Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    01/10/2018    1 recensioni
Uno spin off di "Phoenix", "Once and again" et alia, ormai.. Le imprese di Catherine e Alexis Romanov al quartiere generale, la Stavka a Mogilev, durante la grande guerra, corre l'anno 1915."... Il quartiere generale.
Rumori e segretezza... E tanto lo zarevic, il diletto e viziato erede al trono dormiva, un dolce peso morto contro le mie gambe, incurante di tutto, una mano tra le mie. Rilassato, in quiete, una volta tanto, che si agitava anche nel sonno.
“ Cat”, aveva mormorato il nomignolo, Cat per Catherine... Un sospiro ... Il mio.
Che sarebbe successo? Quanto avremmo passato?
Era testardo e viziato, mi esasperava e divertiva come mai nessuno.
Un soldato in fieri.
Un monello.
Amato.
Il mio fratellino."..since he was never alone, his family was always there for him the whole time :.. you're never alone, my little Prince, my soldier, my Alexei ..Your Cat .. I love You forever, I'll lack You for always
Un portentoso WHAT IF, Alternative U.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
12 giugno 1917, una pietra miliare la definì Olga, ridendo, in seguito. Una tragicomica, rilevavo, io, che sul momento mi divertivo molto poco. Una tradizione, che le cose le combinate sempre insieme, la sentenza di Tanik, una barzelletta, la pronuncia di Andres, che avrebbe voluto strozzarmi  quando si trovò nel parapiglia, prevedendo che suo figlio sarebbe stato un campione a fare tutto a modo suo. Come la madre, ovvero io ..
“Olga, rimettiti.. quando partorisco, mi devi aiutare” “Come no” “Scommettiamo un abbraccio che avrò bisogno di te” pensavo a quei frammenti di dialogo, di alcuni mesi prima, quindi risi, una breve pausa, che mi sarei messa a prendere il muro a testate. Ero isterica, disperata, partorivo..
“Non mi lasciare” ansimai “Deciditi, o sto con te o chiamo i dottori e il diretto responsabile delle tue attuali condizioni”  mi asciugò il sudore dal viso con la manica, ridacchiai per quella definizione di Andres, il mio Fuentes dallo splendido fondoschiena“Fossi in te non mi fiderei, a contare solo su di me, di parti ne ho visto solo uno” “E come è finita?” risi, isterica, di nuovo, una pausa dai dolori, annotai il suo viso madido, rovesciando la testa, serrandola per la vita “Che ne so, è il tuo, la teoria mi serve a poco, anche se ho passato il corso speciale per infermiera ostetrica con ottimi voti, la migliore del corso” sarebbe stato strano che qualcuno la superasse, riflettei e vi era poco da fare, eravamo in .. ballo, almeno io non potevo scappare, io che ero una maestra nelle fughe e negli abbandoni“Olga.. anche io di parti ne ho sperimentato solo uno, il mio” respirai, non ne potevo più “Se dovesse succedere qualcosa mio figlio ha la precedenza, lo sai” “NO. Catherine, No” “Invece sì, ahora..” smozzicai la prima parola del motto dei Fuentes tranne che il dolore ai reni mi percosse di nuovo, cacciai il fazzoletto tra i denti per non urlare a squarciagola, avevo perso il tempo, quanto passava tra uno spasimo e l’altro?
Comunque, partorii alla fine, era un maschio, Felipe.
Tra un urlo e l’altro e la disperazione.
 

 
La fronte alta, i capelli folti e scuri, i lineamenti fini, le palpebre minuscole sopra due iridi chiare, color ardesia, era squisito. Tre chili e ottocento grammi, polmoni perfettamente sani, dalla prima visita medica pareva tutto a posto, era nato a termine. Il breve parto non lo aveva fatto gonfiare, era sgusciato svelto come “un topolino”.. Insomma. Ero giovane, scattante e tonica, le lunghe cavalcate e camminate mi avevano lasciato in ottima forma, e tanto era stato .. intenso.  Travagliante, appunto.

