SWIMMING TALE
CAPITOLO DODICI
“The Tell-Tale Casa Hickey”
I'll wait for you and
should I fall behind
will you wait
for me?
Prima che potessi davvero capacitarmi di tutto ciò che era
successo, io e Kyle stavamo insieme.
Di nuovo.
Quando si dice
che la lezione non la si impara mai, no?
Sono passati i primi
minuti, le prime ore e il primo giorno e sembrava andare tutto bene.
Poi ci siamo messi a dormire, e lì mi sono sinceramente chiesto cosa
accidenti avessi fatto ad acconsentire per la seconda volta a quello
che so essere uno stress psicofisico non da poco.
Non direi
essere stata solo la foga del momento, è stato un insieme di fattori
che, come si è potuto vedere, non ho saputo combattere. Non che me
ne penta, ma non ricordo più come si fa a stare insieme a Kyle
Adair. Non lo danno con le istruzioni in dotazione, purtroppo.
Però
dovrebbero.
PorcoilKyle se dovrebbero.
In più, due
giorni dopo abbiamo avuto le gare regionali e posso dire con orgoglio
che sono davvero fiero dei miei ragazzi considerando che Tammie e
Xavier sono arrivati entrambi secondi nei loro circuiti e che
Sapphire è addirittura arrivata prima, peccato che la convocazione
della Nyst - leggere: il mio incubo - non sia stata anche per lei. Al
momento Shion non parteciperà ancora alle gare e dovremo aspettare
il prossimo anno per inserirla nel girone, ma a quanto ho capito è
stata parecchio contenta di aver assistito i suoi compagni anche se
dopo la gara di Xavier lui stesso si è lamentato della ragazza
esordendo con: “Se urli ancora così mentre nuoto giuro che ti
morsico la giugulare”. E' un ragazzo carino, Xavier, sempre
educato.
Cortese.
Non so come mai ma non sono riuscito a
dirgli che io e Kyle stiamo insieme, so che non rientra nemmeno nei
suoi interessi e che il massimo che farà sarà una smorfia o
un'alzata di spalle, ma in qualche strano modo mi sento in dovere di
farglielo sapere. In merito ai miei amici, invece, Percy e Iris hanno
battuto le mani e quell'altro pirla di Aydin mi ha guardato con un
sorriso da fattone dicendomi: “Ah, bene, così non ci proverai più
con me”. Come se ci potessi provare con un pirla, appunto.
Quindi
adesso ci ritroviamo tutti sugli spalti: i Senza nome più Ciel, i
nostri cinque pargoli e i quattro multi-nazionalità della Nyst. Al
mio segnale, scatenate le barzellette che iniziano con “c'erano una
volta un italiano, un norvegese e un americano”. In generale c'è
un clima tranquillo, con Kyle il risveglio è stato tranquillo tranne
un suo “mi stai appiccicato come una cozza quando dormi” e
nessuno ha ancora litigato con nessuno. Per il momento.
–
Signori e signore! – esclamo, sventolando a mo' di videoclip di
Wavin' Flag i due fogli mandati dalla Nyst per Tammie e Xavier. When
I get oldeeeer, I will be strongeeeeer... – Siamo qui riuniti
oggi sotto il vessillo del nuoto per prendere una decisione che
cambierà la vita a due giovani ragazzi.
– Ehi, Hime. – Nico
mi guarda stranito, credendo che io sia affetto da una qualche forma
di infermità mentale. – Non per dire, ma non devi intrattenere un
sermone.
– Infatti – Gli faccio la smorfia. – Questo è
direttamente l'inizio della Messa. Fratelli e sorelle!
Sguardi
imbarazzati dai presenti.
– Comunque, – continuo, schiarendomi
la voce. – Seriamente parlando, Xavier e Tammie, se siete pronti
vorremmo sentire le vostre decisioni. Non abbiate paura, siamo tutti
qui per sostenervi.
I diretti interessati si scambiano lo stesso
sguardo che Nico ha rivolto a me giusto qualche secondo fa, e quando
il rosso si alza esordisce con: – Ciao a tutti, io sono Xavier e
oggi sono tre giorni che non bevo.
– Xavier! – lo richiamo,
portandomi la mano sugli occhi mentre tutti gli altri scoppiano a
ridere. Questo moccioso mi porterà all'esasperazione, me lo sento.
– Sembra uno stracazzo di gruppo per alcolisti anonimi,
Anguilla. Vai easy.
Che linguaggio aulico. Sento qualcuno
ridacchiare e Ciel scuote la testa divertito, ma in pochi secondi
siamo tutti in silenzio, trepidanti per sentire quale sarà il
verdetto finale. Ad essere sincero quasi temo il momento, ed
egoisticamente parlando credo sia chiaro che temo molto di più il
verdetto di Xavier, ma non posso nemmeno mostrarmi troppo concitato o
Kyle ricomincerà con i suoi soliti sproloqui sul “sei un pedofilo
se te la fai con i sedicenni” e dato che mister Gelosia dice di
aver fatto un corso di giurisprudenza mentre era a New York, ora
scheda qualsiasi cosa io faccia e la butta sul drastico.
Parlo con
Xavier? Sono un pedofilo.
Cade la pentola? Disturbo gli ambienti
pubblici.
Impreco contro Spruffio il gatto? Sono zoofobo e il WWF
potrebbe trovarmi e venire sotto casa con torce e forconi.
Spiegatemi
come faccio a essere zoofobo se quel maledetto gattaccio mi lascia
dei poco piacevoli ricordini sullo zerbino di casa. Sono contro
Spruffio, non ho paura degli animali. Anche perché ne tengo uno in
casa - e sì, intendo Kyle.
– Tammie, avanti. – Iris, accanto
a Nico con le gambe avvinghiate alle sue, sorride e incoraggia la più
piccola dei nostri allievi mentre Shion le dà una pacca sulla
spalla. Così la morettina si alza e mi affianca davanti a tutti,
sfilandomi dalle mani il foglio che porta il suo nome.
– Parto
per New York. – afferma con un sorriso, alzando in aria la lettera
come fosse un simbolo di vittoria.
Scoppiamo tutti in un applauso,
i ragazzi della Nyst scendono e la abbracciano tutti insieme,
compreso Kyle che col labiale mima verso di me: “Bel lavoro”. Io
lo ringrazio con un cenno e poi mi avvicino a Tammie per abbracciarla
a mia volta, prendendola poi per le spalle: – Mi mancherà la mia
allieva più ubbidiente, ma sono sicuro che questa sia la strada
giusta. Congratulazioni.
Tammie mi stringe la mano per ricevere
delle congratulazioni più ufficiose, ma poi mi si butta addosso in
un nuovo abbraccio e non posso fare a meno di pensare che mi mancherà
davvero questa ragazzina. In fondo lei non ha mai dato alcun genere
di problema, ha sempre dato il suo meglio in ogni gara e in ogni
allenamento perciò non vedo posto migliore della Nyst, per lei -
anche se temo che i regimi siano molto più duri, là.
– Faremo
una grande festa di addio, allora. – Aydin conclude il giro di
abbracci con una delle sue massime. – Ti daremo dell'alcol di
nascosto, tranquilla.
