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Autore: RadCLiff_    23/09/2018    3 recensioni
Quando la società è divisa per caste genetiche, solo i migliori possono arrivare a realizzare i propri sogni.
In un mondo dove solo i migliori tra i migliori potevano vivere, dove ogni rapporto era basato sulla genetica di appartenenza, lei non avrebbe rinunciato al suo sogno. Nonostante la sua classe genetica fosse la più infima, Clarke voleva arrivare disperatamente alla fonte della sua luce, alle stelle.
Sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, anche a morire.
Clexa Slow Burn
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IV




Nelle vesti di Sam Parker, Clarke scalò in fretta i gradi all’interno dell’ente aerospaziale, raggiungendo una posizione che le permettesse accesso alle riserve delle selezioni d’esplorazione spaziale.
Una figura era appoggiata sulla terrazza che dava in direzione della zona di lancio. Con gli occhi guardava in lontananza, verso un orizzonte che si perdeva con il cielo.
Un rumore sordo precedette una scia di fumo che si disegnava pian piano nel cielo con costanza.
Il razzo si era sganciato dalla piattaforma della Sky Space Center dell’AMI con un paio di ore di ritardo a causa del vento, ma la sua missione, era stata perfettamente riuscita.
Sentiva delle urla fin lassù. Gli ingegneri responsabili del progetto erano impazziti di gioia, seguendo l'evolversi delle varie sequenze di lancio e distacco con calorosi applausi e forse anche un pizzico di commozione. 

«Bello vero?»
«Così vicino, eppure così lontano» alzò la mano nel vuoto, come a cercare di prendere quella macchiolina che diventava sempre più lontana e impercettibile all’occhio nudo.
«Su col morale Parker,» le sorrise la ragazza a fianco a lei, «Vengono eseguiti di continuo lanci esplorativi, è solo una questione di tempo prima che mandino anche te.»
«Come mai ti hanno lasciata a terra?» chiese la bionda girandosi verso Raven.

La ragazza davanti a lei rise, con i suoi occhi nocciola ancora su Clarke. I capelli raccolti in una coda ordinata, le cadevano su una spalla.
 
«Mi hanno trovata a spasso fuori dalla navicella senza autorizzazione dalla base» confessò.
«Allora ho di fronte a me la Space Walker di cui si vocifera tanto dall’ultimo lancio. Hai creato davvero un bel trambusto, lo sai?»

Un flash di ricordi le attraversava la mente. Ricordava benissimo il pomeriggio in cui aveva visto tutta la sezione sul monitoraggio del lancio in crisi riguardo a una certa carenza di ossigeno in orbita. Persino Lexa che era solitamente sempre composta e posata, quel giorno si era precipitata da una sezione all’altra per riscontri su un rientro immediato. – Hai dato da fare persino a Lexa, se fossi stata davanti a lei ti avrebbe asfissiata lei stessa.
 
Lexa era di supervisione al lancio quel giorno. Quando seppe che la navicella in orbita aveva terminato l’ossigeno per via della passeggiata spaziale di Raven, le si erano colorate le iridi di nero. Non poté fare altro che dare l’ordine di rientro appena possibile, prima che la situazione si mettesse male.
Raven rise ancora di più, un sorriso genuino e divertito,
«Allora ringrazio di essere una delle menti più geniali e brillanti dell’ente, altrimenti non me la sarei cavata facilmente.»
Clarke diede un colpo al braccio dell’amica, spingendola, «Ringrazia piuttosto mamma e papà che ti abbiano selezionato i geni migliori per quella testolina, altrimenti staresti portando il caffè a Lexa in ginocchio.»
 
«Potrei dirti la stessa identica cosa, non credi?»
 
Lo sguardo cadde su Raven, e una risata risalì dalla gola, «Touché.»
Mai più falsa era stata quella verità.
 

 

 

Non avrebbe mai pensato che le parole di Raven sarebbero state tanto azzeccate. 
Era solo questione di tempo diceva sempre.
Un’addetta le comunicò che era stata convocata nell’ufficio del supervisore. Il vociare dei corridoi ovattava i suoi pensieri mentre si recava verso quelle vetrate oscurate con le tapparelle.
Lesse sulla porta.
Lexa Woods
Due bussate a cui seguì il permesso di entrare.
 
«Signorina Woods.»
«Signorina Parker, si sieda pure.»
 
