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Autore: LeanhaunSidhe    25/08/2018    12 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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In un clan come quello di Imuen, Zalaia era quanto di più distante avrebbe potuto esserci tra i suoi simili. Suonava il violino, appassionato di medicina e di belle donne, con un sorriso sghembo sempre a colorargli il viso. Aveva poco della grazia e della perfezione nei movimenti che caratterizzavano il resto dei suoi fratelli. Allo stesso tempo, era forse l'unico che avesse il privilegio di maneggiare un'arma simile a quella del suo maestro, una falce dello stesso tipo che gli umani attribuivano ai contadini dei secoli scorsi ed all'effige dell'oscura signora.

Seleina ebbe modo di conoscerlo presto: durante i primi tempi dell'addestramento passava più tempo in infermeria a farsi medicare qualche nuova ferita che al fianco di Haldir ed il giovane era il figlio della guaritrice. Mnemosine li presentò volentieri e Zalaia squadrò la nuova arrivata come si osserva uno strano esserino grazioso. Avanzò diretto verso la biblioteca, motivo per cui raggiungeva quasi quotidianamente, anche se per pochi istanti, sua madre. Tirò via un volume sulle arti cerusiche di un qualche popolo di cui si era persa memoria. Stranamente, però, quel giorno si attardava. Cercò più a lungo e prese un altro volume, che poi lanciò alla ragazzina bionda, che lo afferrò sorpresa.

Poiché non era pratica della lingua dei figli di Imuen, lei impiegò troppo tempo per tradurre il titolo e capire cosa fosse. Era un trattato su come venivano composte le salme dei figli di Haldir secondo la tradizione del loro popolo. Parecchio scossa per i risultati non proprio soddisfacenti di quei primi giorni di allenamento, Seleina glielo avrebbe lanciato volentieri in testa, certa che la non proprio velata allusione sulla sua prossima morte, se non avesse smesso di intestardirsi a diventare una loro guerriera. A passo di marcia, ignorando del tutto il richiamo di Mnemosine, che le suggeriva di lasciar perdere, poiché aveva allevato un figlio idiota, aguzzò l'olfatto ed annusando l'aria trovò facilmente la traccia che cercava. Almeno il fiuto era migliorato parecchio in quei giorni. Senza saperlo, arrivò nell'ala del palazzo dedicata alla lettura degli antichi testi. Era vuota e non si fece scrupolo di buttare con malagrazia quel volume sotto al naso del ragazzo più grande.

 

"Se hai problemi con me, dillo apertamente."

 

Esordì con mala grazia, mentre l'altro riponeva gli occhiali in una scatolina di pelle e si alzava dalla sedia, arrivando a sovrastarla del solito mezzo metro e oltre, come tutti i maschi di quella razza.

 

"Avrò problemi con te se non ti sposti immediatamente da qui e non mi lasci tornare alla mia lettura."

 

Zalaia aveva assottigliato lo sguardo e per rendere più chiaro l'intento aveva richiamato qualche fuoco fatuo attorno a sè, a rischiarare di una luce sinistra l'ambiente circostante.

 

La ragazzina, complice il fatto che con quel corpo sentiva meno dolore, aveva preso la pessima abitudine di non sottrarsi mai a nessun duello, senza valutare bene l'esatto potere dell'avversario che aveva davanti. Aveva iniziato a concentrarsi e l'azzurro che caratterizzava le sue iridi era ormai arrivato a coprire per intero la parte bianca dei suoi occhi.

 

Finalmente consapevole del fatto che quella matta, davvero, voleva battersi, Zalaia scoppiò in una risata e si lasciò cadere sulla sedia. Disperse la propria aura e le fece cenno di andar via, ricominciando la propria lettura.

 

Confusa, la giovane esalò un sospiro tremante. Si avvicinò di nuovo e poggiò le mani su quel testo: non se ne sarebbe andata senza una spiegazione.

 

"Pensi che faccio così schifo come avversario che non vale nemmeno la pena di sporcarsi le mani con me, vero?"

 

Zalaia si massaggiò le tempie, irritato.