Percy, Iris e io ci guardiamo, sconfitti:
non c'è più nemmeno la speranza di recuperare Hick. Caso perso,
povero.
Credo inoltre che Xavier ne fosse al corrente dal momento
che il suo è stato solo un esultare per unirsi ai festeggiamenti,
conoscendolo lui e Tammie si saranno già scambiati le proprie idee,
il che mi rende sempre più ansioso di scoprire cosa diavolo ne sarà
dell'offerta per Xavier.
Iris batte le mani, richiamando la
nostra attenzione: – Xavier, tocca a te. Forza.
Il rosso scende
dagli spalti sorridendo e, come la sua compagna, mi affianca e
afferra il suo foglio dalle mie mani. Dopo aver guardato i presenti
ad uno ad uno negli occhi lasciando me per ultimo, abbassa la lettera
e scuote la testa: – Non partirò.
Sgomento, direi, quello che
ora si palpa nell'aria.
E silenzio, tanto silenzio.
Perché io
me lo aspettavo; in fondo lo sapevo. Lui stesso me l'aveva detto.
E
sono arrabbiato perché non mi ha ascoltato, perché non capisco la
sua ragione di voler restare qui, di rifiutare un'offerta importante
come quella da New York.
Adesso lo picchio.
– Xavier puoi
venire un attimo fuori? – Se vi stavate chiedendo se avessi saputo
trattenere il mio spirito da mamma chioccia sull'ossessivo andante,
be', mi dispiace deludervi.
Xavier mi fissa quasi passivamente,
concludendo con un'alzata di spalle:– Mi devo allenare, adesso.
–
Ti alleni fuori.
– Lo sai che non ci sono piscine fuori vero?
–
Ti alleni fuori, ho detto. – Calmo, Hime. Calmo. Xavier capirà, è
un ragazzo intelligente. Smetterà di fare sarcasmo e ti seguirà.
–
Nel cemento?
Oggi finisce male.
– Fuori, Xavier.
Tutti
sono ammutoliti e solo le nostre due voci rimbombano e so che senza
problemi continueremmo questa conversazione anche al costo di dover
continuare ad ascoltare il silenzio che le due parole di Xavier hanno
generato, ma non si sa come - forse Buddha mi ha ascoltato - lui
molla la presa e fa addirittura strada verso l'esterno, dove so che
non mi aspetta una battaglia facile.
Nel frattempo, ancora non
vola una mosca.
L'esterno è soleggiato, oggi fa caldo e
maggio sta per aprirci le porte.
Xavier è illuminato dai raggi
del sole, deve tenere gli occhi socchiusi ma riesco a intravedere
ancora più chiaramente le sfumature delle sue iridi che mi hanno
sempre ricordato i riflessi dell'acqua, messe anche in risalto dalla
marea di lentiggini sparse su tutto il suo viso, ora corrucciato.
–
Non era il caso di fare scena, dopo fanno confusione. – Mi
rimprovera non appena chiudiamo la porta, portando la mano sulla
fronte per farsi ombra sugli occhi.
– Sono già abbastanza
scioccati per essere confusi dal fatto che stiamo parlando, stanne
certo. Mi spieghi perché, Xavier? Che accidenti ti trattiene
qui?
Lui mi guarda quasi seccato, so che è una conversazione che
non vorrebbe essere costretto a intrattenere: – Mi pare che tu
fossi già al corrente della mia scelta.
– Non hai risposto alla
mia domanda.
– Perché sì, Himeragi. E' una scelta mia e
se non sbaglio tu sei l'ultima persona che può farmi la predica
considerando che per ben due volte hai deciso di non partire.
Avete
presente quando volete combattere una guerra ma tutte le battaglie
sono vinte dal vostro avversario? Esattamente così, Xavier continua
a vincere lasciandomi unico senza il mio esercito sul campo deserto,
fissandomi dall'alto della sua torre protetto dalle due guardie,
sicuro di avere la partita in mano.
– I nostri casi sono
diversi, non capisci che a New York potresti ricominciare? Senza i
tuoi genitori, cimentandoti in ciò che ti riesce meglio? Io avevo le
mie ragioni per restare qui.
Xavier rotea gli occhi, appoggia la
schiena al muro e sospira, come se si stesse sforzando di tenersi
sotto controllo: – Cosa ti fa pensare che io non abbia le mie?
Ci
sono volte in cui penso che le parole feriscano più di un'arma. E
questa è una di quelle.
– Forse il fatto che pensavo me le
avresti dette. – borbotto forse sperando che lui non mi senta
quando è solo a qualche decina di centimetri da me.
Xavier
schiocca la lingua girando per un istante la testa di lato, forse
irritato o forse chissà cosa, perché chi riesce a capire cosa gli
frulli in testa è davvero da premiare. Continuo a chiedermi come
finirà questa discussione e se mai una fine l'avrà ma sono sempre
più teso e sento che non ne verrà fuori niente di buono.
– Ci
sono cose che a te non posso dire. – conclude, ora il tono della
voce tenuto più basso. – Non ho dimenticato cosa mi hai detto al
Topo, so che tu cerchi di ascoltarmi e che mi leggi in faccia che
magari non sto bene, ma devo salvaguardare quello che resta di me. E'
poco, scarseggia sempre di più ma se parlassi ora non resterebbe più
nulla. Quindi ti prego, Anguilla, basta domande per oggi. Torniamo
dentro e chiudiamo la questione, comunque vada non cambierò idea.
Inspiro profondamente, ho come l'impressione di aver sempre
viziato questo ragazzo: gliel'ho sempre data vinta, no? Un no per lui
era sì e non facevo nulla per non concedergli quella vittoria, tanto
che ora sono solo nel nostro campo di battaglia. Ma oggi no, se
voglio vincere almeno questa mi sa che dovrò recuperare qualche
soldato in giro rimasto vivo.
– Hai finito la filippica
filosofica? – Incrocio le braccia al petto, guardando Xavier dritto
negli occhi cristallini. – Cerco sempre di ascoltarti, è vero, e
non lo faccio per ottenere una ricompensa. E nemmeno per ottenere la
tua fiducia, stima o quello che vuoi. Lo faccio perché sei tu,
perché sei maledettamente bravo ad agganciarmi a te con i tuoi
sbalzi d'umore che potrebbero fare concorrenza ai miei e perché,
anche volendo, non riuscirei a farne a meno. Ed è per questo che
voglio sapere cosa ti sta trattenendo qui quando potresti andare a
New York, lasciarti alle spalle la tua casa, la tua famiglia e il
quartiere in cui vai a girare nel bel mezzo della notte.
– Mi
compatisci, in breve? – mi interrompe quasi senza espressione,
imitando la mia posizione.
– Fosse solo compassione a quest'ora
non sarei qui, che dici?
– E' solo compassione,
Himeragi, che diavolo vuoi che sia? Mi hai dimostrato sempre e solo
questo, solo compassione.
– Che stai dicendo? – sbotto, i toni
della voce stanno andando lentamente fuori controllo.
Il sole
continua a bruciare sulla nostra pelle e il caldo non aiuta a
mantenere raffreddate le nostre menti per non sfociare nel tragico,
penso che ci stiamo avvicinando ad un incendio.
