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Autore: Sugakookie    28/08/2018    2 recensioni
Il tempo non funziona più come dovrebbe, e Tessa sembra essere l'unica ad accorgersi della misteriosa anomalia. Almeno finché non incontra un ragazzo della sua scuola, confuso quanto lei dalla situazione. I due cercheranno di riportare la linea temporale alla normalità, ma il loro compito si rivelerà più arduo del previsto...
Genere: Introspettivo, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2.
 
 
 
 
Io e Yoongi ci provammo davvero, a capire quale fosse il problema. Ma c’erano troppe possibilità, poteva trattarsi di qualunque cosa.
 
«Secondo te, dobbiamo cambiare qualcosa che riguarda noi?» domandai, riflettendo ad alta voce.
 
Era il 26 settembre per la quarta volta, ed eravamo di nuovo seduti sul bordo grigio della pista da skateboard. L’aria era tiepida, e qualche pigra nuvoletta bianca attraversava lentamente il cielo, mentre un lieve venticello ci accarezzava gentilmente il viso.
 
«Forse il tempo è tornato indietro per darci una seconda possibilità» continuai, mentre osservavo alcune foglie gialle che strisciavano sul bordo opposto della pista, trascinate dalla brezza leggera. «Sai, a molte persone capita di avere dei rimpianti, e di voler cambiare qualcosa del proprio passato. Però non capisco perché proprio noi. Personalmente, non c’è niente che vorrei cambiare della mia vita. Niente di così importante da tornare indietro nel tempo, almeno».
 
Mi girai a guardare Yoongi, che era improvvisamente silenzioso. Beh, tecnicamente era sempre in silenzio. Non parlava. Solo che ora non stava nemmeno scrivendo. Se ne stava lì seduto, la schiena leggermente incurvata e lo sguardo basso, fisso sulle proprie mani intrecciate in grembo. E si stava mordicchiando il labbro, pensieroso.
 
«Tu non vorresti cambiare niente della tua vita?» chiesi in tono incoraggiante, continuando a guardare il suo profilo.
 
Yoongi smise di mordersi le labbra, e vidi la sua schiena irrigidirsi. Girò la testa per guardarmi, e quando vidi la sua espressione, mi pentii di avergli fatto quella domanda. I suoi bei lineamenti sembravano irrigiditi, tesi, come per trattenere qualcosa, e il dolore nei suoi occhi scuri era palese.
 
«Se non vuoi dirmelo non importa» dissi, dolcemente. «Stavo solo cercando di capire come fare per uscire da questa situazione».
 
Non avevo ancora finito la frase che Yoongi aveva già tirato fuori il telefono, e stava scrivendo qualcosa. Dopo un po’, girò lo schermo verso di me per farmi leggere.
 
C’è solo una cosa che vorrei cambiare.
È una cosa davvero importante, ma non è il giorno giusto.
Il 26 settembre è già troppo tardi.
Se nemmeno tu vuoi cambiare qualcosa, allora possiamo
escludere l’ipotesi che riguardi noi. Forse dobbiamo
aiutare qualcun altro. Oppure dobbiamo cambiare
qualcosa nella situazione generale, qualcosa che riguarda
tutti.

 
«Mmh…» feci, pensierosa. «Tipo, non so, cambiare qualcosa che non va nella scuola? Oppure nella società in generale? Mi sembra troppo, però… dubito che avrebbero scelto me per fare una rivoluzione o roba simile» dissi, ridendo.
 
Yoongi mi regalò uno dei suoi sorrisi impercettibili, con cui il suo sguardo si addolciva, e per un attimo fui immensamente felice che il dolore fosse sparito dal suo volto. Poi piegò leggermente la testa di lato, con un’espressione dubbiosa, e fece spallucce, come per dire “Sì, probabilmente hai ragione.
 
«Comunque, possiamo tenerla in considerazione come seconda ipotesi» aggiunsi. «Del resto non abbiamo molte idee».
 
Yoongi annuì, tornando al suo sguardo serio.
 
