa tu stia facendo.
Ho ancora vivido in me il ricordo di quella meravigliosa sera di luna piena, di circa tre giorni fa, in cui tu hai detto ai nostri genitori che saresti uscita. 
È stato in quel momento che ho compreso tutto, che ho capito che non eri più mia e mi è quasi sembrato di impazzire. 
Quella sera, come anche tutti i giorni successivi, hai ricominciato a farti bella per qualcuno. Qualcuno che non ero più io. 
Non lo sai, ma in questi ultimi giorni sono rimasto spesso a guardarti, attraverso la fessura che lasci alla porta di camera tua. Ti osservo, mentre con il rimmel ti fai le ciglia più lunghe, in modo da risaltare i tuoi meravigliosi occhi azzurri, così simili ai miei. Hai persino ricominciato a portare il rossetto, di quel colore scarlatto che lo sai, mi faceva impazzire.
Eppure tutto questo non è più per me. Non ci sono più io al tuo fianco ed ora che vi ho visti insieme è chiaro come il sole.
Kamui Gakupo, quella farfalla viola che ormai si è poggiata sulla tua spalla destra e forse anche sul tuo cuore. Perciò è questo che vuoi ora? Adesso non ti piace più tuo fratello? Preferisci i giovani professori?
Sì capisco, forse è un amore proibito più sopportabile del nostro. Eppure non posso fare a meno di sentire un dolore straziante al petto, ogni volta che vi vedo assieme. La vostra complicità, i vostri sorrisi, sono gli stessi che avevamo io e te quando ancora eravamo convinti di essere solo fratelli, mentre ora, anche a casa, a malapena mi parli. Tutto questo mi spezza il cuore.
Mi ficco le cuffie alle orecchie e vado via, sperando e pregando che domani sia un nuovo giorno, ma so già che non sarà così.

 

Quando finalmente riesco ad addormentarmi, al posto dei pensieri, sono i sogni che cominciano a darmi il tormento.
Mi ritrovo bagnato, sotto la pioggia incessante. Abbasso lo sguardo sui miei abiti fradici, indosso la divisa scolastica.
Nel momento in cui rialzo lo sguardo, tu sei lì. Ferma immobile, proprio come me. I tuoi biondi capelli sono completamente bagnati e gocciolano sull’asfalto, esattamente come fa la pioggia. Vedo il tuo corpo scuotersi leggermente e non so se è per il freddo che la pioggia sta portando con se e che entra fin dentro le ossa, oppure per i singhiozzi. In realtà non so nemmeno se stai piangendo. Sei troppo lontana perché io possa capirlo. Troppo lontana per riuscire a raggiungerti.
Decido comunque di provarci, ma appena comincio a muovermi, tu cominci a correre. All’inizio ho quasi l’impressione che sia tu quella che vuole raggiungermi, ma poi mi accorgo che stai solo cercando riparo. Mi superi, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, quasi come fossi un fantasma. Decido di entrare anche io nell'edificio e subito due ragazze si avvicinano a me. A malapena sento le loro parole, credo siano preoccupate per la mia salute, visto che sono bagnato dalla testa ai piedi, ma a me non importa.
I miei occhi sono puntati su di te, come i tuoi lo sono su di me. Questa volta sembra che tu mi abbia notato. Rabbrividisco nel vederti così. Bagnata, affannata, tremante. Distinguo perfettamente il pizzo del tuo reggiseno sotto la camicia fradicia della divisa. Tu probabilmente ti accorgi di quel mio sguardo, un po’ troppo malizioso e impuro per i tuoi gusti e, dopo esserti coperta il petto con le braccia, ti volti e te ne vai.
Tento di inseguirti, ma improvvisamente vedo qualcosa passarmi accanto. È una farfalla, una farfalla viola, mi supera, muovendo freneticamente le sue ali delicate. Solo a quel punto tu ti fermi e ti volti verso di noi e nel momento in cui vedi la farfalla il tuo viso si illumina e ricominci a sorridere.
A quel punto mi sveglio di soprassalto. Maledetto sogno, maledetta farfalla, maledetto Gakupo.

 

