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Autore: queenjane    09/10/2018    1 recensioni
Uno spin off di "Phoenix", "Once and again" et alia, ormai.. Le imprese di Catherine e Alexis Romanov al quartiere generale, la Stavka a Mogilev, durante la grande guerra, corre l'anno 1915."... Il quartiere generale.
Rumori e segretezza... E tanto lo zarevic, il diletto e viziato erede al trono dormiva, un dolce peso morto contro le mie gambe, incurante di tutto, una mano tra le mie. Rilassato, in quiete, una volta tanto, che si agitava anche nel sonno.
“ Cat”, aveva mormorato il nomignolo, Cat per Catherine... Un sospiro ... Il mio.
Che sarebbe successo? Quanto avremmo passato?
Era testardo e viziato, mi esasperava e divertiva come mai nessuno.
Un soldato in fieri.
Un monello.
Amato.
Il mio fratellino."..since he was never alone, his family was always there for him the whole time :.. you're never alone, my little Prince, my soldier, my Alexei ..Your Cat .. I love You forever, I'll lack You for always
Un portentoso WHAT IF, Alternative U.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Bravissimi” Anastasia torse il polso, fece scorrere il filo e l’aquilone corse verso il cielo. Io avevo recuperato dei fogli di carta, Alessio i rametti e poi si era messo a costruire l’aquilone, usando il filo di cotone di un rocchetto “Siete stati bravi davvero” Annuii, il mento sopra le ginocchia, quello era un rito di congedo “Grazie”
Vola e dimentica, impara a ripetere addio al dolore..

Nel viaggio di andata, dalla Crimea fino alla Siberia, avevo ammazzato un soldato rosso, prima di giungere a Ekaterimburg. Le mani lordate di sangue, l’eccidio in cantina, solo Alessio e Anastasia sopravissuti.
Era per difesa, Andres .. lascio perdere, per me, per noi avrebbe compiuto una strage.  E viceversa, io non ero da meno.
Ancora  e di nuovo, eravamo soldati, complici.
Come ai tempi degli ingaggi, ero montata sopra un tetto, usando  le sconnessure del muro ed i ripiani delle mensole delle finestre come appoggio per i piedi, la grondaia e poi ero rotolata sulle tegole, certo più leggera di Andres e tanto ..  per poco non ero ruzzolata di sotto.
Ancora, mi ero addormentata a cavallo, dopo 35 ore di veglia, per un soffio non ero caduta di sella, a costo di spaccarmi l’osso del collo, solo l’istinto di sopravvivenza,  mille volte mobilitato, mi aveva fatto risvegliare.
Mattias, la guardia infiltrata, glielo aveva detto sia ad Alessio che Anastasia, lui si era convinto che, a prescindere dai miei momenti di fiacca e debolezza, ero una comune mortale, fossi davvero una eroina, una principessa dragone,. Un mito.
Ed intanto ..Rabbrividii pensando alle gesta di Alessio, salvo arrabbiarmi, non era uno storpio indifeso, non dovevo pensarlo, non lo dovevo compatire e nemmeno lui.
Era davvero un fighter, un combattente.
Eravamo stati amici, fratelli, compagni di armi.


Non dormivo, Cat, passammo la notte in bianco, dopo il volo dell’aquilone, ognuno murato nei suoi pensieri. E  ci muovemmo solo quando mi cambiasti il pannolino, ero fradicio, ti mormorai qualcosa, il viso contro il tuo, rimasi in attesa per un breve respiro, e affermasti “da”, sì in russo, di malavoglia, capivi il rito e tanto .. “Se ho bisogno sei la prima persona che chiamo” posasti la fronte contro il mio gomito, respirando per darti coraggio.  Era una idiozia, rischiavo di sentirmi male, forse, e da un lato ero convinto. “Sono sicuro, fidati” “Fatto tutto tu”  

