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Autore: Pan84    28/08/2018    0 recensioni
Un sogno per quanto brutto non fa più paura alla luce del sole. Ma quando i personaggi dei tuoi incubi varcano il confine della dimensione onirica, allora nulla è più come sembra.
La vita di Elena non sarà più la stessa, stretta in una realtà confinata tra sogno e veglia, tra la rassicurante presenza di Damon e l'inqiuetante insistenza di Klaus. Tenetevi pronti per un viaggio attraverso i vostri peggiori incubi.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Lungo la scalinata di marmo bianco risuonano i nostri passi.

Sono l'unico rumore a parte il battito del mio cuore. Man mano che avanzo verso la cappella avverto in lontananza il brusio della congregazione riunita.

Fiaccole pendenti alle pareti illuminano il mio cammino. L'ultimo cammino da donna libera da doveri, dal peso della responsabilità, dal mio infausto destino.

L'ultima possibilità di poter scegliere chi amare.

Damon è al mio fianco, la sua presenza è per me più fonte di rimpianto che di conforto.

Il portale di legno massiccio si spalanca al nostro arrivo. Le tre navate sono avvolte dal profumo di rose e mimose che fanno bella mostra sugli altari laterali, iluminati dalla traballante luce delle candele. La chiesa è avvolta da un leggero fumo, come foschia in una fredda mattina invernale, rende tutti i contorni indistinti.

Dall'entrata centrale riesco a malapena a intravedere il fondo della navata principale. Avanzo lungo il corridoio rivestito di broccato bordeaux e l'immagine nel fondo dapprima sfocata inizia a prendere forma.

Al mio fianco la figura di Damon diventa sempre più inconsistente, ad ogni passo lo sento più distante, fino a quando svanisce del tutto quando i miei occhi incontrano il profilo del mio nuovo destino.

Il rituale non mi permette di guardarlo in viso, abbasso lo sguardo. Le sue dita, lunghe e bellissime, stringono il manico di un pugnale d'argento. Non riesco a vedere il suo volto, ma solo per un istante intravedo i suoi occhi di ghiaccio che si riflettono sulla lama.

Occhi di polvere di luna, così diversi da quelli caldi e rassicuranti di Damon, mi scrutano con insistenza e avverto in quegli occhi l'ombra di qualcosa di oscuro, qualcosa che contrasta con la purezza di quel colore. Ombra nera come la pece, come le penne di un corvo che brillano nella notte.

Trattengo il respiro e in un istante sento quell'ombra avventarsi su di me e affondare la lama prima sul mio polso sinistro e poi sul suo.

Terrorizzata spalanco gli occhi nel buio della notte.

Sono sola in camera da letto, Matt è ancora chiuso nel suo studio al pc.

Cerco di alzarmi facendo leva sul braccio sinistro, ma un dolore lanciante al polso mi sorprende e ricado di nuovo sul letto.

Accendo la luce sul comodino e giro il braccio per vedere meglio. La cicatrice che ho da quando ero bambina pulsa rossa sulla mia pelle bianca.

"Forse sto ancora sognando", ma mi rendo presto conto che non è così. Sono completamente sveglia.

Tutto questo non ha senso....

Quella cicatrice è lì da quando avevo circa tre anni. In un pomeriggio di primavera giocando tra le aiuole del giardino di mia nonna caddi su un muretto di mattoni rossi e mi tagliai il polso. Uscì molto sangue, la ferita era molto profonda, mi portarono subito al pronto soccorso per mettermi i punti. Da allora è sempre stata lì e fino a ieri soltanto una sottile linea bianca sulla mia pelle, ora invece brucia come se fosse fresca.

Ricado stanca e stremata sul cuscino, lascio la luce accesa, non me la sento di dormire sola al buio e tento di riprendere sonno.

Normalmente alla luce del giorno tutto appare diverso, anche l'incubo più spaventoso si dimentica, si perde tra i frammenti della vita. Ma stavolta nemmeno il sole, il caffè caldo sul tavolo, la radio accesa riescono a farmi cancellare quel ricordo. Perchè ne porto ancora il segno livido su di me.

«Tesoro, stai uno schifo» le parole di Tyler mi schiaffeggiano al mio arrivo in galleria.

