Peter
nemmeno lo sa come c’è arrivato in quella parte di
Tucson – va bene, forse lo sa – il fatto
è che la cacciatrice l’ha incuriosito.
Gamora.
Deve
ammetterlo, la donna ha coperto bene le sue tracce e
non è stato semplice scoprire la sua vera
identità. E poi è la prima volta che
qualcuno prova a incastrarlo con un appuntamento su Tinder:
è una trovata originale.
E divertente.
Per
questo ha deciso d’incontrarla in quel bar pulcioso, il
cui bagno è dotato di una grande finestra che dà
sul retro, nonostante fosse a
conoscenza delle reali intenzioni della donna. Sapeva che tenerle testa
sarebbe
stata una sfida e aveva ragione.
Per
qualche strano motivo, si è ritrovato a confessarle cose
che non ha mai avuto il coraggio di condividere qualcun altro, eppure
si
ritiene capace di resistere al fascino di una bella donna…
No,
ciò che è successo non ha nulla a che fare con il
fascino: la donna l’ha colpito subito, forse proprio per il
pericolo che
rappresentava, il rischio che ha corso presentandosi
all’appuntamento.
Gamora
credeva di averlo in pugno e la domanda sulla sua
famiglia l’ha spinta ad abbassare la guardia. Ok, si sente
ancora un po’
stronzo ad aver usato quell’argomento contro di lei, ma si
è presentata lì per
arrestarlo perciò se l’è meritato, no?
E
potrebbe ancora farlo: Peter dovrebbe davvero girare i
tacchi e darsela a gambe prima di regalarle un’altra
possibilità. E poi perché
è lì? Non può essere solo il brivido
del pericolo ad averlo portato nel
quartiere dove vive la donna. Dio, da quando è diventato uno
stalker?
Ok,
è stata una pessima idea: è ora di levare le
tende prima
che qualcuno lo riconosca. Cosa gli salta in mente a girare in strada
di
giorno?
Peter
si gratta il pizzetto con sguardo assente: forse
dovrebbe lasciarsi crescere un po’ di più la
barba, l’aiuterebbe a camuffarsi
meglio.
Non
fa in tempo a pensarlo che intravede Gamora camminare
verso di lui, ma sul lato opposto della strada; fa del suo meglio per
sparire
in un vicolo e tira un sospiro di sollievo quando si rende conto
d’averla
scampata. La sensazione però dura solo un istante: gli basta
un’occhiata al
passo rigido della donna per capire che qualcosa non va.
Non
dovrebbe, ma si arrischia a sporgersi e controllare il
selciato dove individua subito un uomo, circa venti metri dietro di
lei: la sta
seguendo e non si sforza di nasconderlo. No, si sbaglia: sono tre. Gli
altri due
camminano sull’altro lato, quello dove si trova lui.
Si
affretta a raggiungere l’angolo più buio del
vicolo e
dopo qualche momento li osserva passare con i muscoli tesi e lo sguardo
attento, ma non accade nulla. Riemerge dal buio e si ferma in mezzo al
marciapiede. Il suo cervello gli urla di voltarsi e andare via: non
è mai stato
un eroe, perché iniziare ora?
Però
tre contro una non è affatto corretto, e non possono
avere buone intenzioni… Una cosa è certa:
l’afa estiva gli sta giocando brutti
scherzi.
Segue
i tre tipi poco raccomandabili e si rende conto che
Gamora non prova nemmeno a seminarli: li sta conducendo al suo
appartamento. La
donna s’infila nel palazzo e i tre si affrettano a seguirla.
Peter
non sa che fare e ciondola davanti al portone senza
entrare: è certo che Gamora abbia un piano, ma quale?
