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Autore: Heyale    30/08/2018    0 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.12

SWIMMING TALE
CAPITOLO DODICI
“The Tell-Tale Casa Hickey”


I'll wait for you and
should I fall behind
will you wait for me?



Prima che potessi davvero capacitarmi di tutto ciò che era successo, io e Kyle stavamo insieme.
Di nuovo.
Quando si dice che la lezione non la si impara mai, no?
Sono passati i primi minuti, le prime ore e il primo giorno e sembrava andare tutto bene. Poi ci siamo messi a dormire, e lì mi sono sinceramente chiesto cosa accidenti avessi fatto ad acconsentire per la seconda volta a quello che so essere uno stress psicofisico non da poco.
Non direi essere stata solo la foga del momento, è stato un insieme di fattori che, come si è potuto vedere, non ho saputo combattere. Non che me ne penta, ma non ricordo più come si fa a stare insieme a Kyle Adair. Non lo danno con le istruzioni in dotazione, purtroppo.
Però dovrebbero.
PorcoilKyle se dovrebbero.
In più, due giorni dopo abbiamo avuto le gare regionali e posso dire con orgoglio che sono davvero fiero dei miei ragazzi considerando che Tammie e Xavier sono arrivati entrambi secondi nei loro circuiti e che Sapphire è addirittura arrivata prima, peccato che la convocazione della Nyst - leggere: il mio incubo - non sia stata anche per lei. Al momento Shion non parteciperà ancora alle gare e dovremo aspettare il prossimo anno per inserirla nel girone, ma a quanto ho capito è stata parecchio contenta di aver assistito i suoi compagni anche se dopo la gara di Xavier lui stesso si è lamentato della ragazza esordendo con: “Se urli ancora così mentre nuoto giuro che ti morsico la giugulare”. E' un ragazzo carino, Xavier, sempre educato.
Cortese.
Non so come mai ma non sono riuscito a dirgli che io e Kyle stiamo insieme, so che non rientra nemmeno nei suoi interessi e che il massimo che farà sarà una smorfia o un'alzata di spalle, ma in qualche strano modo mi sento in dovere di farglielo sapere. In merito ai miei amici, invece, Percy e Iris hanno battuto le mani e quell'altro pirla di Aydin mi ha guardato con un sorriso da fattone dicendomi: “Ah, bene, così non ci proverai più con me”. Come se ci potessi provare con un pirla, appunto.
Quindi adesso ci ritroviamo tutti sugli spalti: i Senza nome più Ciel, i nostri cinque pargoli e i quattro multi-nazionalità della Nyst. Al mio segnale, scatenate le barzellette che iniziano con “c'erano una volta un italiano, un norvegese e un americano”. In generale c'è un clima tranquillo, con Kyle il risveglio è stato tranquillo tranne un suo “mi stai appiccicato come una cozza quando dormi” e nessuno ha ancora litigato con nessuno. Per il momento.
– Signori e signore! – esclamo, sventolando a mo' di videoclip di Wavin' Flag i due fogli mandati dalla Nyst per Tammie e Xavier. When I get oldeeeer, I will be strongeeeeer... – Siamo qui riuniti oggi sotto il vessillo del nuoto per prendere una decisione che cambierà la vita a due giovani ragazzi.
– Ehi, Hime. – Nico mi guarda stranito, credendo che io sia affetto da una qualche forma di infermità mentale. – Non per dire, ma non devi intrattenere un sermone.
– Infatti – Gli faccio la smorfia. – Questo è direttamente l'inizio della Messa. Fratelli e sorelle!
Sguardi imbarazzati dai presenti.
– Comunque, – continuo, schiarendomi la voce. – Seriamente parlando, Xavier e Tammie, se siete pronti vorremmo sentire le vostre decisioni. Non abbiate paura, siamo tutti qui per sostenervi.
I diretti interessati si scambiano lo stesso sguardo che Nico ha rivolto a me giusto qualche secondo fa, e quando il rosso si alza esordisce con: – Ciao a tutti, io sono Xavier e oggi sono tre giorni che non bevo.
– Xavier! – lo richiamo, portandomi la mano sugli occhi mentre tutti gli altri scoppiano a ridere. Questo moccioso mi porterà all'esasperazione, me lo sento.
– Sembra uno stracazzo di gruppo per alcolisti anonimi, Anguilla. Vai easy.
Che linguaggio aulico. Sento qualcuno ridacchiare e Ciel scuote la testa divertito, ma in pochi secondi siamo tutti in silenzio, trepidanti per sentire quale sarà il verdetto finale. Ad essere sincero quasi temo il momento, ed egoisticamente parlando credo sia chiaro che temo molto di più il verdetto di Xavier, ma non posso nemmeno mostrarmi troppo concitato o Kyle ricomincerà con i suoi soliti sproloqui sul “sei un pedofilo se te la fai con i sedicenni” e dato che mister Gelosia dice di aver fatto un corso di giurisprudenza mentre era a New York, ora scheda qualsiasi cosa io faccia e la butta sul drastico.
Parlo con Xavier? Sono un pedofilo.
Cade la pentola? Disturbo gli ambienti pubblici.
Impreco contro Spruffio il gatto? Sono zoofobo e il WWF potrebbe trovarmi e venire sotto casa con torce e forconi.
Spiegatemi come faccio a essere zoofobo se quel maledetto gattaccio mi lascia dei poco piacevoli ricordini sullo zerbino di casa. Sono contro Spruffio, non ho paura degli animali. Anche perché ne tengo uno in casa - e sì, intendo Kyle.
– Tammie, avanti. – Iris, accanto a Nico con le gambe avvinghiate alle sue, sorride e incoraggia la più piccola dei nostri allievi mentre Shion le dà una pacca sulla spalla. Così la morettina si alza e mi affianca davanti a tutti, sfilandomi dalle mani il foglio che porta il suo nome.
– Parto per New York. – afferma con un sorriso, alzando in aria la lettera come fosse un simbolo di vittoria.
Scoppiamo tutti in un applauso, i ragazzi della Nyst scendono e la abbracciano tutti insieme, compreso Kyle che col labiale mima verso di me: “Bel lavoro”. Io lo ringrazio con un cenno e poi mi avvicino a Tammie per abbracciarla a mia volta, prendendola poi per le spalle: – Mi mancherà la mia allieva più ubbidiente, ma sono sicuro che questa sia la strada giusta. Congratulazioni.
Tammie mi stringe la mano per ricevere delle congratulazioni più ufficiose, ma poi mi si butta addosso in un nuovo abbraccio e non posso fare a meno di pensare che mi mancherà davvero questa ragazzina. In fondo lei non ha mai dato alcun genere di problema, ha sempre dato il suo meglio in ogni gara e in ogni allenamento perciò non vedo posto migliore della Nyst, per lei - anche se temo che i regimi siano molto più duri, là.
– Faremo una grande festa di addio, allora. – Aydin conclude il giro di abbracci con una delle sue massime. – Ti daremo dell'alcol di nascosto, tranquilla.
Percy, Iris e io ci guardiamo, sconfitti: non c'è più nemmeno la speranza di recuperare Hick. Caso perso, povero.
Credo inoltre che Xavier ne fosse al corrente dal momento che il suo è stato solo un esultare per unirsi ai festeggiamenti, conoscendolo lui e Tammie si saranno già scambiati le proprie idee, il che mi rende sempre più ansioso di scoprire cosa diavolo ne sarà dell'offerta per Xavier.
Iris batte le mani, richiamando la nostra attenzione: – Xavier, tocca a te. Forza.
Il rosso scende dagli spalti sorridendo e, come la sua compagna, mi affianca e afferra il suo foglio dalle mie mani. Dopo aver guardato i presenti ad uno ad uno negli occhi lasciando me per ultimo, abbassa la lettera e scuote la testa: – Non partirò.
Sgomento, direi, quello che ora si palpa nell'aria.
E silenzio, tanto silenzio.
Perché io me lo aspettavo; in fondo lo sapevo. Lui stesso me l'aveva detto.
E sono arrabbiato perché non mi ha ascoltato, perché non capisco la sua ragione di voler restare qui, di rifiutare un'offerta importante come quella da New York.
Adesso lo picchio.
– Xavier puoi venire un attimo fuori? – Se vi stavate chiedendo se avessi saputo trattenere il mio spirito da mamma chioccia sull'ossessivo andante, be', mi dispiace deludervi.
Xavier mi fissa quasi passivamente, concludendo con un'alzata di spalle:– Mi devo allenare, adesso.
– Ti alleni fuori.
– Lo sai che non ci sono piscine fuori vero?
– Ti alleni fuori, ho detto. – Calmo, Hime. Calmo. Xavier capirà, è un ragazzo intelligente. Smetterà di fare sarcasmo e ti seguirà.
– Nel cemento?
Oggi finisce male.
Fuori, Xavier.
Tutti sono ammutoliti e solo le nostre due voci rimbombano e so che senza problemi continueremmo questa conversazione anche al costo di dover continuare ad ascoltare il silenzio che le due parole di Xavier hanno generato, ma non si sa come - forse Buddha mi ha ascoltato - lui molla la presa e fa addirittura strada verso l'esterno, dove so che non mi aspetta una battaglia facile.
Nel frattempo, ancora non vola una mosca.