Lui muove un passo
verso di me, non arretra, non dimostra di avere paura delle parole
che possono essere dette: – La verità, solo la verità. Andiamo,
vuoi dirmi che non ti crea nessun problema darmi un passaggio quasi
ogni sera? Che non ti ha dato alcun fastidio quando ho nominato te
come tutore e sei andato in mezzo ai casini?
– Mi hai mai
chiesto qualcosa prima di arrivare a queste conclusioni? –
obbietto, arrabbiato. – Se tu invece di elaborare deduzioni in
quella testolina mi parlassi sul serio, ogni tanto, le cose ora
sarebbero diverse.
– Ma io non posso dipendere da te,
Himeragi, lo vuoi capire? – Quasi cantilena, sembra un lamento di
sofferenza. – Tu hai la tua vita, hai due anni in più di me, la
tua casa, un lavoro e stai insieme a Kyle, io che posto posso mai
occupare?
Mi irrigidisco all'istante, leggermente sorpreso dal suo
discorso: – Come fai a saperlo?
– Ci vuole un cieco per non
vedervi, ma non è quello il punto.
Certo, se lo dice mentre
abbassa gli occhi e serra i pugni attorno al bordo della maglietta mi
convince proprio. Grande demagogo, questo ragazzo.
– Non è
questo il punto – gli concedo, sbuffando. – Ma allora qual è?
Perché pensi di non poter stare nella mia vita?
– Ma forse ci
sto anche, ma non in un ruolo importante e tu travisi tutto, a volte
pensi che io sia un povero gattino da portare al sicuro e succede che
mi compatisci, che fingi di volermi proteggere, forse per sentirti
meglio con te stesso, che ne so? Odio la compassione e specialmente
odio la tua, il tuo modo di farmi vedere che sai prenderti cura di me
e di farmi pensare che tu ci sia, che io abbia un ruolo diverso per
te. Ma non è così e io odio questa cosa.
Deglutisco, quasi
tremo: cosa accidenti sta dicendo?
Compassione, gattino,
che diavolo vuol dire?
Siamo partiti a parlare da New York e ora
siamo arrivati al nostro rapporto, quasi a volerlo snocciolare quando
non ce n'è alcun bisogno, anche perché dobbiamo considerare il
fatto che sta venendo snocciolato alquanto male, dicendo cose che non
stanno né in cielo e né in terra.
– Non ti ho mai compatito.
– inizio, cauto per non rendere il tutto un caos fin da subito. –
Mi preoccupo per te, che è ben diverso. Non ho mai nemmeno pensato a
te come un cucciolo che non sa badare a se stesso, tutto ciò che ho
fatto per te è stato perché mi andava, volevo, e non l'ho mai
considerato un peso. E specialmente non ho mai considerato te un
peso, o un passatempo, o che-so-io-tu-abbia-pensato. Non so nemmeno
come certe idee ti possano venire in mente, Xavier, mi stai dicendo
cose che sfiorano il ridicolo.
– Se la faccenda fosse ridicola
saremmo tutti più contenti al momento, non trovi?
– I tuoi
discorsi sono ridicoli! Il fatto che io ti compatisca è tutto una
caz...
Caldo.
Fa molto caldo.
Calda ora è la mia guancia e lo sguardo
di Xavier su di me.
E probabilmente è calda anche la sua mano,
quella che mi ha appena colpito.
– Sta' zitto! – grida, la
sua voce è roca e graffiata per lo sforzo. Io perdo le parole. –
Non sono ridicoli perché è la verità! E non è una cazzata, io lo
so, io so che provate tutti quanti solo compassione nei miei
confronti e tutti i miei sforzi per evitare questo continuano ad
essere vani ed è terribilmente frustrante, è terribilmente
frustrante vedere che anche tu non vedi altro in me!
Le sue mani
tremano come se fosse in preda al panico, il collo e il volto sono
arrossati e ha il fiato corto, gli occhi che invece non osano alzarsi
dal punto del pavimento che ha tenuto fissato mentre, dopo avermi
colpito con tutta la forza che poteva, ha sputato fuori ciò che
stava tenendo dentro.
Non so se essere più scosso per il colpo
appena ricevuto o per ciò che le mie orecchie hanno sentito, ma so
che per entrambe le opzioni non posso fargliela passare liscia.
Questo moccioso capirà, con le buone o con le cattive.
Mi muovo
velocemente verso di lui, porto l'avambraccio all'altezza delle sue
clavicole e lo costringo al muro, non curandomi del fatto che la sua
schiena abbia preso una botta simile a quella che ho appena preso io.
Tengo ben salda la presa, non ho intenzione di spostarmi da qui
finché non si sarà reso conto delle gran cazzate che ha detto e non
mi interessa nemmeno se questo comportamento va fuori dai miei
schemi, con Xavier ho capito che gli schemi non servono proprio a
nulla.
– Pensi forse che sarei qui a prendere schiaffi da te se
non mi importasse? – grido senza ritegno a qualche millimetro dal
suo viso, non ricordo nemmeno l'ultima volta che sono stato così
arrabbiato. – Che mi farei in quattro per te e che insisterei ore
su ore perché tu vada a New York? Avrei anche dell'altro da fare, ma
tu fai parte della mia vita esattamente come ne fa Kyle e non potrei
mai permetterti di fare errori come rimanere qui!
– E chi ti
dice che stare qui è un errore? – grida anche lui, ormai siamo
entrambi fuori controllo.
– Lo è stato per me e lo sarà
ancora di più per te, là puoi ricominciare e sono sicuro che la
ragione che ti tiene qui non varrà mai la pena di perdere
un'occasione del genere!
Xavier alza di scatto la testa ma non mi
guarda negli occhi, anzi li stringe più che può e, mentre la prima
lacrima gli riga il viso arrossato, dà fiato un'ultima volta alla
voce che lo tormenta: – La ragione sei tu!
Spalanco gli
occhi.
“La ragione sei tu”.
La frase rimbomba ancora
nella mia testa e no, non è stato un sogno. I timpani mi fanno
ancora male.
Allento la presa, se stringo ancora lo strozzo. Gli
manca l'aria, comincia ad annaspare e si lascia cadere a terra
facendo scivolare la schiena al muro, rinchiudendosi poi nelle sue
braccia. E piange, quasi a volermi uccidere. Forse sta imprecando, ma
non lo sento perché lo sto facendo anch'io, dentro di me. Ci siamo
fatti male, nessuno ha vinto o perso ma siamo tutti e due feriti. Io
qui, in piedi davanti a lui mentre lo guardo stringere
compulsivamente le dita attorno alla stoffa dei jeans e tenere il
viso nascosto da me, in mezzo alle sue ginocchia protetto dagli
avambracci. A me, l'unico a cui l'abbia mai mostrato.
– Sei tu,
sei tu, sei tu, sei tu... Sei sempre e solo tu, dannazione...
E
piange, ma non più con cattiveria: mormora.
E subito mi viene in
mente che non è la prima volta che me lo dice. Lui mi aveva già
avvisato, ma sono sempre stato troppo cieco per cogliere il vero
significato delle sue parole. Troppo sordo, troppo superficiale. Lo
proteggevo da tutti quando l'unica persona che lo stava ferendo non
ero altro che io.