 
 “Posso, possiamo?” Spuntarono quattro teste, bionde e castane, Tata, che guidava la delegazione,  lo raccolse con gentilezza, timida “Visto, arrivato più o meno per il tuo compleanno..” Le iridi grigie scintillarono di pura gioia, una seta cangiante e preziosa, quindi lo prese Marie e poi Anastasia. “Il mio regalo TATA” Lo scalpiccio dei passi, risatine gioiose, la camera ora aveva una piccola culla di vimini, semplice, con delle lenzuola di lino. Ero stata tassativa, avrebbe dormito con me, ci avrei pensato io, niente nurse o che.. Gli ameni soldati, constatando quella spartana frugalità, nulla eccepirono, anzi quel pomeriggio finsero di non vedere tutto il corteo che vi era. Andres era a brindare, credo, e tanto di bambini piccoli ne sapeva più di me, manovrava suo figlio con una sicurezza portentosa, senza ansie apparenti, la sua testa scura compariva a rate dalla porta, gemella di quella più piccola oggetto di adorazione. 
 “Vieni, Alessio, lo vuoi vedere” 
“E’ carino” imbarazzato, non sapeva che dire “Ma è tanto piccolo” gli strinse un piedino, rispetto a lui era davvero un piccolino, sorvoliamo che erano i miei piccolini.
“E’ bellissimo, cosa dici.. Perfetto” intervenne Tata, già, le avevo pronosticato che sarebbe giunto poco dopo il suo compleanno, era nata il 10 giugno, lui il 12, magari non vedevano l’ora di fare la reciproca conoscenza, era il più bel regalo che mai avesse ricevuto, almeno da parte mia. 
“Fidati, più grosso era anche peggio” mi ero lavata, data una spazzolata ai capelli, rispetto ad un’ora prima che grondavo per gli starnuti e il dolore, madida di sangue, i vestiti intrisi di umori, io isterica e Olga disperata, ero presentabile, quasi, credo. Mi adagiai sui cuscini, con un sospiro di sollievo, la fresca morbidezza del lino era un conforto. Le sue sorelle erano prese da mio figlio,  lo zarevic rimase sui margini, non gli tornava, enunciò solo “Cat, bravissima” 
“Dammi un bacio, Aleksey” mi sfiorò la guancia “E’ tutto a posto, sto bene, tranquillo” lo strinsi contro il busto, un movimento leggero e breve, lui appoggiò la fronte contro la mia”Abbiamo sentito le urla in giardino, mi sono spaventato, come tutti, quanto gridavi” e mi ero trattenuta, poverini tutti se sentivamo tutto il festival. 
“Ora è tutto a posto”  un momento “Sto bene, fidati, mi spiace averti spaventato, sono sicura sicura “ sorrise “Non mi prendere in giro, non mi rifare il verso, di quando ho l’ansia” mi carezzò una guancia “Sono grande, che credi” 
“Lo so, tesoro” 
“Ho brindato anche io, un poco di champagne”  ora lo reggeva, anni prima, aventi a Spala, ne aveva sgraffignato una coppa e aveva tenuto concione per tutto il pomeriggio, incantando le dame presenti, lamentando comunque che lo stomaco brontolava. E ancora, una volta, ad Yalta, mentre cercava i regali più graditi per i grandi ad un bazar di beneficenza aveva enunciato che lo champagne era una prelibatezza, che le bottiglie erano sì pesanti, prima che venissero bevute, avevo riso fino alle lacrime “Anche tre goccetti, eh, Aleksey” 
“Veramente erano due coppe” puntualizzò, divertito.
“Alessio” divertita, scandalizzata. 
Ero così  eccitata che non sentivo stanchezza o dolore, solo una gioia immensa, guardai di nuovo Andres, lui mi fece un piccolo cenno, ricambiai “Ve la sentite di tenerlo dieci minuti, vorrei dare un presente a mia moglie, grazie Tatiana Nicolaeva” Si innamorata di Felipe nel giro di poco, vederla così sorridente era portentoso ..Tenera, senza la perenne ruga di concentrazione che le attraversava la fronte. Lei ha desiderato un figlio più di te, Andres e Felipe ti sono capitati tra le braccia solo per un gioco della sorte, Catalina Fuentes, cerca di non essere troppo egoista. E mi declinai alla spagnola, la Spagna era la mia nuova casa, il mio posto magico, un riparo. 
“Per te…”mi sfiorò le labbra con un bacio, percepii le bollicine di champagne, il suo respiro tra i capelli, chiusi gli occhi, ecco una scatola tra le mani “Apri, da parte mia e di Felipe”un bracciale d’oro bianco, con topazi e onici, il fermaglio era una “F” con diamanti “Questo è da parte mia, invece”  Una collana, con topazi e onici, ecco la parure. “Ti amo”   “Da sempre e per sempre, Catherine, mi amor, mi querida” 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mamma annotò che era un bambino splendido e non fece un fiato di quello che avevo “combinato”, come se averti aiutato fosse una cosa indecorosa, vide il duro cipiglio nel  mio sguardo, aveva già aperto bocca per sparare uno dei suoi santi assiomi, lei in teoria era sempre perfetta, in pratica..Lasciamo perdere, comprese che era una battaglia persa, una guerra che non avrebbe vinto. Rilevò, invece,  che era il ritratto di tuo marito, che era comune che i neonati avessero gli occhi color ardesia, ma era indefinita. Osservava Papa, definirlo commosso e orgoglioso era una perifrasi, che le tue sporadiche urla finali si erano sentite fino alla parte di giardino dove lavoravano, raggelando i presenti. Avevi urlato a squarciagola, solo nel finale non ti eri trattenuta, parevi una vittima sacrificale, da scannare. E tuo marito aveva mollato la vanga senza spiegazioni, correndo come una scheggia.  Tata era entrata in modalità adorante di tuo figlio meno di tre minuti dopo averlo visto, in concorrenza con Marie,  chi avrebbe indovinato che la mia seconda, riservata sorella,  chiamata la “Governante” fosse così.. dolce. Quello era un tipico tratto di Marie, lei sognava la maternità e tanti figli, Tata era a tenuta stagna, ben raro che esternasse qualcosa .. Io, dopo quel bailamme, ero lieta che fosse andato tutto a posto, Anastasia rilevò che ne sarebbe passato di tempo prima che fosse in grado di correre. E saltare. Alessio si limitò a un sorriso timido, forse andava realizzando allora  che era un bambino vero, in carne e ossa, non il misterioso “bignè” che avevi ospitato nel ventre per nove lunghi mesi, che avrebbe occupato tutto il tuo tempo e le tue attenzioni. Non che fosse ingenuo o altro, per alcune cose era anche troppo sveglio ( ma come lo sopportavi quando era petulante ?) solo che non ci aveva mai pensato, non gli era mai capitato. E alle nove di sera eri già collassata a dormire, Felipe a poca distanza. E tuo marito non brontolava, anzi, per alcune cose era davvero moderno, dicevi che Alessio era sempre stato viziatissimo, tu iniziavi da subito,a viziare tuo figlio,  in barba a ogni tradizione o norma educativa.  Nelle famiglie altolocate non usava affatto, in genere, che una madre allattasse di persona, non era comme au fait, mia madre, per averlo fatto, aveva ricevuto critiche su critiche, e nemmeno a lei era passata per la mente quella totale dedizione, tate e nurses primeggiavano. Uso spagnolo, diceva Andres, e tanto ho il (fondato) sospetto che era la scusa che tirava fuori dal cilindro ogni qual volta ne inventavate una, per non passare da originali. Quien sabe e chi lo sa. E tanto era figlio vostro, mica di altri, decidevate voi due