 

"Hai cominciato l'addestramento da nemmeno un mese e sei in parte umana. Ti aspettavi di diventare superman in quattro e quattr'otto? Io sono per metà umano e mi alleno da quando ne avevo cinque anni. Anche io ho trascorso più tempo in infermeria che sul campo. Da tempo al tempo. Usa il cervello prima che le mani. O morirai prima di aver espresso il tuo vero potenziale."

 

Seleina abbassò le spalle.

 

"Davvero sei per metà umano? Uno forte come te?"

 

Zalaia si gongolò sulla sedia. In pochi non sapevano della cosa, gusto chi non aveva trascorso parecchio tempo al loro villaggio.

 

"Ebbene sì: sono mezzo umano e sono l'allievo più dotato di Imuen. Solo che ci ho messo più tempo degli altri per diventarlo."

 

Poi sorrise e le sue zanne, in lunghezza, non avevano nulla da invidiare a quelle degli altri maschi del clan, anzi.

 

"e adesso godo nel ricordare a tutti gli altri, specie a quelli che mi tormentavano da cucciolo, la mia schiacciante superiorità."

 

Una certa sorpresa aveva invaso l'espressione della più piccola, ora attenta all'odore di quel giovane maschio che, in effetti, un po' di umano aveva.

 

"Anche tuo padre è asgardiano?"

 

A quella domanda, l'atteggiamento di Zalaia mutò all'istante. Chi lo conosceva, sapeva bene che non doveva rivolgergli quelle parole.

Seleina, però, a causa dei propri poteri, era abituata a conoscere e custodire risposte che non le spettavano. Non aveva filtri tra cervello e cuore. Sapeva che si sarebbe arrabbiato ma chiese ugualmente. Era curiosa.

Fu trafitta da occhi ardenti e da quel silenzio arrabbiato si arrese a comprendere. Era qualcuno di cui sarebbe stato meglio non sapere.

 

Sapevano solo che presto i perduti avrebbero lasciato i confini di Asgard. Al grande tempio, per il momento, pensarono di agire su due fronti: mandare a pattugliare quelle zone i più esperti delle energie fredde e cercare nel contempo di documentarsi il più possibile su quanto stesse per verificarsi.

 

Cristal era la guida migliore che potessero trovare per Asgard e Aquarius la migliore guardia che si potesse offrire. Camminavano silenziosi, fianco a fianco, mentre perlustravano le campagne esterne prossime al confine orientale con perizia. Kiki li aveva informati di un luogo in cui il vento era così inteso da non permettere una sosta prolungata neppure ad un cavaliere e si erano avventurati là. Cristal sapeva solo che era uno dei pochi posti di quella terra che i Dunedain avevano tenuto solo per sè. Di sicuro, nessun Asgardiano sano di mente ci si sarebbe diretto, men che meno da solo. Accadevano fatti strani da quelle parti ed il vento, in effetti, non si placava mai, in nessun periodo dell'anno. Apprendere che sua figlia poteva dirigersi la non appena Kiki l'avesse chiamata, avvertita da un semplice richiamo a voce, lo turbò ancora di più. Significava che il legame profondo di sua figlia con Haldir era iniziato molto prima di quanto lui avesse temuto. Seleina possedeva poteri estranei agli uomini ma non a quella razza da troppo tempo. C'era un'energia prodigiosa di cui, con il loro cosmo, riuscirono ad aver ragione per una decina di minuti appena. Poi, i cristalli di ghiaccio che vorticavano, si fecero ancora più freddi delle loro paure, avvicinandosi allo zero assoluto più di quanto loro stessi poterono. Gli anelli del Cigno* con cui Aquarius si proteggeva furono i primi a cedere. Contrariato, Cristal aumentò la dimensione dei propri, per accogliere al loro interno anche colui che fu il suo maestro. Iniziò ad espandere il proprio cosmo, sotto lo sguardo sbigottito del compagno, che quasi stentava a riconoscerlo, in quello sfogo inquieto. Presto, infatti, le minuscole lame che li circondavano cominciarono ad insinuarsi anche nell'ultima barriera. Graffiato in più punti, invece di cedere, Cristal lanciò una polvere di diamanti verso il cielo che, per qualche istante, parve sovrastare l'assurda energia che li opprimeva ed avvolgerli nel silenzio. Furono pochi attimi di calma inquieta. Poi, mentre osservavano attenti, l'uno coprendo le spalle dell'altro, furono scaraventati via, a sbattere vicino alle conifere che si erano lasciati alle spalle parecchi metri prima. Il messaggio era chiaro: chiunque comandasse da quelle parti, li non li voleva.