 
*
 
 
Ci impegnammo al massimo. Essendo in classi diverse, durante le ore di lezione indagavamo separatamente; durante l’intervallo, invece, cercavamo indizi insieme.
Provammo prima con l’ipotesi numero uno, cercando di capire se c’era qualcuno che avesse bisogno del nostro aiuto. Qualcuno a cui fosse successo qualcosa di brutto, qualcosa che noi potessimo cambiare.
 
Tuttavia, Yoongi non riusciva sempre ad indagare attivamente. Gli altri lo evitavano, e spesso sembravano intimoriti da lui, per il fatto che non parlava. Io non capivo cosa ci fosse da aver paura. Era solo un ragazzo stanco, e chiaramente ferito. Non era importante quale fosse il motivo, né ero intimorita dal suo dolore. Ero curiosa, certo, ma non avevo il diritto di pretendere spiegazioni. Se mai avesse voluto, mi avrebbe raccontato la sua storia.
 
Per risparmiargli il trattamento penoso degli altri, decisi che potevamo lavorare insieme per la maggior parte del tempo. Yoongi era un bravo osservatore, dotato di grande intuito e sensibilità, così mentre io parlavo con le persone e facevo domande, lui osservava le loro reazioni.
Eravamo un’ottima squadra, secondo me, ma non scoprimmo granché. La vicenda più tragica che venne fuori fu quella di un ragazzo del quarto anno, a cui era appena morto il nonno. Per il resto, gli unici problemi che sembravano affliggere i nostri compagni di scuola erano i troppi compiti e qualche dramma amoroso.
 
 
*
 
 
Dopo circa una settimana di 26 settembre quasi identici l’uno all’altro, iniziai a perdere fiducia. Era l’intervallo, ed io e Yoongi eravamo seduti a metà del famoso viale, stavolta l’uno accanto all’altra sulla stessa panchina.
 
«Non voglio essere negativa…» iniziai, stancamente. «Ma se c’è qualcuno che dobbiamo aiutare, dubito che lo troveremo mai».
 
Il liceo non era molto grande, c’erano poche sezioni, ma si trattava comunque di parecchie classi. Era assurdo pensare che potessimo fare amicizia con ogni singolo studente. Soprattutto fino al punto da far confidare a ciascuno i propri problemi più intimi, tra cui eventuali desideri reconditi di cambiare il passato.
 
Yoongi mi guardò serio, annuendo. Nonostante la solita espressione triste, mi sembrava che nel corso di quella settimana, le sue occhiaie fossero diventate un po’ meno scure. Era come se la nostra “missione” gli avesse ridato un po’ di energia. Avevamo uno scopo, e sembrava qualcosa di importante. Non volevo togliergli quel barlume di speranza, così ripresi il discorso.
 
«Abbiamo sempre la seconda ipotesi» affermai, stringendogli gentilmente il polso, in un gesto d’incoraggiamento. «Potrebbe trattarsi di un cambiamento più generale. Forse dobbiamo salvare il mondo, o qualcosa del genere. Non è quello che tutti sogniamo di fare, da piccoli?».
 
Yoongi storse la bocca in un’espressione dubbiosa, mentre fissava assorto le mie dita ancora intrecciate attorno al suo polso, sotto la manica della sua camicia azzurra.
Nel vedere che la fissava pensai che potesse dargli fastidio, e ritirai discretamente la mano, fingendo che mi servisse per scostarmi i capelli dal viso.
 
Yoongi continuò a fissare il punto in cui prima c’era la mia mano, assorto. Poi, dopo un po’, sollevò il braccio per digitare qualcosa sul telefono.
 
Senti, Tessa, stavo pensando una cosa…
 
Lo guardai, inarcando le sopracciglia. «Dimmi. Cosa c’è?».
 
Non credo che dobbiamo salvare il mondo.
Anzi, in realtà penso che non dobbiamo fare proprio niente.

 
Corrugai leggermente le sopracciglia, sorpresa. «Perché hai cambiato idea, all’improvviso?».
 
Yoongi riprese a scrivere, e vidi che stavolta si trattava di un discorso lungo. Iniziai a leggere attentamente.
 