L'esterno è soleggiato, oggi fa caldo e maggio sta per aprirci le porte.
Xavier è illuminato dai raggi del sole, deve tenere gli occhi socchiusi ma riesco a intravedere ancora più chiaramente le sfumature delle sue iridi che mi hanno sempre ricordato i riflessi dell'acqua, messe anche in risalto dalla marea di lentiggini sparse su tutto il suo viso, ora corrucciato.
– Non era il caso di fare scena, dopo fanno confusione. – Mi rimprovera non appena chiudiamo la porta, portando la mano sulla fronte per farsi ombra sugli occhi.
– Sono già abbastanza scioccati per essere confusi dal fatto che stiamo parlando, stanne certo. Mi spieghi perché, Xavier? Che accidenti ti trattiene qui?
Lui mi guarda quasi seccato, so che è una conversazione che non vorrebbe essere costretto a intrattenere: – Mi pare che tu fossi già al corrente della mia scelta.
– Non hai risposto alla mia domanda.
– Perché , Himeragi. E' una scelta mia e se non sbaglio tu sei l'ultima persona che può farmi la predica considerando che per ben due volte hai deciso di non partire.
Avete presente quando volete combattere una guerra ma tutte le battaglie sono vinte dal vostro avversario? Esattamente così, Xavier continua a vincere lasciandomi unico senza il mio esercito sul campo deserto, fissandomi dall'alto della sua torre protetto dalle due guardie, sicuro di avere la partita in mano.
– I nostri casi sono diversi, non capisci che a New York potresti ricominciare? Senza i tuoi genitori, cimentandoti in ciò che ti riesce meglio? Io avevo le mie ragioni per restare qui.
Xavier rotea gli occhi, appoggia la schiena al muro e sospira, come se si stesse sforzando di tenersi sotto controllo: – Cosa ti fa pensare che io non abbia le mie?
Ci sono volte in cui penso che le parole feriscano più di un'arma. E questa è una di quelle.
– Forse il fatto che pensavo me le avresti dette. – borbotto forse sperando che lui non mi senta quando è solo a qualche decina di centimetri da me.
Xavier schiocca la lingua girando per un istante la testa di lato, forse irritato o forse chissà cosa, perché chi riesce a capire cosa gli frulli in testa è davvero da premiare. Continuo a chiedermi come finirà questa discussione e se mai una fine l'avrà ma sono sempre più teso e sento che non ne verrà fuori niente di buono.
– Ci sono cose che a te non posso dire. – conclude, ora il tono della voce tenuto più basso. – Non ho dimenticato cosa mi hai detto al Topo, so che tu cerchi di ascoltarmi e che mi leggi in faccia che magari non sto bene, ma devo salvaguardare quello che resta di me. E' poco, scarseggia sempre di più ma se parlassi ora non resterebbe più nulla. Quindi ti prego, Anguilla, basta domande per oggi. Torniamo dentro e chiudiamo la questione, comunque vada non cambierò idea.
Inspiro profondamente, ho come l'impressione di aver sempre viziato questo ragazzo: gliel'ho sempre data vinta, no? Un no per lui era sì e non facevo nulla per non concedergli quella vittoria, tanto che ora sono solo nel nostro campo di battaglia. Ma oggi no, se voglio vincere almeno questa mi sa che dovrò recuperare qualche soldato in giro rimasto vivo.
– Hai finito la filippica filosofica? – Incrocio le braccia al petto, guardando Xavier dritto negli occhi cristallini. – Cerco sempre di ascoltarti, è vero, e non lo faccio per ottenere una ricompensa. E nemmeno per ottenere la tua fiducia, stima o quello che vuoi. Lo faccio perché sei tu, perché sei maledettamente bravo ad agganciarmi a te con i tuoi sbalzi d'umore che potrebbero fare concorrenza ai miei e perché, anche volendo, non riuscirei a farne a meno. Ed è per questo che voglio sapere cosa ti sta trattenendo qui quando potresti andare a New York, lasciarti alle spalle la tua casa, la tua famiglia e il quartiere in cui vai a girare nel bel mezzo della notte.
– Mi compatisci, in breve? – mi interrompe quasi senza espressione, imitando la mia posizione.
– Fosse solo compassione a quest'ora non sarei qui, che dici?
E' solo compassione, Himeragi, che diavolo vuoi che sia? Mi hai dimostrato sempre e solo questo, solo compassione.
– Che stai dicendo? – sbotto, i toni della voce stanno andando lentamente fuori controllo.
Il sole continua a bruciare sulla nostra pelle e il caldo non aiuta a mantenere raffreddate le nostre menti per non sfociare nel tragico, penso che ci stiamo avvicinando ad un incendio.
Lui muove un passo verso di me, non arretra, non dimostra di avere paura delle parole che possono essere dette: – La verità, solo la verità. Andiamo, vuoi dirmi che non ti crea nessun problema darmi un passaggio quasi ogni sera? Che non ti ha dato alcun fastidio quando ho nominato te come tutore e sei andato in mezzo ai casini?
– Mi hai mai chiesto qualcosa prima di arrivare a queste conclusioni? – obbietto, arrabbiato. – Se tu invece di elaborare deduzioni in quella testolina mi parlassi sul serio, ogni tanto, le cose ora sarebbero diverse.
– Ma io non posso dipendere da te, Himeragi, lo vuoi capire? – Quasi cantilena, sembra un lamento di sofferenza. – Tu hai la tua vita, hai due anni in più di me, la tua casa, un lavoro e stai insieme a Kyle, io che posto posso mai occupare?
Mi irrigidisco all'istante, leggermente sorpreso dal suo discorso: – Come fai a saperlo?
– Ci vuole un cieco per non vedervi, ma non è quello il punto.
Certo, se lo dice mentre abbassa gli occhi e serra i pugni attorno al bordo della maglietta mi convince proprio. Grande demagogo, questo ragazzo.
– Non è questo il punto – gli concedo, sbuffando. – Ma allora qual è? Perché pensi di non poter stare nella mia vita?
– Ma forse ci sto anche, ma non in un ruolo importante e tu travisi tutto, a volte pensi che io sia un povero gattino da portare al sicuro e succede che mi compatisci, che fingi di volermi proteggere, forse per sentirti meglio con te stesso, che ne so? Odio la compassione e specialmente odio la tua, il tuo modo di farmi vedere che sai prenderti cura di me e di farmi pensare che tu ci sia, che io abbia un ruolo diverso per te. Ma non è così e io odio questa cosa.
Deglutisco, quasi tremo: cosa accidenti sta dicendo?
Compassione, gattino, che diavolo vuol dire?
Siamo partiti a parlare da New York e ora siamo arrivati al nostro rapporto, quasi a volerlo snocciolare quando non ce n'è alcun bisogno, anche perché dobbiamo considerare il fatto che sta venendo snocciolato alquanto male, dicendo cose che non stanno né in cielo e né in terra.
– Non ti ho mai compatito. – inizio, cauto per non rendere il tutto un caos fin da subito. – Mi preoccupo per te, che è ben diverso. Non ho mai nemmeno pensato a te come un cucciolo che non sa badare a se stesso, tutto ciò che ho fatto per te è stato perché mi andava, volevo, e non l'ho mai considerato un peso. E specialmente non ho mai considerato te un peso, o un passatempo, o che-so-io-tu-abbia-pensato. Non so nemmeno come certe idee ti possano venire in mente, Xavier, mi stai dicendo cose che sfiorano il ridicolo.
– Se la faccenda fosse ridicola saremmo tutti più contenti al momento, non trovi?
– I tuoi discorsi sono ridicoli! Il fatto che io ti compatisca è tutto una caz...
Caldo.
Fa molto caldo.
Calda ora è la mia guancia e lo sguardo di Xavier su di me.
E probabilmente è calda anche la sua mano, quella che mi ha appena colpito.
– Sta' zitto! – grida, la sua voce è roca e graffiata per lo sforzo. Io perdo le parole. – Non sono ridicoli perché è la verità! E non è una cazzata, io lo so, io so che provate tutti quanti solo compassione nei miei confronti e tutti i miei sforzi per evitare questo continuano ad essere vani ed è terribilmente frustrante, è terribilmente frustrante vedere che anche tu non vedi altro in me!
Le sue mani tremano come se fosse in preda al panico, il collo e il volto sono arrossati e ha il fiato corto, gli occhi che invece non osano alzarsi dal punto del pavimento che ha tenuto fissato mentre, dopo avermi colpito con tutta la forza che poteva, ha sputato fuori ciò che stava tenendo dentro.
Non so se essere più scosso per il colpo appena ricevuto o per ciò che le mie orecchie hanno sentito, ma so che per entrambe le opzioni non posso fargliela passare liscia. Questo moccioso capirà, con le buone o con le cattive.
Mi muovo velocemente verso di lui, porto l'avambraccio all'altezza delle sue clavicole e lo costringo al muro, non curandomi del fatto che la sua schiena abbia preso una botta simile a quella che ho appena preso io. Tengo ben salda la presa, non ho intenzione di spostarmi da qui finché non si sarà reso conto delle gran cazzate che ha detto e non mi interessa nemmeno se questo comportamento va fuori dai miei schemi, con Xavier ho capito che gli schemi non servono proprio a nulla.
– Pensi forse che sarei qui a prendere schiaffi da te se non mi importasse? – grido senza ritegno a qualche millimetro dal suo viso, non ricordo nemmeno l'ultima volta che sono stato così arrabbiato. – Che mi farei in quattro per te e che insisterei ore su ore perché tu vada a New York? Avrei anche dell'altro da fare, ma tu fai parte della mia vita esattamente come ne fa Kyle e non potrei mai permetterti di fare errori come rimanere qui!
– E chi ti dice che stare qui è un errore? – grida anche lui, ormai siamo entrambi fuori controllo.
– Lo è stato per me e lo sarà ancora di più per te, là puoi ricominciare e sono sicuro che la ragione che ti tiene qui non varrà mai la pena di perdere un'occasione del genere!
Xavier alza di scatto la testa ma non mi guarda negli occhi, anzi li stringe più che può e, mentre la prima lacrima gli riga il viso arrossato, dà fiato un'ultima volta alla voce che lo tormenta: – La ragione sei tu!