 

La Casa del Cancro, in teoria, avrebbe dovuto essere stata purificata, dal momento che il custode era stato redento. Per quale assurdo motivo, allora, a lui era impedito il giusto riposo? Death Mask non riusciva a riposare da giorni, più o meno da quanto erano tornati alla vita, eccezion fatta per quell’unica sera che se l’era spassata a Rodorio e, ubriaco, non aveva fatto in tempo a tornare a dormire nel suo letto. Ma erano stati il vino o le grazie della compagnia? Arrabbiato, calciò via lenzuola e coperte. Lanciò il cuscino a terra e, con solo mezzo pigiama in dosso, si era tirato fuori dal frigo una bottiglia di rosso. Era deciso ad attaccarsi direttamente alla bottiglia quando il ricordo di fenomeni a cui non sembrava più abituato, si affacciò come un lieve sentore alla sua mente. Afferrò un calice dalla cucina e puntò lo sguardo su di esso. Per un istante, l’ombra scura di un volto attraversò il cristallo perfetto. Death Mask si accigliò: finalmente iniziava a comprendere che, forse, era qualcuno che voleva comunicare con lui a impedirgli una sana dormita. Impaziente e attento, ripose il bicchiere. Con tutta la calma che riusciva a imporsi, poggiò il vino sul tavolo della cucina, si sedette con malagrazia sulla prima sedia libera, rigorosamente a gambe larghe, braccia conserte, e la rabbia che stava salendo a mille. Riuscì a stare zitto solo per pochi secondi, poi, esasperato dal silenzio, proruppe con rabbia:

 

“Sono qui e sono in ascolto! Che diamine aspetti a dirmi quello che devi?”

 

Batté il piede a terra e stava per lanciare sul pavimento anche la bottiglia. Si fermò solo perché si accorse di un minuscolo fuoco fatuo che si apprestava. Finalmente, avrebbe capito che accidente volesse ed avrebbe potuto dormire.

 

Seleina aveva riflettuto a lungo sulle parole di Zalaia: doveva dare tempo al tempo. Non era semplice imparare. Doveva usare il cervello. L’istinto, invece, suggerendole di buttarsi a capofitto in ogni impresa, la portava a rischiare in maniera sconsiderata. Sbuffò: cosa avrebbe potuto fare se non era ancora abbastanza forte? Le passò davanti un cucciolo che correva via dalla madre, perché stava per prenderle sonoramente. Seleina spalancò gli occhi: forse era una sciocchezza, forse un’intuizione. Se non sarebbe mai diventata forte, poteva comunque provare ad essere veloce. Aveva una corporatura minuta per una Dunedain ma era scappata correndo da uno dei perduti, lanciando un colpo solamente. Poteva provare di assestare numerosi colpi di più lieve entità, lanciati rapidamente. Richiamò alla mente gli insegnamenti che suo padre dava ai suoi allievi più dotati. Come funzionava quella storia di superare la velocità del suono e poi quella della luce?

La sera stessa, dopo essere passata per l’ennesima medicazione in infermeria, corse a letto senza neppure degnare Zalaia di un saluto. Aveva un pensiero fisso in mente. Doveva alzarsi presto. La mattina seguente, avrebbe iniziato a correre. Non si accorse dello sguardo curioso di Mnemosine, che passò da lei a suo figlio.

La guaritrice, infatti, aveva fermato Zalaia prima che sparisse con un altro libro.

 

“Che le hai detto per motivarla così?”

 

Il ragazzo alzò le spalle.

“Quello che è successo a me da cucciolo.”

 

Mnemosine sorrise appena, riponendo le garze. Il figlio le chiese il motivo della sua richiesta e lei si fece nostalgica.

