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Autore: LeanhaunSidhe    08/10/2018    11 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Padri e figli – parte 2

 

Death Mask raggiunse le stanze private di Lady Isabel alle prime luci dell’alba. Del resto era stato lui a chiedere un colloquio il prima possibile. Era la seconda volta che risaliva verso i piani alti in poco tempo e il singolare avvenimento aveva causato l’improvvisa loquacità di persone che mai, in circostanze normali, si sarebbero sognate di porgere parola a lui. Virgo, in particolare, dopo un veloce saluto, si congratulò per la devozione che dimostrava in quella loro rinnovata esistenza, segno che la sua redenzione era piena, rispetto alla scorsa guerra sacra. Cancer avrebbe preferito rispondere male ma si morse la lingua. Di tutto c’era bisogno, meno che di alterare quello che, probabilmente, era il suo parigrado più influente e temibile. Anzi, anticipò pochi dettagli di quella che sarebbe stata la sua conversazione con la dea.

Death Mask sorrise a denti stretti e specificò di aver conosciuto qualche particolare in più sull’origine dei perduti: come erano diventati quello che erano, chi erano un tempo, cosa li spingeva, come agivano…

Virgo era guardiano delle porte del paradiso dei cavalieri. Death Mask, invece, poteva conversare con i trapassati, se questi volevano. Ne aveva incontrato uno piuttosto loquace.

Teso come una corda di violino, con occhi e orecchi bene aperti, Saga aveva fatto in modo di essere presente a quel colloquio. Sapeva di avere avuto problemi per la sua singolare patologia ma doveva avere la certezza che la sua allucinazione in biblioteca fosse solo un suo timore e non la realtà. Fece accomodare il cavaliere di Cancer di fronte alla dea. Lui, invece, attendeva in piedi, al fianco della loro scrivania.

 

“Il maggiordomo non siede?”

 

Aveva espresso ad un certo punto il quarto custode, col suo solito pessimo savoir-fare.

 

“Sto meglio così.”

 

Precisò spiccio Saga, con una asciuttezza dei modi che quasi mai aveva mostrato.

 

Cancer accavallò una gamba sull’altra. Raccontò brevemente del fantasma che lo aveva assillato nei giorni scorsi. Finora, da che ricordasse lui, mai uno spirito si era rivolto a lui in qualità di medium, ma chi era lui per negare una consulenza?

 

Saga ripensò alle facce con cui decorava la casa nei tempi passati e gli venne in mente una battuta che era meglio tacere.

 

Ad ogni modo, ad aver voluto un suo consulto, era l’anziano bibliotecario, passato a miglior vita da almeno una ventina d’anni. Cancer non aveva la minima conoscenza di lui, quando era in vita, eppure ora era stato cercato. Quel vecchio gli aveva impedito di dormire per giorni. Glielo aveva lasciato fare solo quando gli aveva promesso che avrebbero fatto insieme un giro in biblioteca, a vedere un antico volume che a loro interessava in quel periodo.

 

Saga posò il tomo sul tavolo. Lo aprì e, girati i fogli, gli chiese in che lingua fosse scritto.

 

Cancer fece spallucce, non ne aveva la minima idea: a lui era stato tradotto in simultanea mentre lo leggeva, in compagnia.

Athena, invece, chiuse gli occhi, con aria grave. Non aveva dubbi che quella forse la lingua dei figli di Imuen. Non la sapeva leggere ma la riconosceva sicuramente.

A quel punto, l’allucinazione di Saga acquistava senso e la dea confermò: Imuen era imprevedibile. Poteva benissimo star fornendo loro un minimo aiuto, una spiegazione, forse per la loro passata amicizia.

 

“Imuen è sempre stato benevolo con gli esseri umani, prima che gli olimpici lo imprigionassero. O meglio..."

 

Precisò la dea, incrociando le dita e portando le mani giunte davanti alla fronte.

 

"... indifferente con tutti gli esseri umani, benevolo verso alcuni, interessato ad altri."

 

Si rivolse a Saga.

 

"Con te si è palesemente divertito. E' esattamente come lo ricordavo: gli piace prendere in giro gli esseri umani che reputa più intelligenti. Per lui è una sfida interessante. Gli da più soddisfazione che sconfiggere gli dei. Diceva che era il suo modo di onorare e giocare con la vita. Prendilo come un complimento da parte sua: ti reputa superiore a molti."