Spalanco gli occhi.
“La ragione sei tu”.
La frase rimbomba ancora nella mia testa e no, non è stato un sogno. I timpani mi fanno ancora male.
Allento la presa, se stringo ancora lo strozzo. Gli manca l'aria, comincia ad annaspare e si lascia cadere a terra facendo scivolare la schiena al muro, rinchiudendosi poi nelle sue braccia. E piange, quasi a volermi uccidere. Forse sta imprecando, ma non lo sento perché lo sto facendo anch'io, dentro di me. Ci siamo fatti male, nessuno ha vinto o perso ma siamo tutti e due feriti. Io qui, in piedi davanti a lui mentre lo guardo stringere compulsivamente le dita attorno alla stoffa dei jeans e tenere il viso nascosto da me, in mezzo alle sue ginocchia protetto dagli avambracci. A me, l'unico a cui l'abbia mai mostrato.
– Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu... Sei sempre e solo tu, dannazione...
E piange, ma non più con cattiveria: mormora.
E subito mi viene in mente che non è la prima volta che me lo dice. Lui mi aveva già avvisato, ma sono sempre stato troppo cieco per cogliere il vero significato delle sue parole. Troppo sordo, troppo superficiale. Lo proteggevo da tutti quando l'unica persona che lo stava ferendo non ero altro che io.