Quando Alessio salì sullo scalandrone della nave che li portava via, ci mise una lunga eternità. Era in piedi, si spostava con la sola forza di volontà e delle sue  braccia, spostando il peso delle sue gambe malferme sul corrimano. Era un breve tratto, pochi passi, per una persona che saliva senza patemi.
Per lui, ogni attimo era una via crucis, sia fisica che morale,  ripeteva addio al passato, alla sua infanzia, una stagione lieve e aurea che doveva prepararlo ad  un futuro di regnante. Alla fanciullezza, in cui aveva vissuto come un soldato al Quartier Generale delle truppe a Mogilev. Alla stagione in prigionia, prima a Carskoe Selo, a Tolbosk e infine a Ekaterinburg,  e si preparava all’incertezza. Prendeva congedo dal mondo in cui era nato e cresciuto, si preparava per un altro, lasciando
una acclarata sofferenza per una amara incertezza.
Aveva alcune opzioni, andare dalla zarina madre, l’Inghilterra o l’America o..
Ahumada, la rocca dei Fuentes. Una alternativa e allora ben poco si dava il lusso di sognare, la sua mente era abitata da demoni, incubi e fantasmi, il futuro un lusso aleatorio. Osservò che Catherine passava un braccio sulle spalle di Anastasia, la tratteneva “Lascialo stare, per te, per lui” 
“Ha bisogno di aiuto”
“Lo fa da solo, dagli fiducia.. ce la farà“ mi squadrò, ironica. “Ci credi te e lui”
“E va bene così, siamo abbastanza, LUI è convinto “ ribadii,
 sul ponte mi allontanai di cinque passi, presi una sigaretta da Andres, la fumai rabbiosa, io che non fumavo mai, per perdere tempo, tenermi occupata. Era cresciuto, era grande, non potevo trattarlo da perenne invalido. Signore, ti prego.. Io che pregavo..  Un Dio indifferente, che non ascoltava nessuno.  Ricordai Alix che pregava nella chiesa di Nostra Signora a Carskoe Selo, le pareti invase dalle sacre icone, il profumo di incenso, si era appellata a Dio e Rasputin quando i medici le avevano tolto ogni speranza, nelle ombre tremule di icone e candele ripeteva “Dio è giusto”. Io che pregavo nelle lunghe notti di veglia, che Raulov smettesse di picchiare mia madre, che avesse altri affari che non fossero con la sua bottiglia. E le ossa e i lividi che dolevano, il mio corpo sottile di bambina devastato dalla violenza. “Cat” quando ero con lui, il sorriso di Olga e una cantina, casa Ipatiev, rumori di pallottole, fumo e rombi di cannoni. Occhi di onice, occhi di zaffiro. Fumai un’altra sigaretta, desiderando essere altrove, con i miei figli, a cavalcare, sull’orizzonte, perdermi e scappare. E tanto non funzionava in quel modo, il bene di Alessio prevaleva sul mio, anche in quella circostanza.
Il cerchio rossastro della sigaretta mi ricordava una perduta eco, un fuoco fatuo, ombre tremanti, milioni di destini e storie, invece eravamo lì, una sola possibilità.
Sei la sua mamma, ti considera tale, Catherine, mi ricordai e mi imposi, è nato due volte, una volta dalla zarina, questa da te, il tuo amore non ha limiti o confini, è figlio del tuo cuore, sempre è nel tuo cuore, ogni strada scelga, qualsiasi cosa diventi, lascialo libero.
“Mamma sarebbe volata.. a prenderti“
“Mamma non mi avrebbe mai fatto fare” rincalzò lui, lucido e amaro “ Lo sai, mi avrebbe tenuto a letto e fine, anzi avrebbe ordinato ai marinai di legarmi” Anastasia sussultò addolorata, era la verità, l’amore di Alix per lui, quella preferenza smoderata che aveva causato la gelosia delle sorelle, il dolore dello zar, aveva allontanato Alessio, che l’aveva amata e tanto..  “Da piccolo lo dicevi spesso, voglio Cat” Alessio annuì. E aveva l’esatta cognizione che Catherine fremeva, si fidava di lui, come Andres, e tanto gli pesava.
Addio.
“Cat.. per favore” mosse un passo, era sul ponte, era riuscito a salire lo scalandrone, si appoggiava contro il parapetto. Era pallido e sudato, pregai che non si sentisse male per la fatica, idiota io che lo avevo lasciato fare .. E  non lo trattare da invalido o menomato, lo sa lui fino a quale punto può spingersi, forse ha imparato il buon senso.. O forse no. Quando mi chiamò mi vietai di scattare, con delicatezza,  me lo caricai addosso incuneandolo contro il fianco, percepii il suo braccio, appoggiai la guancia contro la sua “Se ti reggo ce la fai a rimanere in piedi?”
“Sì, Rimaniamo fino a quando non si vede più terra..” si appoggiò contro di me, con tutto il peso, non barcollai, rimasi salda.
Non pianse, non fece un singhiozzo.
Left of me.
 
Non ne potevo più Cat, ero stanco, sudato e infelice. Mi rannicchiai contro di te, quando non si vedeva un solo filo di terra, la testa contro il tuo seno, il mio luogo di protezione e ristoro. “Ti va di mangiare un boccone” Scossi il capo, nell’aria il tuo sussurro. “Va bene, poi, quando te la senti” “Raccontami una storia” Un mio antidoto agli incubi e alla nostalgia, da sempre .. Mi raccontasti di cavalli, amori, lontananze .. caddi nel sonno, con un piccolo mormorio, come un ruscello in inverno, quando riposa.
Raccontami una storia che non abbia mai termine, forse alla fine ci crederò. 