“Forse
starei anche con te, allora.”
“Sei un idiota, Himeragi. Ma
non per quello che hai detto. Per ciò che stai facendo ora.”
“–
Forse ti chiameranno Anguilla, ma almeno stai un po' al caldo finché
iniziano le staffette.
– Posso anche accettarlo se l'anguilla
sei tu.”
“Falle con Adair queste cazzate.”
“Non puoi scherzare su
queste cose con me. Non farlo più.”
“Ti assicuro che
sei la persona con cui parlo di più.”
“Meriti
qualcuno in grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno
che te li faccia pesare.”
“Pensi che sia facile avere a
che fare con te?”
“In effetti sei l'unica cosa facile che
ho.”
“Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla.”
Lui me l'aveva
detto, in modi diversi. E ora mi sento terribilmente male per non
aver mai cercato di capire le sue parole.
Ne hai combinata
un'altra, Himeragi, complimenti.
– Xavier... – Provo ad
inginocchiarmi di fronte a lui e credo stia combattendo l'istinto di
buttarmi a terra. – Puoi spiegarmi, con calma, qual è il problema?
Come se non l'avessi capito, voi vi starete dicendo. Ma sono
sincero, perché voglio capire il significato di ciò che ha appena
detto. Non è subito immediato.
Lui alza piano gli occhi ed è
quasi doloroso vederli talmente rossi e gonfi da non sembrare nemmeno
i suoi, ma il fatto che mi parli è comunque un buon segno: – Il
problema è che è tutto sbagliato, a partire da me. Non è normale.
Non so quale sia il problema. Mi sento sempre confuso, non capisco
cosa sia, stare con te non è mai come stare con Aydin o con i miei
amici, sento sempre qualcosa di strano e non voglio nemmeno dargli un
nome, perché probabilmente dopo avrei un altro problema da
risolvere. Ma non voglio allontanarmi da te, non voglio. – La sua
voce va via via affievolendosi, tanto che le ultime parole sembrano
quasi un lontano mormorio.
Ricordo quando anch'io pensavo non
fosse normale il sentimento che provavo per Kyle, ero sempre su di
giri e cercavo anche un qualsiasi stupido motivo per non pensare che
quello fosse un interesse diverso rispetto a quello che avevo per
tutti gli altri miei amici. Poi, be', come è finita l'abbiamo visto
tutti quanti.
Ricordo anche che era piuttosto doloroso; la gente
non sempre capiva e spesso parlava troppo. Ma da soli è sempre più
difficile venirne fuori, specialmente se nella propria testa si è
già in due.
– Non è per niente strano, anormale o cose del
genere. E' naturale, Xavier, sentire un affetto particolare per
qualcuno, sia esso uomo o donna. Non conta il sesso.
– Già, per
te il discorso mi era piuttosto evidente.
– Riesci anche a
farci ironia su? – borbotto cercando però di vederlo ridere, senza
risultati. – Sei in un periodo particolare, l'adolescenza fa fare
cose strane e non devi vergognartene, mai. Non è una cosa di cui
avere paura.
Xavier appoggia la schiena al muro, tirandosi
finalmente in piedi mentre tira su col naso e si sfrega gli occhi: –
Ma non mi sento giusto. Tutto ciò non va bene, fa solo male. E tu
continui a dire belle frasi senza nemmeno pensare a cosa mi stai
facendo esattamente come io che penso che da ora in poi sarà tutto
normale. Sono tutt'e due balle, no?
– Non è vero. – obbietto,
sicuro di me. – Non hai detto niente che mi possa sconvolgere, sono
solo un po'... Ecco... Momento sbagliato, forse.
– Eh certo,
poteva essere quello giusto? Non pensi che ci fosse un motivo se non
ti volevo dire perché voglio restare qui?
– Ora che l'ho
capito non so cosa dire, sono sincero. – Mi siedo definitivamente a
gambe incrociate davanti a lui, prendendo quanto più fiato posso per
quanto il petto mi faccia male. – Lo sai anche tu che non mi sei
indifferente, ma sto con Kyle e...
– Mettiamo in chiaro le cose.
– sbotta improvvisamente, recuperando il suo tono severo. Questo
ragazzo mi fa sempre più paura. – Non ti ho detto questo con
chissà quali fini, okay? Tu mi hai chiesto e io ti ho risposto.
Fine.
– Sì, con uno schiaffo. – ribatto, alzandomi a mia
volta.
– Già... Scusa.
Ed eccolo lì, un bambino a cui è
appena stato ritirato il suo peluche preferito. Quello sguardo
ferito, gli occhi lucidi, le gote rosse.
E la cosa che fa più
male è che sono io a tenerlo ben stretto quel peluche.
– Ti
chiedo un favore. – ricomincia, guardando per qualche secondo verso
l'alto forse per ricacciare indietro le lacrime. – Non dire niente
a nessuno. Vorrei... Che rimanesse tra noi due, com'è giusto che
sia.
Annuisco, sincero, sporgendomi poi verso di lui: – Anche
io te ne chiedo uno.
Lui mi fissa forse un po' spaventato, ma
alla fine annuisce.
– Penso di conoscerti abbastanza bene da
poter prevedere qualche tuo colpo di testa da oggi in poi. Perciò ti
imploro, Xavier, non abbandonarmi. E non intendo fisicamente.
Okay?
Lui mi guarda, giusto qualche istante, e poi si lascia
cadere addosso a me, sicuro che io lo prenda. E così faccio, avvolgo
le mie braccia attorno al suo corpo ancora scosso dai brividi e porto
la mano dietro la sua nuca, portandola alla mia spalla.
Forse
sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato
uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo
appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono
riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire,
nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.
Lui è qui, un bambino
che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non
lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la
schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so
fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un
bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.
–
Oh, sei vivo! Dov'è Xavier? – Iris mi corre incontro accogliendomi
in atrio, arrivando quasi in scivolata. Fa molto Michael Jackson.
–
Si è sentito male e abbiamo chiamato i suoi perché lo venissero a
prendere. – mento, sperando che Iris non si metta a fare domande.
–
Ah sì? Cos'ha avuto?
Ecco, appunto.
Cosa dico adesso? Una
dichiarazione con perifrasi astruse andata non proprio bene?
–
Il caldo. – Eccola qui la soluzione! – Eravamo al sole mentre
cercavo di convincerlo a partire, lui ce l'aveva in faccia e ha
cominciato a... Girargli la testa, sì, poi ha detto che si sentiva
mancare e allora abbiamo chiamato i suoi. I cambi di stagione, sai,
possono essere terribili.
– Il caldo. – Iris non è convinta.
Per niente. – E... Aspetta, che accidenti hai fatto alla guancia?
E' rossa come un peperone!
Giusto Hime, cos'hai fatto alla
guancia? Dai, di' ancora che è il caldo!
Mi guardo in giro in
cerca di spiegazioni, ma alla fine opto per la più banale: – Alla
guancia? Non ne ho idea.
Iris mi fissa con una smorfia. Se
mettiamo insieme la cronistoria, so che non è per nulla convincente
la mia versione dal momento che sono uscito dalla piscina con Xavier
mentre ora ho una manata sulla guancia e Xavier non c'è più; ma si
può sempre lavorare di fantasia, no?