“Forse starei anche con te, allora.”

“Sei un idiota, Himeragi. Ma non per quello che hai detto. Per ciò che stai facendo ora.”

– Forse ti chiameranno Anguilla, ma almeno stai un po' al caldo finché iniziano le staffette.
– Posso anche accettarlo se l'anguilla sei tu.”

“Falle con Adair queste cazzate.”

Non puoi scherzare su queste cose con me. Non farlo più.”


“Ti assicuro che sei la persona con cui parlo di più.”

“Meriti qualcuno in grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno che te li faccia pesare.”

“Pensi che sia facile avere a che fare con te?”

“In effetti sei l'unica cosa facile che ho.”

“Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla.”


Lui me l'aveva detto, in modi diversi. E ora mi sento terribilmente male per non aver mai cercato di capire le sue parole.
Ne hai combinata un'altra, Himeragi, complimenti.
– Xavier... – Provo ad inginocchiarmi di fronte a lui e credo stia combattendo l'istinto di buttarmi a terra. – Puoi spiegarmi, con calma, qual è il problema?
Come se non l'avessi capito, voi vi starete dicendo. Ma sono sincero, perché voglio capire il significato di ciò che ha appena detto. Non è subito immediato.
Lui alza piano gli occhi ed è quasi doloroso vederli talmente rossi e gonfi da non sembrare nemmeno i suoi, ma il fatto che mi parli è comunque un buon segno: – Il problema è che è tutto sbagliato, a partire da me. Non è normale. Non so quale sia il problema. Mi sento sempre confuso, non capisco cosa sia, stare con te non è mai come stare con Aydin o con i miei amici, sento sempre qualcosa di strano e non voglio nemmeno dargli un nome, perché probabilmente dopo avrei un altro problema da risolvere. Ma non voglio allontanarmi da te, non voglio. – La sua voce va via via affievolendosi, tanto che le ultime parole sembrano quasi un lontano mormorio.
Ricordo quando anch'io pensavo non fosse normale il sentimento che provavo per Kyle, ero sempre su di giri e cercavo anche un qualsiasi stupido motivo per non pensare che quello fosse un interesse diverso rispetto a quello che avevo per tutti gli altri miei amici. Poi, be', come è finita l'abbiamo visto tutti quanti.
Ricordo anche che era piuttosto doloroso; la gente non sempre capiva e spesso parlava troppo. Ma da soli è sempre più difficile venirne fuori, specialmente se nella propria testa si è già in due.
– Non è per niente strano, anormale o cose del genere. E' naturale, Xavier, sentire un affetto particolare per qualcuno, sia esso uomo o donna. Non conta il sesso.
– Già, per te il discorso mi era piuttosto evidente.
– Riesci anche a farci ironia su? – borbotto cercando però di vederlo ridere, senza risultati. – Sei in un periodo particolare, l'adolescenza fa fare cose strane e non devi vergognartene, mai. Non è una cosa di cui avere paura.
Xavier appoggia la schiena al muro, tirandosi finalmente in piedi mentre tira su col naso e si sfrega gli occhi: – Ma non mi sento giusto. Tutto ciò non va bene, fa solo male. E tu continui a dire belle frasi senza nemmeno pensare a cosa mi stai facendo esattamente come io che penso che da ora in poi sarà tutto normale. Sono tutt'e due balle, no?
– Non è vero. – obbietto, sicuro di me. – Non hai detto niente che mi possa sconvolgere, sono solo un po'... Ecco... Momento sbagliato, forse.
– Eh certo, poteva essere quello giusto? Non pensi che ci fosse un motivo se non ti volevo dire perché voglio restare qui?
– Ora che l'ho capito non so cosa dire, sono sincero. – Mi siedo definitivamente a gambe incrociate davanti a lui, prendendo quanto più fiato posso per quanto il petto mi faccia male. – Lo sai anche tu che non mi sei indifferente, ma sto con Kyle e...
– Mettiamo in chiaro le cose. – sbotta improvvisamente, recuperando il suo tono severo. Questo ragazzo mi fa sempre più paura. – Non ti ho detto questo con chissà quali fini, okay? Tu mi hai chiesto e io ti ho risposto. Fine.
– Sì, con uno schiaffo. – ribatto, alzandomi a mia volta.
– Già... Scusa.
Ed eccolo lì, un bambino a cui è appena stato ritirato il suo peluche preferito. Quello sguardo ferito, gli occhi lucidi, le gote rosse.
E la cosa che fa più male è che sono io a tenerlo ben stretto quel peluche.
– Ti chiedo un favore. – ricomincia, guardando per qualche secondo verso l'alto forse per ricacciare indietro le lacrime. – Non dire niente a nessuno. Vorrei... Che rimanesse tra noi due, com'è giusto che sia.
Annuisco, sincero, sporgendomi poi verso di lui: – Anche io te ne chiedo uno.
Lui mi fissa forse un po' spaventato, ma alla fine annuisce.
– Penso di conoscerti abbastanza bene da poter prevedere qualche tuo colpo di testa da oggi in poi. Perciò ti imploro, Xavier, non abbandonarmi. E non intendo fisicamente. Okay?
Lui mi guarda, giusto qualche istante, e poi si lascia cadere addosso a me, sicuro che io lo prenda. E così faccio, avvolgo le mie braccia attorno al suo corpo ancora scosso dai brividi e porto la mano dietro la sua nuca, portandola alla mia spalla.
Forse sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire, nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.
Lui è qui, un bambino che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.