Si
guarda intorno ed è pronto a scassinare la serratura
quando sente il rumore di un’auto che si rifiuta di partire
sul retro dello
stabile: riconosce subito il catorcio della cacciatrice. Davvero,
è
imbarazzante: credeva che avrebbe potuto inseguirlo con
un’auto del genere se
fosse fuggito? Cosa che poi è accaduta perché lui
è Starlord, non un idiota
qualunque…
Un’imprecazione
lo riscuote e corre aggirando il palazzo per
raggiungere il retro, dove trova Gamora che sta scendendo
dall’auto con un
coltello in mano. Un coltello enorme, ma pur sempre un coltello: i tipi
poco
raccomandabili invece sono armati di pistole; non le hanno impugnate,
per ora, ma
è difficile ignorarle.
«Non
renderci le cose più difficili del dovuto.»
Cicatrice
in faccia – il nome in codice che Peter decide di dare a
quello che sembra il
capo – le parla in un tono suadente che lo fa rabbrividire.
«Lo
sai quanto mi piace rendere le cose difficili.» Gamora
lo prende per il culo con un ghigno sulle labbra.
Cavolo,
questa donna gli piace sempre di più.
«È
ora di tornare a casa, ragazzina.»
Peter
capisce dallo sguardo con cui la donna guarda Camicia
Floreale che se finisce in rissa lo accoltellerà per primo.
«Ammazzatemi
se dovete: a Chicago non ci torno.» La voce di
Gamora è glaciale, come se sapesse che quel momento sarebbe
arrivato: come se
l’avesse atteso.
Peter
non ha scovato granché del passato della donna: sa
solo che suo padre è qualche pezzo grosso della malavita di
Chicago e che lei
se l’è data a gambe quando ne ha avuto
l’occasione – e non la biasima per
questo: lui ha preso la stessa decisione anni fa. A quanto pare lui
è più bravo
nel nascondersi dal papà stronzo.
Cicatrice
in faccia sospira mentre gli altri due si
avvicinano alla donna per accerchiarla, ma si tengono a distanza: hanno
forse
paura?
Gamora
assottiglia lo sguardo e alza il braccio che impugna
la lama, pronta a dar loro filo da torcere. E Peter è certo
che lo farà, ma un
impulso che non riesce a controllare lo spinge a venir fuori
dall’angolo dal
quale sta origliando.
«Gam.
Sembra proprio che tu abbia portato un coltello a uno
scontro a fuoco.»
Gamora
spalanca gli occhi e dai denti serrati le sfugge un
sibilo che pare un ringhio: Peter non sa dire se è
più infastidita dal fatto
che è lì o dal nomignolo che ha usato. Ok, forse
è colpa del nomignolo.
«E
questo chi cazzo è?» Scarpe lucide sputa per terra
saliva
e tabacco e impugna la sua pistola.
Ma
chi cavolo mastica ancora tabacco?
Peter
non è bravo a combattere, ma ha una parlantina che lo
tira sempre fuori dai guai e ha tutta l’intenzione di
sfruttarla. Sa che quegli
idioti non uccideranno Gamora, ma non si faranno scrupoli nel ferirla.
E tale
pensiero, per qualche oscuro motivo, non gli piace molto.
Con
le mani alzate in segno di resa azzarda a fare qualche
passo avanti.
«Sentite,
credo che dovrete aspettare il vostro turno: anche
io ho un conto in sospeso con lei.» La stretta di Gamora non
vacilla
sull’impugnatura della sua arma e a Peter basta uno sguardo
per capire che ha
una strategia.
Scarpe
Lucide lo liquida con un’occhiata infastidita.
«Sparisci,
stronzetto.»
«Dovresti
dargli ascolto» s’intromette la donna.
«Stai
camminando sulla sottilissima linea tra coraggio e
stupidità.»
Gamora
ha bisogno di sapere che Peter non fuggirà da quello
scontro, deve poter contare su di lui.
L’uomo
le sorride. «Non temere, non sono affatto
coraggioso.» Ma in quanto a stupidità…
Si guarda intorno e fa spallucce. «Sapete
che ha provato ad arrestarmi un paio di giorni fa? Non
c’è riuscita,
ovviamente, perché non sono mica scemo, io: sapevo chi era,
però non ho
resistito ad incontrarla. Che posso dire, ho un debole per le donne con
sorriso
e coltello affilati.»
