CAPITOLO VENTUNO
La nostra uscita, infatti, non sarebbe potuta andare meglio,
come mi accorsi col trascorrere graduale del tempo.
Cenammo mano nella mano, tra sguardi amorevoli e un bisogno
crescente di trovare un posto tutto per noi, che non fosse sotto al naso di
quel curiosone di Vincenzo, che ovunque si trovasse cercava sempre di buttare
un occhio verso il nostro tavolo.
Non dovevamo comunque lamentarci, poiché il locale era quasi
completamente vuoto. Cenammo con molta più calma rispetto alla nostra prima
volta, essendo entrambi rilassati e imbevuti di desiderio, e qualche altro
avventore si era unito a noi, seppur fosse stato sistemato in tavoli abbastanza
lontani dal nostro.
A dire il vero, ben presto fui costretta a riconoscere che
non avevo prestato alcuna attenzione al cibo che avevo mangiato, e all’ambiente
circostante, se non proprio solo un minimo che non mi era neppure rimasto impresso
nella memoria, siccome i miei occhi erano sempre puntati verso quelli di
Piergiorgio.
Era stato il mio desiderio dell’intera giornata che stava
volgendo al termine, quello di tornare a guardarli, con intensità, ed era
incredibile quanto fossero espressivi. Erano acquosi, come se soffrissero di
una qualche allergia, e questo li rendeva ancor più dolci, ancor più da
cucciolo. E poi davano un senso di profondità che a guardarli anche solo a
prima vista sembravano due porte aperte su un mondo tutto da scoprire, o almeno
quella era la sensazione che offrivano a me.
Erano davvero fantastici, in poche parole.
Finimmo di mangiare quasi in fretta e furia, senza sapere che
cosa sarebbe stato, da lì a poco, di noi, ma una premonizione sembrava
aleggiare sulle nostre teste, poiché sentivamo entrambi che quella serata era
destinata a non finire così. No, sarebbe stata speciale, siccome ci eravamo
soltanto limitati a sfamare i nostri corpi, mentre l’anima doveva ancora essere
dovutamente nutrita.
Divorammo le portate, pur di bruciare il tempo che ci
separava da quello che più desideravamo, seppur tacitamente, e cioè trascorrere
una nottata come quella precedente. La nostra cena fu fatta di occhiate, di
sguardi fissi, di mani intrecciate sul tavolo, nei brevi momenti di attesa, ma
le nostre labbra continuarono a non sfiorarsi, dovevamo resistere.
“Isa… non voglio dirti addio, tra poco”, espresse la faccenda
Piergiorgio, dopo essersi scolato distrattamente il sorbetto al limone che
concludeva quella nostra cenetta, col suo fresco sapore dolce.
“Neppure io lo voglio”, ammisi, sospirando.
“Restiamo qui, allora”, concluse lui, sorridendomi e
stringendo più forte la mia mano, ancora tra le sue, sul tavolo.
Rimasi un po’ stupita da quella sua frase decisa, e non capivo
bene dove volesse andare a parare, quindi mi limitai ad abbassare lo sguardo e
a scuotere il capo, sconsolata.
“Chiedo a Vincenzo una camera, sono sicuro che ne ha una
bella per noi, libera e pulita. Passiamo la notte qui”, tornò a dire, notando
la mia momentanea reticenza.
“Vorrei, ma non posso. Mia madre mi aspetta a casa”, gli
dissi, comprendendo meglio quel che voleva.
“Non hai detto che a tua madre non importa nulla di te?”.
Piergiorgio, nel suo ardore amoroso, mi aveva colpito, in
maniera molto ingenua, come se fosse stato un ago appuntito.
“Oddio, scusami, ti chiedo perdono, Isa… perdonami, sono
stato indiscreto e maleducato”, iniziò infatti a dire il mio amante,
accorgendosi di cosa avesse appena detto, seppur l’avesse fatto solo con buone
intenzioni, e non per ferirmi. Gliela avevo narrata io stessa, la vicenda,
durante la prima parte disperata della serata precedente.
Sapevo che non l’aveva detto per colpirmi o per cercare di
convincermi in fretta a prendere una decisione azzardata, poiché il mio George
non l’avrebbe mai fatto con cattiveria e malizia, e potevo leggere anche quello
nei suoi occhi, ma si era limitato a sbattermi in faccia la verità.
Se, appena udita, quella domanda mi aveva lasciato un po’
scosso, e mi aveva turbato, in un attimo si tramutò in un consapevole
nervosismo nei confronti di mia madre, e, egoista com’ero in quel momento, mi
parve di detestarla.
Ragionai quindi d’impeto; lei mi aveva trattato male, negli
ultimi giorni, ed io avrei fatto altrettanto. Ormai ero maggiorenne da tempo, e
se volevo dormire una notte fuori, senza avvisare, potevo tranquillamente
farlo, e la mia genitrice aveva tutti i mezzi per passarsela da sola.
“Va bene”, acconsentii, e Piergiorgio, sorridendomi, andò
subito da Vincenzo, a parlargli.
Dopo nemmeno dieci minuti, avevamo già una stanza a nostra
completa disposizione, con tanto di letto a due piazze, e ci chiudevamo al suo
interno cominciando subito ad abbracciarci, con l’anziano proprietario del
piccolissimo alberghetto che continuava a osservarci con un’espressione
sbigottita sul volto, che non sarebbe di sicuro bastata a frenare, neppure per
un secondo, quello che provavamo e quello di cui avevamo bisogno per tornare a
sentirci di nuovo amati.
Il fuoco della passione ardeva dentro di noi, con tutto il
suo ardore, e non potevamo domarlo, e niente e nessuno poteva darci fastidio o
pensiero. Eravamo perduti.