– Cos'è successo? – mi
rimprovera lei con un tono grave. – E intendo sul serio. Hai
chiaramente il segno di una mano in faccia.
E' inutile, a Iris
non riuscirò mai a nascondere niente - anche se credo che qui pure
Aydin avrebbe avuto dei sospetti. Di certo non posso raccontare ciò
che è veramente accaduto e trovare una scusa convincente ora sarebbe
alquanto difficile, perciò immagino che ricorrerò al metodo più a
portata di mano.
– Non posso dirtelo.
Semplice, conciso.
Una meraviglia.
– Perché Xavier ti ha dato una sberla?
E'
meraviglioso anche come Iris non demorda nemmeno se dovesse cadere il
mondo seduta stante. Porca miseria.
– Storia lunga. Non l'ha
fatto apposta.
– No, certo. Anche a me parte la mano e va
accidentalmente a collidere con la tua faccia da imbecille.
–
Ehi, okay che il tuo standard adesso è un italiano più piccolo di
te ma ricordati che ci sei stata con questa faccia da imbecille. –
sbotto, fingendomi offeso sperando con l'ironia di deviare
l'argomento.
Purtroppo però, Iris non solo è stata con questa
faccia da imbecille, ma la conosce anche piuttosto bene.
– Non
balzare l'argomento. – mi rimprovera, appoggiando le mani ai
fianchi come se fosse spazientita. Ahia. – Uno, il mio standard non
è un italiano più piccolo di me, non è nemmeno Nico in generale,
ma non penso tu necessiti della lezione del “ci si può innamorare
di qualsiasi genere di persona”. Due, non pensare di fare questo
giochetto con me, in queste situazioni faresti meglio a non fare il
difficile e dirci le cose come stanno.
Volete la verità?
Anche io ho un limite.
–
Allora te le dico, poi non tiriamo più fuori l'argomento. –
inizio, pacato. – Dal momento che ciò che è successo non
interferisce in alcun modo con voi, resterà affar mio. Xavier sta
bene, io sto bene, a posto. Non devi sapere altro, né tu e né gli
altri e soprattutto dovete capire che ho diciotto anni anch'io
esattamente come tutti voi e che non ho intenzione di essere trattato
ancora per tanto come qualcuno che non sa gestire i problemi dato
che, se non si è notato, Xavier parla solo con me e un motivo c'è.
Sono stato abbastanza chiaro, Iris?
Iris mi guarda con gli occhi
nocciola sgranati, i capelli biondi appena appena spettinati dal
vento e la bocca indecisa sul da farsi. Parlerà o prenderà la
saggia decisione di tacere?
– Himeragi...
No, non ce la fa.
– … Ma cosa accidenti ti sta prendendo in questi giorni? E'
Kyle che...?
– Non è Kyle! – sbotto, adesso davvero faccio
una strage. Alla bidella conviene sloggiare anche se doveva solo
portare dei fogli. – Anzi, Kyle cerca di tenermi calmo perché
questa cosa che avete tu e Percy di opprimermi per ogni passo che
muovo mi fa andare fuori di testa! Sembra che questa cosa di me e
Xavier sia sempre stato un affare di Stato ma no, è sempre stata una
piccola cosa tra me e lui che voi avete quasi fatto diventare un
mito. E' un ragazzo che ha semplicemente bisogno di un amico e l'ha
trovato in me, okay, quindi basta domande su di lui perché, ripeto,
se non vi risponde di solito c'è un motivo. E adesso basta.
Le
do le spalle e me ne vado dritto verso la scuola, mando solo un
messaggio a Kyle chiedendogli di prendere su le mie cose e di dire
che per oggi ho chiuso. Per oggi e chissà, finché quelle due non si
decideranno a tornare a qualche tempo fa, quando era tutto più
tranquillo.
Ci sono dei momenti, nella vita di tutti, in
cui lo scoraggiamento sembra l'unica sensazione nella testa.
Tutto,
e dico tutto, sembra non essere al suo posto: ogni cosa
acquista una piega negativa, come se fosse nel luogo sbagliato al
momento sbagliato. Ed è molto difficile pensare positivo, in quei
momenti.
Dico, vi è mai capitato di stare bene col mondo un
secondo prima e pensare di odiarlo completamente il secondo dopo? E
vi è capitato di credervi in grado di superare tutto da soli, solo
per scollarvi di dosso una stupida etichetta che gli altri vi hanno
messo? Orgoglio, forse, o semplicemente spirito di sopravvivenza:
vince il più forte. E noi tutti vogliamo esserlo, quel più
forte.
Ma a volte non si può.
C'è una strana legge della
natura che ci dice che non sempre vince il più forte, anzi, forse a
volte vince il più debole. Vince chi sa di essere perso e lo
ammette, vince chi riconosce di non essere uno strafattissimo
Superman che può sconfiggere il male a mani nude; a volte il male
bisogna sconfiggerlo sconfiggendo prima se stessi. E si ha bisogno di
un aiuto, io penso. Provate un po' a demolire un intero muro da soli,
voi.
Forse ce la farete, è vero, ma ci metterete tanto di quel
tempo che poi guarderete la vostra opera a metà e penserete “tanto,
non ne vale più la pena”. E sarà perché è passato troppo tempo,
perché avevate bisogno di una mano tesa verso di voi in quel momento
che, anche se ci fosse stata senza che voi l'aveste chiesta, non
avreste accettato. Lo so, non vi sto rimproverando. Vi capisco bene.
E' per questo motivo che ora sono qui sul divanetto di casa mia
mentre fisso lo schermo del mio cellulare tenuto insieme con lo
scotch mentre è aperto sulla pagina della rubrica di
Aydin.
“Hick”
Rileggo il suo nome un milione di
volte, poi il suo numero, e infine il registro chiamate. L'ho
chiamato poco, ultimamente. E mi dispiace. So che se sto fissando il
suo nome ora è perché sono io, di nuovo, ad avere bisogno di lui,
ma so che non posso fare altrimenti, perché è il mio migliore amico
e merita di sapere cosa diavolo mi sta succedendo.
A Kyle non ho
ancora detto niente, credo sia meglio mantenere il silenzio per un
po', almeno finché non trovo il modo e la soluzione giusta: temo
molto il momento in cui, in tutta la sua statuaria strafottenza, mi
sorriderà e mi dirà “te l'avevo detto, io lo sapevo”. Gli ho
solo detto che sarei uscito un po' perché Aydin mi voleva parlare,
quando in realtà so di essere un bugiardo e credo che Kyle mi abbia
scoperto in pochi secondi dal momento che sembra che abbia il super
potere di capire quando sto mentendo e quando no. E se è per questo,
sa bene anche che non ci sto per niente con la testa dopo quella
“chiacchierata” avuta con Xavier, ma forse prova a risparmiarmi e
fa finta di non accorgersi di nulla per non dovermi fare domande,
come quando poco fa ha detto di dover dare da magiare a Sebastian per
non continuare l'argomento. Gli sono davvero grato, per questo.
–
Pronto?
Quando cavolo è successo che ho premuto il tasto della
chiamata?