“Fai una foto, Catherine” obbedii, cercando di rimanere impassibile. Tutte e quattro le granduchesse perdevano capelli a ciocche intere dopo la malattia e avevano deciso di rasarsi la testa. Andando fuori, vestivano sciarpe e cappelli, tranne che, a un cenno di Olga, rimossero il tutto, le teste calve sotto il sole, una dettagliata, esaustiva malinconia. Una sfida e un sorriso contro lo stupore di Gilliard e la sorpresa indignata dei loro genitori “E’ un cattivo segno, di malaugurio”Alessandra.
“E’ una cosa spiritosa” intervenne Olga, scrollando la testa, i piccoli orecchini con le perle che parevano annuire con lei, come piccole lune altalenanti.
“A me parete un coro di cantori, o un gruppo di tartari, entrambi usano rasarsi” glissai io, evitando di osservare che anche per i carcerati vigeva quell’uso.
“O di reclute, anche loro si rasano a zero” annotò Aleksey. Io mi ero ritrovata direttamente con i capelli rapati quando avevo il morbillo, tagliandoli poi quando ero diventata un soldato ed una spia, adesso si erano allungati e le ciocche vibravano sotto il sole, riflessi di mogano e rame. E  riuscivo a comporre uno chignon che, alla prima occasione Aleksey smontava, una abitudine di quando era piccolo, che riappariva a rate, ormai ne ridevo, i problemi non erano quelli.  Sempre meglio di quando pretendeva di fare il barbiere, ci erano voluti gli argani dal dissuaderlo da quella sortita, che tagliava dappertutto e male, i suoi marinai-tate avevano avuto il piacere, come il precettore di inglese, Gibbes.
“E ora una noi”Tata si rimise il cappello, strinse Felipe tra le braccia, venne salutata con uno sbadiglio, scattai, rimanendo basita di come lui fosse tranquillo con lei, tranquillo lo era in generale, e pareva adorare Tanik, peraltro ricambiato con zelo e trasporto. “ Lo vizi, Tata, appena caccia uno strillo lo sollevi, sempre che le tue sorelle non le intercettino, fate i turni ..” io ero giusto la fonte di nutrimento e tacqui, sarebbe stato da egoista possessiva, e cercavo di non esserlo, me lo ero tenuto in grembo solo nove mesi, lottando con mal di schiena, insonnia, gonfiore e starnuti. E mi davano una pausa, in mani migliori non lo potevo lasciare. “E’ delizioso, davvero, sarà un conquistatore.. “ lei l’aveva accalappiata subito. “E’ tranquillo”
“E’ servito e riverito, mangia ogni tre ore, appena caccia uno strilletto viene preso in braccio..dicevo di Alessio, che era viziato, avrei fatto male a tacere”
“E’ bellissimo” le strinse un dito con le manine, una reciproca conquista.
“Ti ricordi a marzo, aprile quando dormivamo tutti e quattro insieme” lui nel pancione, io in mezzo ad Olga e Tata, prima che rientrasse Andres, un conforto, una vicinanza
“Sarebbe bello tenerlo… ma come si fa? “ Tata lo sollevò tra le braccia, le gambette oscillavano, se lo raccolse addosso, erano belli e fragili, una miniatura orientale in divenire.
“Dici con te e Olga? “ Si tenevano occupati con le lezioni, la cura dell’orto, e tanto..il tempo non passava. Avevano lavorato come infermiere, erano state  patronesse di molti comitati, attualmente erano solo le ex granduchesse, figlie di una tiranno e di una meretrice, che cercavano di occupare il tempo nell’attesa  dell’esilio, di rincominciare“Di notte?”
“Ma deve mangiare, lo allatti tu” e mio figlio sbadigliava e gorgogliava “Ne ho per tre” posai il palmo contro il seno dolorante, mi toglievo il latte e lo mettevo in un biberon, se all’una e alle quattro di notte,  giravo la testa sul cuscino e non mi alzavo, provvedeva Andres, che dire, l’eroe della calle Mayor, il picador era una costante sorpresa..
Maneggio le armi, ne ho fatte tante e non so gestire mio figlio, via su, Catherine, dormi. Se gli combino qualcosa so che mi torci il collo e io sono un padre diciamo moderno. E tanto dormi con un occhio solo, come i gatti, su .. Gli dava il biberon, lo teneva sulla spalla per il ruttino, sapeva fargli il bagnetto, cambiarlo,  che volevo? Avesse potuto lo avrebbe allattato lui, talmente era preso, era delicato, preciso, meglio di una tata.  E io ronfavo, anche se con un occhio solo, scattavo appena sentivo uno strilletto anche se, in apparenza, ero nel sonno più profondo, senza stelle o sogni.  Riflessi da mamma, altro che storie. Andres era un out sider, quando voleva, dei presunti usi e costumi in quell’ambito se ne fregava bellamente, come su altri fronti. Seguiva  le sue regole personali, aveva aspettato una vita intera prima di avere un altro  figlio, ora se lo voleva godere, ed era un uomo, un vero uomo.  In molti campi aveva le sue idee, quello era quanto, sbattendosene bellamente delle cosiddette convenzioni del mondo.
“Dopo le dieci, salvo variazioni, mangia all’una e alle quattro.. Lo vorresti tenere con te e Olga ? avete più pazienza di me”
“…pensi che saremo in grado? Ti fidi?” stupita, come se fosse un regalo che non ritentava di meritare, e dai.
“Il latte me lo tiro a prescindere”ero una latteria ambulante, appunto, tra le perdite alle tette e nelle parti intime, alle volte, mi sentivo una mucca. È normale, diceva l’ostetrico, in genere sono sei settimane, di perdite, passate potete riprendere i rapporti (non vedevamo l’ora). “Se non mi fidassi, non lo toccheresti nemmeno con un dito, senza offesa”
“Benissimo, e ci concedi questo permesso lo vorranno tenere anche Marie e Anastasia”
“Ora non ci sbilanciamo troppo, vedremo, prima vediamo con voi due” E glielo concessi, dopo la metà di luglio, chiariamo.