La gente si danna tanto per trovare sempre un motivo,
una spiegazione per ogni cosa, ma la verità è che la
maggior parte delle cose succede e basta.
Ovvio che gli eventi sono concatenati l’uno all’altro, e
per ogni azione c’è una causa e una conseguenza.
Ma questo non significa che le cose succedano per
uno “scopo superiore”, né che ci sia un destino
prestabilito o uno scopo finale che abbia un senso.

 
Rimasi qualche secondo in silenzio, per digerire quelle parole. E mentre riflettevo, sentii una fitta d’angoscia stringermi lo stomaco.
 
«Stai dicendo che tutto questo non ha senso?» mormorai, piano. «Siamo condannati a rivivere lo stesso giorno e basta, senza saperne mai il motivo…».
 
Yoongi mi strinse brevemente il polso con il suo tocco fresco, imitando il mio gesto di poco prima. Poi scrisse qualcos’altro.
 
Mi dispiace. Non volevo demoralizzarti.
 
Gli sorrisi debolmente, per rassicurarlo. Poi portai le mani in grembo e presi a fissarle in silenzio, assorta. Mentre ripensavo alle sue parole, ebbi un’illuminazione. Non era nel mio spirito abbattermi così facilmente, e la mia indole ottimista era riemersa all’improvviso, suggerendomi un nuovo punto di vista. Come avevo fatto a non pensarci prima? Quella situazione poteva sembrare terribile, ma ora ne vedevo anche l’aspetto positivo.
 
«Yoongi» lo chiamai, girandomi di nuovo a guardarlo. Lui mi guardò a sua volta, con espressione interrogativa.
 
«Stavo pensando… se non abbiamo nessuna missione da portare a termine» dissi, con un sorriso incoraggiante. «Tanto vale che approfittiamo della situazione».
 
Yoongi mi guardò confuso, e inarcò le sopracciglia in un’espressione sorpresa, poi scrisse qualcosa.
 
Che intendi dire?
 
«Beh, è vero che è sempre il 26 settembre, e tutti fanno sempre le stesse cose» iniziai a spiegare. «Noi, però, possiamo fare quello che vogliamo. Siamo liberi, nessuno ci costringe a fare le stesse cose, come tutti gli altri. Pensaci un attimo: domani sarà di nuovo il 26 e nessuno si ricorderà niente di oggi. Possiamo fare di tutto e nessuno si ricorderà niente».
 
Yoongi continuò a fissarmi perplesso, come se non cogliesse il punto. Non sembrava entusiasmato dalla mia idea, né interessato a fare alcunché di diverso dal solito. Dopo qualche secondo di esitazione, scrisse qualcosa.
 
Possiamo fare di tutto… tipo, cosa?
 
In quel momento, suonò la campanella, e gli rivolsi un sorriso ancora più ampio, ostentando un’espressione complice.
 
«Per cominciare, possiamo saltare le ultime due ore, per esempio» proposi, improvvisamente carica di energie. «È da più di una settimana che andiamo a scuola inutilmente per sentire le stesse lezioni. Tanto domani nessuno si ricorderà che le abbiamo saltate, quindi fanculo».
 
Yoongi ricambiò con un sorriso appena accennato, e digitò rapidamente una risposta.
 
In effetti, iniziavo a rompermi un po’ il cazzo.
 
Lessi il messaggio e scoppiai a ridere, piegandomi in avanti, senza riuscire più a smettere.
 
Mentre continuavo a ridere, il sorriso di Yoongi divenne più ampio, e i suoi occhi allungati si strinsero appena, gli zigomi più accentuati del solito. Non era ancora un vero e proprio sorriso, di quelli con i denti in mostra, ma era la cosa più vicina ad un sorriso che avessi mai visto sul suo volto.
 
Quando riuscii finalmente a smettere di ridere, mi fermai a riprendere fiato, con le braccia avvolte attorno allo stomaco indolenzito. Yoongi mi diede una gomitata leggera, indicandomi di leggere ciò che aveva scritto mentre io ero impegnata a ridere.
 
Che cosa vuoi fare?
 