«A volte la tua schiettezza è davvero crudele, lo sai?»

«Scusa, ma davvero stai di merda» dice facendo spallucce.

«Lo so.» Mi lascio andare ad un lungo sbadiglio mendicando un sorso del caffè che sta bevendo.

Non me lo nega e mi passa la tazza con occhi pietosi.

«Saresti potuto venire l'altra sera al pub» gli punto un dito contro accusandolo.

«Amore, non ce la potevo fare... Passare il venerdì sera in compagnia dei tuoi pseudo amici e del tuo nerd omofobo futuro marito sarebbe stato troppo per i miei poveri nervi»

«Matt non è omofobo» minimizzo.

«Ah! Questa è la cazzata delle ore...» guarda per un attimo l'orologio fisso alla parete «nove e quaranta» proclama con enfasi.

«Se potesse mi spruzzerebbe addosso il pesticida per eliminarmi»

«Esagerato»

Mi fissa alzando gli occhi al cielo.

Non è un segreto che tra loro non ci sia feeling.

Colpa di quell'uscita infelice che Matt ebbe dieci minuti dopo aver conosciuto Tyler.

«Ma tu ci sei nato così o ci sei diventato?»

«E tu, ci sei nato stronzo o ci sei diventato?» gli aveva risposto acido Tyler.

Quello fu l'inizio della fine di un'amicizia morta prima di nascere.

Non posso certo biasimarlo se ancora adesso, a distanza di anni, Tyler cerchi di evitarlo.

«Quindi ammetti che sia un nerd» La voce del mio amico mi riporta alla realtà.

«Programmare videogiochi lo inserisce di diritto in quella categoria, non potrei contraddirti»

«Allora, mi dici cosa c'è che non va?»

«Ultimamente non dormo bene.» Gli rispondo distrattamente ricordando ancora con paura i dettagli del sogno della notte scorsa. Mi tiro giù la maglia sul polso per coprire il più possibile la citatrice, non voglio che lui la veda, non voglio nemmeno vederla io, così rossa e ancora dolorante sulla mia pelle.

«Il nerd ti fa fare gli straordinari a letto?»

«Magari, niente di tutto questo.» sorrido tristemente.

«La mia era solo un battuta» rincara la dose Tyler.

Gli ripasso la sua tazza ormai vuota, mi sono finita il suo caffè come vendetta ai suoi commenti al vetriolo.

Dopo un'intensa settimana di lavoro siamo finalmente giunti alla fine.

Alle pareti le donne di Felix, l'artista scelto per la prossima mostra, sono pronte per l'esposizione.

Tyler scende dalla scala ammirando l'ultimo quadro.

Un ultimo ritocco ai faretti e la collezione sarà pronta per l'inaugurazione di sabato. Ci scambiamo uno sguardo soddisfatto, contenti di aver finito il lavoro in anticipo di tre giorni sulla tabella di marcia. Pregustando qualche giorno di puro ozio mi stiracchio per allentare la tensione sulle spalle.

«Panino con la porchetta per pranzo?» mi domanda Tyler affamato.

Il nostro paninaro di fiducia dista dieci minuti a piedi dalla galleria.

Butto uno sguardo all'orologio, immersi nel lavoro non ci siamo resi conto che sono quasi le due del pomeriggio.

«Sto morendo di fame» dico prendendo la borsa.

Non appena usciamo per strada sentiamo una voce alle nostre spalle.

«Merce in consegna» Un ragazzo in jeans e felpa mi porge un foglio da firmare.

«Aspettiamo qualcosa per oggi?» chiedo a Tyler, sorpresa di quella consegna.

«Non mi pare» dice lui seccato, riaprendo la porta della galleria.

Il ragazzo scarica da un van due enormi scatoloni. Controllo la bolla e quando leggo il nome del mittente un brivido freddo mi scuote la schiena.

«Chi le manda?» chiede Tyler curioso provando a sbirciare dietro le mie spalle.

«Crudelia» gli rispondo terrorizzata.

Mai soprannome fu più adatto. Rebekah Mikaelson, proprietaria del Dorothy Circus Gallery di Londra e Roma, non indossa pellicce di cuccioli di dalmata. Noi abbiamo avanzato l'ipotesi che quella donna indossi abiti realizzati in pelle umana. Di tutti quelli che avevano lavorato per lei e che non sono riusciti a sopravvivere.