“Una specie di gioco” anche Alessio si era voluto tagliare i capelli, per solidarietà con le sue sorelle, spuntavano cinque teste rasate da sopra il divano della playroom. Macabro, parevano cinque grandi bambole. E sorrisi, cercando di non coltivare il malaugurio e i cattivi presagi.  Quel giorno aveva avuto la soddisfazione di buttarmi vestita dentro il laghetto, lo avevo acchiappato al volo, quindi mi ero stesa sul dorso, galleggiando, una minima nuotata “Brava, hai mantenuto”
“Se posso, sempre”
“Mi manca il mare, di quando eravamo in Crimea” tra le mani avevo una foto di noi sulla spiaggia, l’estate del 1912, prima di Spala “O le crociere sui fiordi in Finlandia, passeggiate, i picnic..”
“Nuotare.. Anche se ti svaghi nel laghetto ”Aleksey rotolò sulla schiena, sottile e fiero come un giovane salice, era un afoso pomeriggio di fine giugno, a occhio mi pareva cresciuto ancora di statura, le orecchie rimanevano buffe e tenere, nel viso abbronzato i suoi occhi parevano ancora più grandi ed azzurri “Sono stanco, credo che farò un pisolino ..”battendo un colpetto sul divano, un invito a fargli compagnia.
“Beh..chiudi gli occhi” la fronte era fresca, non aveva febbre o dolori, almeno non me lo aveva detto,  mi stesi vicino a lui, la sua testa si incastrò contro la mia spalla, pace se era caldo, lo cinsi tra le braccia, mi tirò un calcio affettuoso sui polpacci, come ai bei tempi “..che ne dici se mandiamo il nostro amico cavaliere a cavalcare sulla spiaggia..prendendo spunto da quello che mi hai detto” un mormorio di assenso “…il mare pare tutto uno con il cielo, azzurro e grigio, l’orizzonte quasi non si vede e il ragazzo cavalca con il baio sulla risacca, saltando tra i marosi che muoiono  a riva, il viso si impiastra di sale.. Fa una gara con i gabbiani, che volano sopra di lui, si specchia  nelle pozze d’acqua, ride e si diverte.. Come mi divertivo io a farlo” lo cinsi con delicatezza “E’ bello passeggiare a filo d’acqua” riaprì gli occhi “A volte correvo filato da te, e mi prendevi in braccio” “ E sorridevi” magari aveva voglia di fare due parole, altro che sonno, era una scusa “ Già” si irrigidì cosa partoriva la sua mente irrequieta e saltellante“Che succede? Aleksey, che hai”gli sfiorai le tempie, contenta che fosse in modalità affettuosa, per una volta.
“Perché hai usato il mio nome..non volevo, anche se è il secondo appellativo”
“Perché mi piaceva, Felipe, amante dei cavalli,  il tuo nome .. colui che protegge, Alexander, il figlio del sogno è una bella carrellata. Chi te lo ha detto?” mica rispose “Perché non volevi, Alessio, seriamente? Non voglio farti arrabbiare, spiegami”
“Perché lui non deve essere come me, in nessun modo”
“EH?” una sola sillaba interrogativa, la mia “Visto che sei così intelligente, arrivaci, avanti” non sospirai per la frustrazione, che pensava? Era geloso, un capriccio, una pensata estemporanea.  O no?  Una sfida e.. “Che vuoi dire, lui è un neonato di manco un mese, tu un ragazzo grande ”
“Come ero da piccolo?” ora iniziavamo con i nostri dialoghi a morsi, spizzichi e bocconi, che potevano durare a ore intere. E non era per irritarmi, magnanimo, mi concedeva un indizio.
“Bellissimo, paffuto e sorridente…” sul filo dei ricordi.  “Sembravi una bambola, e davi soddisfazione, cioè se ti mollavo ti mettevi a piangere, sorridevi e gorgogliavi, un vero rubacuori, se non ricomparivo la bizza era assicurata “gli baciai il polso, ridacchiò, il birbante “ Ed eri talmente bello e..” Oddio.
A sei settimane,  aveva cominciato a sanguinargli l’ombelico, il flusso era durato  per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.