Ti cambiai il pannolone, Alessio, la fatica ti aveva spossato, mettendotene uno pulito al volo, alla fine dormivi e tanto “CAT…” “Sono qui” serrandoti “Mamma..” finii di allacciarlo, rivestendoti, ti misi contro di me, sussurrando vecchie e nuove alchimie “La tua mamma Alessio è con te, sempre, è fiera di te, orgogliosa ..” Se parlavo per me o Alix.. lascio ai posteri la sentenza  “ Mamma.. “ “Stiamo fuori, all’aperto, la notte è tanto bella..”Annaspavi nelle vie del sonno, cercai la calma per entrambi.
Sapevo che non avrei messo più piede in Russia, never more. “SSt..” Due materassi buttati per terra, le cuccette erano strette e il pavimento della cabina non era tra i posti più scomodi dove avessimo dormito.  Orami mi ero abituata in quel modo.
Il mio bambino.
Ti appoggiai la nuca contro l’ansa del mio gomito, mi stesi vicino a te, eri fumo e cristallo e perfezione, il mio bambino, once and again, ti baciai le guance,  la fronte, i capelli.
 Uno spartiacque tra il dopo e il prima, una terra di mezzo per riflettere, fare il punto.
Viaggi, sia fuori che dentro di noi, su quella nave.
La previdenza organizzativa, sapevamo che da quel punto partivano le rotte per l’America e il Nord Europa, senza fallo.
Era basilare  andarsene via, che la guerra tra bianchi e rossi per il potere stava squassando la Russia.
A prescindere da chi avesse vinto, sarebbero rimaste solo cenere, macerie e disperazione.
 
Ancora, rimbalzi e peripli che si incuneavano nel presente, ricomponevo nella mente la lettera di Olga, i suoi quaderni” ..la  bella notizia di quel mese, il dicembre 1916,  fu l’annuncio ufficiale della tua gravidanza, che bello, anche ora ne rido, io lo sapevo dal principio, che mi avevi chiesto di insegnarti a fare due scarpine da neonato.. E nulla, ti avevo spiegato a voce, dato un foglio riepilogativo e tanto.. Non era nelle tue specifiche competenze, ma andava bene uguale. In ogni caso, nei primi giorni di dicembre Papa e Alessio vennero per qualche giorno e LUI ce la servì all’ora del thè serale, io nascosi il sorriso dentro la tazza, discreta e ironica. Mamma rise e scosse la testa, fece portare dello champagne. Che se ne era accorta alla cena per l’onomastico, ti sventagliavi, con troppo entusiasmo, per i profumi, annoverò che eri tra le poche fortunate che non soffriva di troppi problemi digestivi e nausee. Altra cosa che la rallegrò fu apprendere che ad Ahumada era stato costruito un ospedale, intitolato alla “Emperatriz Alejandra”, inaugurato alla presenza della regina Ena di Spagna, che le mandò una missiva affettuosa per corriere diplomatico. Fuentes padre era stato di parola, celere, abile e svelto. Il reparto pediatrico era intitolato a Xavier Fuentes…Ed ho pianto per quel bambino, la sua piccola vita è stata quella di un angelo, di una speranza, perdona la retorica Cat..”
“.. non per intenti celebrativi del nostro nome, solo per ricordare un bambino che c’è stato e non è più, ovvero il nostro primo nipote, figlio di Andres Fuentes, vissuto e morto nel giro di una settimana, nel 1901, Xavier dei Fuentes”la regina Ena mandò il discorso inaugurale, spagnolo con la traduzione inglese, Alessandra lo scorse il giorno dopo, contenta di non averlo letto con suo figlio presente.
Quella era stata la tragedia di Andres Fuentes, l’eroe di Calle Mayor, il picador senza paura, il principe occidentale, il generale dei leggendari dragoni spagnoli, il cavaliere dagli occhi verdi, di fumo e rovina. Era il mese di dicembre 1916. 
..me ne sono andato perché il mio dolore era troppo grande, e la mia casa troppo piccola, Alessio. Mio figlio era minuscolo e perfetto.. Un principe combattente, un Fuentes..che non mollava, solo la morte lo ha sconfitto. E io sono rimasto solo. 