Clarke si sedette a una delle due poltrone davanti a Lexa e attese mentre quest’ultima finiva di leggere una cartella. I suoi occhi si concentrarono sul contenuto del foglio e dopo una veloce firma, chiuse.
I suoi occhi verdi ora erano su di lei,
«Mi scusi se l’ho fatta attendere» ripose la cartella sulla scrivania. Si sedette con un movimento fluido ed elegante, accavallò le sue lunghe gambe mettendo la destra sulla sinistra e lanciò un'occhiata all'orologio che portava al polso prima di guardare negli occhi della bionda.
Nonostante il periodo che avesse passato in quella nuova realtà, erano state poche le volte che quegli occhi intensi e brillanti l’avessero guardata per davvero. La luce penetrava attraverso le pupille e rifletteva la sua anima.
 
«L’ho fatta chiamare per parlare delle sue ultime prove attitudinali. Deludenti.»
Se il buongiorno si vedesse dal suo capo, Clarke non vedrebbe mai un buon giorno.»
«Sono mortificata.»
«Lei è stata promossa nel programma di potenziali elementi per partecipare alle missioni esplorative, mi aspetto solo il massimo da questi individui» disse categorica.
 
Clarke non sapeva cosa dire, rimanere a galla in mezzo all’élite dell’élite umana era impegnativo. I continui test psico-attitudinali della sezione esplorativa per mantenere sempre ai massimi i loro componenti la stressavano molto. Chi veniva mandato nello spazio doveva essere sempre pronto fisicamente oltre che psicologicamente, per poter risolvere a sangue freddo qualunque problema. Oltre a tutto ciò vi erano nozioni di meccanica e fisica che non dovevano mai mancare a un buon astronauta o esploratore dello spazio.
In quel momento Raven riempì i suoi pensieri, l’esempio di perfezione per quel ruolo era lei.
 
«Ho letto il suo fascicolo e mi meraviglia che una persona con le sue potenzialità ottenga risultati tanto mediocri. Essendo suo superiore, è responsabilità mia che tutti gli elementi del mio team siano al massimo.» Quello sguardo duro stava demolendo l’essere di Clarke pezzo per pezzo, «Vi è qualche motivo in particolare che vuole segnalarmi?»
 
«Sono mortificata per la mia negligenza. Mi impegnerò molto di più da ora in poi.»
 
Lexa continuava a sostenere lo sguardo della ragazza davanti a lei. C’era qualcosa di Sam Parker che non la convinceva sino in fondo, aveva un qualcosa di strano. Forse era meglio dire particolare. O forse unico.
Non sapeva cosa fosse di preciso ma c’era un qualcosa di quella ragazza che non riusciva a farla stare tranquilla. Ogni volta che quel blu la guardava si sentiva strana. Era il colore del cielo, dell’infinito quando alzava lo sguardo in alto.
 
«La tengo d’occhio. E ora sparisca dal mio ufficio.»
 
Clarke si dileguò in fretta, lasciandosi alle spalle la bruna nel suo ufficio. Appena la porta fu chiusa, Lexa riprese, dalla catasta di cartelle, una in particolare, la riaprì e continuò a studiarla.
La ragazza ancora dietro la porta, in un sospirò pesante si avviò verso la sua scrivania, con lo sguardo preoccupato.
Era questione di tempo.
Aveva ragione Raven.
 

 

 
 
«Ehi Sam, ti fai bella al lavoro?» le disse scherzoso il ragazzo appoggiato al tavolo.
 
Clarke riponeva una spazzola in un suo cassetto, richiudendo senza cura.
 
«Certamente, aspettavo proprio te.»
 
Bellamy ridacchiò e si sedette alla scrivania senza tanti complimenti.
 
«Ti ho vista uscire dall’ufficio di Lexa» disse, «Ci è andata pesante?»
«Stronza come sempre, Blake.»
«È di buon umore allora. Questa sera si organizza una serata con i ragazzi, sarei felice se venissi anche tu» disse speranzoso.
 