La consapevolezza mi investì, una dolorosa staffilata. Se avevo capito.

“Tesoro, Felipe non è come te,  per quello” le prime parole, quando ripresi fiato, riferendomi all’emofilia, capire finalmente il motivo era come ricevere un pugno nello stomaco. Almeno nella mia famiglia non vi erano precedenti  “E chi lo dice?” una nuova sfida, mia e sua, trattenni il fiato, mi imposi di evitare vuote formule rassicuranti. 
“Io e .. non è una balla per rassicurarti, lo so. Per  sbaglio tre giorni fa gli ho appuntato la manina con l’orologio, mentre lo cambiavo ed è uscito del sangue, un taglietto. Ha pianto, perché mi sono spaventata e.. ha coagulato subito,  Aleksey, era una piccola abrasione” lo dicevo per me e per lui, era stato un dramma, ero sua madre e lo facevo piangere. Inutile che Andres mi avesse rassicurato, poteva succedere, era uno sbaglio, avevo pianto come una fontana o forse era lo stress di quegli ultimi mesi, a volte mi chiedevo dove attingere la forza di non essere isterica. Retoriche domande, ammetto ora, mi bastava un momento come quello per ricordarmi di non cedere.  Una crudele e malinconica assenza, che tornava a rate
“Voglio vederlo, dopo, te lo dico io se non coagula o meno, sono esperto” una pausa straziante, sentii il sottile rilievo della sua stretta “Aleksey.. io ..” averlo potuto tenere al sicuro, sempre, lui che si illudeva che io lo tenessi al riparo, lo proteggessi “Mica è colpa tua se sono così, quindi non dirlo, mi spiace” le dita sulle labbra “Non lo auguro a nessuno, di rischiare la morte per un urto di troppo”ripresi le parole di una sera lontana, di novembre, di  quando era venuto nel mio alloggio, dopo un infelice soggiorno dalla zarina madre, che lo aveva definito un impiastro e una rovina, uno sfogo. 
“Sì ..ma ti ha reso sensibile, empatico verso chi soffre, quando sai che ci sono dei problemi agisci da subito per risolvere, no? Sarai saggio, accorto.. , lo sei già, rettifico. E hai imparato a stare attento, e fatto cose che non ritenevi possibili, no? Le armi e andare su Castore, che spettacolo” Un cavallo baio, superbo, di squisita bellezza, su cui avevo cavalcato il vento “E cerchi di stare bene, sempre, ami la vita, Aleksey, sei un esempio”mi diede un bacio all’angolo delle labbra, rapido, approfittando, che in genere non volevo, mai, da sempre, avevo ceduto solo da poco, in circostanze speciali. Sorrisi, posai la guancia  sulla sua. “Lo strappo, eh.. che la regola è quella, io non sono tua madre, questi gesti sono per lei, non per me” sorvolando sulle sorelle..
“ E sei un lottatore, non molli mai, come Achille” Seria. “Mi hai dato l’esempio, ripeto, di non arrendermi, il mio guerriero”
“Convinta te,  se mi riuscisse a crescere, avere dei figli, sarebbero come..”
“No, niente emofilia” pronunciai sottovoce la parola proibita, tacendo che il morbo passa di madre in figlia e che le nostre sorelle avrebbero potuto generare a dead walking child. A loved, frail baby boy. Il morbo mortale passa di madre in figlio, generi un maschio e gli dai la morte, se ha il morbo, alle volte era un miracolo che Alessio fosse arrivato al traguardo dei 13 anni, in genere gli emofiliaci morivano nella prima infanzia “ E non lo affermo per farti contento, Alessio, lo dice la scienza, non io.”
“Va bene” mi abbracciò ancora, aveva percepito il mio tono netto, deciso, senza repliche. “Rimaniamo un poco così” mi baciò sulla fronte, delicato “Grazie, Cat” scrollai le spalle, non ti inventare le cose, zarevic, che non ci siamo. Solitudine, candore, eravamo sempre noi. E Alessio percepì tutto l’amore che avevo, se ne rivestì come uno scudo, una protezione. “Forza.. appoggia la testa contro il mio gomito, stiamo insieme”
“Io e te, come prima” vide la mia replica sul punto di sgorgare “Lo so che non è come prima, hai un  figlio, e mi vuoi bene, però mi fa piacere, che tu stia con me, Cat, alcune cose restano sempre uguali, mi vuoi bene, me ne hai sempre voluto, come io a te”
Gli massaggiai le mani, palmo su palmo, tacendo per non rovinare tutto. Era bello, malinconico, come un giorno d’autunno.
Cat, portami via.. Tienimi stretto, per sempre, non mi lasciare. 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11  agosto 1917  Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. E le conversazioni,  per fare cambiare idea. Senza esito “Olga, ti prego” “NO” “Veniamo con voi, ci possiamo permettere di pagare .. la trasferta e il soggiorno, dico, Olga. Non saremo a sbafo, ti prego” “No, Catherine, NO”  "Olga, veniamo ..." Dio, come eri cocciuta, non ti rassegnavi, e mi volevi bene, la scocciatura una tua forma di affetto, come il mio no. Ci avevano proposto di raggiungere mia nonna a Livadia, decidemmo di non andare, per non lasciare i miei genitori. MA tu a Livadia ci dovevi andare eccome, meritavi una pausa. No, Cat, io avevo bisogno di te, dopo tanti anni, stavamo insieme dalla mattina alla sera, un privilegio, nonostante tutto, ma avevi un figlio, le sue esigenze prevalevano su tutta la linea. Il mio principino, che serravo tra le braccia, placido, paffuto e sorridente, una gara tra me e le mie sorelle, a tenerlo in  grembo, strappargli un sorriso.. FELIPE, il principe dell’estate, Felipe Alejo Alexander…  lo disse Alessio, ormai era grande, saggio.. Per dire. E il 12 compiva 13 anni, passò la giornata a mettere le cose in valigia, cicalando senza posa, ti metteva una cosa tra le mani e la ripiegavi, ti saltellava intorno, in quelo era un bambino, ancora, ti assediava, sorridevi, una pazienza infinita, gli davi un bacio e lo sguardo era triste, non voleva che fossi triste, almeno quello potevi lasciarglielo decidere, di essere bravo. Alla richiesta di nostra madre, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia.. Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi, Alessio ci buttò nel laghetto. Dire addio, Catherine, a tutto, a partire da te, alla mia casa.. ti ho spezzato il cuore, saresti venuta, lo so, sempre, e avevi un figlio, che aveva la precedenza su tutto. Felipe, il tuo lieto fine, conquistato a un prezzo immane. Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..Aleksey alla fine ti si era messo seduto vicino, verde di stanchezza, dopo avere girellato, con Joy, il suo cagnolino,  tra le braccia,la spalla che toccava la tua. E mia madre secondo uso piangeva, tu sparisti un paio di volte per allattare, pochi minuti e già mi sentivo male all’idea che non ti avrei rivisto per un pezzo, una lunga durata, forse una vita intera e tralasciavo che ero una ingrata, era già tanto quello che avevo avuto, nessuno ti obbligava a rimanere, dopo marzo, invece ..Grazie, Cat, sempre. Alessio ti stava vicino, la testa sulla tua spalla, ti aveva posato un braccio sulla vita, stringeva te e Joy, il cagnolino, come a non volersi più staccare “Cat profuma di rosa, lavanda e arancia amara, sempre“ disse molto dopo, sul battello.. Ce la diciamo tutta? Sì, ho pianto, come lui, un cuscino buttato sul viso, che la figlia di un soldato, di un imperatore mai esterna le sue emozioni in pubblico. Dico questo che poi ricomparve con gli occhi lucidi, di chi ha pianto, lo sguardo pesto, come me e Tata, Anastasia fece una battuta, tanto per essere diversa, Marie tirava su con il naso. E trovai il tuo primo biglietto il secondo giorno, era breve, che se lo avessero intercettato solo diceva “Buongiorno, un bacio, Ekaterina” tutto in russo, casomai avessero sospettato congiure. Che strano effetto vedere il tuo nome alla russa, Cat, noi che ci eravamo parlate e scritte una vita in francese. Ekaterina .. io ti ho chiamato sempre Cat, quindi Catherine alla francese, tuo marito Andres Catalina, saltuariamente..” 
Un solo nome e sempre io ero.

Catherine, la principessa delle rose e delle assenze, la signora della solitudine. Erede della desolazione, che risorgeva a nuova gioia.