Quando Andres seppe di come era intitolato il reparto, tirò una manata all’architrave della porta, così forte che rimase il segno nel legno. “Non ne aveva diritto, che c’incastra mio figlio.. Il mio primogenito”neanche badava al dolore, tanto era su di giri. Il suo primogenito, vero, che aveva amato, un lottatore, fosse stato meno prematuro sarebbe sopravissuto e la  vita sarebbe stata ben diversa.
Dovevo venire da voi, Cat, nel vostro alloggio, mi accompagnava tuo zio quando udimmo dei toni alti, di collera, impossibile fingere, ci fermammo impalati.
“Per ricordare, che credi. Proprio tu, che ti sei fatto tatuare il nome Xavier e 1901 sulla rosa che il leone rampante tiene tra le zampe, che hai dato la maggior parte delle tue rendite e dei tuoi ingaggi a scuole e orfanotrofi e ospedali..Proprio tu” la tua voce, Cat, la riconobbi appena tanto era alta.
“Era mio figlio, non il suo.. Se ci fosse stato un ospedale.. Se..Se non avessi pensato a soccorrere gli altri e solo a loro” Quella di Andres, che berciava più di te, tuo zio mi passò una mano sulla spalla, io capivo che eravate arrabbiati per qualcosa, lui decodificava le parole. “.. Quando ho chiesto ad Isabel di sposarmi, avevo quindici anni, lei diciassette, eravamo follemente innamorati, pieni di speranza, il mondo ci apparteneva, il nostro affetto un baluardo e... Cosa ci è rimasto. Toccava a me, non a loro..“
“Se e ma..La via verso l’inferno è lastricata dalle buone intenzioni, che credi.. “
Non urlare con me..”
“Sei tu che sei fuori controllo..allora come è colpa di Enrique, lo è di Marianna, Jaime e tuo padre, dovevi spaccare denti e braccio pure a loro, anzi li ammazzavi tutti e facevi prima”
 “E’ atroce.. Loro non c’entrano nulla”.
“E ti senti meglio a ubriacarti e a spaccare le cose?A essertene andato, sei diventato l’eroe di calle Mayor, il picador e la spia che volevi crepare, Andres, come me quando me ne sono andata.. Volevo crepare e tanto non mi è riuscito”
Le lingue le sapevate bene, Cat, eravate dei poliglotti, eravate spaziati dallo spagnolo al russo all’inglese, così che intesi. E apprendevo cose che nessuno mi aveva mai detto, orrore, violenza, un passato di lacrime e dolore. Mi sentii male per te, e per me, i litigi, le lacrime mi agitavano. E capivo molte cose, le malinconie, i silenzi, che nascondevi sotto una allegra ironia. Maschere su maschere, per difesa.
 “Ripeto.. non ne aveva diritto, era mio figlio, non il suo, me ne sono andato per non impazzire, magari scordavo”
“Andres, non dire balle, non raccontarti stronzate, ti sei fatto tatuare il nome Xavier e 1901 sulla rosa che il leone rampante tiene tra le zampe.. Non volevi dimenticare, non hai mai voluto dimenticare” annottando le parolacce, le sapevi, eccome, non eri una dolce fanciulla, quanto un vero soldato, oneri e onori compresi. Mi venne da sorridere, con amarezza, eri davvero un maschio mancato, e tanto ti volevo bene, la tua tenerezza era rara, riservata a pochi eletti, la mia principessa soldato.

“COSA NE SAI?Possibile che tu.. Calmati, pensa al bambino”
“Io cosa? l’abbiamo fatto insieme, o sbaglio? Non ti ridarò Isabel o Xavier, la vita che avreste avuto, pure.. QUANDO MI SCOPAVI MICA TI TIRAVI INDIETRO”
“Io non sarò Luois, mai, né questo bambino sostituirà quelli che hai perso..” Figli? Dove li avevi messi? Mai saputo che ne avessi avuti, Catherine. Scopavi? 
 “Smettila di bere così, non fare come il principe Raulov quando era ubriaco e picchiava mia madre o me, in verità lo faceva pure da sobrio. O mi frustava, le cicatrici che ho le hai ben viste.”  Respirai a fondo, non era possibile, Cat, no.
NO.
NO.
Il tuo corpo 
 “Non sono Lui..” una pausa, sia io che tuo zio R-R pensammo che vi sareste ammazzati, lui mi impose di non intervenire, riconobbi il tuo duro e ereditario cipiglio. “Sono cose loro .. private tra marito e moglie, e se urlano così …” Le apprendevamo pure noi, per reciproco e sommo imbarazzo.
 “Ti comporti, come Lui” Quindi uscisti, rigida e impalata per la rabbia, la linea dura della mascella, le mani in tasca, strette a pugno, sbigottendo quando ci vedesti, sussurrasti Alexei, felice come sempre di vedermi, da sempre, nonostante tutto.
 “Ciao, vado a fare un giro. Scusatemi, ora sono troppo arrabbiata, scusami Zarevic, a dopo”un inchino.
 “Se proprio devi andare vai..”capendo che a breve saresti esplosa di nuovo, meglio se ti toglievi, mia madre si arrabbiava con chi nulla incastrava con le  sue collere, tu preferivi cambiare aria, e tanto, dal rossore che avevi sugli zigomi capivo che eri nera, a memoria mia non ti avevo visto mai in quella guisa.
Salvo tornare, mi ero spaventato per quella esplosione di violenza, disperazione e rabbia.
"Zarevic"
 “Zarevic volete venire con me qualche minuto?” ti presi per il braccio.
“Alessio, io..”
“Parliamo dopo, Cat”
“Scusami.. non dovevi sentire..  “
"Ho sentito.. qualcosa.., anche troppo” ironico per difesa, andando da Castore, il tuo cavallo, conoscendoti lo avresti sellato e saresti sparita per ore, in altre occasioni potevano passare giorni o settimane, ma non funzionava così, eravamo amici, non potevi andartene sempre.
“Aleksej” il mio nome, un soffio di vento. 
“Sei arrabbiata nera”ti serrai per la vita, il viso contro il tuo stomaco, per rassicurarmi, eri lì, non eri sparita.
 “Ora ti calmi” il mio ordine, staccandomi alla fine, il viso arrossato, il tono fermo, calmo per non agitarti a tua volta, per me “Io rimango tranquillo e ti aspetto dopo, va bene?Ed è un ordine tassativo, principessa, guai a te se mi disobbedisci”
“Va bene, vai da mio zio, per favore”
“Ti ferma.. ??”io manco ci provavo.
“Anche no.. le principesse Raulov .. io e mia mamma..quando fanno così.. sono da mollare per la loro strada”
“Ti aiuto a sellarlo, vuoi?E non salgo o monto, ora sei troppo nervosa”
“Scusami, zarevic, scusami, ma non reggo altro..” in modalità isterica barra nervosa eri imprevedibile, lo so.
 “Alessio, mi devo sfogare, da sola”
“A cavallo, noto” roteando gli occhi, ed eri incinta, e tanto non ragionavi, rilevai tra me che eri una sconsiderata, con te stessa in primis.
“Torno nel pomeriggio”
“A che ore”
“Le sei”
 “E’ buio ..”
 “Dimmelo te l’orario, zarevic” un compromesso.
“Le due..Cat, ti aspetto. Vai, ora, e guai a te se ritardi”