Bellamy era il capitano del gruppo principale selezionato per le imprese d’esplorazione spaziale. Era anche il suo capitano, visto che faceva parte delle riserve. Ragazzo alto e di bell’aspetto, ottimo conversatore e guida; un leader, sapeva quali fili toccare per incitare il suo seguito e sapeva cosa dire per farsi ascoltare.
La bionda era titubante ma alla fine venne convinta dal ragazzo. Un’altra delle sue doti era che sapeva essere estremamente convincente. D’altronde di cosa si stupiva visto dove si trovava. Quel luogo brulicava di uomini e donne perfette, avevano ALPHA scritto in fronte, mentre lei era il pesce fuor d’acqua, il cavallo di troia che era entrato nel cuore della città.
La sera arrivò presto e il gruppo si ritrovò in un moderno locale al centro di Washington.
“Default” recitava l’insegna.
Era piuttosto esilarante che il locale consigliato da Bellamy si chiamasse così, dopotutto per certe accezioni del termine, andare in default era sinonimo di fallimento.
Il posto era uno di quei locali piuttosto altolocati, una parvenza ricercata e sofisticata. Musica piacevole riempiva il sottofondo, mentre tintinnii di bicchieri echeggiavano nella sala e le bollicine si liberavano nell’aria.
Clarke sbuffò durante la serata finchè Raven le prese la mano all'improvviso,
«Vieni con me.»
La ragazza si fece trascinare senza opporre resistenza e in pochi passi furono fuori dal locale.
 
«Raven, ma che ti è preso?»
«Per favore Sam, so che sei annoiata quanto me. Ti porto in un bel posto.»
 
La proposta fu allettante, si lasciò convincere definitivamente dal sorriso contagioso della ragazza, dopotutto aveva sperato per tutta la sera di poter avere l'opportunità di andarsene al più presto.
A pochi isolati da quel locale, vi era un pub con la luce al neon che catturava lo sguardo dei passanti.
Alcuni giovani parlavano appoggiati al muro mentre bevevano dalle bottiglie tra le mani. La musica risuonava forte, riempiva il silenzio di quelle strade scure, illuminate solo dalla luce dei lampioni accesi.
Entrarono e la musica le colpì in pieno. L’energia scoppiava entro quelle mura e ogni tipo di persona era presente ad intrattenersi quella sera. Dall’omaccione con la natica di fuori sullo sgabello a giovani ragazzi al tavolino, intenti forse a bere qualcosa al loro primo incontro. 
 
«Ehi barista. Un giro per me e la mia amica» urlò Raven al balcone.
 
Un giovane ragazzo con i capelli tirati e la camicia nera le si avvicinò e le passò due bicchieri.
 
«Da quanto tempo Reyes» disse il ragazzo a Raven.
«Sam ti presento Murphy, il mio Gamma preferito.»
 
Con quell’affermazione Clarke si girò di scatto verso il ragazzo. Lo guardava quasi sconcertata oltre che sorpresa, mai si sarebbe immaginata che Raven frequentasse posti e persone del genere. Ingannata dalla perfezione di quella casta genetica aveva dato per scontato, che a loro volta, cercassero solo la perfezione nel resto del mondo.
Murphy sospirò ironico,
«Non dovresti aspettare che me ne vada prima di sparlare di me?»
 
«Non ci fare caso a lui, è nato mestruato.»
«Ma ho anche dei difetti» intervenne il ragazzo, un miscuglio tra ironico e scocciato. 
«Barista, portaci un altro giro» lo interruppe Raven.
 
Clarke osservò la ragazza prendere dal taschino della sua giacca un pacchettino di qualcosa, lo aprì ed estrasse una sigaretta. Se lo portò alle labbra e dalla fiamma iniziò a uscire una leggera scia.
 
«Secondo me, Bellamy ha un debole per te» guardò in direzione della bionda che arrossì leggermente.»
«Peccato che a me non interessino le sue attenzioni.»
 
Clarke non aveva dimenticato chi fosse, doveva limitare al massimo i contatti troppo intimi, soprattutto sul luogo di lavoro. La sua identità era al sicuro finché avesse tenuto le dovute distanze da eventuali situazioni spiacevoli. Bellamy non faceva eccezione.
 
«Già me lo immagino, a quest’ora ti starà cercando ovunque. Gli ho rubato la dama da sotto il naso» alzò il bicchiere per brindare.
 
Risero entrambe. La musica copriva i silenzi.
 
«Diciamo di stare insieme così la smette di provarci» suggerì scherzando Clarke.»
 
Raven la guardò divertita, «Hai davanti a te la tua nuova fidanzata.»
La serata procedeva leggera, un’aura energica avvolgeva quel posto e chiunque entrava lasciava fuori dalla porta i propri problemi, portando dentro solo la sete di dimenticare.
 
«Non credi che ti faccia male fumare?» la incalzò mentre la guardava buttare fuori l’ennesima nuvola di fumo verso il soffitto, «Sei un’astronauta. Il fisico è una tua priorità.»
 
Raven fissò la sigaretta che aveva in mano mentre aspirava un’altra boccata di fumo, incurante di quello che stava succedendo attorno a lei «Sam, viviamo una volta sola. Non credi che la vita debba essere molto di più che semplice sopravvivenza?»