“Auguri Alessio, tesoro mio”cercavo di essere sorridente,  smagliante per non tracimare “Sei diventato davvero grande, sai, ti ho visto che eri appena nato, figurati che osavo appena toccarti una manina.. ora..”
“Mi prendi in braccio, di corsa, il regalo è questo” sornione, mi tuffò il viso contro la clavicola, uno sbadiglio “Aleksey, tesoro mio, “ e ridevo, era tanto buffo “Fammi la lista, dei miei compleanni” Mi sedetti, erano le sei di mattina del 12 agosto 1917, lo strinsi con amore, con affetto, dei rubli allungati alle guardie mi garantivano quel breve privilegio, auguri in privato, minuti rubati “.. 1905, ero all’estero, 1906.. boh, 1907, ti tenevo sempre stretto, Dio, quante bizze facevi per dormire il pomeriggio, era   una lagna continua, tacevi solo se stavi con me, sempre”lo abbracciai, avessi potuto avrei infilato la porta, sempre lui in braccio e lo avrei portato via, lontano,e  continuai l’elenco, alcuni se li ricordava anche lui, nel 1914 avevamo visto l’alba che sorgeva, lo avevo preso tra le braccia “Ora sono cresciuto davvero tanto, non mi sollevi più, peccato” “Guardiamo fuori, è una giornata bellissima, pesi Alessio, sei diventato un colosso, manco sulla schiena ti carico” mi passò un braccio sulla vita, uno sbadiglio assonnato “Cat” il sole sorgeva, asciugando la rugiada sui fiori e le foglie, il cielo virava nelle chiare sfumature del celeste e di un tenero giallo, gli baciai i capelli  “Davvero, come sei diventato grande, non ci credo”

“Sono un osso duro, sempre, lo dici, ci devi credere! “uno scherzo che nascondeva una profonda verità, mai mollare, mai arrenderci. Glielo avevo detto nel settembre 1915, quando mi aveva rivisto dopo un lungo anno, inopinato. E nel 1916, eravamo diventati inseparabili, avevamo litigato, ci eravamo divertiti, prendendo nuove misure, legatissimi Un nuovo sviluppo, amore e reciproco rispetto, ho amato Alessio fino alla vertigine, all’assenza“Certo, Aleksey” una pausa “ E ci tenevo a salutarti, in privato”
“CAT..”una pausa “Grazie, di tutto e per tutto”

La giornata trascorse tra le cure dell’orto, le lezioni, fare i bagagli, servizi religiosi, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia..
Sceglieresti di amare un bambino sapendo che questo sentimento potrebbe spezzarti il cuore.. Sì, io sì, ed era egoismo, il mio, Aleksey, tesoro mio.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo, sfinente e cocciuta, mica mollavi. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena. Eri mia amica, mia sorella, la mia famiglia, le tue gioie e sconfitte le mie, da sempre, e viceversa “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, come quella frase, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe, insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Andres ti trattenne per la vita, ricambiasti la stretta, magari per non correrci dietro. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto, la tua testa castana non si scostò di un millimetro”

Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino.
Strizzando gli occhi, scorsi, mi illusi di  quello, una mano guantata, delle mani guantate che mi salutava dalla auto dove eri, dove eravate. Nel settembre del 1914, quando me ne ero andata, il gesto a parti rovesciate era stato simile, e non volevi vedermi mai più, avevi detto, per la rabbia e l’esasperazione.
Quando non vidi più nulla, scivolai per terra, la schiena alla parete e piansi, la testa tra le ginocchia. Mi mancavate già da meno di dieci minuti.

Quella sera, la zarina scrisse una cupa lettera alla baronessa B., che si era vista passare davanti tutta la vita al Palazzo di Alessandro, da giovane sposa fino ad allora,  e si chiedeva quale futuro avrebbero avuto i suoi “poveri figli”.
ADDIO, CATHERINE.
 
Se  il governo inglese non accoglieva la famiglia imperiale, era la fine.

Era Alessandra a essere odiata, non suo marito … ma la famiglia imperiale rimase unita nella vita da prigionieri come prima, quanto regnava lo zar..
Li mandarono in Siberia nell’ agosto 1917, i bolscevichi gli stavano alle costole, aveva spiegato Kerensky allo zar e occorreva prendere misure energiche, evitando che i Romanov fossero sulla linea di tiro, vittime, merce di scambio, ostaggi.
Comunque fosse, il viaggio di trasferimento, in treno e in battello, si svolse senza incidenti di rilievo, tranne le cabine poco confortevoli del Rus, il battello, che Maria e Alessio presero il raffreddore.  Addirittura passarono via fiume dinanzi al villaggio natale di Rasputin, osservarono la sua casa a due piani che dominava le basse isbe, lo aveva predetto e si era avverato. Aleksey svegliò, la notte dopo, tutti con le sue urla di dolore,   gli era venuta una emorragia interna al braccio.
Cat.. Catherine, dove sei…
Alessio.. cosa fai?
 
Alessio trovò il biglietto spacchettando i suoi effetti personali, dentro la faretra che custodiva l’arco giocattolo e le frecce che gli aveva fatto Andres  “You’re not alone, You have your family and .. Together we spended great  times, I am always with You, near or far, I’ll be by your side. Sooner or later, we’ll meet again, my fighter prince. Don’t give up. Spain is waiting for You, like me. Yours loving Catherine

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes dei primi di settembre 1917“Abbiamo preso alloggio nella casa del governatore di Tolbosk, ridente e sperduta cittadina di 20.000 abitanti circa, occupando l’intero primo piano, il 26 agosto, dopo che la dimora è stata rimessa a posto. L’edificio si trova su via della Libertà,  ribattezzata in questo modo dopo i recenti eventi.  Una grande costruzione a due piani, con due terrazze, collocata dentro una vasta area recintata che comprende varie pertinenze, legnaia, serra, granaio, una rimessa per le carrozze. Abbiamo addirittura una teoria di piante grasse ed aspidistra, figurati, sono carine. Dormo in una stanza con tutte le ragazze, all’angolo, i miei genitori in un’altra, Alessio da solo, Nagorny occupa un’altra stanzetta. Per rendere più efficaci le misure, è stata costruita intorno alla casa un’alta recinzione di legno..Un poco come a Carskoe Selo, tuttavia manca lo spazio, siamo confinati in un piccolo orto e un altro piccolo spazio in cui vi sono le baracche dei soldati .. Sai che abbiamo addirittura un piccolo pollaio con galline che non si premurano affatto di fornire tante uova e alcuni tacchini(..) Aperto la scatola di profumi di Coty, arrivata  da Carskoe. Selo, grazie Cat, io ho usato subito l’essenza alla rosa, Anastasia la violetta. Tata e Marie ancora non hanno usato le rispettive essenze al gelsomino e al lillà (..) Pare una scemenza e invece non è, piccoli particolari che mi dimostrano che …”e quello era nulla, Olga, sorella mia. Eri annoiata e malinconica, senza rimedio.