– Hick?
– Ehm... Sì? Mi hai chiamato tu, Hime.
Cercavi qualcun altro?
– No! No, no... Io...
So che è tardi, ma ti va se faccio un salto da te?
– Nessun
problema, credo, ma ci sono tutti i miei fratelli in casa e i miei
genitori non ci sono quindi devo badare a loro, perciò... Forse non
sono proprio di compagnia, ecco.
Sorrido tra me e me, posso dire
di tutto su Hick ma non che non sia un bravo babysitter: è il
maggiore di altri sei fratelli e con lui in casa non è mai successo
nulla.
– Ti faccio compagnia io. – mi offro, prendendo al
volo le chiavi della macchina cercando di non svegliare Kyle dal
momento che le afferro manco fossero maracas. – Dieci minuti e sono
da te, okay?
– Tranqu... Jake! – grida improvvisamente,
perforandomi un timpano. – Metti subito giù Cody, non è un
cotechino! Hime, ci vediamo tra poco. Devo correre.
E cade la
linea.
Fisso ora la chiamata terminata con un sorriso, perlomeno
sono sollevato.
E sono anche felice del fatto che Cody non sia un
cotechino, ovviamente.
– Permesso?
Entro in casa
Hickey con la copia di chiavi nascosta dentro ai guanti da
giardiniere del padre di Aydin e subito è il caos: un bambino mi
sfreccia davanti con lo skateboard rischiando un incidente non da
poco, sento diversi improperi arrivare dalla cucina e un pianto dal
soggiorno. Era da un po' che non venivo qui e francamente mi ero
anche dimenticato del casino che regna sovrano in questa sottospecie
di circo. Non che mi ci trovi male, chiaramente: io adoro il
disordine e specialmente adoro quello di questa famiglia. E' uno di
quei disordini accoglienti, che rende la casa meno austera e più
calda.
Casa
Hickey è davvero enorme, ma del resto è il requisito base per
ospitare nove persone: un soggiorno con due divani formato famiglia,
una cucina che fa concorrenza a quella del film Una Scatenata
Dozzina, tre bagni, due stanze adibite a studio, quattro camere da
letto e un giardino immenso. Più il caos, ovvio.
– C'è Hime! –
sento urlare dal piano superiore e, come un razzo, i gemelli Asa e
Grace mi si lanciano addosso manco mischia di football americano.
Adoro questi ragazzini.
Tredici anni, praticamente gli stessi
tratti fisiologici in versione maschio e femmina, capelli castani
tutti ricci e occhi azzurri; due sottospecie di Aydin in miniatura,
ricce e copie di lui.
– Ciao ragazzi! – esclamo abbracciandoli
subito, sorprendendomi del fatto che crescono sempre di più.
Arriverà il giorno in cui entrambi saranno più alti di me e io mi
sentirò un nonnetto in pensione, me lo sento. – Come va?
–
Tutto bene! – sorride Asa, il maggiore di due minuti rispetto alla
gemella. – Aydin ci aveva detto che saresti venuto, ti abbiamo
fatto una sorpresa.
– Ma non siamo stati solo noi. – completa
Grace, prendendomi la mano e trascinandomi verso il soggiorno. –
Anche Jake ci ha aiutato! Erin invece ha detto che dovevamo lasciar
perdere e Cody dice solo “ue ue”, quindi non lo contiamo. Vuoi
vederla?
Fidatemi di me, serve un allenamento speciale per non
diventare matti con tutti questi nomi, ma cercherò di rendere le
cose più facili subito: il maggiore, come ho detto, è Aydin, mentre
la secondogenita è Erin, di sedici anni. Dopo di lei troviamo
Jordan, quindicenne problematico che sta attualmente affrontando la
sua fase di ribellione e i due gemelli, Asa e Grace. Abbiamo poi
Jake, scatenato bambino di dieci anni e infine Cody, l'ultimo e
imprevisto arrivato, di otto mesi. Non ho dubbi sul fatto che i
signori Hickey volessero mettere su una squadra di calcio, ma
nonostante il numero elevato di figli hanno fatto un ottimo lavoro
con ciascuno di loro.
– Andiamo, andiamo.
Mi faccio così
guidare in cucina dove Jake, ragazzino dai capelli più scuri
rispetto ai fratelli con un costante cappello nero tirato giù fino
alle sopracciglia e lo skateboard sotto il piede mi guarda
sorridente, indicandomi poi il bancone in marmo: – Questo è per
te!
Sposto spaventato lo sguardo da Jake all'unico piatto su cui è
riposto un ammassamento sospetto di biscotti tenuti insieme da quelli
che sembrano Nutella, panna montata, miele e qualche altra strana
sostanza; con una guarnizione di codette colorate, una banana
maciullata e salsa di fragole. Almeno spero sia salsa di fragole. Ah,
e non dimentichiamoci il biglietto che reca la scritta “Bentornato,
Himegari”
Questa è la prima volta che sento Himegari.
Non
vedo l'ora di mangiarlo!
– Io avevo detto che era meglio di no.
– Improvvisamente Erin spunta alle mie spalle con un sorrisetto
arreso e i capelli impiastricciati di Nutella. – Ma loro ci
tenevano tanto e alla fine me l'hanno fatta pagare. Simpatici, no?
–
Siete Hickey. – rispondo ridendo, abbracciando velocemente la
ragazza davanti a me. – Ti vedo bene, Erin.
Lei annuisce,
guardando schifata il piatto: – Già... Si va, diciamo. Ho qualche
problema con la scuola.
– Benvenuta nel club. – commento
sorridendole, ma un ingresso inaspettato ci fa voltare
contemporaneamente.
– Ma se eri un secchione! – Ed ecco che
dal soggiorno ci raggiunge Aydin con Cody in braccio, un ciuffo di
capelli viola e gli occhiali da lettura. Aspetta, da quando si è
fatto le mèches? – Non ascoltarlo, Erin. Lui non sa cosa vuol dire
andare male a scuola.
– Ehi, non è che brillassi. – ribatto,
avvicinandomi per controllare che diamine si è fatto ai capelli.
Lui
mi scruta e poi si mette a ridere: – Se ti stai chiedendo cos'ho in
testa, ti dico solo che Grace ha scoperto di voler diventare una
parrucchiera e mi ha usato come cavia. Con le tempere, ovviamente.
Benvenuti in casa Hickey, signori e signore.
– Bel lavoro.
– mormoro per non offendere la ragazzina dietro di me che,
orgogliosa, fissa il suo capolavoro. – E Jordan? Non lo vedo.
Erin
si stringe nelle spalle, indicando con gli occhi il piano di sopra: –
Sta sempre in camera sua. Abbiamo provato a dirgli che venivi tu, ma
era in crisi mistica. Si è messo ad ascoltare il metal, adesso. E si
veste sempre di nero, fa paura.
– Crisi adolescenziale,
presumo. – provo ad ipotizzare, facendo una discreta collegare il
volto sempre allegro di Jordan alla descrizione che Erin mi ha appena
fornito. Ma è normale alla fine, ogni adolescente che si rispetti ha
i suoi periodi di transizione.