Pochi minuti dopo si sentì un cavallo che rompeva al galoppo più sfrenato nella tarda mattinata invernale, non nevicava e in tempo di poco eravate spariti, affondavi i talloni nelle costole di Castore come un’indemoniata. Lui reagì con entusiasmo e rampò sulle zampe posteriori, eravate una sola immagine di perfezione, un mito, come la brina che gioca con i vetri e compie i suoi ricami. “E’ fuori controllo .. una vera amazzone“tuo zio, sospirando esasperato, mentre suggeriva immagini di libertà “Una matta allo sbaraglio, come sua madre, Dio ci scampi, e sua cognata, Marianna ” Una pausa “E Andres non va compatito, come moglie l’ha voluta e se la è scelta, se la è proprio cercata, guai a chi gliela portava via” come lo zar mio padre, aveva insistito per prendere in moglie mia madre contro tutto e tutti, salvo essere compatito, denigrato e schernito,  lei era una isterica per i più, che lo dominava, che non era stata buona nemmeno a dargli un erede sano, ovvero io, cercavo di non pensarci per non arrabbiarmi, essere triste.
“Ha scelto bene, come lei”
“Sul momento ne dubitano entrambi.. “lo squadrai, ironico, R-R era scapolo, e le sue amanti erano la favola della capitale, meno ipocrita lui di tanti altri, e forse ne capiva più di molti, meno simulatore, forse. Chissà se non si era sposato per l’incapacità di scegliere, il piacere affidato al caso.
Dal passato, la tua voce, un ricordo in frantumi.
“Ciao, che fai?”
“Studio.. O ci provo. “Posando il libro sul tavolo di legno intarsiato, lo studio di R- R era arredato con mobili di pregio, mappe alle parerti e volumi rilegati, di squisita fattura, alla fine eri venuta, rilevai che era un poco prima delle due, non eri in ritardo, semmai in anticipo.
 “Eri arrabbiatissima”
“ Sì Alessio, e non ero arrabbiata con te,  sono uscita per calmarmi. “
Non mi volevi..” reprressi la voglia di piangere, tu eri una amazzone, una principessa combattente, egoista e senza misura, entrambi meritavamo di meglio di patetiche scene. 
“Zarevic, ero fuori di me. Avrei rischiato di aprire bocca e dire cose che non pensavo..scusami per tutto, ma sono qui, ho rispettato l’orario”
“Cioè, ti fa arrabbiare qualcuno e te la prendi con qualcun altro..Molto maturo e poi il bambino sono io, come al solito” Sorridesti, contrita. “E hai evitato.. Sparendo per ore.” Mi hai fatto preoccupare era sottointeso, pure.. “A volte ti arrabbi anche tu, e se qualcuno ti sta troppo addosso che fai..”
Io ti ho sempre voluto Alessio, bada, tranne che una pazza isterica e delirante avrebbe nociuto a entrambi. Dopo, quando eri diventato un orfano, letteralmente piovuto e VOLUTO, bada il temine, tra le mie braccia, avrei cambiato registro, senza se e ma, nessun rimpianto, avrei anteposto il tuo bene, al mio. A mia discolpa posso affermare che nel 1916 ancora i miei figli non erano nati, ero all'oscuro di quanto e come avrei imparato ad amarti. Badando a sorvolare sul mio egoismo, il senso di inutilità (mio) e molto ancora, in una estate amara avresti appreso quel mio nuovo sapere. E non ero sola in quel percorso.
 “Scatto.. Quella volta della nonna, mi hai fatto calmare e poi.. Sapevo che eri lì, ma se mi facevi tante domande avrei fatto una bizza..E sapevo che tornavi, me lo avevi detto” senza insistere oltre, apristi le braccia, ti strinsi. “E te ne vai, poi?Senza dirmi nulla” che era il tuo vizio e difetto principale, Cat, non era affatto scontato che svanissi del tutto, come il profumo delle rose, una risata, un raggio di luna.
“No, Zarevic, te lo già detto, non capiterà più che scompaia all’improvviso per un ghiribizzo, in modo volontario”
“Veramente è la prima, che lo dici a voce alta” Vero..  “Non sei tornata solo perché era un ordine”
 “Ti ho fatto preoccupare a sufficienza, ci mancava solo che arrivassi in ritardo”una pausa “Ti voglio bene lo sai”

