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Autore: queenjane    08/10/2018    1 recensioni
Uno spin off di "Phoenix", "Once and again" et alia, ormai.. Le imprese di Catherine e Alexis Romanov al quartiere generale, la Stavka a Mogilev, durante la grande guerra, corre l'anno 1915."... Il quartiere generale.
Rumori e segretezza... E tanto lo zarevic, il diletto e viziato erede al trono dormiva, un dolce peso morto contro le mie gambe, incurante di tutto, una mano tra le mie. Rilassato, in quiete, una volta tanto, che si agitava anche nel sonno.
“ Cat”, aveva mormorato il nomignolo, Cat per Catherine... Un sospiro ... Il mio.
Che sarebbe successo? Quanto avremmo passato?
Era testardo e viziato, mi esasperava e divertiva come mai nessuno.
Un soldato in fieri.
Un monello.
Amato.
Il mio fratellino."..since he was never alone, his family was always there for him the whole time :.. you're never alone, my little Prince, my soldier, my Alexei ..Your Cat .. I love You forever, I'll lack You for always
Un portentoso WHAT IF, Alternative U.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Ma che castigo è? Catherine” una sfumatura perplessa negli occhi, nella voce. E si divertiva, il mio furfante, in fondo.
“Zitto” la punizione era stare voltato verso un angolo, la sua schiena conto il mio torace, il mio ginocchio piegato per sostenere il suo ginocchio leso, lo avvolgevo con le braccia, casomai tentasse una nuova partenza barra fuga precipitosa.
Tacque, si rigirò. “Niente baci”severa, dopo che mi aveva sfiorato il mento, le guance, le tempie con tanti piccoli bacetti, mi imposi di non ricambiare.
“Perché ti corrompo” carezzandomi il viso. “Cat, Kitty Cat, gattina” come Olga, ai tempi immemori e felici sempre mi aveva chiamato “gattina” in inglese. Cat .. 
“Forse” e rideva, sghignazzai a mia volta, un modo come un altro per alleviare la tensione di quelle ore.  Anzi giorni, settimane e mesi,da quando avevo lasciato la Crimea, in maggio, fino ad ora era stata una totale disperazione, il massacro nella cantina uno stillicidio. Ci stavo male io a sentirne, figuriamoci Alessio, Anastasia, che vi avevano assistito, scampati per un pelo, alla morte, il dolore per Olga e le nostre sorelle, nostro padre, mi percosse il ventre in tentacoli serpentini. E non potevo viziarlo all’infinito, dandogliele vinte in perenne maniera. Era grande, dovevo trattarlo da tale. 
“Cerca di riflettere, dai, come me” omisi di aggiungere che ero esausta. E che mi rigiravi con un sorriso, come da prassi, percepii che mettevi le mani tra le mie e ti rilassavi, un calo di tensione, nonostante il mugugno che ero tutta ossa e muscoli, già. Ti voglio, Alessio, ti voglio tanto bene..
“Come alla Stavka, quella volta che avevo il raffreddore, mi tenevi così” una pausa “Avevo meno paura, sai, qualsiasi cosa fosse successa eri con me, non mi lasciavi solo”
E ora non era morto, Alessio aveva scampato il  decesso per puro miracolo, dal passato tornai a noi, lo strinsi, da capo, mi rituffai in quel ricordo, la gola piena di ragnatele, mi veniva da piangere come una deficiente. E non  era morto
a undici anni per una epistassi, a 14 era scampato a un eccidio.. Aleksey.. la paura, che avevo sperimentato vicino alle trincee, le granate che scoppiavano, era nulla in confronto a quei momenti. E la sua voglia di vivere rompeva ogni argine, non ammetteva deroga alcuna.
 E le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, sempre, tornò a rilassarsi e non andava, non poteva sparire in quel modo.
 “Hai sentito cosa ti dissi, quando sei andata via sul serio?”
“Allora.. che hai sussurrato, sentiamo? Mica ho avvertito nulla”
“Non te ne andare.. resta, ma forse l’ho pensato, dimmi una storia che non abbia fine, allora ci crederò, forse” 
 