Aydin batte improvvisamente le
mani, richiamando l'attenzione di tutti: – Allora, truppa! Hime è
venuto qui perché ha qualche problema esistenziale, quindi ora Erin
in camera tua, Jake metti via lo skateboard e finisci i compiti, Asa
e Grace lavatevi i denti e in branda. Tutto chiaro?
Fisso
divertito Hick e le reazioni dei suoi fratelli che comunque, chi con
uno sbuffo e chi roteando gli occhi, eseguono gli ordini e ci
lasciano da soli. Ha parecchia autorità il ragazzo, qui. E se non
altro sono stato quasi dieci minuti senza pensare a quello che è
successo stamattina, è un record.
– Allora, – mi sorride e,
col fratellino in braccio, fa un cenno verso la caffettiera. – Un
caffè?
– Anche due. – annuisco, prendendo Cody come fosse un
testimone mentre Aydin mette su il caffè. Per qualche secondo sta in
silenzio, poi assume improvvisamente un'espressione seria.
–
Cos'è successo con Iris?
Non per niente è il mio migliore
amico, questo ragazzo.
– Non sei arrabbiato? – rispondo,
guardandolo mentre si gira per versare la brodaglia marrone in due
tazze.
Nonostante sia di spalle lo vedo scuotere la testa e,
anche se ancora con quell'espressione buia mentre mi allunga la tazza
e dà un occhiata a Cody, mi guarda negli occhi e continua: –
Quello che succede tra te e Iris non è affar mio, né tanto meno
quello che succede tra te e Percy. Devi solo stare attento perché
quello che dicono o fanno è solo in funzione del tuo bene, non
perché vogliano farti stare male. Ci tengono che tu sappia questo
anche se siete arrabbiati. E la tensione si sente, tra l'altro, in
piscina. Gli allenamenti, sia nostri che della squadra, sono molto
più pesanti.
Annuisco, bevendo il caffè mentre stacco un
biscotto innutellato
dalla composizione sospetta: – Lo so e mi dispiace, ma è un
periodo di assestamento per me e oggi è successa una cosa sulla
quale Iris non avrebbe dovuto calcare la mano. Ero parecchio scosso e
ci si è messa con i suoi discorsi, quindi ho perso la calma.
Aydin
annuisce a sua volta: – Capisco che il ritorno di Kyle nella tua
vita ti abbia frastornato, ma Iris ha ragione quando dice che non sei
più lo stesso. Arrivi a lavoro già irritato o troppo su di giri e
non ci sei più con la testa, sbotti con niente e poi succedono cose
strane con Xavier mentre tu te ne vai di notte o lo porti fuori a
parlare. – Fa una breve pausa, guardandomi negli occhi. – Devi
riconoscerlo.
Odio quando le persone hanno ragione, specialmente
quando l'argomento riguarda me in prima persona. E la cosa peggiore è
che Aydin sembra non accorgersi mai di nulla quando in realtà è
l'osservatore migliore tra di noi.
– Anche se lo riconoscessi
cosa cambia? Posso anche cercare di tornare alla normalità ma Percy
e Iris si sono messe in testa che mi devono propinare una specie di
programma di recupero e non fanno altro che ribadire quanto per loro
io sia un incapace. In ogni cosa, accidenti. E con Xavier, poi...
Be', sono venuto qui da te proprio per raccontartelo. Ma voglio che
mi prometti che non dirai una parola.
Aydin sorride, complice: –
Ho mai detto qualcosa?
– Non farmelo dire, bastardo. – lo
rimprovero a denti stretti con uno sguardo omicida mentre lui scoppia
sguaiatamente a ridere, finendo per far fare un sussulto a Cody,
ancora in braccio mio.
– Lo diciamo? – propone alzando la
tazza di caffè in segno di un brindisi.
Lui cerca botte.
–
Tanto perché siamo in tema. – acconsento alla fine, ridendo mentre
alzo la mia tazza fino a farla scontrare con la sua. – Heather
Mills, prima superiore, ottobre!
– Heather Mills, signori e
signore! – ripete lui con un tono da cerimonia, solenne come non
mai. – Così impari a soffiarmi la ragazza, brutto stronzo.
–
Tu ed io ci conoscevamo da un mese e mezzo e sei andato a dire a
quella tipa che io pensavo che avesse un bel fondoschiena, lo stronzo
sei tu! – ribatto, fiero della causa che sto portando avanti.
Devo
ammettere che ridere quando non si dovrebbe fa sembrare tutto
incredibilmente più esilarante. Il che suona un po' da psicopatico.
– Chi ha il pane non ha i denti, no? – mi provoca lui con un
sorrisetto atroce mentre dà un pizzicotto leggero sulla guancia di
Cody che gli risponde facendo le bollicine con la saliva. Cavolo, bei
tempi quelli delle bollicine con la saliva.
– E dai! – mi
lagno peggio del bambino che tengo in braccio con tanto di smorfia. –
Ho bisogno del tuo aiuto, Aydin. Sono nella merda.
– Tanto per
cambiare. – asserisce con una nota di ovvietà nella voce, pulendo
sulla maglia gli occhiali viola a causa della tempera sui suoi
capelli. – Immagino che per chiamarmi col mio nome il problema sia
alquanto grave.
Annuisco, pensando che in effetti pure Cody mi
sta fissando come se fossi un povero scemo. Perfino lui.
– Già.
– ammetto a bassa voce, sbuffando. Tanto sono capace di fare solo
questo. – E' solo che... Non so come gestire la situazione. Iris ha
ragione, probabilmente.
– Senza il “probabilmente”, ma non
siamo qui a dare ragione alla gente. Piuttosto, vuoi dirmi cos'è
successo mentre eravate fuori, tu e Xavier?
Respiro più che posso
a polmoni pieni, guardo Cody negli occhioni azzurri in stile Hickey e
mi preparo mentalmente a quella che sarà una tortura più che altro
psicologica, partendo dal fatto che proprio Aydin sarà il mio
confessore. E la cosa mi spaventa non poco.
– … E
dopo ciò mi ha detto che sono un bastardo.
– Be' guarda un po'
tu, direi che ti veniva.
– Dici che sono stato un bastardo?
–
Se te lo dicessi ti farei un complimento, Hime.
Ecco, io sapevo
che non dovevo dire niente.
Io dovevo farmi la doccia a casa mia,
dire “buona cena” a Kyle e sotterrarmi sotto le coperte; non
venire qui a sputtanare i beati affari miei e di Xavier a Hick. E lo
dico perché liberarmi di questo peso ha fatto sì che mi beccassi
non pochi insulti anche dal mio stesso confessore, non perché mi
pento di averlo detto in generale.
– Chi l'avrebbe mai detto? –
esordisce Hick probabilmente per allentare la tensione, fissando il
fratellino che ormai si è addormentato tra le mie braccia. –
Xavier... Che dire, Hime, sei talmente figo che converti gli etero.
Scuoto la testa, ridacchiando: – Per carità, se Xavier non
s'invaghiva io stavo anche meglio. Non vedi cosa gli ho combinato,
seppur inconsciamente?