“E’ che.. una volta Andres mi ha detto che la sua casa era troppo piccola e il suo dolore troppo grande e se ne è andato. Te lo hai già fatto. Non era un ghiribizzo, come osservi. Era per i figli, Xavier.. Ma i tuoi bambini.. Cat, mica vai via di nuovo??” quando il tuo primo marito, Luois, era morto nel settembre 1914 era morto, eri sparita dalla sera alla mattina, senza appello. Soffrivi, e avevi fatto soffrire a tua volta chi ti voleva bene. A cominciare da Olga, pur se negava quella ovvietà. E la avevo sentita piangere a notti e sere intere, salvo negare l’evidenza, leale a te fino all’ultimo.  Io ci avevo sofferto a prescindere, alle volte chi ti vuole bene riesce a farti provare dolore in modo incommensurabile, dovevp esserci abituato e non avevo quella abitudine.
“Non me ne vado più Alessio.. Però." soffiando tra i miei capelli"... Andiamo con ordine, zarevic. Ad Ahumada hanno aperto un ospedale intitolato “Emperatriz Alejandra”, come la tua mamma, e un reparto si chiama “Xavier Fuentes”, in onore e memoria di un bambino morto troppo presto, cioè il figlio di Andres.. Lui se ne è andato quando era un ragazzo per non impazzire per il dolore..E ne parla poco e mal volentieri, è una ferita ancora aperta..”Semplici sillabe, ero teso, attento, in ascolto “Ed è bastato questo per farlo scattare..E tu?Figli ..”allibito, addolorato ”Ero incinta e li ho persi.. la seconda volta è stato quando mi hanno detto che era morto Luois. Anche io me ne sono andata per non impazzire, o almeno ero convinta di questo” una lacrima scivolò solitaria sulla guancia, me la asciugò con un bacio “Invece sei tornata. Hai me, hai Olga e le mie sorelle. Tua madre ti vuole bene, come Sasha.. E Andres ti adora, la risolverete” ora capivo, compresi che ti fidavi, non eravamo complici solo nelle scemenze. “E i gemelli..” “Scherzaci, un precedente vi è..Sul serio”anche se l’idea ti metteva pensiero, due bambini in un colpo solo erano una facezia burlona pure per te “Poi ti proteggo IO. Che precedente?”curioso “I figli di Felipe  de Moguer…erano due” “Moguer..??” “Il nome spagnolo..” e passammo ad altro.
 
Una discriminante tra il dopo e il prima, una terra di mezzo per riflettere, avevi osservato Cat, su quella nave oltre al nostro quartetto c’erano anche altre persone, oltre l’equipaggio, che avrebbero proseguito oltre Copenaghen. Per tacito pudore, evitavamo domande precise, eravamo tutti scampati a un diverso destino, una ecatombe.
Lei l’ho notata il secondo giorno, ero su una sedia sul ponte, a trarre beneficio dall’aria, dopo tanti mesi volevo goderne il più possibile, il sole e l’odore del mare.
Aveva un bel profilo, regolare e nitido, le labbra stanche e perfette, i capelli biondo scuro, lei.
Ero sempre vivo, senza fallo, malgrado tutto, non volevo pensare troppo a quella dannata miseria. Osservavo anche quella ragazzina, credo avesse la mia età.
 Si chiamava Annelise, un nome alla francese, i suoi avevano origini in quelle terre, trasferiti in  Russia, ora profughi.
Il mio primo amore.
Un piccolo e chiuso universo.
Sguardi e scarni sorrisi, stranieri lasciando la nostra casa.
 
Non era l’inizio di nulla, non era una romantica ballata, una canzone, solo un poco di conforto ed una pura emozione. “Qual è il tuo nome?”
“Xavier” Le labbra risplendevano alla luce delle lampade, le feci mie, un piccolo e rapido movimento. Vino e lacrime, annoto, e sangue sulle mani, prima.
Mi sentivo potente, immortale, come tutti.
Così sia.
E quindi il senso di colpa, il rimorso, la malinconia, come infinite gocce di pioggia, ero un lurido peccatore.
La mia  solitudine si incrociava con la sua.
E i cieli estivi, zaffiro, acquamarina e cobalto si inarcavano sopra di noi, con un pigro sbadiglio, ci salutavano, come i tramonti, freddi e delicati.
 