…..E non era più un bambino, realizzai ora, un dolce e viziato ragazzino, reso fragile dalla sua patologia, nei mesi e nelle stagioni che erano seguite era mutato, un fighter prince, che non mollava mai, curioso, ironico ed esasperante, una meraviglia.
Alessio in greco significa colui che protegge ed era diventato il mio baluardo, un ristoro.
Nonostante la differenza di età, era il mio fratellino, il mio migliore amico, un eroe.
 Avevamo litigato. 
Eravamo diventati inseparabili. 
Eravamo cresciuti.
Che prezzo immane avevamo pagato entrambi. 
“Ti tenevo così, come altre volte”Sospirai. “Ti prego, cerca di riflettere quando fai le cose, per te, per tutti”gli sfiorai la punta del naso.
“Lo so, è importante”
“Come queste”gli diedi le mostrine che portava sulla casacca la notte del massacro, le iniziali A. N. intrecciate a quelle di N. A., Aleksey Nicolevic, Nicola Aleksandrovic, era quello l’uso, un omaggio tra le generazioni, un legame. Le avevo scucite con cura, prima di buttare via l’indumento imbrattato di sudore e sangue, il sangue di nostro padre e di sua madre. Anastasia era stata netta, buttalo, non lo vogliamo, non ci è servito, brucialo .. strappandosi il ciondolo che custodiva l’immagine di Rasputin,  una sua ciocca di unti capelli che le pendeva dal petto “NON E’ SERVITO A NULLA! !” come il suo biglietto, “Salvami e proteggimi”, una premura della zarina, Alessio mi disse di esserselo levato dopo la mia  visita, la ultima e prima a casa Ipatiev, si fidava di me e Andres, non del siberiano. Come da prassi. Rasputin aveva sedato Alessandra.. e tanto i suoi figli avevano sperimentato altro.  Non avevo tirato un fiato, né allora o poi, non vi riuscivo. 
“Sai che i rossi ci avevano ordinato di toglierle.. le mie mostrine”le prese tra i palmi, delicato. “Per offenderci, come se non avessimo onore”
“Un oltraggio, lo so” forse la punizione era chiacchierare tranquilli, lo stomaco mi gorgogliò. “Ho fame, mi fai compagnia?”
“Eh .. non posso mangiare?” basito “Mi scocci sempre con questo e … ora vorrei qualcosa, per favore”
Risi, rilevando che era stato educato. “Sono contenta” che avesse fame,  chiariamo, non che scappasse, il suo stomaco borbottò, come un eco di campana del mio. “Pane e formaggio”
“E mirtilli” una pausa “Ho visto un bel cespuglio” Mise le mostrine in tasca, tese le braccia, lo sollevai. “Lo sai che mi piacciono”
“Lo so”
Mi ricordai che, tornata a casa, Palazzo Raulov, dopo Spala, mi aveva accolto un mazzo di rose bianche, avvolte in un nastro verde, nella mia camera. Un suo ringraziamento, quei frutti sarebbero stati per l’estate successiva, avevamo trovato qualcosa che mangiava con appetito, senza smorfie.
Ah Alexei .. tossicchiai, imbarazzata, cambiai argomento “Una volta o l’altra tornerai a camminare”
“Seee… illusa” Tacqui un momento, lo aveva fatto, in qualche maniera si era mosso. Ora si reggeva in piedi, sostenuto,  non piegava il ginocchio, la lesione del suo ultimo attacco di emofilia che lo aveva confinato da settimane, mesi, ormai, a letto o in carrozzina, prima a Tolbosk, poi a Ekatenerimburg. Ora , invece, per spostarlo lo caricavamo in braccio. Comunque, che si tenesse in piedi era già qualcosa, tranne che qualcosa  aveva  inventato .. Boh.. “Hai camminato, forse?Quando piangevo ti sei spostato, l’altra volta, ora  eri sparito”nemmeno mi rispose. "Cammini, se vuoi" insistetti e lasciai perdere, ero svuotata e non avrei retto una lite che incombeva, gli occhi azzurri scuri, di ghiaccio, una nuvola. Ricordai che, dopo averlo recuperato, avevo notato un ramo, spoglio di foglie, vicino a lui, che poteva avergli fatto da bastone.
Chiusi gli occhi per un momento, mi abbandonai alla speranza.
 