– Quando una persona è innamorata fa
tutto da sola, di solito. – Aydin alza gli occhi di scatto su di
me, guardandomi severo. – Quando lo viene a sapere, la persona
amata si dà la colpa perché vede l'altro sofferente. Ma che ne
sapeva lei, in fondo? Non ha fatto niente. Non hai
fatto niente. Niente per farlo stare male, diciamo. Le persone
innamorate scoppiano con una scintilla microscopica, è un
comportamento normale e non è né da biasimare né da
colpevolizzare. Si fa così, punto; le cose ora stanno così e
rimuginarci non ha più di tanto senso.
Io penso seriamente che
smetterò di pregare Buddha e comincerò a venerare Aydin Hickey, lo
stramaledetto oracolo a due gambe di Detroit. Sul serio, come fa a
sembrare un perfetto idiota quando riesce a risolvere ogni mio
problema esistenziale? Ci vuole talento, insomma.
Non è roba per
tutti.
– E cosa potrei fare? – domando alla fine, sperando in
un altro dei suoi sermoni degni della Bibbia.
Lui mi squadra con
gli occhi azzurri, concentrato, poi alza le spalle e sorride: –
Boh!
Giusto, no?
Boh!
Grazie
Hick. Un tesoro.
– Ti prego! – mi lagno, ormai allo stremo.
Non sopravviverò ancora molto se il mezzo clown dai capelli viola
non elargisce un'altra delle sue perle.
Lui sembra pensarci un
po' su e alla fine conclude con un sospiro: – Lo conosci meglio tu
rispetto a me, io non saprei proprio come muovermi. Forse... Dovresti
parlargli, no?
– E che gli dico? “Ehi, Xavier, bella lì come
stai?”. Non credo funzionerebbe molto, sai?
– Penso che più
che altro ti tirerebbe dietro qualcosa.
– Bravo Hick.
Perspicace.
Aydin annuisce con una smorfia: – E' una brutta
faccenda, Hime, ma come lui ha deciso di aprirti il suo cuore anche
tu lo devi fare. Devi mettere in chiaro le cose, dirgli che stai con
Kyle e che non puoi dargli il genere di attenzioni che vorrebbe.
–
Non credo sia il momento giusto per parlargli, ad essere sincero.
Forse dovrei lasciar passare del tempo, vedere come si comporta...
Improvvisamente Aydin sorride e allunga una mano verso i miei
capelli per spettinarmeli: – Vedi? La soluzione già la sai.
Sorrido, rassegnato. Non posso farci niente: questo ragazzo è il
mio migliore amico.
Chiudo la porta di casa alle mie
spalle e subito il cretino mi accoglie saltellando e facendo strane
giravolte, emettendo strani versi gutturali.
E no, non sto
parlando di Sebastian.
– Okaeri!
– mi saluta tornando serio mentre ridacchia come un maniaco, forse
riconoscendo che a diciotto anni non è molto normale fare così.
Senza il “molto”.
– Ti sei preso abbastanza bene con
questa storia, vedo. – rispondo togliendomi la felpa per
appoggiarla sull'attaccapanni, lanciando le scarpe vicino alla cuccia
di Sebastian. – Tadaima.
– concludo sorridendogli appena, evitando il suo sguardo.
Frena
un attimo, cos'è questo strano timore?
Sento gli occhi di Kyle
attanagliarmi solo come loro sanno fare e il suo tono di voce, appena
raggiunge le mie orecchie, è decisamente più serio: – E' successo
qualcosa con Aydin?
Scuoto la testa, imponendomi di non lasciar
trasparire nulla per evitare di insospettire inutilmente Kyle: –
Niente di che, qualche rogna in generale. Tu? Che hai fatto in mia
assenza?
Non è ancora convinto, infatti incrocia le braccia e non
demorde: – Sono stato in divano a sorbirmi i dubbi esistenziali di
Nico per quanto riguarda Iris. Ma sei sicuro che vada tutto bene?
Avete litigato?
Se avessi litigato con Aydin penso che il problema
non sussisterebbe nemmeno considerando il fatto che non stiamo
arrabbiati per più di mezz'ora, ma per ora è meglio che Kyle non lo
sappia. Potrebbe sempre tornarmi utile come scusa.
– No, è
solo che sono un po' stanco. E' stata una giornata dura, e in più...
– Vengo improvvisamente interrotto dalla suoneria del mio magnifico
cellulare tenuto con lo scotch, al che Kyle alza gli occhi al cielo e
scuote la testa, allontanandosi in camera. Non ama molto le chiamate
che ricevo per via del nuoto, della squadra o quant'altro. Diciamo
che non ama proprio la suoneria del mio cellulare.
– Ehi! –
mi lamento correndogli dietro con telefono che vibra, tirandolo per
la maglietta.
Lui si gira verso di me, stranito, ma ancora più
stranito è quando lo bacio per dargli la buonanotte. E' un gesto
istintivo, il mio, ma non dettato dal mio istinto normale: oh no,
questo è istinto da “sto cercando di trovare una soluzione”. E
non ci sto riuscendo, per la cronaca.
– Buonanotte. –
borbotto poi sentendomi avvampare fino alla punta delle orecchie, al
che Kyle scoppia a ridere. Se fosse la sua solita risata allegra
sarei decisamente più contento, però.
– Non sperare di farla
franca, Anguilla. – E' la sua buonanotte detta con un sorriso
sadico, quello di chi la sa lunga. E mi sa che lui la sa più lunga
del previsto.
– Merda. – borbotto a denti stretti senza che
lui mi senta mentre, preso dalla mia solita panichira,
premo la cornetta verde portandomi il cellulare all'orecchio. –
Pronto?
– Hime, sono Shion.
– Lo so, ho il tuo numero
salvato. – le faccio presente fingendo di averlo letto. Che genio
della recitazione che sono. Un prodigio.
– Ti disturbo?
–
Non... Esattamente, diciamo. E' successo qualcosa?
Qualche attimo
di silenzio, e poi la sua voce inizia a tremare: – C'è un
problema.
Ma dai? Strano!
– Sul serio? – ribatto ironico,
portandomi la mano alla fronte.
– Sul serio. – riconferma
lei, sbuffando. – Potrebbe essere più grave del previsto, e... Non
so come venirne fuori. L'abbiamo combinata grossa.
Mi si
raddrizzano improvvisamente le antenne da “rileva-guai” al suono
del verbo al plurale. Vi prego, ditemi che non è come penso che sia.
– Cos'è successo, Shion? – chiedo direttamente, saltando i
giri di parole.
Dimmi che non c'entra Ciel, dimmi che non c'entra
Ciel, dimmi che non c'entra Ciel...
– Riguarda Ciel.
Io
basta, vado a vivere in Bangladesh. Ciao mondo.
Il gesto di
portarmi una mano alla tempia ormai è automatico: – Ne dobbiamo
parlare, vero?
– Vero. Sai già qualcosa, vero?
–
Vero.
Qualche attimo di silenzio, poi la risata nervosa di Shion:
– Una bella giornata, vero?
– Vero. E vuoi sapere un'altra
cosa? – Lancio inconsciamente uno sguardo alla porta chiusa della
mia camera dove Kyle dorme e alla finestra, nel luogo dove Xavier è
venuto a trovarmi più di qualche volta.
– Sentiamo.
–
Siamo in un vero mare
di merda.
Camille scoppia a ridere: – Vero.