– Oh, sei vivo! Dov'è Xavier? – Iris mi corre incontro accogliendomi in atrio, arrivando quasi in scivolata. Fa molto Michael Jackson.
– Si è sentito male e abbiamo chiamato i suoi perché lo venissero a prendere. – mento, sperando che Iris non si metta a fare domande.
– Ah sì? Cos'ha avuto?
Ecco, appunto.
Cosa dico adesso? Una dichiarazione con perifrasi astruse andata non proprio bene?
– Il caldo. – Eccola qui la soluzione! – Eravamo al sole mentre cercavo di convincerlo a partire, lui ce l'aveva in faccia e ha cominciato a... Girargli la testa, sì, poi ha detto che si sentiva mancare e allora abbiamo chiamato i suoi. I cambi di stagione, sai, possono essere terribili.
– Il caldo. – Iris non è convinta. Per niente. – E... Aspetta, che accidenti hai fatto alla guancia? E' rossa come un peperone!
Giusto Hime, cos'hai fatto alla guancia? Dai, di' ancora che è il caldo!
Mi guardo in giro in cerca di spiegazioni, ma alla fine opto per la più banale: – Alla guancia? Non ne ho idea.
Iris mi fissa con una smorfia. Se mettiamo insieme la cronistoria, so che non è per nulla convincente la mia versione dal momento che sono uscito dalla piscina con Xavier mentre ora ho una manata sulla guancia e Xavier non c'è più; ma si può sempre lavorare di fantasia, no?
– Cos'è successo? – mi rimprovera lei con un tono grave. – E intendo sul serio. Hai chiaramente il segno di una mano in faccia.
E' inutile, a Iris non riuscirò mai a nascondere niente - anche se credo che qui pure Aydin avrebbe avuto dei sospetti. Di certo non posso raccontare ciò che è veramente accaduto e trovare una scusa convincente ora sarebbe alquanto difficile, perciò immagino che ricorrerò al metodo più a portata di mano.
– Non posso dirtelo.
Semplice, conciso.
Una meraviglia.
– Perché Xavier ti ha dato una sberla?
E' meraviglioso anche come Iris non demorda nemmeno se dovesse cadere il mondo seduta stante. Porca miseria.
– Storia lunga. Non l'ha fatto apposta.
– No, certo. Anche a me parte la mano e va accidentalmente a collidere con la tua faccia da imbecille.
– Ehi, okay che il tuo standard adesso è un italiano più piccolo di te ma ricordati che ci sei stata con questa faccia da imbecille. – sbotto, fingendomi offeso sperando con l'ironia di deviare l'argomento.
Purtroppo però, Iris non solo è stata con questa faccia da imbecille, ma la conosce anche piuttosto bene.
– Non balzare l'argomento. – mi rimprovera, appoggiando le mani ai fianchi come se fosse spazientita. Ahia. – Uno, il mio standard non è un italiano più piccolo di me, non è nemmeno Nico in generale, ma non penso tu necessiti della lezione del “ci si può innamorare di qualsiasi genere di persona”. Due, non pensare di fare questo giochetto con me, in queste situazioni faresti meglio a non fare il difficile e dirci le cose come stanno.
Volete la verità?
Anche io ho un limite.
– Allora te le dico, poi non tiriamo più fuori l'argomento. – inizio, pacato. – Dal momento che ciò che è successo non interferisce in alcun modo con voi, resterà affar mio. Xavier sta bene, io sto bene, a posto. Non devi sapere altro, né tu e né gli altri e soprattutto dovete capire che ho diciotto anni anch'io esattamente come tutti voi e che non ho intenzione di essere trattato ancora per tanto come qualcuno che non sa gestire i problemi dato che, se non si è notato, Xavier parla solo con me e un motivo c'è. Sono stato abbastanza chiaro, Iris?
Iris mi guarda con gli occhi nocciola sgranati, i capelli biondi appena appena spettinati dal vento e la bocca indecisa sul da farsi. Parlerà o prenderà la saggia decisione di tacere?
– Himeragi...
No, non ce la fa.
– … Ma cosa accidenti ti sta prendendo in questi giorni? E' Kyle che...?
– Non è Kyle! – sbotto, adesso davvero faccio una strage. Alla bidella conviene sloggiare anche se doveva solo portare dei fogli. – Anzi, Kyle cerca di tenermi calmo perché questa cosa che avete tu e Percy di opprimermi per ogni passo che muovo mi fa andare fuori di testa! Sembra che questa cosa di me e Xavier sia sempre stato un affare di Stato ma no, è sempre stata una piccola cosa tra me e lui che voi avete quasi fatto diventare un mito. E' un ragazzo che ha semplicemente bisogno di un amico e l'ha trovato in me, okay, quindi basta domande su di lui perché, ripeto, se non vi risponde di solito c'è un motivo. E adesso basta.
Le do le spalle e me ne vado dritto verso la scuola, mando solo un messaggio a Kyle chiedendogli di prendere su le mie cose e di dire che per oggi ho chiuso. Per oggi e chissà, finché quelle due non si decideranno a tornare a qualche tempo fa, quando era tutto più tranquillo.


Ci sono dei momenti, nella vita di tutti, in cui lo scoraggiamento sembra l'unica sensazione nella testa.
Tutto, e dico tutto, sembra non essere al suo posto: ogni cosa acquista una piega negativa, come se fosse nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Ed è molto difficile pensare positivo, in quei momenti.
Dico, vi è mai capitato di stare bene col mondo un secondo prima e pensare di odiarlo completamente il secondo dopo? E vi è capitato di credervi in grado di superare tutto da soli, solo per scollarvi di dosso una stupida etichetta che gli altri vi hanno messo? Orgoglio, forse, o semplicemente spirito di sopravvivenza: vince il più forte. E noi tutti vogliamo esserlo, quel più forte.
Ma a volte non si può.
C'è una strana legge della natura che ci dice che non sempre vince il più forte, anzi, forse a volte vince il più debole. Vince chi sa di essere perso e lo ammette, vince chi riconosce di non essere uno strafattissimo Superman che può sconfiggere il male a mani nude; a volte il male bisogna sconfiggerlo sconfiggendo prima se stessi. E si ha bisogno di un aiuto, io penso. Provate un po' a demolire un intero muro da soli, voi.
Forse ce la farete, è vero, ma ci metterete tanto di quel tempo che poi guarderete la vostra opera a metà e penserete “tanto, non ne vale più la pena”. E sarà perché è passato troppo tempo, perché avevate bisogno di una mano tesa verso di voi in quel momento che, anche se ci fosse stata senza che voi l'aveste chiesta, non avreste accettato. Lo so, non vi sto rimproverando. Vi capisco bene.
E' per questo motivo che ora sono qui sul divanetto di casa mia mentre fisso lo schermo del mio cellulare tenuto insieme con lo scotch mentre è aperto sulla pagina della rubrica di Aydin.
Hick
Rileggo il suo nome un milione di volte, poi il suo numero, e infine il registro chiamate. L'ho chiamato poco, ultimamente. E mi dispiace. So che se sto fissando il suo nome ora è perché sono io, di nuovo, ad avere bisogno di lui, ma so che non posso fare altrimenti, perché è il mio migliore amico e merita di sapere cosa diavolo mi sta succedendo.
A Kyle non ho ancora detto niente, credo sia meglio mantenere il silenzio per un po', almeno finché non trovo il modo e la soluzione giusta: temo molto il momento in cui, in tutta la sua statuaria strafottenza, mi sorriderà e mi dirà “te l'avevo detto, io lo sapevo”. Gli ho solo detto che sarei uscito un po' perché Aydin mi voleva parlare, quando in realtà so di essere un bugiardo e credo che Kyle mi abbia scoperto in pochi secondi dal momento che sembra che abbia il super potere di capire quando sto mentendo e quando no. E se è per questo, sa bene anche che non ci sto per niente con la testa dopo quella “chiacchierata” avuta con Xavier, ma forse prova a risparmiarmi e fa finta di non accorgersi di nulla per non dovermi fare domande, come quando poco fa ha detto di dover dare da magiare a Sebastian per non continuare l'argomento. Gli sono davvero grato, per questo.
– Pronto?
Quando cavolo è successo che ho premuto il tasto della chiamata?
– Hick?
– Ehm... Sì? Mi hai chiamato tu, Hime. Cercavi qualcun altro?
– No! No, no... Io... So che è tardi, ma ti va se faccio un salto da te?
– Nessun problema, credo, ma ci sono tutti i miei fratelli in casa e i miei genitori non ci sono quindi devo badare a loro, perciò... Forse non sono proprio di compagnia, ecco.
Sorrido tra me e me, posso dire di tutto su Hick ma non che non sia un bravo babysitter: è il maggiore di altri sei fratelli e con lui in casa non è mai successo nulla.
– Ti faccio compagnia io. – mi offro, prendendo al volo le chiavi della macchina cercando di non svegliare Kyle dal momento che le afferro manco fossero maracas. – Dieci minuti e sono da te, okay?
– Tranqu... Jake! – grida improvvisamente, perforandomi un timpano. – Metti subito giù Cody, non è un cotechino! Hime, ci vediamo tra poco. Devo correre.
E cade la linea.
Fisso ora la chiamata terminata con un sorriso, perlomeno sono sollevato.
E sono anche felice del fatto che Cody non sia un cotechino, ovviamente.