Non che migliorasse dall’oggi al domani, si rimettesse in piedi e dimenticasse, come lei, solo che iniziarono a sfogarsi, la condivisione di un incubo a occhi aperti, avere toccato il fondo della realtà, una coppa di feccia e fiele bevuta fino all’ultima stilla.
Non sarebbe stato possibile, altrimenti. Non esisteva il fiume Lete, per dimenticare, non vi era il loto che conduceva all’oblio.. nemmeno lo avrebbero voluto, in fondo. 
Per non dimenticare. 
Quando salimmo in treno, un vagone sgangherato con i sedili in legno, iniziando il viaggio verso il porto di V. Anastasia osservò che i finestrini non erano sbarrati, respirò di sollievo, poteva capitare di tutto ma almeno .. Avete le armi e anche te le sai usare, rivolta ad Alessio, non è poco.
Era caldo, eravamo scomodi, e  si procedeva.
“.. a Tolbosk dicevamo le preghiere in un angolo della sala con icone e candele, ben di rado andavamo a messa.”
“.. la noia, anche se la ruotine era organizzata con preghiere, le letture, i pasti.. Papa leggeva ad alta voce …”
“E il freddo..”
“… organizzavamo delle recite. In inglese e francese, o in russo. Una volta, sai,  Papa”Alessio pronunciò quel nome senza inciampare nelle lacrime “ha interpretato un proprietario terriero, assai avido che cercava di frodare un povero contadino.. In una altra commedia vi era un vecchio medico di campagna,. Convinsi il Dr Botkin a farlo, gli feci intendere che solo lui poteva offrire una interpretazione esatta, alla fine lo fece.. !” Botkin ora era morto, insieme agli altri, si mise a guardare fuori dal finestrino senza vedere.  Dormivamo su due materassi buttati per terra, sempre meglio di nulla, e vedevo che aveva dolore, alla gamba, o mal di testa, e non si lamentava mai. “Stavo peggio a Tolbosk, non avevo paura di morire, ma di quello che potevano farci.. “Un sospiro “Ti chiamavo, ti ho chiamato tanto” le sue urla “Mamma! Catherine! Cat!” si sentivano fin nella strada, come che avesse cavalcato.. una delle sue crisi più tremende di emofilia.
Dalla nascita  a quel momento, sorvolando su quella del 1912, Spala e i suoi strascichi.
Era rimasto confinato a letto, quella primavera, con una emorragia interna quasi letale. E quando era migliorato, era solo una cauta perifrasi, dormiva male e i dolori, per quanto meno acuti, non erano finiti. Era dimagrito terribilmente, il colorito giallastro, come a  Spala, appunto. Non aveva appetito e stare tutto il giorno sdraiato sulla schiena lo stancava, come cambiare posizione. Sua madre si alternava a vegliarlo tutto il giorno e la notte con le sue sorelle e il marinaio Nagorny e Gilliard. Ora le spalline dell’uniforme sia lui che suo padre le portavano solo al chiuso, per evitare che venissero tolte, un sommo insulto per Nicola, che aveva amato l’esercito, era stato un colonnello, Alessio aveva le sue mostrine da Caporale Lanciere, dal 1916, effettive, particolare che lo aveva riempito di gioia ed orgoglio..
A Ekatenerimburg, aveva avuto una ulteriore ricaduta, capitombolando dal letto per cambiare posizione, vomito e insonnia e altro sofferenza come corollario. A onor del vero, nei panni di Alessio, avrei mollato da un pezzo, altro che storie.