«No!»
Camicia floreale grida e Peter si rende conto che
Gamora ha fatto la sua mossa. Però invece di colpire
Cicatrice in faccia che è
il più vicino a lei, ha lanciato il coltello verso Scarpe
lucide centrandolo in
pieno petto: cade ma è ancora vivo, perciò Peter
si affretta a disarmarlo.
Peccato
che anche Gamora adesso sia priva della sua unica arma.
L’uomo
non vuole sparare a nessuno – è un ladro, non un
assassino – ma deve fare qualcosa.
Agisce
d’impulso e s’avventa su Camicia floreale che
però gli
assesta un dritto in faccia, facendolo barcollare; si porta le mani a
coppa sul
viso ma l’altro non fa in tempo a voltarsi che Gamora gli
passa un braccio
attorno al collo in una presa salda; ci vuole qualche momento, ma alla
fine l’idiota
perde i sensi e si accascia sul cemento, sgraziato.
Anche
Cicatrice in faccia è svenuto a pochi metri da loro.
Peter
sputa sangue e prende dei bei respiri mentre sta
piegato con le mani premute sulle ginocchia.
«Però,
sei veloce» si complimenta: è una lottatrice molto
più
esperta di quanto credesse. Di certo più esperta di lui, non
che ci voglia
molto.
«E
tu ti sbagli: sei proprio uno scemo, che ti salta in
mente?»
L’uomo
alza lo sguardo e trova Gamora che lo trapassa con lo
sguardo: per un momento teme che accoltelli anche lui.
«Potresti
anche ringraziare» ribatte confuso.
Gli
risponde con una risata amara mentre si avvicina a
Scarpe lucide. «Per cosa? Esserti preso un pugno in
faccia?» Strappa il
coltello dal petto dell’uomo e gli controlla il battito,
dopodiché tira fuori
il cellulare.
«Ehi!
Il mio discorsetto li ha distratti!» Che ingrata.
Lo
ignora mentre chiama un’ambulanza; quando il cellulare
torna nella sua tasca, lo fissa con occhi animaleschi, i suoi bei
lineamenti
distorti dalla rabbia. «Sei fortunato che non ti abbiano
fatto saltare le
cervella! Come se avessi bisogno di un altro morto sulla
coscienza!»
Fa
un passo indietro e chiude la bocca di scatto realizzando
ciò che ha detto; è allora che la sua maschera
s’incrina e i suoi occhi
rivelano vulnerabilità e un velo di tristezza, come
quand’erano in quel bar e
Peter le ha chiesto da dove venisse.
L’uomo
si rimette in piedi e gli sfugge una smorfia alla
vista del sangue sulla sua maglietta. Il suo sguardo si sposta sulla
donna,
ancora ammutolita, il coltello sporco stretto nella mano.
Peter
fa un paio di passi nella sua direzione e le parla
risoluto: «Non puoi farti trovare qui e di certo non ti darai
alla fuga su quel
catorcio: a un isolato da qui c’è la mia
moto.»
S’incammina
senza controllare che lo stia seguendo: sa che
lo farà.
Quando
apre la porta dell’appartamento riesce solo a pensare
al fatto che non ci ha mai portato una donna e non avrebbe mai creduto
che
sarebbe successo in quel modo.
«Benvenuta
nel mio tugurio.»
Gamora
tiene il borsone in cui ha raccolto i suoi averi più
importanti in mano mentre con lo sguardo soppesa l’ambiente.
E
per ambiente s’intende un ingresso stretto con un misero
appendiabiti, il divano sfondato in salotto dove sono poggiate delle
magliette –
pulite, per fortuna - e la piccola cucina con i piatti lasciati ad
asciugare.
A
sua discolpa, ha ammesso subito che quello è un tugurio.
«È
disordinata, ma pulita.» Gamora riesce perfino a
rivolgergli un sorriso tirato.