 

Saga avrebbe voluto controbattere che ne avrebbe fatto volentieri a meno. Poi ricordò lo scherzo che aveva tirato a tutti loro appena riportati alla vita, quando li aveva trasportati completamente nudi al campo di addestramento femminile. C'era ancora qualche sacerdotessa che davanti gli si inchinava e alle loro spalle se ne usciva con ambigui apprezzamenti sulla prestanza della loro virile virtù guerriera. Si fosse trattato di semplici commenti sulle loro capacità belliche, difficilmente uno come Mu dell'ariete sarebbe arrossito, imbarazzato.

 

"Per cui, io che sono stato guidato, agli occhi di questo Imuen sarei un coglione?"

 

La dea aveva stretto le labbra. Non nè aveva smentito nè confermato le supposizioni di Cancer. Al contrario, lo esortò a raccontare quanto avesse appreso.

Saga aveva gurdato in terra, trattendendo un sorriso. Ottenere una reazione del genere per uno col passato di Saga, per Athena, fu già molto. Lei aveva perdonato quel cavaliere. Imuen gli aveva ricordato la leggerezza di essere umano.

 

Risentito, il cavaliere di Cancer, aveva iniziato dicendo che i perduti, per la maggior parte, non erano figli di Imuen, ma solo figli di Haldir. In passato, si trattava dei soli domatori delle anime dei viventi. Le famiglie dei due gemelli, prima che Imuen fossero reso schiavo, erano unitissime. Mentre i figli del domatore delle anime dei defunti si gettarono nello sconforto, colpiti per la sorte del loro progenitore, quelli delle anime dei viventi montarono in grande collera. Il libro spiegava che erano più irascibili e il loro signore, a differenza del gemello, non era prostrato. Insomma, lo stato d'animo del padre, in qualche modo, influenzava fortemente i sentimenti dei figli. Anzi, era una relazione a senso doppio. La collera dei figli lo infiammò ancora di più. Fu lui a guidare la spedizione che avrebbe dovuto rimettere le cose in pari con gli altri olimpi. Inizialmente fu una strage di divinità minori. Ad Athena i conti tornavano perchè, in quel periodo, molti dei suoi fratelli concentrarono nelle proprie mani poteri prima assegnato a ninfe e divinità di rango più basso. Che motivo avrebbero avuto, se non quello della scomparsa dei custodi designati di quelle precise forze? Quasi tutti gli olimpici si unirono per contrastare quell'esercito di creature soprannaturali. Fu una chiamata volontaria e gli dei esclusi avrebbero dovuto saperne il meno possibile, come era stato per la stessa Athena. Ci fu una battaglia poderosa. Haldir si era scagliato immediatamente contro lo stesso Zeus e lo tenne impegnato per giorni. Lui era quasi un immortale. Tenne testa a lungo ma i suoi figli, lentamente, si fiaccarono. Stretto in quell'assedio, Haldir, che era potente ma non aveva la facoltà di trasferire le proprie energie ai suoi sottoposti come faceva Athena col cosmo, si trovò costretto a scegliere: uccidere il padre degli dei per vendicare il fratello o battere in ritirata per salvare i propri figli. Era stato superficiale e quella che poteva diventare una schiacciante vittoria, invece, si rivelò una penosa sconfitta. Esortò i suoi figli a scappare, perchè avrebbe protetto ad ogni costo la loro fuga ma quelli, folli, non lo ascoltarono. Gli olimpici rimasti, fiaccati loro stessi, ma immortali, unirono le poche energie rimaste. Provarono a lanciare un colpo congiunto che avrebbe dovuto bloccare tutte quelle creature. Qualcosa andò storto. Probabilmente li sottovalutarono. Volevano imprigionarli, senza corpo, tra la vita e la morte. Impedirono si loro la pace del riposo eterno ma non riuscirono a domare quella potenza animale che avevano ereditato dal loro sangue: la capacità di manipolare le anime dei vivi fu trasformata nel perverso bisogno di nutrirsene per non sparire, prede di un richiamo inesauribile.

Per Haldir, fu un colpo più terribile della morte stessa: aveva perduto, per uno stupido duello, le uniche due cose che lo tenevano in quel mondo, suo fratello e i suoi sottoposti. Si manifestò nella sua forma ferina più terribile e, se in quelle sembianze lui Imuen uccise pochi umani, lui azzannò con la sola forza delle sue fauci la folgore del padre di tutti gli dei. Sputò sangue e ne uscì quasi ammazzato ma ancora respirava mentre brandiva denti anneriti ma integri col chiaro intento di puntare alla gola di Zeus. Costretto, il signore degli olimpi ne riconobbe il valore e fermò quell'assurdo duello. Sapeva di essere comunque vincitore, perchè il suo avversario non avrebbe mai avuto pace. Placò con un sigillo i figli rovinati del suo contendente e lo lasciò, afflitto, a sfogare la sua impotenza. Perchè ogni volta che quel sigillo si sarebbe sciolto, ogni volta che uno dei perduti sarebbe stato ricacciato, Haldir avrebbe sentito il dolore di un figlio perduto e dell'anima di cui questo si sarebbe nutrito , in una condanna destinata a non avere fine e a consumare lentamente un essere che, una volta, era quasi eterno come una divinità.