Tacevo, le parole sarebbero state vane, inutili. Stavamo sempre insieme, gli potevo offrire  quello. Lo presi sulle gambe, mi circondò le spalle con il braccio, continuò a raccontare, allacciato stretto come se volesse difendersi da un mostruoso incubo, invece era una realtà durata circa un anno e rotti, una discesa negli inferi. Gli sfiorai i capelli. Istinto, forse per alcuni era pura esagerazione, quella ricerca continua di contato, tranne che se gli dava conforto, la vicinanza fisica, inutile negarglierla.
Dal suo punto di vista, mi spiegò una di quelle sere, lo avevo sempre tenuto al sicuro, coccolato e protetto, da quando era piccolo, pronta a dargli qualcosa nel momento esatto in cui la desiderava. Ed  avanti ancora, quando viveva al Quartier Generale con lo zar, durante la guerra,  ero forse stata  la sua compagnia preferita. E , nella prigionia a Carskoe Selo, nonostante le tempeste dell’adolescenza imminente e della prigionia, i litigi e il malumore, ci eravamo protetti, guardati e vigilati a vicenda. Ora, reduce da quelle atrocità, non avevo cuore di essere dura, arrogante e tenere la distanza.
“.. siamo arrivati in treno, ci hanno separato da Gilliard e via così.. “
“… osservati giorno e notte, le porte non si potevano chiudere a chiave ..”
“… le bestemmie …”
“Mangiavamo tutti insieme, sia noi che il personale, niente tovaglia o posate, solo dopo ci hanno concesso 5 forchette,da dividere in 15.. “ sbarravo gli occhi, era al di là di ogni possibile definizione.
“… Cat, Nagorny lo hanno mandato via solo perché mi aveva difeso, non voleva che mi rubassero una catenina d’ora con delle immagini sacre sopra il mio letto .. abbiamo fatto a botte“
“So che ti sei difeso e…”
“Che fine ha fatto” Deglutii e non risposi subito, intese al volo “CAT, come è morto”Sussultai afflitta “Fucilato in prigione .. ai primi di giugno”Fu Alessio a trasalire. “Perché …”
Avere avuto una risposta.
Mica l’ho trovata ancora, e sono passati tanti anni.
“A volte le cose succedono e non è colpa di nessuno, ma così..”
“Lo dicevo.. non che sia una grande risposta”
“Il potere dà alla testa”amaro, lucido, si mise a guardare fuori dal finestrino e dubito che vedesse alcun che di rilievo. Mi riscossi quando si spostò sulle mie gambe, fasciate dai pantaloni, un piccolo schiaffo impaziente sul mio ginocchio “Cat”
“Mmm?”

Eri spiritata, Cat, per i tuoi casi, che ne so. Parlasti a caso, distratta, in  quelle lunghe giornate  giocavamo a morra cinese, indovinelli e sciarade, un mazzo di carte  sgualcito il nostro sfogo, raccontavi, raccontavo, raccontavamo. Ogni tanto, dopo tre o quattro ore, mi controllavi il pannolino, se prima non mi ero arrossato in viso, mi mettevi sulla schiena e mi cambiavi, il tuo corpo e un angolo che facevano da schermo, mi massaggiavi le gambe doloranti, se cacciavo un pisolino era tra le tue braccia. Ero come un infante, dipendevo dagli altri, per le mie esigenze, e tanto non mi hai umiliato o preso in giro una sola volta, consideravi il tutto un inciampo, una parentesi che si sarebbe risolta
“Perché sei uno scocciatore, figuriamoci se può essere in perpetuo” la diagnosi di Andres
“Sono un invalido E uno storpio” calcando i termini
“Ti abbiamo mai trattato così? Da pobrecito” poveretto, in spagnolo, si stava arrabbiando
“Mi avete viziato”
“Oddio, Alessio .. sei un ragazzo intelligente, como mi mujer” la sua donna, tradussi “Comportatevi da tali” quindi “In maniera volontaria mai, non ti abbiamo mai trattato da invalido” ancora, tenne a rettificare.
Era vero. “E non cominciamo adesso” Anche quello era effettivo
“E comunque non sono uno scocciatore” Inarcò un principesco sopracciglio scuro, divertito. “Sicuro?”
“Non su tutto e non sempre” precisai, Andres non aveva quasi mai torto.  
Anche io raccontavo,  pareva incredibile avere scampato la morte in tutti quegli anni, una sorta di tragica ironia.  Violenze e massacri, da dubitare che un tempo vi fosse la concordia, la pace. La cieca testardaggine del disastro.
Omettevo le parti in cui ero sporca, taciturna, i silenzi, la passione selvaggia e feroce con Andres, gli oblii  e gli stordimenti iniziali,  lesioni aperte e spesso invisibili.
“… avevi paura?”
“Sì e no, mi veniva dopo … durante, ero troppo impegnata” una pausa “O prima, diciamo che cercavo di non pensarci, sarei stata imbecille in caso contrario, Alessio” annuì, quella non era una ballata di eroi ed epici miti. “O forse era come sdoppiarsi in due.. eh, Cat”
Era stato un lavoro, tra virgolette, sporco, faticoso, sul piano emotivo un risucchio.
Ero stata un agente segreto per la polizia segreta russa, la Ocharana, la copertura era stata essere infermiera volontaria sulla Marna. Mio zio, membro ufficioso della polizia segreta di cui sopra, riteneva che avrei mollato dopo un mese, come no, ero selce, fumo, disperazione. E tempo di una settimana avevo preso chi doveva proteggermi,ero stordita dalla disperazione tranne che non ero così idiota da speculare che avrebbe mandato una ragazza di 19 anni allo sbaraglio, senza reti di protezione.
Peripli e incastri, la polizia segreta russa collaborava con i servizi inglesi e francesi, ebbi degli incarichi, un nome in codice, Cassiopeia 130.