Da una lettera di Catherine Fuentes alle granduchesse Romanov “.. non so se e con quale regolarità giungerà la corrispondenza, un saluto  da vostra Nonna, Marie Feodorovna (..) che alla fine siamo arrivati in Crimea, come si capisce dall’intestazione (..) Se mi ripeto, chiedo scusa, ragazze .. Mando foto di Felipe, che la prossima primavera avrà un fratello od una sorella, salvo imprevisti a fine aprile. Una barzelletta, tra  me e Olga passa meno di un anno, così sarà per i miei figli.  Andres saluta a sua volta,  alla fine Enrique è tornato in Spagna sul treno diplomatico, (…) ragazze, mi mancate..Di preciso, come state? Cosa inventate?mi mancano le serate nel salottino, chi leggeva, chi coccolava Felipe, lavorando l’ennesimo e squisito lavoro di maglia o ricamo, ne ho per sei bambini, altro che uno, tenui colori, giallo e verde, bianco, altri pezzi hanno ricamate le sue iniziali, FF, Felipe Fuentes, squisite come il suo piccolo pungo tra le mie mani, vedremo cosa porterà la primavera” Olga scommise da subito su un secondo  maschio. 
Nel settembre 1917, due commissari, su lamentela dei locali bolscevichi, vennero inviati in Siberia, si sosteneva che i prigionieri erano trattati con troppa deferenza. 
Nulla di rilevante, quando la zarina sedeva vicino alla finestra o sul balcone gruppi di curiosi si avvicinavano e si segnavano, un pio omaggio. Le ragazze guardavano dalle finestre della loro stanza e salutavano la gente, finché  i prodi guardiani minacciarono di sparargli addosso se avessero “ancora osato” .
E  i cittadini locali avevano inviato un pianoforte e omaggi di cibo, le guardie divennero poi meno assillanti, facevano addirittura due chiacchiere con le ex granduchesse quando passeggiavano in giardino, il colonnello K., che comandava la guarnigione, non era un carceriere feroce e dogmatico, tranne che i puri rivoluzionari inorridivano.

Nicola II e i suoi predecessori avevano mandato al duro confino siberiano più di un oppositore, se non a morte,  non doveva avere nessun privilegio. Quindi ecco due commissari che dovevano riferire, Pankratov e Nikolskij, entrambi erano stati in carcere in quel della Siberia. Il primo non serbava rancore,  tanto che si recò a far visita a Nicola, per non infrangere le regole della buona educazione e chiese di essere annunciato dal valletto dello zar. La conversazione fu formale, educata e gentile. Nikolskij, al contrario, entrò senza bussare in tutte le stanze private e insistette che tutti i prigionieri fossero fotografati, a scopo identificativo, ora l’uso era quello.  Quando, su ordine di Kerenskiy, giunse dalle cantine di Carskoe Selo una cassa di vini pregiati per i Romanov, N. ne fece  buttare direttamente il contenuto nel fiume Tobol senza manco farla aprire. 

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes di metà ottobre  1917”…Sono stata felice di sapere del  regalo che ti arriverà in primavera. Magari un altro fiocco azzurro? Una sensazione, poi boh.. Noi ce la caviamo, stiamo bene. I miei fratelli hanno iniziato le lezioni. (..) Ti scrivo nel grande ingresso, noi stiamo prendendo il tè, Aleksey gioca con I suoi soldatini a un tavolo separato, stasera Papa leggerà qualcosa alta voce (…) Cambio di scrittura e di persona, Cat, sono Aleksey, un bacio al volo.. A me piace molto il nome Leon, Leon Fuentes suona molto bene, guai a te se lo chiami come me, per primo appellativo, io devo essere il solo che quando dici “Alessio”. E scherzo, chiamalo come vuoi, mi manchi tanto, Cat (..) riprendo senza scorrere quello che ha scritto mio fratello, rilevo solo che mi chiedi come stai e cosa combini, qui la gente è gentile, come le guardie.. Abbastanza. Ecco, la criticona che sono solleva ironie e obiezioni. Hanno inviato in dono un pianoforte e pregiata cacciagione, peccato che  le tubazioni idrauliche funzionino ben poco. Vi è una piccola teoria di piante grasse, che mi piace osservare, (..) Good-bye, Catherine, my dear, a kiss. All of us embrace You and remember You, all my love is for You” 

“ Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi” da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65, annotò Olga Romanov, con la sua solita ironia, Cat le aveva mandato quell'omaggio, in lettura. 

Da una lettera di Catherine Fuentes a Tatiana Romanov “..a Livadia ho incrociato B. T., che hai assistito con Olga, si è ripreso perfettamente e manda i suoi saluti, ricorda con gratitudine la vostra abnegazione. E  mi ha fermato Vassilissa B., una ragazza che il Comitato per Rifugiati da Te presieduto aveva inviato qui in Crimea, per ragioni di salute. (..)  Scrivo in una pausa,  che l’inchiostro si è asciugato, infatti ecco la prima firma di Felipe, il suo pollice nell’inchiostro, consideralo un saluto per Te  .. Ti voglio bene, Tata” 

Da una lettera di Marie Feodorovna, zarina madre, al figlio Nicola del novembre 1917, uno stralcio su ..“… la principessa Fuentes è un moto perpetuo, visita gli orfanotrofi e sanatori, senza requie. E continua ad occuparsi personalmente di suo figlio, se lo tira sempre dietro,  tranne che quando va dai malati o a cavallo. E lo tiene sempre con sé, mai visto un affare del genere, è una madre totalmente dedita.. Niente nurse o tate, suo figlio è il primo pensiero dalla sera alla mattina.. ed il marito la lascia fare sempre a modo suo .. Sua madre Ella Raulov nulla osserva, è una mina vagante, non si riguarda, anche se ora è in delicate condizioni” un eufemismo per dire che ero incinta.
Mio marito non diceva nulla, come mia madre, mio fratello  Aleksander si limitava a sbuffare, come mio zio “.. tu fai anche per lo zarevic Aleksey” Aveva dieci anni ora, i suoi occhi castani erano calmi e imperscrutabili, uno smalto di onice e  miele sui suoi pensieri, tranne che, dopo tanto, eravamo di nuovo insieme, apprese poi, nei fatti, che a lui ci tenevo, eccome “Mi manca, Cat” “Chi?” “Lo zarevic, chi..” sbuffando per la mia ottusità. Era nato nel settembre 1907, ora era un decenne dinoccolato, magro e solenne “Mi vuoi bene, e tanto è lui il tuo prediletto” “Sasha..” IL SUO NOMIGNOLO. “Già, e chiudiamola qui, tanto prima o poi .. se non viene lui, te lo riprendi te, o viceversa, anche Aleksey Nikoelavic ti adora” 