Anastasia meditava in disparte, cercava di venirne a capo. Solitudine relativa, tranne che si ritagliava i suoi spazi.
Le nuvole definivano l’orizzonte, come una linea di confine, parevano mappe geografiche, multiformi, il mare una striscia blu di satin
Io e Andres .. non voglio rievocare quello che combinavamo, era stato, almeno fino a  quel momento, il nostro sesso più orgiastico e sfrenato, lui usava il mio corpo, io il suo.
I se e i ma, il senso di colpa, per essere sempre vivi..
Quando Andres mi guardava, mi sentivo una dea.
Ci conoscevamo bene, ormai, mai rimanevamo perplessi l’uno dell’altra, il sesso e l’attrazione erano e rimanevano portentosi.
Lui era il mio amore, per lui sarei stata l’ultimo, credo, mi amava. Ci divideva solo il respiro.  L’ho amato per tutta la vita.
“Cat.. “mi girai di fianco, lo ascoltavo
“Grazie per tutto..”
“Figurati .. che avrei fatto, io, di specifico?” arrossì come un papavero, fino alle orecchie, credo, gli baciai una tempia sudata, era l’estate o un incubo.
“E’ che … “ avevo sentito che si agitava, un incubo, come da prassi, lo avevo scosso, passando dal sonno alla veglia in una frazione, dormivo vicino a lui. “Me lo merito … in fondo”
“Cosa?” Benissimo, attaccavamo con gli indovinelli. “Non mi devi dire tutto, non sei obbligato … “Anastasia si girò nel sonno, lo presi in braccio e uscimmo nell’aria fredda della notte, per parlare in pace, senza disturbare gli altri.
“Sono un peccatore ..”Si guardava le mani. Allora capii, una specie di limpida prescienza, con lui ero sempre sveglia, attiva. “Alessio, se hai accettato che sia  io che Andres siamo soldati”In qualche modo,  evento che implicava il poter uccidere, tirai su con il naso come lui “Perché non vai oltre e applichi lo stesso anche per te?Era per difesa.. se non lo avessi fatto, sarei morta. O rimanere ferita”
Una pausa, gli sfiorai il braccio gonfio, la sua malattia continuava inesorabile, gli si gonfiavano le articolazioni, tumefazioni collaterali e non dolorose, gli applicavo il ghiaccio, gli massaggiavo le mani, le gambe, le articolazioni, lo amavo sempre, come e più di me stessa, al pari dei miei figli assenti, so che in fondo all’anima lo sapeva. “Se non lo facevi .. a prescindere da me, credi che i miei bambini meritassero di rimanere orfani?”
“No..” una pausa “ASSOLUTAMENTE NO”
“Un soldato può anche uccidere, non è solo andare in parata, belli lustri”
“E’ dura” Scrollai le spalle, era vero.
Un profondo sospiro mi partì dal torace, era ineludibile. Era cresciuto, mi aveva difeso, così confermando che NON era un invalido, uno storpio e un incapace, io lo avevo imparato, in teoria, nella pratica ora lo aveva appreso pure lui.
Prima di raggiungere il porto in Siberia, aveva ucciso un rosso, dannata la sua miseria, per difendermi, la reazione veloce, istintiva. “Io.. “
“Mi poteva ammazzare. Mi poteva violentare. Poteva essere un ladro. Mi hai difeso, Alessio, mi hai protetto, lo hai fatto e sei stato … magistrale”
Aveva reagito prima che potessimo fare alcunché.
Era un eroe.
Era un rompiscatole.
Un folletto diabolico, dallo spirito arguto.
Che mi faceva ridere e piangere.
Era un titano.
Soprattutto, era il mio fighter prince.
Anche il mio bambino, my little prince.
A warrior, Aleksey full of grace.
..  
“Eccoci, ti piace?” Ero piena di progetti, idee e parole, mi imposi di non blaterare invano,  non so per quanto.
“Sì.. ma io.. noi … che faremo?” mi sfiorò il gomito. -
“Quello che vuoi. Vuoi un valletto maschile? Per ..” Scosse il capo, serrandomi con le braccia, rischiando di strozzarmi. “Vuoi me?” percepii un sì.
“Va bene.. hai ragione, sarei gelosa, sono abituata a fare tutto io” ridacchiò, chiusi le palpebre, un breve momento, sperando di non sclerare, IO, per il bene di tutti
“E’ questione di misure e abitudini .. cerca di essere paziente, Xavier” inciampai nel suo nuovo appellativo, se inventi un altro nome, puoi avere un altro destino, avevo detto in una delle prime serate di disperazione, Andres aveva sillabato “Xavier” il nome del suo amato primo figlio, la sua tragedia. “Dobbiamo prendere agio”
“Sì”
“Sai che significa Xavier, in spagnolo? Casa nuova..”
“Bellissimo”
 