Avevo appreso a stare da sola, conoscendo una solitudine che non avrei mai reputato possibile.

Nelle notti insonni e solitarie, era tornata la mia antica passione per la lettura. Omero, Machiavelli, Dante, Shakespeare e Flaubert, le lingue straniere, ero una furtiva ombra che danzava sotto le stelle, i lampioni, una principessa di neve e brina.
 
Ora aveva 14 anni, meno di un mese prima aveva rischiato di non arrivarci, era orfano e sopravissuto a una strage, a dispetto di ogni rilievo, previsione o altro.
E lo stringevo, da capo, ormai ero traslata dall’essere una madrina del suo battesimo, atea quasi conclamata e  convertita al cattolicesimo, a essere la sua mamma.
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta. Ora, mi sorrideva di nuovo ed ancora.  Il terrore di quando iniziava a andare carponi, a camminare, le dolorose cadute, i gonfiori e i suoi pianti. Ti posso solo amare, Alessio, sono una peccatrice, una bastarda e una puttana, l’affetto per te non è mai trasceso, giorno per giorno vivrò con la terribile ansietà che ha corroso tua madre e nostro padre.  Ne vale la pena.. sì, ora e sempre., parafrasando il motto dei principi Fuentes.

 
“My fighter prince, you’ re so brave, strong .. despite everything that happened to you”
“I know it, I’ve learnt it” Seriously. 
Da un appunto di Andres  Fuentes “ Alla fine, ce l’avevamo fatta. Eravamo a P. porto della  Siberia, la nave pronta, i documenti erano a posto, sia lui che lei avevano una nuova identità. Destinazione Danimarca, era un miracolo totale”
“Oggi cosa vuoi fare?” tornando a noi, lo portavo a fare il bagno, in quei giorni, nell'acqua muoveva le gambe senza pesi e faceva riabilitazione, ci divertivamo tra noi, 
“Stare in spiaggia, fare un bagno e .. sentire la verità, per davvero, che siamo fratelli, lo so” Mi prese il viso tra le mani, studiò la mia espressione sbarrata, da pesce lesso, gli baciai il palmo, ora era serissimo “Va bene, ormai il peggio di me lo conosci”
“Me lo ha detto Papa, dopo che eri venuta … Olga lo sapeva?” Scrollai la testa, energica “Io non glielo ho mai detto … credo che alla fine lo abbia capito, io ci sono arrivata molto dopo”
“Mai? Te e lei vi dicevate tutto”
“Mai a parole e tanto.. Non tutto, alcune cose erano solo sue e viceversa“ che quel legame, a prescindere da Alessandra, la gelosia di Tata, le apparenze, dalla vita era durato tra alti e basi, saldo e immutabile, la comprensione e quindi il perdono. Nessun gesto eclatante o iperbolico, andare avanti, senza mollare.
“Ora abbracciami, tienimi stretto, il peggio di te non mi interessa” Mia stupida, coraggiosa eroina, mi aveva appellato Olga, molte stagioni prima. Come se coraggio e stupidità procedessero, era ben credibile.  
“Che posso farne di peggio?”
“Sciocca, tu sei il meglio, sempre, anche se a volte .. anzi spesso, sei isterica, nervosa e prepotente”
“Smack” schioccai.
“E hai tante buone qualità ..”
“Bravo, tranne che noi donne preferiamo le lodi alle critiche, me compresa, hai ben imparato” ironica. Lo caricai in braccio, delicata, ormai era un movimento automatico, leggero, percepii il noto rilievo delle sue braccia sul collo, lui il mio movimento di serrarlo contro il petto, l’attenzione alla gamba lesa, gli feci una confidenza “Sai, a prescindere da tutto.. Io pensavo che non avrei mai avuto figli, di essere incapace, inabile .. Di non sapere amare niente e nessuno, invece.. “
“Risveglio la tua parte migliore, lo so” tenero “Anche se non si direbbe, di primo acchito, e tanto dopo mi dici” come ti definivi, eri uno scocciatore, su molti argomenti e temi.