Le cerimonie religiose erano tenute nel grande salone del primo piano. Il sacerdote della chiesa dell’Annunciazione, il suo diacono e quattro suore erano autorizzati ad attendere ai servizi, tuttavia non vi era un altare consacrato per la messa, una grande privazione per i Romanov.  Ogni sera recitavano le preghiere e tanto non bastava.  Alla fine, venne accordato il privilegio di potersi recare in chiesa, la costruzione era in fondo alla strada, una consolazione che ebbero ben di rado.  In quelle occasioni si alzavano presto,  passavano attraverso due linee di soldati, attendendo alla prima messa del mattino, sempre soli in chiesa,  il pubblico escluso, poche le candele. 

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. Ho letto tanto, in questi lunghi di mesi, di tutto e di più, come Tanik. Per nostro piacere e distrazione personale, mentre Aleksey, Marie e Anastasia iniziavano le loro lezioni alle nove, con una pausa dalle undici a mezzogiorno per una passeggiata collettiva. Il pranzo verso l’una, spesso Aleksey mangiava con Mamma nelle stanze di lei, per farle compagnia,  non si sentiva spesso bene, lei. Verso le due, uscivamo di nuovo nel giardino, per giocare o una passeggiata, fino alle quattro. Sai che sono diventata bravissima a tagliare la legna, mi ha insegnato Papa, era un onore darci il cambio con i miei fratelli. Dopo il tè pomeridiano, le lezioni duravano fino alle sei, la cena era un’oretta dopo. Dopo cena, giocavamo a carte, lavoravamo a maglia, Papa ci leggeva a alta voce, altre volte recitavamo pezzi di brillanti commedie, in francese o inglese (..) Una delle maggiori privazioni era la mancanza quasi totale di notizie, lettere e giornali..se arrivava qualcosa era sempre distorto e vecchio di giorni. Alessio andava a dormire alle nove di sera, salvo nuove, dicevamo le preghiere insieme, sbattendo i denti per il freddo, alle volte mi stendevo vicino a lui per trasmettergli in poco di calore, a turno con le altre sorelle, lui faceva altrettanto con noi. Non ci siamo mai pentiti di essere rimasti insieme, questo no, eravamo una famiglia”
 

 Ho ancora il menu del pranzo per il compleanno di Olga, me lo inviò per lettera, la sua scrittura nitida e delicata su cui posai il pollice. "Breakfast. 14 November 1917. Sturgeon solyanka (soup)
Pie
Cheese patties with sour cream
Goose (?) with cabbage and meat schnitzel
Pancakes with syrup.
 "  Era per sentirla più vicina, non può finire così, dissi ad Andres, la voce sommessa dopo l’orgasmo, l’attrazione continuava come sempre, nonostante e il parto e la nuova gravidanza, ero leggera e flessuosa come un salice, il viso che si serrava nel disgusto pensando alla ordalia, la dura prova che toccava ai miei fratelli “.. dobbiamo fare qualcosa” Io non li lasciavo, non li avrei mai lasciati. E non era quello il momento, di andare, cercavo di essere forte e coraggiosa. E tanto aveva ragione Sasha, a dieci anni aveva capito, prima di noi, che non mi sarei limitata a soldi, lettere e biglietti, sarei intervenuta di persona. 

Dalle memorie mai pubblicate di Boris T., membro del corpo di guardia, già soldato dell’esercito imperiale, ora rivoluzionario “.. A Tolbosk, in Siberia, era freddo, una cosa indicibile, anche per noi soldati ..  Giorni immobili, portavo biglietti, razioni di cibo in più, cercavo di non essere troppo volgare e opprimente..
Non dovevo farmi scoprire, pena la morte e la tortura.. 
Nicola II era lo zar dei miei giorni di bambino, volevamo la libertà, ma lui era stato l’imperatore, con sua moglie aveva portato il paese allo sfacelo, ma i loro figli che colpe avevano?. 
La famiglia imperiale cercava di trarre conforto dallo stare insieme, uniti, la fede li sosteneva ma era dura, pareva (e in effetti era) che tutti li avessero abbandonati..
Non i principi Fuentes, Andres mi aveva salvato la pelle, anni addietro, la gratitudine rimaneva. Inviavano lettere ufficiali e ufficiose, soldi per il cibo, e giacche e guanti e sciarpe, per Natale, e libri, erano saldi ed immutabili. 
Il cibo era razionato, la noia imperversava, la sorveglianza era stretta, il freddo si tagliava con il coltello, meno 56 gradi sotto zero.. Ricordo le granduchesse che passeggiavano nel giardino recintato, gonne nere, mantelli grigi e berretti di angora azzurra, le loro lamentele per la noia, il tempo non passava mai. 
Era organizzata una ruotine, i pasti, le lezioni, il pomeriggio la passeggiata, segando i ciocchi di legna, la sera le commedie recitate dai ragazzi.. 
A Natale si scambiarono dei doni fatti a mano, quaderni rilegati, nastri e sciarpe, il tempo dell’opulenza finito, il primo e ultimo Natale trascorso in esilio .. 
Le cerimonie religiose erano ben poche, come le missive che giungevano, è ben vero che in prigione ogni evento che rompeva la monotonia era degno di rilievo. 
Le umiliazioni senza motivo, gratuite, come sbattere addosso alle pareti di una stanza un animale in trappola per il solo gusto della crudeltà

“.. You Said You'd Grow Old With Me, your Friend, Alexei the Soldier”
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane