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Autore: Sospiri_amore    18/09/2018    0 recensioni
Da quando Elisabetta ė piccola scrive su un diario tutto quello che le passa per la testa.
Nei suoi quattordici anni ha collezionato una serie di quaderni su cui ha scritto e raccontato i momenti più importanti della sua vita, soprattutto quelli passati insieme alla sua migliore amica Regina.
Una vita leggera fatta di giochi, risate e serenità.
Le sue emozioni e i suoi sogni, scritti sul diario, sono come lettere destinate a un generico lettore, senza forma e senza identità: "Caro Chiunque tu sia", a cui affida i suoi più intimi segreti.
Dallo scoccare del suo quindicesimo compleanno Elisabetta dovrà affrontare molti cambiamenti e conoscere un mondo dove non si è più solo bambini, protetti e coccolati in una bolla di vetro, ma una vita più adulta che la farà scontrare e conoscere nuove parti di se stessa.
Famiglia.
Amore.
Amicizia.
Scuola.
Tutto verrà messo in discussione e un diario smarrito complicherà ulteriormente le cose.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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È possibile camminare sulle nuvole?

Adesso, sì.

Sono a braccetto con Davide.

Non mi è mai capitato di stare così vicino a lui.

 

Credo sia il momento più bello della mia vita.

 

Con la cosa dell'occhio sbircio il profilo del suo volto così serio e controllato, la linea della sua bocca immobile. Davide osserva la stanza con indifferenza, mi pare di scorgere un po' di fastidio, anche se forse sembra concentrato sugli oggetti che lo circondano piuttosto che sulle ragazze in sua adorazione. 

Se ne sta con la testa verso l'alto e mi pare stia leggendo lo striscione appeso sopra il tavolo del buffet, è come se lo studiasse. Buon compleanno. Le iridi color del mare si muovono a destra e sinistra seguendo il contorno delle lettere cartonate e multicolori.

 

Gli piacerà?

Lo troverà puerile?

Ho quindici anni, ma forse trova questa festa noiosa.

Penserà che anche io sia noiosa?

 

Che sciocca! Non pensa minimamente a me, che cavolo di film mentali mi faccio?

Ogni volta che gravito intorno a lui piombo nell'insicurezza, come se normalmente ne avessi poca, e ritorno con la mente al primo giorno che l'ho effettivamente visto, il giorno che l'ho guardato con occhi diversi.

 

È successo in seconda media, durante le selezioni per i giochi della gioventù. È stato lì che l'ho notato per la prima volta. L'ho visto correre per la gara di mezzofondo insieme ai suoi compagni di classe. Io me ne stavo seduta sul prato vicino alla pista di atletica, Regina era al mio fianco e mi stava infilando delle margherite nei capelli. Insomma, mi torturava come al suo solito.

 

Ricordo che il mio cuore si fermò per un secondo appena lo notai.

Il fiato mi mancò.

Non mi importò di nulla in quel momento, nemmeno di apparire mezza matta conciata in quel modo, nemmeno del sole che picchiava forte, nemmeno della gara che avrei dovuto affrontare a breve. È come se il resto del mondo fosse sparito e l'unica cosa degna di essere guardata fosse lui: Davide.

Le sue gocce di sudore erano come perle e diamanti, i capelli come fronde dorate, il suo sguardo era come il fuoco: intenso e concentrato.

 

Fu un colpo di fulmine.

 

Osservai l'intera corsa di Davide e seguii con attenzione il suo scatto finale fino al traguardo.

Arrivò primo.

Non gli dissi nulla.

Non ebbi il coraggio di andare a complimentarmi con lui, a differenza di molti altri ragazzi e ragazze della scuola. Mi limitai a fissarlo con la bocca spalancata, occhi fissi e l'aria assente. Insomma, la mia solita faccia da pesce lesso condita con margherite sulla testa.

 

Cavoli, mi tremano ancora le gambe se ci penso.

O forse adesso tremano perché sto così vicina a lui?

 

«Hai visto che tutto è andato per il meglio?». Regina mi sussurra in un orecchio.

«Hmm... haaa...». Sospiro parole senza senso cercando di apparire più presente e meno persa nelle mie fantasie e ricordi.

Regina mi guarda atterrita:«Stai male? Hai la febbre? Sei tutta rossa in faccia».

«G o l a s e c c a». La mia voce appare simile a quella di un troll.

 

Regina alza il braccio verso l'alto: «Stop!», dice decisa.

Con energia prende le mie spalle e mi stacca da Davide trascinandomi verso il buffet.