 

Se quei racconti erano verità, Athena si vergognò delle sue origini. Una volta di più si convinse nelle sue posizioni contro Hades. Era sdegnata ed ordinò a Cancer di continuare. C'era, però, poco altro da sapere: i perduti erano come fantasmi inquieti che vagavano sulla terra in cerca di anime viventi di cui cibarsi. In loro, restavano solo i sentimenti peggiori che avevano avuto in vita. I Dunedain che restavano, in ogni caso, riuscivano a sigillarli o a sfuggirgli, mai a sconfiggerli completamente.

 

La dea congedò in fretta i suoi sottoposti, preda di un profondo malumore. Se quelle parole erano vere, quali e quante sofferenze erano state causate a quella razza? Davvero poteva essere così alto il prezzo dell'invidia e del sospetto? Come potevano esseri che si proclamavano superiori, che si facevano venerare col titolo di divinità, abbassarsi a simili sentimenti meschini ed agire in maniera tanto nefanda? Quanto era costato, ad Haldir, sopportare quello strazio? Come aveva fatto a non impazzire?

 

Lo avrebbe aiutato certamente contro i perduti, nella sua epoca. Se l'avesse contattata prima, mai si sarebbe sottratta, neppure nelle epoche precedenti. Perchè non faticava a credere che quelle parole fossero verità, conoscendo la propria famiglia di origine.

 

"E se ci fosse addirittura un modo per riportare i perduti nella loro forma originaria?"

 

Riflettè addirittura fra sè, a voce alta, rimasta sola.

Il fuoco fatuo che aveva accompagnato Cancer, lentamente, aveva ripreso a brillare a intermittenza, come una lucciola dispettosa. La dea riconobbe presto di chi si trattasse e salutò l'amico tendendogli la mano.

 

"Se ci fosse stato un modo per riportare i perduti nella loro forma originaria, fidati che Haldir avrebbe aiutato loro, piuttosto che la tua schiera."

 

Athena sorrise. Non era mai riuscita ad impedire ad Imuen di arrivare dovunque volesse e quando volesse, all'interno del suo santuario, soprattutto nelle camere private della sua servitù.

 

"Non mi fai offrire neanche una tazza di the?"

 

Chiese, apparentemente allegro, come lo ricordava da sempre. Divertita, Isabel riempì personalmente una tazza pulita e gliela porse. Era piacevole vedere come riuscisse ad infilare le dita nell'asola della tazza con quegli artigli così lunghi. C'era un non so che di buffo nel modo in cui se la portava alle labbra e la riposava poi nel piattino.

 

"La gravidanza di tua moglie come procede?"

 

Imuen sfoggiò un sorriso a trentadue denti, con canini piuttosto evidenti.

 

"Magnificamente. Non ringrazierò mai abbastanza mio fratello... e quei due o tre matti che gli sono rimasti."

 

La dea, si sedette al suo fianco, confusa sul fatto che fosse solo.

 

"Come mai ci hai rivelato tutte queste informazioni? Anche in passato, non parlavi mai del tuo gemello."

 

Il rosso sospirò.

 

"Anche ora molto del suo agire, per me, è un mistero. Viviamo in mondi separati, noi due."

 

Portò le mani a due livelli diversi, ad indicare il proprio, in cielo, e quello di Haldir, in terra.

 

Athena spalancò gli occhi. A conoscerli, sembrava che Imuen avesse invertito le rispettive ubicazioni ma, riflettendoci, era esattamente come il rosso diceva.

 

"Lo sai..."

 

Ammise il rosso, alzando le spalle.

 

"... Io fingo di inebriarmi di vita per esorcizzare la morte."

 

Sembrava serio, quasi stanco.

 

"Haldir, invece, è talmente immerso nella vita che a volte mi pare desiderare la morte per avere un po' di pace."

 

Athena scosse il capo, confusa.

 

"Perchè sei qui? Come vuoi che ti aiuti?"

 

Imuen la trapassò coi suoi occhi verdi. Le afferrò le mani, insignificanti, in confronto alla mole delle proprie. Aveva le dita estremamente calde, come di una persona preda di una forte febbre.

 

"Mio fratello si è caricato di troppe colpe che a causa delle mie mancanze. Abbiamo sempre aiutato i tuoi protetti, quando potevamo."