 

“Anche tu avevi quello sguardo, spesso, da piccolo. Non vorrei che abbia imboccato la strada giusta .”

 

Zalaia sfoggiò un’espressione vivace.

 

“Lo spero! Non vedo l’ora che quei cretini del campo inizino a prenderle da un altro mezzosangue: femmina poi, sai che risate!”

 

Mnemosine non poté biasimare l’entusiasmo del figlio. Solo, lo pregò di fare attenzione: non doveva immischiarsi nelle faccende di Haldir, dopotutto la ragazza era sua allieva ed egli sembrava molto geloso in proposito. Zalaia stava per andare via, che quella sera aveva preso impegni con un’altra ragazza, che lo interessava per tutt’altro. Si ricordò che anche Imuen, il suo maestro, aveva notato la stessa cosa e si era definito stufo dei misteri del gemello sull’argomento. Quella era la faccenda da cui doveva stare davvero lontano, perché significava che Imuen ne stava progettando una delle sue e lui, in quella probabile scaramuccia tra fratelli, non ci voleva proprio entrare.

 

Quella notte, Death Mask aveva dormito come un angioletto. La mattina seguente, di buon’ora, si era diretto, nella sua scintillante armatura, verso la biblioteca del grande Tempio. Se le informazioni che aveva ricevuto si fossero rivelate esatte, avrebbe ottenuto più lui con qualche ora di sonno che due cavalieri ben più forti di lui, in ricognizione fuori dalla grecia a nome del grande tempio. La cosa non gli dispiaceva affatto, doveva ammetterlo. Durante la scalata, i compagni delle case superiori gli diedero il permesso senza obiettare, certamente uno più curioso dell’altro. L’espressione più divertente, benché più accennata, fu senza dubbio quella di Virgo che, mai, probabilmente, avrebbe associato un libro alla sua persona. Quella più teatrale, di sicuro la ebbe Pisces, che restò dapprima in silenzio e poi, dopo averlo tempestato di domande, lo seguì ridendo, sempre a bassa voce, perché è più educato, dall’inizio fino alla fine del dodicesimo tempio.

Arrivato alla biblioteca, con mano sicura, aveva estratto un tomo da uno degli scaffali più impolverati ed era rimasto in contemplazione di quelle pagine, rigirandole in fretta, per delle ore. Nessuno oltre a Death Mask, in quell’epoca, aveva il potere di interpretare il volere degli spiriti e, ad occhio esterno, era visibile solo una tenue luce verdina che rischiarava la lettura del tenebroso custode, danzandogli ora sulla spalla, ora sul mantello, ora davanti al naso. Saga, la cui probabile nuova carica sarebbe stata quella di gran sacerdote, l’aveva raggiunto con la scusa di avere ragguagli sulla situazione. Nella penombra dell’ala più vecchia di quelle stanze, gli era sembrato di scorgere il profilo evanescente di un vecchio che indicava a Death Mask ora questa ora quella pagina ed il cavaliere che, attento, non perdeva neppure una sillaba di quelle indicazioni.

Incerto se stesse avendo nuove pericolose allucinazioni o se ci fosse qualcosa di temibile sotto, Gemini provò a sedersi allo stesso tavolo del compagno d’armi. Cancer ripeteva a bassa voce una nenia: pareva in trans. Era del tutto incosciente della sua presenza. Per sincerarsene, Saga gli posò la mano sulla spalla. Provò a scuoterlo appena ed una leggera scarica elettrica gli comunicò che, per il momento, già l’osservazione del singolare fenomeno era troppo. Puntò lo sguardo sul fuoco fatuo che passava in circolo attorno al quarto custode. Il vecchio che vedeva e non vedeva, d’un tratto, si fissò su di lui. Saga si alzò all’istante, sbattendo la sedia a terra. Sudò freddo, col respiro corto. Fu sicuro, per una frazione di secondo, di aver avuto di fronte lo stesso Imuen, che lo fissava deridendolo. Il rumore che causò distrasse finalmente Cancer che, con la sua vera espressione strafottente, lo guardava stralunato.

 

“Che ci fai, qui?”