Una possibilità più che plausibile visto lo stato d'inquietudine in cui è capace di lasciarti non appena incroci il suo sguardo.

«Tyler...» esordisco con voce ferea. «Hai controllato la mail oggi?»

«No, non ancora» dice lui ancora ignaro dellla bomba che sta per scoppiare sulle nostre teste.

«Da quando non lo fai?»

«Da tre giorni, forse... o quattro.»

«Cazzo»

Mi avvicino al pc e faccio il login. Attendo con la stessa paura di un aritificiere in procinto di disarmare un ordigno esplosivo.

Nella casella in entrata ci sono cinque mail, tutte di Crudelia.

Leggo il testo di ognuna. Il nostro duro lavoro dei giorni passati è stato mandato a puttane.

La megera ha creduto bene di cambiare la prossima esposizione. I dipinti appena arrivati devono essere messi in esposizione entro sabato. Questi i suoi ordini.

Quello che abbiamo fatto in una settimana dovrà essere rifatto in tre miserabili giorni. La fame mi è completamente passata. Col volto cereo senza dire una parola giro lo schermo del pc verso Tyler.

Un silenzio di tomba avvolge la galleria. Tyler si lascia cadere stremato sulla sedia di fianco alla scrivania.

«Avresti potuto controllare le mail però e che cazzo» mi lascio scappare chiudendo con forza il portatile.

In quell'istante il telefono della galleria squilla. Tyler si lascia andare ad un urlo isterico quando legge sul display il nome della strega.

«È lei!» urla in preda al panico.

«Rispondi!» gli dico cercando di sovrastare i suoi acuti.

Scuote la testa convulsamente portandosi una mano alla bocca.

Esasperata, al quarto squillo rispondo io zittendo Tyler, poi premo il tasto del vivavoce.

«Ce ne hai messo di tempo per rispondere» la voce della strega dall'altro capo del telefono risuona più stridula del solito. Parla un italiano dal fastidioso accento inglese.

«Salve Rebekah, come stai?»

«Non prendiamoci in giro, non te ne frega un cazzo di come sto. Arriviamo al sodo. Sono arrivati i quadri?»

«Sì, proprio adesso» lancio un'occhiataccia ad Tyler che continua a saltellare in preda al panico.

«Bene, sistemateli secondo l'ordine che vi ho inviato in allegato per mail. Tutto deve essere perfetto per sabato. »

«Ma la mostra di Felix? Insomma che dico a lui?»

«Gli ho già parlato. Slitta al mese prossimo. Imballate tutto e tenete in deposito.» Ordina senza mezzi termini.

«Perchè quella femminuccia del tuo collega non risponde alle mie mail?»

Tyler strabuzza gli occhi e impallidisce.

«Siamo stati occupati con l'allestimento e ci siamo dimenticati di controllare i messaggi in arrivo» cerco di dividere con lui la colpa, mi fa troppa pena al momento.

«Male, molto male» sentenzia Crudelia. Riesco a immaginarla mentre scuote la testa in segno di dissenso, con una sigaretta in bocca e quei capelli  biondi lunghi sempre maledettamente troppo perfetti.

«Se dovete fare gli straordinari fateli, ve li pagherò extra. Ma devi assicurarmi che sarà tutto pronto per il mio arrivo»

«Il tuo arrivo?»

«Crudelia qui?? Noooooooo!» sibila Tyler portandosi le mani sul viso. Un urlo di Munch quasi perfetto.

Lo fulmino con lo sguardo e gli intimo di starsi zitto.

«Sarò a Roma sabato sera, arriverò un paio d'ore prima dell'inaugurazione, con me ci sarà anche il nuovo artista. Trattate con cura le sue opere, mi raccomando e non fate casini»

«Stai tranquilla» le rispondo stremata.

«Tyler!» Non appena sente il suo nome prounciato da Rebekah il mio amico scatta sull'attenti. 

« Sì, dico a te! So che siete in vivavoce. Azzardati un'altra volta a ignorare le mie mail e saprai cos'è l'inferno. Ti ci vedrei bene nel girone dei sodomiti» Conclude la chiamata sghignazzando, una micaccia degna della migliore strega delle favole.