– Permesso?
Entro in casa Hickey con la copia di chiavi nascosta dentro ai guanti da giardiniere del padre di Aydin e subito è il caos: un bambino mi sfreccia davanti con lo skateboard rischiando un incidente non da poco, sento diversi improperi arrivare dalla cucina e un pianto dal soggiorno. Era da un po' che non venivo qui e francamente mi ero anche dimenticato del casino che regna sovrano in questa sottospecie di circo. Non che mi ci trovi male, chiaramente: io adoro il disordine e specialmente adoro quello di questa famiglia. E' uno di quei disordini accoglienti, che rende la casa meno austera e più calda.

Casa Hickey è davvero enorme, ma del resto è il requisito base per ospitare nove persone: un soggiorno con due divani formato famiglia, una cucina che fa concorrenza a quella del film Una Scatenata Dozzina, tre bagni, due stanze adibite a studio, quattro camere da letto e un giardino immenso. Più il caos, ovvio.
– C'è Hime! – sento urlare dal piano superiore e, come un razzo, i gemelli Asa e Grace mi si lanciano addosso manco mischia di football americano. Adoro questi ragazzini.
Tredici anni, praticamente gli stessi tratti fisiologici in versione maschio e femmina, capelli castani tutti ricci e occhi azzurri; due sottospecie di Aydin in miniatura, ricce e copie di lui.
– Ciao ragazzi! – esclamo abbracciandoli subito, sorprendendomi del fatto che crescono sempre di più. Arriverà il giorno in cui entrambi saranno più alti di me e io mi sentirò un nonnetto in pensione, me lo sento. – Come va?
– Tutto bene! – sorride Asa, il maggiore di due minuti rispetto alla gemella. – Aydin ci aveva detto che saresti venuto, ti abbiamo fatto una sorpresa.
– Ma non siamo stati solo noi. – completa Grace, prendendomi la mano e trascinandomi verso il soggiorno. – Anche Jake ci ha aiutato! Erin invece ha detto che dovevamo lasciar perdere e Cody dice solo “ue ue”, quindi non lo contiamo. Vuoi vederla?
Fidatemi di me, serve un allenamento speciale per non diventare matti con tutti questi nomi, ma cercherò di rendere le cose più facili subito: il maggiore, come ho detto, è Aydin, mentre la secondogenita è Erin, di sedici anni. Dopo di lei troviamo Jordan, quindicenne problematico che sta attualmente affrontando la sua fase di ribellione e i due gemelli, Asa e Grace. Abbiamo poi Jake, scatenato bambino di dieci anni e infine Cody, l'ultimo e imprevisto arrivato, di otto mesi. Non ho dubbi sul fatto che i signori Hickey volessero mettere su una squadra di calcio, ma nonostante il numero elevato di figli hanno fatto un ottimo lavoro con ciascuno di loro.
– Andiamo, andiamo.
Mi faccio così guidare in cucina dove Jake, ragazzino dai capelli più scuri rispetto ai fratelli con un costante cappello nero tirato giù fino alle sopracciglia e lo skateboard sotto il piede mi guarda sorridente, indicandomi poi il bancone in marmo: – Questo è per te!
Sposto spaventato lo sguardo da Jake all'unico piatto su cui è riposto un ammassamento sospetto di biscotti tenuti insieme da quelli che sembrano Nutella, panna montata, miele e qualche altra strana sostanza; con una guarnizione di codette colorate, una banana maciullata e salsa di fragole. Almeno spero sia salsa di fragole. Ah, e non dimentichiamoci il biglietto che reca la scritta “Bentornato, Himegari”
Questa è la prima volta che sento Himegari.
Non vedo l'ora di mangiarlo!
– Io avevo detto che era meglio di no. – Improvvisamente Erin spunta alle mie spalle con un sorrisetto arreso e i capelli impiastricciati di Nutella. – Ma loro ci tenevano tanto e alla fine me l'hanno fatta pagare. Simpatici, no?
– Siete Hickey. – rispondo ridendo, abbracciando velocemente la ragazza davanti a me. – Ti vedo bene, Erin.
Lei annuisce, guardando schifata il piatto: – Già... Si va, diciamo. Ho qualche problema con la scuola.
– Benvenuta nel club. – commento sorridendole, ma un ingresso inaspettato ci fa voltare contemporaneamente.
– Ma se eri un secchione! – Ed ecco che dal soggiorno ci raggiunge Aydin con Cody in braccio, un ciuffo di capelli viola e gli occhiali da lettura. Aspetta, da quando si è fatto le mèches? – Non ascoltarlo, Erin. Lui non sa cosa vuol dire andare male a scuola.
– Ehi, non è che brillassi. – ribatto, avvicinandomi per controllare che diamine si è fatto ai capelli.
Lui mi scruta e poi si mette a ridere: – Se ti stai chiedendo cos'ho in testa, ti dico solo che Grace ha scoperto di voler diventare una parrucchiera e mi ha usato come cavia. Con le tempere, ovviamente.
Benvenuti in casa Hickey, signori e signore.
– Bel lavoro. – mormoro per non offendere la ragazzina dietro di me che, orgogliosa, fissa il suo capolavoro. – E Jordan? Non lo vedo.
Erin si stringe nelle spalle, indicando con gli occhi il piano di sopra: – Sta sempre in camera sua. Abbiamo provato a dirgli che venivi tu, ma era in crisi mistica. Si è messo ad ascoltare il metal, adesso. E si veste sempre di nero, fa paura.
– Crisi adolescenziale, presumo. – provo ad ipotizzare, facendo una discreta collegare il volto sempre allegro di Jordan alla descrizione che Erin mi ha appena fornito. Ma è normale alla fine, ogni adolescente che si rispetti ha i suoi periodi di transizione.