L’illusione che oggi sarà un giorno diverso era già debole dopo ciò che ho sognato durante la notte. Per non parlare di quando questa mattina ti ho visto mettere lo smalto rosso, invece di quello giallo che mettevi sempre per me, ed io stupidamente, mi sono avvicinato a te e ti ho regalato quegli orecchini viola che, maledizione se avessi saputo prima cosa mi stava succedendo e come mi sta riducendo questo tuo nuovo rapporto, forse non li avrei nemmeno comprati. Eppure questa mattina te li ho dati lo stesso, perché nonostante tutto sei la mia sorellina e vedere sul tuo viso quel sorriso entusiasta per me è il massimo della felicità.
Per lo meno questo era quello che credevo, perché improvvisamente quella flebile illusione svanisce non appena salgo le scale e vi vedo lì, sul pianerottolo. 
Siete uno di fronte all’altra e lui, lui è troppo vicino a te. Troppo. Perdonami, ma non ce la posso fare. Il solo vedervi insieme mi fa male, mi fa sentire l’impellente bisogno di avere la tua attenzione. Sento un vuoto dentro di me da ormai più di un mese e ora so che tu sei l’unica a poterlo colmare.
Ti afferrò il polso e ti porto via da lui.
«Len! Che diavolo stai facendo?! Len!» continui a protestare tu, ma io non voglio ascoltare le tue proteste. Non finché tu non avrai ascoltato le mie.
Quando però entriamo dentro l’aula di chimica e mi fermo tu, ancora adirata, ti liberi dalla mia presa. Non ho nemmeno il tempo di aprire bocca, che quella stessa mano che hai liberato si scaraventa contro il mio viso.
La mia guancia comincia a pulsare, esattamente allo stesso ritmo di come batte il mio cuore.
«Devi smetterla! Smettila di trattarmi come una bambina! Lasciami vivere!» mi urli addosso.
Nel momento in cui vedo le tue lacrime, comprendo. Quello schiaffo, me lo sono decisamente meritato. Eppure dovresti cercare di capirmi anche tu. Non riesco ancora a controllarmi. Non è colpa mia se il mio cuore batte ancora per te, non è colpa mia se quel terrificante veleno, chiamato gelosia, ha ormai infettato ogni cellula del mio essere.
Eppure mi pento di quello che ti ho fatto. Ti ho fatta piangere e questo è qualcosa che mi spezza il cuore ancora di più del vederti con lui. 
Vorrei morire per quello che ho fatto e quasi spero che non mi perdoni.
«Hai ragione tu Rin…»
Crollo a terra, chiudendo gli occhi e aspettando che tu te ne vada. Che mi abbandoni qui, tornandotene da lui, dalla tua farfalla.
Vorrei fuggire, vorrei scappare da qui, ma improvvisamente sento un rumore che non mi aspetto.
Un fruscio. Apro gli occhi e ti vedo tenere tra le mani il nastro bianco che solitamente ti lega i capelli. 
In quel preciso istante ti metti sopra di me, con le gambe da entrambi i lati del mio corpo inerme, e perdonami se riesco a vedere distintamente il tuo intimo da sotto la gonna.
Tu però decidi che non posso più guardare nulla, perché lasci andare quel nastro e ti allontani.
Mi tiro su, serrando le mani attorno ad esso e portandomelo al viso. C’è ancora il tuo profumo e, improvvisamente, percepisco la fitta definitiva e il mio cuore che comincia a sanguinare. 
No, non posso permetterti di andartene, non così. Non senza averti chiesto scusa, poco importa se mi perdoni o no.
«Rin! – dico tirandomi su e correndoti dietro, proprio come nel sogno della scorsa notte – Rin!»
Ti blocco di nuovo, proprio in mezzo al corridoio, qualcuno ci sta guardando, ma non m’importa. Non più.
Ti volti verso di me e improvvisamente so cosa fare. Ti prendo dalle spalle e ti porto a me, stringendoti.
«Perdonami Rin, mi dispiace. Sei… sei libera di frequentare chi vuoi. Ma ti prego, ti scongiuro, non abbandonarmi mai più, non è colpa mia io… Io ti amo ancora.»
Le ultime parole le dico in un sussurro, ancora più leggero, in modo che possa sentirmi solo tu e percepisco il tuo corpo rabbrividire nell’ascoltarle.

 

Non so come sia successo, ma ora siamo qui. Io e te. Sul letto in camera mia. Tentando di non farci sentire dai nostri genitori che, sicuramente, non capirebbero, anzi ne rimarrebbero sconvolti.
Ma in fondo sappiamo bene a cosa andiamo incontro. L’abbiamo sempre saputo. Sin da quel primo bacio un mese fa in quella classe, quel bacio che ha scaturito tutti i pettegolezzi su di noi. Pettegolezzi di cui, ora, c’importa poco.
Mi accarezzi il petto, con le tue mani smaltate ancora di rosso, mentre io osservo la tua spalla nuda, coperta solo dalla sottile spallina del reggiseno. Ora non c’è più la farfalla viola ad occuparla.
Ora, sei solamente mia!



Angolo dell'autrice: 
Lo so, lo so, era da una vita che non aggiornavo questa raccolta, ma a mia discolpa posso dire che non è facile trovare le versioni dei Kagamine, di qualsiasi canzone si tratti.
La versione di questa canzone l'ho trovata particolarmente bella. Vediamo Len essere geloso Gakupo Kamui, che se non sbaglio è il partner di Luka, che guarda caso ha i capelli viola, infatti la traduzione del titolo della canzone è proprio "Una farfalla viola sulla tua spalla destra".

Come al solito vi consiglio di rileggerla con la canzone in sottofondo.

  
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