«Sputa
il rospo, avevi immaginato molto peggio di così.»
Peter accende le luci e si porta le mani sui fianchi, indeciso.
«Umh, se mi dai
un attimo riordino la camera da letto: per ora puoi dormire
lì, io starò sul
divano.»
Gamora
alza le mani. «Grazie ma… no. Non voglio cacciarti
dalla tua stanza.»
«Non
sarebbe la prima volta che dormo sul divano: e poi
l’hai detto tu che sarà solo per un paio di
giorni, finché non si calmano le
acque.»
Peter
si aspetta che Gamora non ceda e si opponga di nuovo,
ma non lo fa: con un sospiro sconfitto lascia cadere a terra il borsone
e si
affloscia sul divano.
«Va
bene» sussurra esausta. «Ma lascia almeno che ti
metta
del ghiaccio su quello zigomo.»
C’è
qualcosa d’inquietante in quell’improvvisa
gentilezza,
ma Peter seppur confuso annuisce e si sposta in cucina lasciando che la
donna
lo segua.
Si
lascia cadere sulla sedia mentre Gamora rovista nel suo
freezer alla ricerca del ghiaccio; non ce n’è, ma
una busta di verdura
congelata andrà bene ugualmente.
La
poggia sul tavolo e inclina la testa. «Hai un kit di
primo soccorso?» gli chiede mentre lo squadra.
Peter
si tasta il viso preoccupato. «Se mi ha rovinato la
faccia giuro che torno indietro a finirlo!» La donna alza gli
occhi al cielo ma
non commenta mentre aspetta che lui risponda alla domanda.
«È sopra il frigo»
biascica scontento e sa di somigliare a un bambino capriccioso, ma non
riesce a
trattenersi.
Peter
si tiene la busta congelata contro il viso mentre la
donna ispeziona il contenuto della valigetta finché non
trova del cotone e il
disinfettante.
«Non
c’è bisogno dei punti, vero?»
«Tranquillo,
un paio di giorni e la tua faccia sarà come
nuova» ribatte canzonatoria.
Prende
posto accanto a lui e preme il cotone imbevuto contro
il suo zigomo disinfettando il taglio; Peter si morde la lingua per non
lamentarsi, anche se fa male. Il dolore però non
è forte abbastanza da
distrarlo: è fin troppo consapevole della vicinanza di
Gamora e di quelle dita
sottili che lo sfiorano con premura.
Peter
abbassa lo sguardo e si schiarisce la voce. «Immagino
dovrei scusarmi.»
Gamora
alza un sopracciglio confusa e mette da parte il
cotone. «Per avermi pedinata?»
«Non
ti stavo pedinando!» chiarisce offeso e poi sospira.
«Per aver tirato fuori l’argomento
“papà” al nostro finto
appuntamento.»
«Sai
chi è mio padre.» Non è una domanda, ma
una secca affermazione.
«So
che gestisce una fetta della malavita su a Chicago, che
è una specie di signore del crimine.»
La
donna annuisce e questa volta è lei ad abbassare lo
sguardo. «Sai anche chi sono io? O chi ero»
si corregge.
Peter
aggrotta la fronte. «So che sei sua figlia e che sei
scappata quando ne hai avuto
l’opportunità.»
«Nient’altro?»
chiede, e le pare crucciata.
In
risposta alza le spalle. «C’è
altro?»
Gamora
si lascia scappare una risata amara, una risata che
preannuncia qualcosa di brutto.
«Lavoravo
per lui.» La osserva prendere un bel respiro prima
di continuare, ma non è in grado di guardarlo negli occhi
mentre parla: «Io
gestivo… Beh, più cose. Riscuotevo i debiti e
appiccavo incendi nei locali di
chi non li saldava. Tenevo a bada gli spacciatori e i papponi che si
montavano
la testa. Se non riuscivo a metterli in riga, me ne occupavo.»