Quella frase si impresse nella mente di Clarke. Era stato come un sassolino gettato sul velo dell'acqua, pian piano disegnava attorno a sè le onde dell'urto, che si espandevano sempre di più. Una sola frase - no parola - risuonava nella sua testa. 

Sopravvivere 

Perfetto era colui che era sé stesso in modo maturo e compiuto, assolvendo al proprio scopo in maniera ottimale e trovando in questo la sua realizzazione.
Nonostante la perfezione dell’essere di Raven, lei non era perfetta come pensava Clarke. Il suo vivere imperfetto si scontrava violentemente con il suo essere perfetto. Il contrario di lei stessa che cercava disperatamente di vivere, emulando la perfezione, quando il suo essere era imperfetto. Entrambe erano anime tormentate che avevano solo fame di vivere.
La ragazza perfetta davanti a lei, le aveva insegnato qualcosa di nuovo.
Forse non tutto ciò che era perfetto, era perfetto.
 

 

 
 
Le giornate passavano tranquille tra allenamenti e piani di lancio all’AMI. Un via e vai di persone riempiva la piazzola.
 
«Ho sempre voluto chiedervelo ragazzi,» Clarke attirò l’attenzione del gruppo, «com’è stare lassù?»
«Beh,» Raven prese la parola, «si è liberi. Ti senti libera, leggera, volteggiante» stava cercando le parole esatte, «è come camminare nel vuoto.»
«Ma sei nel vuoto» interruppe un’altra ragazza, facendo notare l'incoerenza della frase.
«Com’è stare nello spazio dici?» ripeté retoricamente Bellamy, gli occhi nocciola rivolti verso il cielo mentre un'espressione interrogativa appariva sul suo viso. Stava riflettendo per dare una risposta.
 
Una voce sorprese tutti quanti.
La sua voce.
 
«Si raggiunge una pace spirituale. La vista della Terra dallo spazio è un sentimento che nasce dalla consapevolezza che il nostro pianeta non ha veri confini» fece una pausa, «il mondo intero non è che piccola grande forma che spicca sullo sfondo infinito dell’Universo nero.»
 
Quella risposta colpì Clarke, come un treno a piena velocità. Era una descrizione bellissima che alimentava ancora di più il suo desiderio di essere lì.
 
«Abbiamo fatto tanto nel corso della storia per esplorare la Luna e gli altri pianeti, ma la cosa più importante che abbiamo riscoperto è stata la Terra.»
 
Un brivido le percorse la schiena, facendola trasalire. 
Per la prima volta da quando era arrivata all’AMI, Clarke si sentiva più vicina a qualcuno di quanto non lo fosse mai stata con nessuno. Quelle parole avevano ispirato il cuore.
Forse Lexa non era dura e calcolatrice come l’aveva sempre immaginata.
I suoi occhi cercarono quelli verdi, di chi aveva pronunciato le riflessioni e le trovò che la stavano guardando di rimando, ma Clarke sapeva che quello sguardo non era rivolto a lei. Le folte ciglia che incorniciavano quegli occhi profondi e intesi, erano lontani da quel momento. Lontani dal tempo e dallo spazio, da dove stavano vivendo. Erano oltre.
All’improvviso era di nuovo con lei.


«Se volete scusarci, Parker le devo parlare.»

Clarke deglutì.
I colleghi si dileguarono in fretta.
Le due donne iniziarono ad incamminarsi senza una meta precisa, silenziosamente si seguivano a vicenda nei loro passi.

 
«Mi dica signorina Woods, cosa posso fare per lei?» disse Clarke.
 
La mora tentennò un attimo.

«Sa, non sono stata del tutto onesta con lei» i suoi occhi la cercavano, «Quando mi hanno proposto di promuoverla tra le fila per la sezione esplorativa non ero d’accordo. Ho respinto l’idea ma è stata una scelta obbligata dall’alto.»

Clarke non capiva dove volesse andare a parare.
 
«Lei non mi convinceva,» confessò Lexa, «ho fatto fare la sua sequenza, ho letto il suo profilo da alcuni campioni trovati sugli effetti personali nei suoi cassetti.»
 
In quel momento la ragazza ripensò alla spazzola lasciata appositamente nel cassetto, doveva ringraziare Konstantin se si era salvata in calcio d’angolo.
Si era sbagliata, il suo capo Lexa Woods, era calcolatrice proprio come l’aveva immaginata. Alla prima occasione era corsa a mappare il suo DNA per sapere se era meritava davvero di stare lì.
 