Nonostante lo stato di emergenza decidiamo comunque di andare a pranzo.

A stomaco vuoto non saremmo in ogni caso buoni a nulla.

Seduti in piazzetta ci godiamo il nostro panino e una coca cola ghiacciata.

«É la prima volta che Crudelia decide di cambiare tutto così in fretta.»

«L'artista che ha scovato deve essere un genio per averla fatta smuovere dalla sua roccaforte di Londra.»

«Dormi da me stasera? Così non dovrai preoccuparti dell'ultimo treno e domani possiamo iniziare presto.»

«Grazie. Dopo chiamo Matt e gli chiedo di portarmi un cambio per i prossimi due giorni»

Mi tiro su le maniche del maglione, il sole di ottobre scalda più del dovuto.

Non passa molto tempo prima che Tyler noti la brutta ferita sul mio polso sinistro.

«Che hai fatto?»

«Nulla» gli dico coprendo la cicatrice con l'altra mano. «Mi sono bruciata con il forno» gli mento. Non saprei in ogni caso come potergli spiegare quel segno.

Consumiamo velocemente il nostro pranzo e torniamo alla galleria.

Decidiamo di imballare di nuovo i quadri di Felix e portarli in deposito prima di aprire i nuovi scatoloni. Anche se la curiosità di vedere chi è riuscito a mettere in quello stato di agitazione Rebekah, è enorme.

Soltanto verso le sei del pomeriggio riusciamo a liberare di nuovo le pareti.

Porto una parte dei dipinti in deposito e nel frattempo approfitto per chiamare Matt.

«Dormivi ancora?»

«Sì dato che ho lavorato tutta la notte...» risponde con la voce impastata dal sonno.

«Scusa. Senti, oggi vieni a Roma?»

«Sì, vengo in macchina. Mi vedo con i ragazzi alle otto, perchè?»

I ragazzi sono i suoi amici e colleghi più nerd di lui. Di solito le loro serate si risolvono nel vedersi a casa di Stefan, pizza, coca cola e l'ultimo video game uscito. Indagine di mercato per studiare le aziende concorrenti secondo Matt, secondo me invece un modo per giocare ai videogame avendo come alibi il lavoro.

«Perfetto! Senti potresti portarmi un cambio, no anzi due di biancheria e vestiti? Anche lo spazzolino e la pochette dei trucchi, quella che tengo sempre in bagno nel cassetto a destra.»

«Parti?» mi chiede sbadigliando.

«No, è arrivato un lavoro urgente da fare entro sabato e tornare a casa mi porterebbe via troppo tempo»

«E dove dormi? In Galleria?»

«No, da Tyler. È più comodo» gli rispondo.

«Lo dici come una decisione e non con il tono di chi dovrebbe chiedere il permesso»

«Come scusa? Dovrei chiederti il permesso per fare gli straordinari sul lavoro?» inizio ad alterarmi.

«No, ma chiedermi come la penso se dormi in casa di un altro uomo... magari sì.»

«Matt, stiamo parlando di Tyler» respiro profondamente tentando di mantenere la calma.

«Lo so chi è»

«Appunto. Di che diavolo ti preoccupi?»

«È un uomo»

«Sì, ma è gay. È come se dormissi da Caroline»

«No, non è la stessa cosa. Fanno tutti così quelli come lui... perchè pensi che i froci abbiano solo amiche donne? Perchè così possono palparle senza essere presi a pugni, tanto sono froci loro!»

«Ma che cazzo dici?» il sangue ormai mi ribolle nelle vene.

«Dico quello che penso»

«È una stronzata» sbotto.

«Senti non voglio che dormi là» dice seccato, ormai completamente sveglio.

«Non decidi tu.»

«Vuoi il tuo cambio di vestiti o no?»

«Lascia stare va'. Non venire. Mi compro tutto da H&M. Ci vediamo lunedì sempre se prima non decido di andare a letto con Tyler e di mollarti, brutto cretino che non sei altro!»

Le ultime parole gliele dico urlando. Chiusa in deposito mi lascio andare ad un urlo di frustrazione. La lampada al neon sopra la mia testa con piccolo scoppio si spegne. Resto completamente al buio.