Aydin batte improvvisamente le mani, richiamando l'attenzione di tutti: – Allora, truppa! Hime è venuto qui perché ha qualche problema esistenziale, quindi ora Erin in camera tua, Jake metti via lo skateboard e finisci i compiti, Asa e Grace lavatevi i denti e in branda. Tutto chiaro?
Fisso divertito Hick e le reazioni dei suoi fratelli che comunque, chi con uno sbuffo e chi roteando gli occhi, eseguono gli ordini e ci lasciano da soli. Ha parecchia autorità il ragazzo, qui. E se non altro sono stato quasi dieci minuti senza pensare a quello che è successo stamattina, è un record.
– Allora, – mi sorride e, col fratellino in braccio, fa un cenno verso la caffettiera. – Un caffè?
– Anche due. – annuisco, prendendo Cody come fosse un testimone mentre Aydin mette su il caffè. Per qualche secondo sta in silenzio, poi assume improvvisamente un'espressione seria.
– Cos'è successo con Iris?
Non per niente è il mio migliore amico, questo ragazzo.
– Non sei arrabbiato? – rispondo, guardandolo mentre si gira per versare la brodaglia marrone in due tazze.
Nonostante sia di spalle lo vedo scuotere la testa e, anche se ancora con quell'espressione buia mentre mi allunga la tazza e dà un occhiata a Cody, mi guarda negli occhi e continua: – Quello che succede tra te e Iris non è affar mio, né tanto meno quello che succede tra te e Percy. Devi solo stare attento perché quello che dicono o fanno è solo in funzione del tuo bene, non perché vogliano farti stare male. Ci tengono che tu sappia questo anche se siete arrabbiati. E la tensione si sente, tra l'altro, in piscina. Gli allenamenti, sia nostri che della squadra, sono molto più pesanti.
Annuisco, bevendo il caffè mentre stacco un biscotto
innutellato dalla composizione sospetta: – Lo so e mi dispiace, ma è un periodo di assestamento per me e oggi è successa una cosa sulla quale Iris non avrebbe dovuto calcare la mano. Ero parecchio scosso e ci si è messa con i suoi discorsi, quindi ho perso la calma.
Aydin annuisce a sua volta: – Capisco che il ritorno di Kyle nella tua vita ti abbia frastornato, ma Iris ha ragione quando dice che non sei più lo stesso. Arrivi a lavoro già irritato o troppo su di giri e non ci sei più con la testa, sbotti con niente e poi succedono cose strane con Xavier mentre tu te ne vai di notte o lo porti fuori a parlare. – Fa una breve pausa, guardandomi negli occhi. – Devi riconoscerlo.
Odio quando le persone hanno ragione, specialmente quando l'argomento riguarda me in prima persona. E la cosa peggiore è che Aydin sembra non accorgersi mai di nulla quando in realtà è l'osservatore migliore tra di noi.
– Anche se lo riconoscessi cosa cambia? Posso anche cercare di tornare alla normalità ma Percy e Iris si sono messe in testa che mi devono propinare una specie di programma di recupero e non fanno altro che ribadire quanto per loro io sia un incapace. In ogni cosa, accidenti. E con Xavier, poi... Be', sono venuto qui da te proprio per raccontartelo. Ma voglio che mi prometti che non dirai una parola.
Aydin sorride, complice: – Ho mai detto qualcosa?
– Non farmelo dire, bastardo. – lo rimprovero a denti stretti con uno sguardo omicida mentre lui scoppia sguaiatamente a ridere, finendo per far fare un sussulto a Cody, ancora in braccio mio.
– Lo diciamo? – propone alzando la tazza di caffè in segno di un brindisi.
Lui cerca botte.
– Tanto perché siamo in tema. – acconsento alla fine, ridendo mentre alzo la mia tazza fino a farla scontrare con la sua. – Heather Mills, prima superiore, ottobre!
– Heather Mills, signori e signore! – ripete lui con un tono da cerimonia, solenne come non mai. – Così impari a soffiarmi la ragazza, brutto stronzo.
– Tu ed io ci conoscevamo da un mese e mezzo e sei andato a dire a quella tipa che io pensavo che avesse un bel fondoschiena, lo stronzo sei tu! – ribatto, fiero della causa che sto portando avanti.
Devo ammettere che ridere quando non si dovrebbe fa sembrare tutto incredibilmente più esilarante. Il che suona un po' da psicopatico.
– Chi ha il pane non ha i denti, no? – mi provoca lui con un sorrisetto atroce mentre dà un pizzicotto leggero sulla guancia di Cody che gli risponde facendo le bollicine con la saliva. Cavolo, bei tempi quelli delle bollicine con la saliva.
– E dai! – mi lagno peggio del bambino che tengo in braccio con tanto di smorfia. – Ho bisogno del tuo aiuto, Aydin. Sono nella merda.
– Tanto per cambiare. – asserisce con una nota di ovvietà nella voce, pulendo sulla maglia gli occhiali viola a causa della tempera sui suoi capelli. – Immagino che per chiamarmi col mio nome il problema sia alquanto grave.
Annuisco, pensando che in effetti pure Cody mi sta fissando come se fossi un povero scemo. Perfino lui.
– Già. – ammetto a bassa voce, sbuffando. Tanto sono capace di fare solo questo. – E' solo che... Non so come gestire la situazione. Iris ha ragione, probabilmente.
– Senza il “probabilmente”, ma non siamo qui a dare ragione alla gente. Piuttosto, vuoi dirmi cos'è successo mentre eravate fuori, tu e Xavier?
Respiro più che posso a polmoni pieni, guardo Cody negli occhioni azzurri in stile Hickey e mi preparo mentalmente a quella che sarà una tortura più che altro psicologica, partendo dal fatto che proprio Aydin sarà il mio confessore. E la cosa mi spaventa non poco.



– … E dopo ciò mi ha detto che sono un bastardo.
– Be' guarda un po' tu, direi che ti veniva.
– Dici che sono stato un bastardo?
– Se te lo dicessi ti farei un complimento, Hime.
Ecco, io sapevo che non dovevo dire niente.
Io dovevo farmi la doccia a casa mia, dire “buona cena” a Kyle e sotterrarmi sotto le coperte; non venire qui a sputtanare i beati affari miei e di Xavier a Hick. E lo dico perché liberarmi di questo peso ha fatto sì che mi beccassi non pochi insulti anche dal mio stesso confessore, non perché mi pento di averlo detto in generale.
– Chi l'avrebbe mai detto? – esordisce Hick probabilmente per allentare la tensione, fissando il fratellino che ormai si è addormentato tra le mie braccia. – Xavier... Che dire, Hime, sei talmente figo che converti gli etero.
Scuoto la testa, ridacchiando: – Per carità, se Xavier non s'invaghiva io stavo anche meglio. Non vedi cosa gli ho combinato, seppur inconsciamente?
– Quando una persona è innamorata fa tutto da sola, di solito. – Aydin alza gli occhi di scatto su di me, guardandomi severo. – Quando lo viene a sapere, la persona amata si dà la colpa perché vede l'altro sofferente. Ma che ne sapeva lei, in fondo? Non ha fatto niente. Non
hai fatto niente. Niente per farlo stare male, diciamo. Le persone innamorate scoppiano con una scintilla microscopica, è un comportamento normale e non è né da biasimare né da colpevolizzare. Si fa così, punto; le cose ora stanno così e rimuginarci non ha più di tanto senso.
Io penso seriamente che smetterò di pregare Buddha e comincerò a venerare Aydin Hickey, lo stramaledetto oracolo a due gambe di Detroit. Sul serio, come fa a sembrare un perfetto idiota quando riesce a risolvere ogni mio problema esistenziale? Ci vuole talento, insomma.
Non è roba per tutti.
– E cosa potrei fare? – domando alla fine, sperando in un altro dei suoi sermoni degni della Bibbia.
Lui mi squadra con gli occhi azzurri, concentrato, poi alza le spalle e sorride: – Boh!
Giusto, no?
Boh!
Grazie Hick. Un tesoro.
– Ti prego! – mi lagno, ormai allo stremo. Non sopravviverò ancora molto se il mezzo clown dai capelli viola non elargisce un'altra delle sue perle.
Lui sembra pensarci un po' su e alla fine conclude con un sospiro: – Lo conosci meglio tu rispetto a me, io non saprei proprio come muovermi. Forse... Dovresti parlargli, no?
– E che gli dico? “Ehi, Xavier, bella lì come stai?”. Non credo funzionerebbe molto, sai?
– Penso che più che altro ti tirerebbe dietro qualcosa.
– Bravo Hick. Perspicace.
Aydin annuisce con una smorfia: – E' una brutta faccenda, Hime, ma come lui ha deciso di aprirti il suo cuore anche tu lo devi fare. Devi mettere in chiaro le cose, dirgli che stai con Kyle e che non puoi dargli il genere di attenzioni che vorrebbe.
– Non credo sia il momento giusto per parlargli, ad essere sincero. Forse dovrei lasciar passare del tempo, vedere come si comporta...
Improvvisamente Aydin sorride e allunga una mano verso i miei capelli per spettinarmeli: – Vedi? La soluzione già la sai.
Sorrido, rassegnato. Non posso farci niente: questo ragazzo è il mio migliore amico.


Chiudo la porta di casa alle mie spalle e subito il cretino mi accoglie saltellando e facendo strane giravolte, emettendo strani versi gutturali.
E no, non sto parlando di Sebastian.
Okaeri! – mi saluta tornando serio mentre ridacchia come un maniaco, forse riconoscendo che a diciotto anni non è molto normale fare così.
Senza il “molto”.
– Ti sei preso abbastanza bene con questa storia, vedo. – rispondo togliendomi la felpa per appoggiarla sull'attaccapanni, lanciando le scarpe vicino alla cuccia di Sebastian. –
Tadaima. – concludo sorridendogli appena, evitando il suo sguardo.
Frena un attimo, cos'è questo strano timore?
Sento gli occhi di Kyle attanagliarmi solo come loro sanno fare e il suo tono di voce, appena raggiunge le mie orecchie, è decisamente più serio: – E' successo qualcosa con Aydin?
Scuoto la testa, imponendomi di non lasciar trasparire nulla per evitare di insospettire inutilmente Kyle: – Niente di che, qualche rogna in generale. Tu? Che hai fatto in mia assenza?
Non è ancora convinto, infatti incrocia le braccia e non demorde: – Sono stato in divano a sorbirmi i dubbi esistenziali di Nico per quanto riguarda Iris. Ma sei sicuro che vada tutto bene? Avete litigato?
Se avessi litigato con Aydin penso che il problema non sussisterebbe nemmeno considerando il fatto che non stiamo arrabbiati per più di mezz'ora, ma per ora è meglio che Kyle non lo sappia. Potrebbe sempre tornarmi utile come scusa.
– No, è solo che sono un po' stanco. E' stata una giornata dura, e in più... – Vengo improvvisamente interrotto dalla suoneria del mio magnifico cellulare tenuto con lo scotch, al che Kyle alza gli occhi al cielo e scuote la testa, allontanandosi in camera. Non ama molto le chiamate che ricevo per via del nuoto, della squadra o quant'altro. Diciamo che non ama proprio la suoneria del mio cellulare.
– Ehi! – mi lamento correndogli dietro con telefono che vibra, tirandolo per la maglietta.
Lui si gira verso di me, stranito, ma ancora più stranito è quando lo bacio per dargli la buonanotte. E' un gesto istintivo, il mio, ma non dettato dal mio istinto normale: oh no, questo è istinto da “sto cercando di trovare una soluzione”. E non ci sto riuscendo, per la cronaca.
– Buonanotte. – borbotto poi sentendomi avvampare fino alla punta delle orecchie, al che Kyle scoppia a ridere. Se fosse la sua solita risata allegra sarei decisamente più contento, però.
– Non sperare di farla franca, Anguilla. – E' la sua buonanotte detta con un sorriso sadico, quello di chi la sa lunga. E mi sa che lui la sa più lunga del previsto.
– Merda. – borbotto a denti stretti senza che lui mi senta mentre, preso dalla mia solita
panichira, premo la cornetta verde portandomi il cellulare all'orecchio. – Pronto?
– Hime, sono Shion.
– Lo so, ho il tuo numero salvato. – le faccio presente fingendo di averlo letto. Che genio della recitazione che sono. Un prodigio.
– Ti disturbo?
– Non... Esattamente, diciamo. E' successo qualcosa?
Qualche attimo di silenzio, e poi la sua voce inizia a tremare: – C'è un problema.
Ma dai? Strano!
– Sul serio? – ribatto ironico, portandomi la mano alla fronte.
– Sul serio. – riconferma lei, sbuffando. – Potrebbe essere più grave del previsto, e... Non so come venirne fuori. L'abbiamo combinata grossa.
Mi si raddrizzano improvvisamente le antenne da “rileva-guai” al suono del verbo al plurale. Vi prego, ditemi che non è come penso che sia.
– Cos'è successo, Shion? – chiedo direttamente, saltando i giri di parole.
Dimmi che non c'entra Ciel, dimmi che non c'entra Ciel, dimmi che non c'entra Ciel...
– Riguarda Ciel.
Io basta, vado a vivere in Bangladesh. Ciao mondo.
Il gesto di portarmi una mano alla tempia ormai è automatico: – Ne dobbiamo parlare, vero?
– Vero. Sai già qualcosa, vero?
– Vero.
Qualche attimo di silenzio, poi la risata nervosa di Shion: – Una bella giornata, vero?
– Vero. E vuoi sapere un'altra cosa? – Lancio inconsciamente uno sguardo alla porta chiusa della mia camera dove Kyle dorme e alla finestra, nel luogo dove Xavier è venuto a trovarmi più di qualche volta.
– Sentiamo.
– Siamo in un
vero mare di merda.
Camille scoppia a ridere: – Vero.

  
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