 

Paradiso finito.

 

Le invitate alla festa sono tutte assiepate intorno a noi comprese Mina e Nina che scalpitano sui loro tacchi.

Io ingurgito due bicchieri d'acqua prima di riuscire a proferire parola e cercare di rispondere ad almeno una delle decine di domande che quelle scalmanate ci stanno facendo.

 

«Come avete fatto a portarli tutti e tre?».

«Adoro tuo fratello, è troppo carino».

«Ho toccato il cappotto di Yoichi per ben tre volte. Adesso svengo».

«Loro. Loro. Loro sono qui!».

«Ho i capelli in ordine? No, perché Davide mi ha guardata e non so se ho i capelli in ordine».

«Siete così fortunate a conoscerli».

«Mi dai il numero di telefono di Alessandro?».

«Credi preferiscano le bionde o le more?».

«A scuola ci invidieranno tutte!».

«Puoi fargli sapere che io esisto».

 

Regina sorride e annuisce, credo che neanche lei si aspettasse una reazione del genere. Certo sapeva che suo fratello e gli altri fossero considerati i più carini della scuola, ma di certo non si aspettava una pantomima di questo tipo.

 

«Una alla volta. Grazie», dice Regina come se sapesse esattamente cosa stia facendo, come fosse tutto organizzato, anche se effettivamente non ha la più pallida idea di come comportarsi e cosa dire.

Perché Regina è un bluff.

Un bluff bello e buono.

Io lo so.

Lei lo sa.

Lei sa che io so.

Entrambe lo sappiamo, ma facciamo finta di nulla.

Non per chissà quale motivo, semplicemente perché Regina si butta in tutto, prova e riprova finché non raggiunge i propri obbiettivi. A volte improvvisa, molto spesso ci prende, ma a volte cade malamente.

Niente la scalfisce.

Non ha paura di sbagliare.

Credo sia la persona più motivata che esista al mondo e il suo modo di fare mi ha spinta a fare molte cose.

Adesso sta facendo lo stesso.

Vuole che la mia festa sia un successo e la determinazione che userà per far sì che tutto vada come vuole la spingerà a dare il massimo.

 

«Adesso chiedo ad Alessandro, Yoichi e Davide se potete fare delle foto con loro. Non vi garantisco nulla, sia chiaro, cercherò di ricordare al mio amato fratellone quanto ci vogliamo bene e quanti dolci ricordi ci legano», dice Regina fingendosi commossa e sbattendo le ciglia in direzione di Ale.

 

Le ragazze intorno a noi intonano un Ahhhhh in coro.

 

Regina va verso i ragazzi portandomi con sé.

La situazione che si è venuta a creare è piuttosto surreale.

Da un lato ci sono i miei genitori che a piccoli passetti stanno cercando di dileguarsi dalla stanza. Conoscendoli credo non vogliano intromettersi in faccende di questo tipo, assistere ad altre scenate isteriche produrrebbe loro solo orticaria e disgusto.

Incastrati sulla poltrona ci sono Michele con un paio di altri nostri compagni di classe, tengono il broncio mentre osservano torvi la situazione. Da quando è arrivato il fratello di Regina è come se fossero spariti.

Il resto delle invitate sono assembrate, una appiccicata all'altra, come un grosso masso umano attento ad ogni nostra mossa.

In mezzo alla stanza ci sono Ale, Davide e Yoichi che, con indosso ancora il giaccone, hanno l'aria terribilmente annoiata e infastidita allo stesso tempo.

 

«Caro fratellone...», declama Regina ad alta voce più per farsi sentire dalle invitate che altro.

 

Le ragazze scattano in avanti allungando l'orecchio cercando di captare anche la più semplice sillaba.

 

«Carissimo fratellone...», ripete la mia amica deglutendo tutta la saliva che ha in bocca e sperando che Alessandro non faccia scenate davanti a tutti.

 

Regina ed io siamo a un passo dai tre.

Ale si abbassa a livello della sorella, con le mani in tasca la osserva.

Sono occhi negli occhi.

Quattro occhi neri come la notte tanto profondi da sembrare pozzi, si guardano.

Per qualche secondo stanno in silenzio.

Sembra uno di quei duelli tra pistoleri nei film western.

Lui guarda lei.

Lei guarda lui.

Poi si inizia.

Alessandro e Regina fanno quello quello che devono fare fin da piccoli.

Negoziano.

Non ci sono sconti per nessuno.

 

MOMENTO FANTASIA

Suggestione livello massimo

(Benvenuti nel mio mondo)

 

Ambiente esterno.