Gli rivolsi un altro sorriso complice. «Ho già un’idea».
 
 
*
 
 
Stavamo camminando fianco a fianco, in silenzio, da circa un quarto d’ora. D’un tratto, Yoongi si fermò nel mezzo del marciapiede e mi tirò gentilmente per un braccio. Era la seconda volta che sentivo il tocco fresco delle sue dita sulla pelle, e iniziavo piacevolmente ad abituarmi a quella sensazione. Mi fermai a mia volta, aspettando spiegazioni. Yoongi digitò velocemente sulla tastiera e mi passò il telefono.
 
Allora, non vuoi dirmi che idea hai avuto?
Dove stiamo andando?

 
Scossi la testa. «È una sorpresa, lo scoprirai quando arriviamo» risposi, con un sorrisetto furbo. «È un’idea bellissima. Ci divertiremo un sacco, vedrai».
 
Mancava poco, e infatti dopo un paio di minuti vidi la nostra destinazione profilarsi davanti a noi.
 
«Ecco, guarda, siamo arrivati» dissi indicando l’edificio, dotato di un piccolo parcheggio sul davanti.
 
Yoongi si guardò intorno spaesato, spostando gli occhi dal parcheggio all’entrata con la porta automatica scorrevole, sormontata dall’insegna colorata del minimarket.
 
Non capisco. Sarebbe questa la grande idea?
Vuoi fare la spesa?

 
«No» replicai, sorridendo. «Voglio rubare un carrello».
 
Yoongi mi fissò perplesso, senza avere alcun tipo di reazione, e per un po’ ci fissammo in silenzio. Vedendo che non aveva intenzione di digitare una risposta, lo afferrai per un braccio.
 
«Dai, vieni» lo incitai, tirandolo piano. Yoongi si lasciò trascinare docilmente verso i carrelli.
 
Iniziai a frugare nello zaino, e dopo aver trovato una moneta adatta, la infilai nell’apposito spazio. Tirai fuori il carrello e iniziai a spingerlo, costeggiando la parete laterale del minimarket, mentre Yoongi camminava accanto a me. Arrivammo sul retro dell’edificio, e poi proseguimmo lungo la strada asfaltata, accompagnati dagli scossoni metallici del carrello sul terreno irregolare.
 
Vidi che Yoongi stava scrivendo, e mi fermai per leggere.
 
E adesso? Cosa vuoi fare?
 
Gli rivolsi un ampio sorriso. «Tra poco lo vedrai».
 
 
*
 
 
Arrivammo nel posto che avevo in mente, ed iniziai a saltellare impercettibilmente sui miei passi per l’eccitazione.
Si trattava di una zona dedicata agli artisti di strada, un ampio spazio vuoto con metri e metri di pareti piene di murales. Si trovava nella zona periferica della città, ed era un posto un po’ appartato rispetto al mondo circostante, ma era comunque immerso nella vivacità e nei rumori del tessuto urbano. Si vedevano le file di macchine e gli intricati raccordi delle strade in lontananza, e da ogni lato provenivano i suoni distanti ma chiaramente udibili dei motori, e lo squillo dei clacson.
Era un punto un po’ più in alto rispetto al resto, perciò c’era una bella vista su tutta la città. Mi piaceva perché era circondato da vita e movimento, ma allo stesso tempo era un posto tranquillo, lontano e distaccato dalla fonte della confusione e del rumore.
E soprattutto, era uno spazio dalla pavimentazione in cemento, sgombra e liscia, perfetta per l’idea che avevo in mente.
 
«Eccoci qui» annunciai, in tono entusiasta.
 
Rivolsi un gran sorriso a Yoongi, e vidi che guardava rapito il paesaggio cittadino, con un’espressione serena che gli addolciva i lineamenti del viso.
 
«Ti piace?» chiesi, con una punta d’orgoglio.
 
Yoongi si girò a guardarmi, e mi rivolse un lieve sorriso.
 
È un bel posto. Mi piace.
 
Ricambiai il sorriso, raggiante.
 
«Ti lascio l’onore di provare per primo».
 