 

La sua presa era salda, accorata, sicura. Aveva sottinteso che le sue azioni passate fossero state compite in sinergia col gemello e che, ora, stava agendo invece di testa propria.

 

"Ho bisogno che ricambi il favore, amica mia."

 

Si trattava della stessa persona carismatica che la dea ricordava.

 

Athena annuì decisa, non gli avrebbe negato il proprio appoggio.

 

"Naturalmente Haldir non sa nulla di questa tua iniziativa..."

 

Imuen sorrise e mostrò le sue zanne affilate, in quell'espressione che con un sorriso normale sarebbe stata di bell'aspetto ma che, sulla loro razza, spesso era inquietante.

 

"Haldir mi prenderebbe a botte, nella migliore delle ipotesi.., nella peggiore mi getterebbe tra i perduti, orgoglioso come è. I panni sporchi si lavano in casa."

 

Si alzò e la guardò serio.

 

"Ai tuoi paladini avevo promesso una vita che sarebbe stata solo loro. Eppure, ora mi rendo conto di avere bisogno anche della loro forza, non solo per difendere gli esseri umani. Tra loro, ne vanti alcuni a dir poco notevoli."

 

Si stava rimettendo l'elmo, pronto a sparire.

 

"Fate attenzione a oriente, più che a nord. La i sigilli sono più deboli e si stanno spezzando. Ci sono anime che si credono perdute e che lo diventeranno veramente, se non protette a dovere."

 

La dea avrebbe dovuto chiedergli più chiarimenti ma ormai era quasi il tramonto ed in quelle ore il suo amico diventava davvero operativo. Per Imuen, era tempo di andare.

 

"Fa attenzione al giovane ariete. Fino a che non si decide, può essere un pericolo. Se un'anima come la sua finisse ai perduti, sarebbe un casino."

 

 

Ad aver lasciato turbata Saori furono soprattutto le ultime parole di Imuen. Ormai tutti i suoi dubbi su Kiki si erano diradati. Era certa che fosse saldo nelle sue convinzioni, eppure lo spavento che avevano provato notti prima, in cui non riuscivano a liberarlo dal legame con Seleina, era tremendamente vivo. E l'interesse di Haldir nei confronti di quel ragazzo... Rimasta sola, informò una guardia. Ovunque fosse, Kiki doveva rientrare.

 

Seleina aveva ripensato molto al fugace incontro con suo padre. Erano state poche parole, ma erano state chiare. Aveva comunicato di stare bene, lo aveva fatto vedere. Che così, suo padre, forse, avrebbe avuto finalmente pace. Aveva visto il viso tremante del genitore mentre le sollevava il mento ed il sospiro esalato nell'osservare il suo aspetto più vigoroso. Da quanto non sembrava sana?

Da quanto non lo era davvero?

Aveva capito chiaramente chi fosse il giovane cavaliere dai capelli scuri che accompagnava suo padre. Lo aveva riconosciuto subito per la descrizione che ne aveva avuto da piccola. Ciò che aveva immaginato dell'indole di quelle persona corrispondeva esattamente a realtà. Se avesse avuto più tempo, si sarebbe inchinata e presentata a dovere al vecchio maestro di suo padre, a Camus dell'Acquario.

 

Presto, però, i suoi pensieri corsero al suo fratellone acquisito. Come mai il legame mentale con Kiki restava così forte? Non avrebbe dovuto sciogliersi la notte stessa della sua trasformazione? Si guardò le mani artigliate. Kiki non era mai stato un normale essere umano. Era vero, lei manteneva sempre un legame con le persone che aiutava. Lo aveva con molta gente di Asgard, con diversi di Rodorio. Una volta che le anime erano alleviate era sempre lei a decidere chi sentire e quando. Ormai, Kiki aveva riavuto suo fratello. Era in pace anche lui. Perchè dunque non riusciva a staccarsi? Dopotutto, il fisico di un Dunedain era superiore a quello di un essere umano, così come la sua mente. Che fosse il cosmo smisurato di Kiki a renderla sottoposta, in quel caso? Perchè, allora, lui non la lasciava andare e basta? Se avesse voluto, probabilmente, Kiki ne avrebbe avuto la piena facoltà. La sua andatura, ormai, superava di molto la velocità del suono. Spiccò un balzo e superò le basse mura di cinta. Aveva imparato in fretta, dopotutto. L'incoraggiamento di Zalaia, doveva ammetterlo, si stava dimostrando per lei vitale. Forse, non sarebbe stata poi un'idea così assurda una chiacchierata con il suo amico.

   
 
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