Dopo raccontai la cronaca  di una tristezza senza fine, Aleksey.   Mia madre e le sue tristezze, la passione per lo zar, i demoni e la redenzione. Il mio odio, che mi aveva picchiato, il mio giudizio, il mio matrimonio con Luois, le assenze e le perdite, ero il lupo, Cassiopeia, la tua Cat. Molte definizioni, un solo amore.
Siamo noi che rimaniamo.
Omisi le lettere, quello era un affare privato di Ella Rostov Raulov e di Nicola Romanov, mi mancò il cuore di dargli, sul momento quel dolore, non mi sentivo ancora pronta. A prescindere da ogni valutazione o rilievo morale, mia madre ha avuto un matrimonio infernale, lo zar era stato fatto prigioniero e fucilato, qualunque peccato avesse compiuto lo aveva certo ben riscontato.
Mi AVEVA AMATO.
Quanto resta .. solo tremule fiammelle contro lo spettro del tempo, la barriera della memoria, al diavolo i dannati.
 
“Sirio. Aldebaran” indicando le stelle, parevano piccole lampade  dorate contro lo scuro drappo dell’orizzonte, per Olga erano lanterne abitate da spiriti amici. Sotto, il rumore dell’acqua, lo sciabordare del mare. Ci eravamo. “Belle..”
“Siete sicuri?”
“Certo..” fece una pausa, poi passò a indicare la costellazione del Leone, il suo segno zodiacale. “Tu hai cambiato idea?” irrigidendosi, lo bloccai prima che sparisse o scappasse, era un asso in quello, esalai rapida. “Figuriamoci, Alessio, mai, ormai abbiamo deciso. Io non cambio MAI idea. Sai come si dice mai in spagnolo?”
“Dimmelo”
“Nunca”   lo sillabò, attento. “Sai Cat perché ho suggerito Leon come primo appellativo?” per il secondo, adorato bambino, Leon Jaime Nicolas dei Fuentes.
“Uno, perché è uno degli stemmi araldici dei Fuentes, il leone che danza. Due, io sono del segno del leone .. Tre, tuo marito si chiama Leon”
“Come terzo appellativo” ridacchiai. “Il terzo maschio lo chiamo Alejo” sbuffò “Anche no, per te devo rimanere l’unico e il solo”
“Lo so, scherzo, per me sei unico, lo sai” gli baciai la guancia, omisi domande di ruotine, se dovevo cambiarlo, se aveva fame o sete o il mal di testa, me lo raccolsi contro.
 
Neverending story. 
Cat .. dimmi una storia che non abbia mai termine, alla fine ci crederò.
Non è colpa tua, tesoro, Alessio, anzi Xavier, te lo ripeterò fino alla fine del mondo, al termine ci crederai, lo so. I love You forever, I'll lack You for always
   
 
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