«Quello che ho trovato corrisponde a quello che è scritto nella sua cartella, anche di più» interruppe il contatto visivo, «E io le devo le mie scuse per aver dubitato di lei.»
 
A quelle parole la bionda non seppe cosa rispondere. L’onestà della mora la sorprese, i suoi occhi aspettavano un responso, ma quelli celesti la tenevano in attesa.
Calcolatrice sì, ma forse non era male come pensava.
Gli occhi di Lexa erano sinceri, sinceri e magnetici, da lasciar vedere cosa pensava e cosa sognava. Come quando aveva parlato dell’universo.
 
«Anche lei è stata lassù vero?» chiese Clarke, non nascondendo il suo interesse» Quello che ha detto prima mi ha affascinata.
 
Un leggero sorriso affiorò sul viso di Lexa. Un sorriso timido e sincero. Forse era la prima volta in assoluto che vedeva quella donna sorridere. Non poté far altro che ricambiare l’espressione.
 
«Lexa. Mi chiami Lexa.»
 
A quelle parole, Clarke ancora non se ne rendeva conto ma un muro era stato appena abbattuto. Impercettibile, silenzioso, ma era caduto.
La conversazione continuò scorrevole, quel che diceva Lexa rapiva completamente la sua interlocutrice. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato tanto stimolante parlare con il suo capo stronzo, che tanto stronzo non era.
Era affascinata dal modo di parlare di Lexa.
Era affascinata da quello che aveva visto, vissuto e sentito Lexa.
Era affascinata da Lexa.
 
 


 
 
«Ehi, Parker» l’attenzione di Clarke venne a focalizzarsi su Raven.
«Space Walker, mi stavi seguendo per caso?» scherzò.
«Sì, devo tenere d’occhio la mia fidanzata, Bellamy ti sta cercando» ammiccò, «A proposito cosa voleva Lexa da te? Un altro richiamo?»
«Nulla in particolare, voleva assicurarsi di alcune cose. Sai che non è male?»

 
Raven la guardò stranita, «Ma che ti ha fatto? È la stessa che ti guardava dall’alto in basso quando eri appena arrivata.»
 
«Beh, ci ho parlato. Non ha tentato di incendiarmi con lo sguardo» rifletté ad alta voce, quasi più per sé stessa che per rispondere alla domanda, Mi ha parlato dello spazio.»
«Certo che quando si parla di spazio perdi completamente la testa. Faresti salotto persino con Satana se solo ti parlasse dei crateri spaziali.

 
Non aveva tutti i torti.
Non voleva scendere ulteriormente nei dettagli - Dimmi un po' Rayes, dove mi porti di bello? È da un po' che non usciamo più.
»

Un sorriso si fece largo sul viso della ragazza.

 
«Sapevo che ti era piaciuto l’ultima volta. Non sbaglio un colpo.»
 
Il fardello della perfezione svaniva oltre quelle porte.
 
«A proposito tu- è vero che mi tradisci con quella della contabilità? Una certa Annie, An- Anya?» si ricordò il nome, Clarke.
 
Raven alzò gli occhi al cielo come se fosse l’ennesima volta che sentisse quella storia, «Vorrei sapere chi ha dato inizio a queste voci» disse stancamente, «Non ci ho nemmeno mai parlato con questa qua.»
«Lo so, ma ogni tanto tirano sempre fuori questa storia di te e Anya quando le teorie sui buchi neri iniziano ad annoiarli. Ti assicuro che da fuori è parecchio esilerante questa storia, sono una fan anche io» la latina la fissava con occhi annoiati e la testa piegata, «Che c'è? Mi guardi come se non alimentassi anche tu questa storia, un pò sicuramente ci godi anche tu. Te lo leggo nei tuoi piccoli occhietti da vecchia volpe.»
 
Era successo qualche volta - forse troppe - che Raven avesse rifiutato i continui inviti galanti, da parte di qualche collega insistente, facendosi scudo con la sua presunta fidanzata. Aveva continuato a buttare benzina sul fuoco a proprio vantaggio e ora, non aveva il diritto di esserne infastidita.
 
«Non essere gelosa, Parker. C’è abbastanza me per tutti quanti.»
 
Scoppiarono a ridere. Clarke scuotette la testa divertita dalla sicurezza dell’amica, da quei brevi attimi di spensieratezza assoluta, scandita solo dalle leggere risate di due semplici ragazze.
  
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