Yoongi continuò a guardarmi con espressione interrogativa, in attesa di istruzioni.
 
«Sali» lo incitai, indicando il carrello. «Così ti spingo».
 
Yoongi esitò per qualche istante, poi con una certa titubanza, entrò lentamente nel carrello. Si sedette, portando le ginocchia al petto, e rimase lì rannicchiato. In quel momento, mi sembrò piccolo come la prima volta che l’avevo visto, seduto sulla panchina del viale.
 
Mi posizionai davanti al carrello, preparandomi a spingere.
 
«Sei pronto?» domandai, in tono allegro.
 
Davanti a me, vidi la testa di Yoongi che annuiva nel carrello, scuotendo lievemente la massa di capelli neri.
 
«Okay, allora vado» esclamai, iniziando a spingere.
 
Il carrello scorreva sul cemento liscio che era una meraviglia, e sentii l’aria fresca scorrermi addosso e attraverso i capelli, nel movimento, soprattutto man mano che prendevo velocità. Alla mia destra, un po’ più in basso rispetto a noi, si dispiegava il paesaggio urbano con le sue strade trafficate. A sinistra, invece, vedevo le diverse forme e i colori dei murales susseguirsi rapidamente l’uno all’altro, sulle pareti.
Dopo essermi guardata intorno brevemente, riportai lo sguardo davanti a me per non perdere il controllo del carrello, e mi concentrai su Yoongi. Era ancora rannicchiato, immobile, e vedevo solo il retro della sua testa, con i capelli neri mossi dal vento, perciò non sapevo che espressione avesse. Per un attimo mi chiesi perché non facesse commenti, delusa dalla mancanza di reazioni, ma poi mi ricordai che non parlava.
Poco dopo, Yoongi si tirò su leggermente dalla sua posizione rannicchiata, e girò la testa verso il panorama della città. Appoggiò le braccia sul bordo del carrello, e rimase così, a guardare i palazzi lontani e le strade scorrergli davanti agli occhi.
Io continuai ad osservare il suo profilo, i capelli neri al vento e lo sguardo concentrato, e mi sentii pervadere da un’inaspettata sensazione di dolcezza. Sembrava un bambino, con il mento adagiato sulle braccia, intento ad ammirare uno spettacolo che catturava tutta la sua attenzione.
Ero riuscita a far comparire una sembianza di serenità sul volto di quel ragazzo solitamente triste, e questo mi riempiva di gioia.
 
Quando vidi che eravamo quasi arrivati in fondo al percorso, iniziai a rallentare, fino a fermarmi accanto all’ultimo murales. Mentre percorrevo gli ultimi metri a velocità minima, Yoongi fece scivolare giù le braccia dal bordo del carrello, lentamente, rimanendo con la testa rivolta verso il panorama. Quando mi fermai del tutto, Yoongi si girò e mi rivolse uno dei suoi sorrisi impercettibili. Io ricambiai con un ampio sorriso di soddisfazione, e gli feci cenno di scendere, mentre reggevo il carrello per evitare che si capovolgesse. Una volta che Yoongi fu uscito, girai il carrello in modo che fosse rivolto dall’altra parte.
 
«Ora torniamo indietro e lo rifacciamo nella direzione opposta» dissi, piena di trepidazione.
 
Yoongi annuì, e aspettò che entrassi nel carrello e mi mettessi comoda. Una volta sistemata, alzai un braccio e gli mostrai il pollice alzato.
 
«Vai, sono pronta».
 
Yoongi iniziò a spingere, e come aveva fatto lui prima, girai la testa per guardare il profilo della città sfilarmi davanti agli occhi. Dopo un po’, mi girai lateralmente anche con il corpo e vidi che c’era abbastanza spazio, così mi sedetti a gambe incrociate, rivolta verso il paesaggio. Per un po’ ammirai in silenzio le macchie colorate delle macchine che si spostavano sulle strade in lontananza, e i gruppi ordinati di edifici alternati da alberi e zone verdi, che mi scorrevano davanti agli occhi. Cercai con lo sguardo i luoghi che conoscevo, ecco il centro commerciale, il parco, lo stadio, e nel frattempo mi scostavo i capelli che il vento continuava a spostarmi davanti alla faccia. Alla fine li raccolsi tutti in una mano per tenerli fermi, e sollevai in alto l’altro braccio con la mano aperta, sentendo l’aria passarmi sul palmo e tra le dita, ed iniziai a urlare entusiasta come si fa sulle montagne russe.
 