«Benissimo, ci mancava solo questa» dico esasperata. Le mie parole rimbalzano sulle pareti della stanza, metto sul telefono la modalità torcia e avanzo verso la porta.

«Tyleeeer» urlo dal fondo delle scale. «Il neon si è fulminato di nuovo»

«Arrivo!» dopo pochi minuti scende portando una scatola lunga contenente il nuovo neon.

«Ma come cavolo è possibile? È la terza volta questo mese»

«Ma che ne so io.» dico stringendomi nelle spalle.

«Mi sa che è colpa tua tesoro. Ma che sei radioattiva o cosa?»

«Certo, adesso ho anche il potere di fulminare le lampadine»

Tyler nel frattempo prende il treppiedi e sale per cambiare il neon. Io gli faccio luce con il telefono.

Dopo poco il buio scompare e siamo di nuovo illuminati da quella luce fredda.

«Devo assentarmi un un'oretta. Vado a comprare un cambio di biancheria e qualche vestito per questi due giorni»

«Posso prestarti io qualcosa»

«Grazie mi faresti un favore»

«Ma il nerd non doveva portarti una borsa?»

«Lascia stare» taglio corto, non ho voglia di ripensare alle stupidità che è stato in grado di dire quello che tra poco meno di sei mesi diventerà mio marito.

Tyler sembra leggermi nel pensiero.

«Sei ancora in tempo per cambiare idea» mi dice mettendomi una mano sulla spalla.

Non rispondo nulla, gli sorrido e risalgo al piano di sopra. Abbiamo una montagna di lavoro che ci aspetta.

La curiosità può essere un pregio, ti spinge a indagare, a crescere, ad imparare quello che prima ignoravi. Ma può diventare anche uno tra i peggiori difetti, quando si lega all'impazienza, all'incoscienza anche di fronte ad un pericolo e ti spinge a fare quel passo che forse non avresti mai dovuto fare.

Sono le dieci di sera, sola in galleria, dopo che Tyler è uscito a prendere qualcosa per cena, sono seduta tra le scatole ancora chiuse arrivate nel primo pomeriggio.

Abbiamo deciso di tirare fuori i nuovi quadri soltanto il giorno dopo. Dopo aver passato una giornata a impacchettare l'altra collezione ci siamo detti che avremmo iniziato soltanto domani.

Mi guardo attorno, l'orologio batte i secondi rumorosamente, la galleria è troppo silenziosa. Decido di mettere un po' di musica, il silenzio mi mette a disagio, a maggior ragione se sono sola. Mi rialzo per afferrare il mio telefono sulla scrivania vicina. Metto una delle prime canzoni in playlist, ma dopo le prime note il telefono si spegne. Non ho portato con me il caricabatteria. Sono di nuovo sola e circondata dal silenzio più assoluto.

Getto uno sguardo agli scatoloni, scrollo le spalle e mi dico "Ma sì, portiamoci avanti con il lavoro" miserabile scusa verso me stessa, quando in realtà il mio inconscio muore dalla voglia di dare una sbirciatina. Prendo il taglierino e apro con cautela il primo pacco.

Nessuna carta da imballaggio a proteggere i quadri, ma piume.

Centinaia di piume nere come la pece.

Le sposto per riuscire a prendere il primo quadro che sollevo delicatamente, alcune restano sulla superficie della tela. Ci soffio sopra e una pioggia di piume nere mi danza intorno. I miei occhi si fermano su quel dipinto ad olio.

Una donna nell'angolo destro della tela è rannicchiata su se stessa, le mani a coprirsi il volto, vestita di bianco è il ritratto della disperazione. Tutto attorno una fitta foschia bianca la circonda, candore spezzato dal nero di molti corvi che la guardano con occhi pietosi. Quegli animali sembrano condividere con lei lo stesso straziante dolore. Solo allora mi accorgo che le piume che proteggevano il quadro sono piume di corvo. Lunghe, liscie e spaventosamente nere.

Ne prendo una e me la passo tra le dita, seguo il contorno del corpo di quella donna con la punta della piuma, e in basso a destra noto la firma dell'artista.

Klaus

 

Quel nome suona di malinconia. Ricordo ritrovato per caso, dimenticato, non ancora vissuto ma inspiegabilmente familiare. 

   
 
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