Peter
deglutisce e finge una spavalderia che non inganna
Gamora. «Quando dici che te ne occupavi
intendi…»
«Intendo
che li facevo fuori. Sono un’assassina» confessa e
strizza gli occhi, forse per fingere di non averlo detto, forse per non
piangere, chissà.
Nessuno
dei due accenna a muoversi, rimangono immobili in
quella piccola cucina a studiarsi e cercare di prevedere la prossima
mossa
dell’altro. Peter non sa cosa sono l’uno per
l’altra, ma sa che non sono
nemici: deve contare qualcosa, no? E sa anche che è il suo
turno di parlare e
impedire che il senso di colpa che Gamora cova dentro di sé
continui a
divorarla; non che le sue parole possano cancellare il passato, ma non
può
lasciare che quel silenzio si prolunghi ancora.
«Non
hai ucciso nessuno oggi, anche se avresti potuto; anzi,
non me ne intendo di combattimenti tra brutti ceffi, ma credo che
sarebbe stato
più facile. Insomma, non per farti agitare, ma adesso quei
tizi ti staranno
cercando. Beh se ce n’è qualcuno ancora in grado
di camminare.» Ok, forse non è
bravo a consolare le persone.
È
uno sguardo strano quello che Gamora gli rivolge:
riconoscente, forse? Spontaneo? Peter non può dirlo, ma
quando vede le labbra
della donna tendersi in un flebile sorriso, sa di aver detto la cosa
giusta al
momento giusto, per una volta.
«Non
sono sicura che basti a redimermi» sussurra combattuta.
Peter
si gratta la barba incolta e sceglie con cura le
proprie parole. «Forse no, ma non puoi cambiare il passato.
Chiunque tu sia
ora, non sei più la donna che eri a Chicago: forse
è questo l’importante.»
«Forse
è troppo tardi. Non so cosa sia rimasto della mia
anima, se ne è rimasto qualcosa.»
Peter
sbuffa: non ne può più di tutto quel senso di
colpa.
«Posso chiederti perché prima hai lanciato il
coltello addosso a Scarpe
Lucide?»
«Scarpe
Lucide?» ripete confusa.
«Dai,
hai capito: lo scagnozzo accanto a me. Avrebbe avuto
più senso se avessi colpito quello più vicino a
te, la minaccia più
importante.»
Gamora
risponde come si trattasse di un’ovvietà.
«In uno
scontro, so perfettamente come cavarmela: tu no.»
«Uh,
eri preoccupata per me» Peter sorride e osserva la
donna andare nel panico.
«No!
Io non… Non so perché l’ho
fatto» balbetta.
«Io
lo so: sono un cucciolo indifeso e tu ti sei
intenerita.»
«La
chiamerei pietà» chiarisce.
La
durezza del suo tono non fa vacillare il sorriso di
Peter. «Il punto è… non sei
un’assassina, non più. Questo dovrebbe farti
sentire meglio.» Gamora annuisce ma non gli pare molto
convinta. Peter sa che è
rischioso, ma ignorando il suo istinto di conservazione si arrischia a
sfiorarle il mento con le dita. «Mi hai anche medicato: la
tua anima non mi
sembra da buttare.»
Una
lacrima inaspettata scivola dalle sue ciglia e scorre
lungo la guancia; Gamora non la nasconde, non tenta di dissimulare la
propria
vulnerabilità e Peter la considera una piccola vittoria.
«Non
dimenticare di tenere premuto il ghiaccio sul taglio»
gli ricorda porgendogli la busta abbandonata sul tavolo.
Peter
annuisce e si mette in piedi. «Preparo la stanza.»
È
già in salotto quando Gamora lo chiama:
«Peter.»
L’uomo
si volta perplesso e osserva Gamora avvicinarsi; si
mette sulle punte e gli posa un bacio leggero sulla guancia –
quella buona.
«Grazie.
Sai, sei davvero un ottimo ladro: in pochi riescono
a rubarmi un bacio.»
Per
una volta Peter è senza parole mentre pensa che ne sia
valsa la pena solo per quell’attimo tra di loro.