 
 

Il nostro sgangherato quartetto era approdato a Copenaghen il 15 settembre 1918. Nessuno voleva lasciare nessuno, pochi i conciliaboli, decisi gli sguardi,  Andres portava Alessio in braccio,  io camminavo vicina, Anastasia mi teneva il gomito, i particolari, l’odore di sale e catrame, avevamo centrato l’obbiettivo di sopravvivere.
“Forse potevamo trovare di meglio”
“Va benissimo, invece”
Una casa in affitto, profumava di cera per pavimenti e limoni, tre camere da letto, la cucina, il salotto, vicina a una biblioteca e a una pasticceria. Nessuna cameriera, forse avremmo chiamato una ragazza a ore, ero abituata tenere pulito senza invasioni.
Lo volevo portare in giro, alle giostre, allo zoo, in libreria, a messa.
Volevo che ridesse.
Che stesse bene.
Che camminasse.
Ero piena di idee e progetti, ripeto.
Ma avevo anche una ASSENZA, un bisogno da colmare.
Varie ASSENZE.
OLGA.
TATA.
MARIE.
FELIPE.
LEON.
PAPA…
Sono orfana.
MAMMA.
Ferite che si sarebbero tramutate in cicatrici, quando un mistero
Le cose pratiche, i soldi da ritirare in banca, affanno e confusione, fare la spesa, pulire, comprare vestiti nuovi, che il mio piccolo principe era cresciuto di statura (ancora!) e via così.
Anastasia parlava molto poco, ogni tanto infilava una delle sue uscite taglienti, argute, per lo più era incredula, di essere sopravissuta, si chiedeva cosa farne di se stessa.
“Non devi chiedermi il permesso di nulla”
“Ma io ..” da una infanzia sotto sorveglianza, come principessa imperiale, chiusa e protetta, fino alla devastazione della prigionia, per giungere all’attualità dell’incognito e di essere orfana,  il passo era lungo. Con Alessio, nel 1916, ai tempi del Quartiere Generale, qualche volta a San Pietroburgo, eravamo andati in giro, in incognito, lui non era sgomento per quello, lei sì.
“Tu devi fare come ti senti, intesi”
“Nessuna regola?Mamma ce le imponeva sempre"
 Nessuna punizione o isteria, mi imposi.. nojn ero una martire, IO
 ”Anastasia, non sono un Cerbero” un sorvegliante infernale, recepì, forse Olga glielo aveva insegnato, una pausa “Solo .. se vuoi venire con me, che ne so dalla sarta” la biancheria e i vestiti stavano insieme per mera cortesia “Dimmelo, magari ci andiamo insieme” “Non so il danese o ..” scrollai le spalle “O lo spagnolo” scrollai le spalle, da capo, un movimento incurante e festoso, della serie imparerai.  Caricò una risatina nervosa, recepì l’ironia della situazione, si sarebbe applicata a studiare le lingue, senza pressioni, le sfide che sceglieva da sola  le piacevano. “O da sola .. dimmelo” “TI FIDI?” “CERTO CHE SI’”
"Anastasia, io NON “calcai il termine” sono tua madre, lei cercava di fare al meglio possibile" Per salvaguardia  dei morti, da noi vivi, lei tacque, ormai era andata.
Io ogni tanto sparivo nella vasca da bagno, le essenze di  rosa e arancia amara usate senza risparmio come il sapone, salvo riemergere avvolta in un telo, i capelli bagnati e scuri, pieni di nodi, una battaglia epica per districarli, parevo una ninfa oceanina o una disperata, che per poco non era dispersa nella vasca, appunto. Le gravidanze mi avevano segnato il fisico, i fianchi più larghi, la vita meno sottile, una suntuosa seconda aveva lasciato il posto del passato piattume, il busto non lo mettevo più, per regola e norma. A furia di spostare Alessio, mi erano venuti dei suntuosi muscoli sulle spalle e le braccia “Sei bellissima”annotava Andres, alla sua sgangherata ed improponibile moglie.
Scrutavo le foto dei miei bambini, l’ambasciata spagnola in quel della capitale danese aveva portato quel ristoro, i progressi della loro crescita, lettere di mia madre, colloqui al telefono. Il primo minuto sia Ella che io parevamo due ubriache rintronate, senza parole e il respiro in affanno. E di sottofondo percepivo mio fratello Aleksander, il suo cicaleccio, esalai “Come va?” banale.
“Ce la caviamo. Cat quando torni? Quando tornate? Mi manchi” netto e preciso, senza voli diplomatici. “Cat, lo hai portato via?”
“Sì, torniamo quando è finita la guerra, e ci muoviamo senza pericolo”
“Cat”
“Ti voglio bene”
“Lo so e pure io”
Piansi come un pavone sgozzato al termine.
 
   
 
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