Landa deserta e polverosa. Città del lontano West. 

Dal saloon esce la musica di un organetto, risate e rumore di bicchieri di birra battuti sul bancone. Abbeveratoi per cavalli sparsi lungo la strada costeggiata da case di legno mezze scrostate.

Nessuno è in strada tranne il temibile bandito Alexander, la sceriffo Queen ed io.

I due avversari sono uno di fronte all'altro.

Si fissano.

Entrambi indossano stivali a punta in cuoio. Camicia impolverata, fondina con le pistole. Gambe larghe e braccia lungo i fianchi ad accarezzare il calcio dell'arma.

Io me ne sto fuori dal saloon e indosso un lungo vestito in crinolina color turchese agghindato con balze e fiocchetti. Un cappello con visiera e lunghi boccoli che escono morbidi di lato.

 

Silenzio.

Un rovo rinsecchito rotola sospinto dal vento caldo sollevando polvere.

 

Alexander: Tu! Sceriffo di questa patetica cittadina, che vuoi?

Queen: Voglio... voglio... voglio che tu stia qui in quella che definisci una patetica cittadina.

Alexander: I tipi come me non sono ben accetti di solito, perché lo fai? Cosa vuoi di preciso?

Queen: Miss Elisabeth ha organizzato una festa e... ci servono i pagliacci! 

 

Risata acida e divertita della sceriffo.

 

Alexander: Brutta schifosa. Sai qual'è il mio prezzo, non scenderò a compromessi .

 

Il bandito agguanta il calcio della pistola e lo estrae puntando l'arma contro lo sceriffo che di scatto copia la mossa dell'avversario. Sono uno di fronte all'altra con l'arma stretta in pugno.

Atterrita alzo le mani verso l'alto come se avessi io la pistola puntata addosso.

 

Queen: Sputa il rospo. Dimmi cosa vuoi?

 

Il bandito tentenna.

 

Alexander: Dovrai... dovrai... pulire la mia stanza per uno... no, anzi due mesi.

Queen: Scherzi vero? Un mese basta e avanza.

Alexander: Credo che un mese e mezzo possa andare e poi...

Queen: E poi cosa? Lurido farabutto. 

Alexander: Dovrai sottostare ai miei ordini. Credo che dieci favori possano bastare. Dieci favori come le tue stupide dieci regole per tutto. Ubbidirai in silenzio.

Queen: Io non mi abbasserò mai a diventare la tua schiava.

Alexander: Dici? Non vuoi che partecipi alla festa di Miss Elisabeth?

 

La sceriffo digrigna i denti. Con le mani umide stinge la pistola e sfiora il grilletto e...

 

Bam!

 

Mi ritrovo con i piedi tra un paio di palloncini di casa mia che esplodono sotto il mio peso.

Niente Far West, niente sceriffo e niente pistole.

Fantasia finita.

 

Mi sento osservata.

Troppo osservata.

 

Sono con le braccia stese verso l'alto come mi trovassi ancora fuori dal saloon con la pistola puntata addosso.

Arrossisco violentemente.

 

«Che fai?», mi chiede Regina mentre mi tira i lembi del maglione per farmi abbassare le braccia. «Avevi quella strana espressione da pesce lesso».

«T-tutto b-bene». Con calma faccio scivolare le mani verso il basso sorridendo forzatamente agli ospiti che mi guardano confusi.

 

Che.

Figuraccia.

 

Voglio nascondermi, fuggire.

Emigrare sulla luna.

Vivere sul fondo degli oceani.

Nascondermi nella caverna più buia e profonda.

 

«Ho fatto un patto con mio fratello. Farà il bambolotto per queste pazze, in cambio gli devo dei favori che TU mi aiuterai ad esaudire», mi dice Regina.

«Bambolotto. Favori», ripeto come un pappagallo.

«Adesso quei tre pagliacci sono nelle nostre mani e possiamo usarli come vogliamo», ridacchia Regina.

«Pagliacci. Mani», ripeto.

 

Sembro ipnotizzata, forse sono impazzita del tutto. L'imbarazzo appena provato brucia dentro di me come fossero braci incandescenti pronte a riprendere calore e incendiare tutto.

 

«Ehi!». Alessandro schiocca le dita davanti ai miei occhi facendomi rinsavire. «Nanerottola hai un'ora del nostro tempo, dopo c'è ne andremo. Ritorna con i piedi per terra e dicci cosa vuoi».

Regina mi da una gomitata:«Puoi chiedere quello che vuoi. Approfittane».