«I believe I can fly…» presi a cantare a squarciagola, sovrastando il rumore del vento. Nel frattempo ondeggiavo il braccio, ancora teso verso l’alto, a ritmo di musica, mentre con l’altra mano mi reggevo ancora i capelli.
 
Mi voltai a guardare Yoongi e vidi che mi osservava con un sorrisetto divertito, la fronte in parte scoperta, mentre il vento gli tirava indietro i capelli. Avrei tanto voluto che cantasse insieme a me, ma se non parlava sicuramente non cantava neppure.
 
Una volta arrivati di nuovo al punto di partenza, scesi dal carrello, e non appena misi piede a terra sentii il mio stomaco che brontolava. Controllai il telefono e mi accorsi che era passata l’ora di pranzo.
 
«Cazzo, io ho proprio fame, e tu?».
 
Yoongi si mostrò d’accordo, poggiandosi una mano sullo stomaco e facendo cenno di sì con la testa.
 
«Andiamo a mangiare, allora» lo esortai, felice.
 
 
*
 
 
Stanchi e affamati, entrammo nel primo ristorante che trovammo. Un cameriere vispo e scattante, un ragazzo probabilmente sui venticinque anni, ci accolse prontamente all’ingresso.
 
«Siete in due?» domandò, con un sorriso cordiale.
 
«Sì, siamo in due» risposi, annuendo.
 
Il cameriere gettò una rapida occhiata ai tavoli, quasi tutti occupati. «C’è un tavolo lì» disse, indicando la zona in fondo al locale, vicino al muro. «Oppure c’è la terrazza che è praticamente vuota, se preferite un po’ più di privacy…» aggiunse, con uno sguardo eloquente e un sorrisetto complice.
 
Dal comportamento allusivo del cameriere, mi resi conto che dovevamo sembrare una coppia, e improvvisamente divenni consapevole di come Yoongi mi stava ancora tenendo per mano. Le strisce pedonali erano proprio di fronte al ristorante, e mi aveva preso la mano per attraversare, e poi eravamo entrati direttamente, e ora il mio palmo era ancora stretto nel suo.
Gettai un’occhiata a Yoongi. Il suo sguardo serio era indecifrabile, ma colsi una vaga sensazione di disagio da come la sua mano libera stava giocherellando con l’orlo della camicia azzurra, sopra i pantaloni. Mi venne da ridere, per tutta quella situazione equivoca, ma riuscii a trattenermi. Yoongi mi lanciò un’occhiata incerta, finché non mi resi conto che dovevo rispondere io, perché lui non parlava.
 
«Oh, certo. La terrazza va bene» dissi al cameriere, trattenendo un’altra risata.
 
«Perfetto, seguitemi» rispose lui, sorridendo.
 
La scala che portava alla terrazza, al piano superiore, era troppo stretta per passarci in due, e quella fu la scusa perfetta per sciogliere le nostre mani intrecciate, senza provocare troppo imbarazzo. Yoongi lasciò gentilmente il mio palmo, e mi fece cenno di salire per prima.
Una volta sbucati di sopra, mi guardai intorno, felice di quella scelta. La terrazza era piccola, ma davvero carina. I tavolini rotondi erano fatti con assi di legno dipinte di bianco, e al centro di ogni tavolo c’era un vasetto con una candela all’interno. Le sedie di legno, anch’esse dipinte di bianco, erano tutte provviste di un cuscino legato al sedile, per stare più comodi, e ogni tavolo aveva cuscini di un colore diverso, abbinato al colore del portacandela. In più, la terrazza era decorata con vasi di piante e fiori di vari colori, sistemati agli angoli o sparsi fra i tavolini.
 