 

Gli chiese infatti, senza tante cerimonie. Saga, riavutosi, gli pose poche domande, per cercare di capire cosa lui, invece, stesse facendo, e sotto l’influsso di cosa. Death Mask, compiaciuto, aveva però chiuso il libro con un tonfo e glielo aveva posto tra le mani.

 

“Ho appreso cose interessanti. Di sicuro, il cavaliere del Cigno e dell’Acquario avranno scoperto più di me. Non sono ancora rientrati?”

 

Poi lo aveva sorpassato, diretto di nuovo alla quarta casa, che era ormai sera. Appena possibile, sarebbe passato a fare rapporto dalla dea. Aveva da raccontare cosa aveva imparato dei perduti. Saga lo tenne d’occhio finché non si fu allontanato. Il fuoco fatuo che lo circondava e pareva controllarlo era sparito.

Quando fu solo, il cavaliere dei gemelli aprì il libro. Era scritto in una lingua che non conosceva.

 

Seleina aveva corso per tante mattine. Aveva esaurito il fiato che aveva e anche di più. Prendeva sempre il solito passaggio, quello dove gli spiriti dei maggiori fra gli antichi dunedain alzavano il vento e nascondevano i loro discendenti. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché di percepire il cosmo di suo padre e di uno degli altri cavalieri. In teoria, avrebbe dovuto andarsene ma c’era stato troppo di non detto nella sua fuga, troppo di non spiegato. Suo padre non le avrebbe mai fatto del male o imposto nulla e lei aveva bisogno di capire quanto fosse diventata veloce, di spiegare le sue ragioni, prima di proseguire per la strada che aveva scelto.

Percependo l’odore marcato dei due uomini, si rese conto che non era la prima volta che venivano da quelle parti. Ormai aveva imparato a nascondere la propria aura. Se voleva palesarsi, doveva farlo a voce. Si avvicinò fino a distare pochi passi da loro. Si schiarì la voce. La prima parola che riuscì ad esalare, fu solo “papà”.

Incerto se fosse realtà o sogno, Cristal la ghermì per le spalle. L’attirò a sé e l’abbracciò forte. Solo così si rese conto che fosse già diventata più alta di qualche centimetro e la sua fisionomia avesse iniziato a cambiare. Lentamente l’allontanò da sé, osservato a poca distanza anche dal suo vecchio maestro.

 

“Stai bene, figlia mia?”

 

La vide annuire, come se si vergognasse. Si nascondeva le mani e ne intuiva chiaramente il motivo.

 

“Non sono mai stata meglio. Da quando è avvenuto… non ho più avuto una sola crisi.”

 

Cristal strizzò gli occhi, come se si fosse tolto un enorme peso dal cuore.

 

“Davvero nessuna?”

 

La ragazza negò di nuovo, fissando il terreno.

 

“Neppure una. Ci sono solo io nella mia testa ora!”

 

Si sentì sollevare per il mento. Si vide osservata con attenzione.

 

“In effetti, non hai occhiaie e pare che tu abbia messo su peso.”

 

Ne osservò compiaciuto le forme più generose ma non gli sfuggirono i tagli sulle braccia e i lividi.

 

“Hai un cosmo, Seleina?”

 

La ragazza lo ricambiò, confusa.

 

“Non ne ho idea padre, io… corro soltanto.”

 

Cristal non riusciva a lasciarla andare.

 

“Corri veloce… così veloce da sfuggire anche ai perduti.”

 

La ragazza boccheggiò. Non aveva idea di come ne fossero al corrente. Quando apprese della nottataccia di Kiki, ne fu dispiaciuta. Presto, però, l’ululato di un enorme lupo squarciò. Fece per allontanarsi ed Aquarius, fino ad allora mero spettatore, si palesò.

Di nuovo, lei precisò di non poter restare.

 

“Verrò, ma non ora. C’è ancora molto che debbo imparare.”

 

Fu un saluto sussurrato nel vento: l’arrivederci a presto, prima di una nuova battaglia.

Note:
1 - Solitamente, gli Anelli del Cigno servono ad immobilizzare l'avversario, qui ho ipotizzato che servissero come barriera difensiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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