 

Mi guardo intorno per qualche secondo. Gli invitati sono tutti in attesa di capire cosa succederà.

Panico.

 

«Io... ehm...», non so cosa dire di preciso, «Forse potreste fare delle foto con le ospiti. Ecco, credo potrebbe piacere».

 

Regina mi fa ok con le dita mentre invita il gruppo eccitato delle invitate a mettersi in fila per le foto.

L'operazione richiede solo pochi secondi tra squittii e risatine isteriche.

 

«Ragazzi ci tocca fare le marionette per un po', tra un'ora saremo liberi». Alessandro mi fissa, ha l'aria decisamente annoiata. «Tieni». Senza tanta delicatezza mi lancia il giaccone, lo stesso fanno Yoichi e Davide restando in felpa o maglione suscitando una raffica di commenti estasiati delle ragazze.

 

Con quella montagna tra le braccia cerco a tentoni la maniglia della porta che divide il salotto dal corridoio che porta alle camere da letto. Non vedo molto, ma quel tanto che basta per non finire a faccia a terra.

La voce di Regina, che dirige l'organizzazione delle foto, è l'unica cosa che si sente. Tutto fila liscio, almeno per quel che mi pare. Meglio così, non sono brava in certe cose, non ho nemmeno voglia di occuparmene.

 

Lascio il salotto chiudendomi la porta alle spalle.

 

Silenzio.

Tiro un sospiro di sollievo, a volte mi piace allontanarmi dal caos e restare un po' sola.

 

Mi dirigo verso la mia camera quando noto una sagoma vicino all'ingresso della mia camera, qualcuno è appoggiato alla parete vicino al bagno.

È Michele.

 

«Ciao, che ci fai qui?».

«Succo». Michele mi mostra la felpa che ha una grossa macchia umida proprio sul davanti.

«Accidenti. Non ho una felpa di ricambio, non della tua taglia almeno», gli dico ridendo. Nonostante abbiamo la stessa età Michele è alto dieci centimetri buoni più di me, se non di più.

«Tranquilla. Aspetto che si asciughi. L'ho sciacquata subito con l'acqua, non dovrebbe rimanere l'alone». 

 

Sorrido.

Michele è così, sempre attento. Lo è anche in classe, un bravo studente, un buon amico. Sempre pronto ad ascoltare le lagne di Regina, le battute di Teresa e i miei viaggi mentali. Una persona su cui fare affidamento.

 

«Appoggio questi giacconi e sono da te», gli dico aprendo la porta della camera con un calcio.

«Lascia, ti aiuto io». Michele prende due dei giacconi che tengo in mano adagiandoli con delicatezza sul mio letto.

«Grazie. Non sembra, ma pesano un sacco». Gli faccio una linguaccia divertita mostrando i miei muscoli delle braccia assolutamente inesistenti.

 

Con un gesto rapido mi scompiglia i capelli rendendo il mio caschetto una massa nera arruffata.

 

«Fortuna che li ho lisci. Guarda». Passo le dita tra l'intreccio che mi trovo in testa riuscendo, in poche mosse, a districare i piccoli nodi e tornando perfettamente pettinata. «Et voilà, ecco i capelli tornati normali».

 

Michele batte le mani divertito.

 

«È una delle poche cose che so fare», indico i miei capelli. «Lo sai che una volta ho vinto un trofeo perché ho fatto un pallone enorme con la gomma da masticare? Avevo otto anni», gli dico mentre prendo il trofeo in latta color fucsia a forma circolare. Mamma ci tiene tanto e vuole da sempre che lo tenga in bella vista sulla mensola sopra il letto».

«Wow. Forte», dice Michi osservando il trofeo. «Con i miei occhiali il pallone si sarebbe appiccicato sulle lenti, mia madre mi avrebbe mangiato la faccia».

 

Rido.

 

«Che ne dici se ti asciugo la felpa? Con il fon facciamo presto». Indico al mio amico la macchia umida.

 

Michele mi fissa in silenzio.

 

«Che c'è? Se poi esci rischi di ammalarti». Continuo a parlare mentre appoggio il trofeo sul mio letto vicino i giacconi.

Michele, abbozza un sorriso. «Non vuoi andare di là con quei palloni gonfiati? Piacciono a tutte, no?».

 

Trattengo il fiato per un secondo.

Penso a Davide arrossendo leggermente.

 

«È il tuo compleanno dovresti essere a festeggiare invece di fare la sguattera con me», mi dice.