«Scegliete pure il posto che preferite» disse il cameriere, congedandosi.
 
Come ci aveva preannunciato, la terrazza era quasi vuota. C’era solo un’altra coppia di ragazzi più o meno della nostra età, perciò avevamo un’ampia scelta.
 
«Scegli tu» dissi a Yoongi. «Quale preferisci?».
 
Yoongi si guardò brevemente intorno, poi indicò un tavolino con i cuscini azzurro pastello, abbinati al portacandela. Era proprio accanto alla ringhiera della terrazza, anch’essa bianca, e da lì c’era una bella vista sul centro.
 
«Ottima scelta» approvai, mentre mi sedevo.
 
Yoongi spostò la sedia in modo che fossimo disposti a novanta gradi, anziché l’uno di fronte all’altra come si fa di consueto. In questo modo, poteva mostrarmi comodamente lo schermo del telefono senza dovermelo passare dall’altra parte del tavolo, ogni volta che voleva dirmi qualcosa. Iniziammo a leggere il menu, e dopo un po’ ruppi il silenzio.
 
«Sai, a volte mi dimentico che non parli» dissi, sorridendo tra me.
 
Alzai lo sguardo dal menu, e vidi che Yoongi mi guardava sorpreso, con le sopracciglia leggermente inarcate e gli occhi sottili più grandi del solito.
 
Strano… di solito la gente non pensa ad altro.
Sono tutti ossessionati dal fatto che non parlo.
Non lo dicono, ovviamente, non hanno il coraggio
di fare domande… ma io vedo che pensano a
quello mentre mi parlano. Capisci cosa intendo?

 
Annuii, pensierosa. «Prima parlavi, vero?».
 
Sì… fino a un mese e mezzo fa, più o meno.
 
Io e Yoongi ci guardammo negli occhi per qualche secondo, entrambi seri. Probabilmente stava aspettando che gli chiedessi cosa fosse successo, e perché non parlasse più.
 
«Hai ragione, sai» dissi invece, con un sorriso. «Parlare con la gente è proprio una scocciatura, a volte».
 
Yoongi esitò, mentre continuava a guardarmi con un’ombra di incertezza negli occhi scuri e allungati. Poi scrisse qualcosa.
 
Mi piace parlare con te.
 
Lessi la frase due volte.
 
Tre.
 
Senza riuscire a impedire che il mio sorriso si allargasse.
 
«Lo so» risposi, in tono fiero. «Anzi, dovremmo parlare di più».
 
Yoongi mi guardò preoccupato, come se avesse paura che volessi farlo parlare letteralmente, con l’uso della voce e tutto il resto. La verità era che durante quella settimana ci eravamo concentrati a indagare sui casini temporali, e non avevamo avuto molte occasioni per parlare d’altro. Sapevamo pochissimo l’uno dell’altra, e me n’ero resa conto solo ora. Così passai tutto il pranzo a fare domande, mentre Yoongi mi rispondeva in parte sorpreso, in parte divertito dalla mia improvvisa curiosità.
 
«Qual è il tuo colore preferito?».
 
Il blu.
 
«Il mio è il verde. Che lavoro vorresti fare?».
 
E andai avanti così. Scoprii che Yoongi non sapeva ancora che lavoro volesse fare, che gli piaceva cucinare, che amava la musica e i film d’azione, che prendeva il caffè senza zucchero, e che non sopportava i luoghi troppo affollati.
Io gli dissi che cucinare mi sembrava una gran perdita di tempo, ma che ero abbastanza brava a farlo, che amavo anch’io la musica, che preferivo il tè al caffè, e che i luoghi troppo affollati erano una gran rottura.
 
Poi ripresi a parlare di come potevamo sfruttare la nostra nuova libertà, e iniziammo a fare piani insieme.
 
Andiamo al mare domani.
 
Lo guardai stupita, e annuii di buon grado, perché era la prima volta che Yoongi proponeva qualcosa di sua spontanea volontà, e questo mi rendeva felice. E poi il mare mi piaceva.
 
«Okay, allora è deciso» conclusi, soddisfatta.
   
 
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