«Smettila di dire idiozie. Non mi interessa farmi le foto con Ale e gli altri». Prendo Michi per un braccio e lo trascino fuori dalla mia camera e lo porto in bagno. «Adesso stai lì appoggiato al lavandino, vedrai che tra un attimo sei a posto».

Prendo il fon dal mobile alle mie spalle iniziando subito a sparare aria calda sulla macchia umida.

 

Non diciamo nulla per diversi minuti.

Il ronzio dell'apparecchio riempie la stanza.

Michi se ne sta con le mani in tasca mentre mi osserva.

I miei movimenti sono calmi e delicati, cerco di non scottarlo muovendo su e giù il getto caldo.

 

La macchia si sta asciugando.

 

Non mi sento a disagio. 

Sono tranquilla.

Con Michele è impossibile sentirsi fuori posto.

 

«Senti Eli, volevo chiederti una cosa». La voce del mio amico è attutita dal ronzio del fon.

«Cosa?». Alzando lo sguardo verso di lui cerco di mantenere la traiettoria del getto caldo sulla felpa.

«Io... io... io... ehm...».

 

Bam!

 

La porta del bagno esplode, almeno così mi pare all'inizio, poi mi accorgo che Alessandro se ne sta sullo stipite ad osservarci. È stato lui a sbatterla. «Basta! Quelle tizie sono pazze. Una ha provato a togliermi il maglione. Ma che cavolo!». Con il giaccone in mano entra trascinando gli anfibi neri che porta ai piedi. «Noi c'è ne andiamo. Ricorda a quella sciroccata di mia sorella quello che mi deve, è in debito».

 

Ale guarda Michi squadrandolo da capo a piedi.

 

«Tu che fai qui? Vattene», gli dice senza il minimo di tatto.

«Smettila di fare lo scemo. Lascialo stare, ha bagnato la felpa e io lo sto aiutando». Detesto quando fa il bullo in questo modo.

 

Alessandro sghignazza.

 

«Certo, come no. Il vecchio trucco della felpa bagnata». Ale con le labbra stretta schiocca dei baci immaginari in aria. «Quanto amore nell'aria che sento!».

«Non sono così patetico da ricorrere a trucchi del genere», risponde a tono Michele.

«Quindi significa che ho indovinato? Volevi baciarla». Ale ride sguaiatamente tenendosi la pancia. «Ottimi gusti. Davvero ottimi».

 

Arrossisco mentre spingo a pedate Ale fuori dal bagno.

Certe volte è talmente scemo da sembrare un bambino delle scuole elementari.

 

«Cretino. Ma che ti prende? Ma la smetti di essere così infantile», gli urlo nelle orecchie mentre scorgo uscire dalla mia stanza Davide e Yoichi.

Alessandro ridacchiando si sistema i capelli all'indietro passando le dita tra le ciocche: «Parla quella che dorme ancora con i peluche, ascolta gli OMGLOVE e fa una festa di compleanno come avesse cinque anni. Chi è infantile? Hai per caso ancora il ciuccio?».

 

Perfetto.

Veramente perfetto.

Davide mi sta fissando e ha appena sentito le cattiverie di Alessandro.

Dire che mi sento uno schifo non è abbastanza. Non perché non abbia ragione, ma proprio perché Alessandro ha ragione in tutto, mi fa sentire male.

 

Sì, sono una sfigata e se Davide non mi ha mai notata, adesso si ricorderà di me come quella che sembra una bimba dell'asilo e frigna come una bambina.

 

«Che fai, piangi perché ho detto la verità?». Alessandro, con stizza, gira su se stesso ed entra in camera mia lasciandomi nel corridoio con le lacrime che mi rigano le guance. Davide e Yoichi non dicono nulla, se ne stanno zitti a testa china.

 

Michele è al mio fianco con una mano appoggiata sulla mia spalla.

 

Passano pochi secondi, Ale ritorna tenendo in mano i giacconi dei suoi amici per poi porgerglieli senza troppe cerimonie.

 

«A proposito. Buon compleanno». Alessandro mi allunga il trofeo che ho vinto da bambina, quello dei palloni fatti con le gomme da masticare che avevo appoggiato sul letto. Poi rovista nella tasca del suo giaccone e toglie un pacchetto già iniziato di gomme al gusto menta. «Magari ne vinci un altro e lo metti in mostra. A volte è bello essere speciali come te», mi dice con cattiveria.

 

Io sono impietrita.

Con la testa bassa occupata a far sgorgare lacrime dai miei occhi non vedo più nulla.

Non mi preoccupo più neanche di risultare ridicola perché tanto peggio di così non può andare.

 

 

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Baci.

🌙

   
 
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