Non ci fu bisogno di parlare, chiusi nella nostra stanza;
agivamo d’istinto, come belve selvatiche infervorate dalla passione più
ancestrale e primitiva. In men che si potesse dire, ero già intenta a
svestirmi, e George faceva anche lui lo stesso.
“Sei sempre più bella”, lo sentii dire, mentre ero alle prese
col mio semplice vestitino da uscita serale.
“Miglioro a ogni tuo sguardo, allora”, ribattei, senza
fermarmi e continuando a perseguire il mio scopo.
“Suppongo che mi sia concesso, quindi, di osservarti molto di
più, d’ora in poi”, volle aggiungere, scherzosamente, con quella pacata ironia
molto simpatica che stavo cominciando a conoscere un po’ meglio.
Sorrisi, senza guardarlo, e togliendomi finalmente la
maglietta che indossavo, per poi lasciarla cadere sul comodino a fianco del
letto, tutta in disordine.
“Ti ho mai detto di non farlo? O che mi desse fastidio?”, lo
stuzzicai, con tono provocante, e allora mi volsi verso di lui, ormai in
reggiseno.
Piergiorgio era cotto a puntino, e notai il baluginio netto e
distinto che attraversò i suoi occhi, non appena mi vide così, con la mia pelle
bianca come il latte, che di sole estivo ne aveva visto ben poco, e ormai
pronta a lasciarmi andare. Lui, quasi incredibile da constatare, era ancora
alle prese con la sua solita camicia, e i rispettivi e ostici bottoncini,
sempre fastidiosi da sbottonare.
Aveva le palpebre sgranate, più aperte del solito, mentre
osservava la mia camminata felpata verso di lui.
“No…”, rispose al mio duplice quesito, con un attimo di
ritardo e la bocca semi aperta.
“Lascia stare, ti aiuto io”, mi limitai a dirgli, andandogli
a sbottonare la camicia quando ormai sembrava aver gettato la spugna,
trovandosi di fronte a me.
Le sue mani avevano smesso di essere agitate e sudate, in
lotta con i bottoni, e il suo sguardo non era più incentrato sul suo ventre, ma
solo ed esclusivamente verso di me, verso la mia pelle nuda, e verso il mio
intero corpo. Ed io ero rapita da quella vista, poiché vedevo in modo chiaro e
netto che aveva occhi solo per me, e che appariva come un uomo perso, tutto
mio, ed ero sicurissima che mi amasse davvero, o che almeno provasse qualcosa
di fortissimo nei miei confronti, dissipando anche gli ultimi residui di dubbio
che potevo provare quando riflettevo con estrema serietà.
Mi misi quindi di buona volontà, e col sorriso sempre
stampato sul volto, a svestirlo, e lo feci pian piano, in modo sensuale, con
Piergiorgio sempre più perso e inebriato, e le sue mani che invece di aiutarmi
corsero a sfiorare il mio ventre, all’altezza dell’ombelico, e poi risalirono,
ancora più su…
“Perché ti vesti in questo modo? Per me, non devi essere
impeccabile, lo sai. Quello che mi piace di te è tutto il resto, gli abiti non
contano”, gli chiesi, smorzando un attimo l’attenzione che stava rivolgendo al
mio corpo.
“Per te, questo e altro. E poi non me la sento di andare in
giro con abiti slabbrati, come fanno i ragazzi negli ultimi anni, oppure con
qualche vestito così, da mercato del giovedì mattina. Ti dà fastidio, forse?”.
“No, per me va benissimo, anzi, ti dona l’importanza che
meriti. Però, immagino che tu provi un po’ di caldo, ad andare in giro in piena
estate con tanto di calzoni lunghi e scarpe di cuoio lucido”, osservai,
cercando ancora di farlo parlare.
Sembrava in procinto di saltarmi addosso così com’era, e non
volevo, non desideravo quella passionalità che sarebbe durata solo fino a un
precoce orgasmo. Cercavo la seduzione, la dolcezza di due corpi nudi e pronti a
unirsi, non un qualcosa di lasciato a metà.
Avevo vissuto quell’esperienza per un’infinità di volte,
quando stavo ancora con Marco, e non avevo voglia di tornare a sperimentare
qualcosa che già conoscevo da tempo, e che avrebbe rischiato di lasciarmi con
l’amaro in bocca. Cercavo solo la magia di un momento perfetto, come quello che
si era andato a creare durante la notte precedente a quella.
“Non ho caldo, non ne ho mai. L’ho solo quando ti vedo, mio
grandissimo amore”, mi rispose, passionale, ed allora gli sfilai la camicia,
gliela consegnai e gli slacciai in un lampo la cintura, anch’essa di cuoio, ma
mi chinai poi a slacciargli i lacci delle scarpe, senza andare a sfiorare con
una mossa volgare le sue intimità. Se voleva sbottonarsi anche i calzoni, lo
doveva fare da solo e di sua iniziativa.
“Non si trattano così i panni, lo sai, vero?”, gli feci
notare quando si sbarazzò della camicia gettandola in un angolo della camera,
più o meno come aveva fatto durante la nostra prima nottata romantica.
Solo durante la sera precedente eravamo sospinti da una
situazione diversa da quella, dove potevamo gestire molto meglio il tempo che
avevamo a disposizione, senza badare troppo ai particolari, o a soffocare in
maniera eccessiva le nostre voci.
“Non mi importa… mi importa solo di te, adesso”, disse, la
voce ridotta a un singulto ebbro di una passione che pareva esser stata
repressa per l’intero arco della giornata.
Si slacciò i calzoni e si sedette all’improvviso a bordo del
letto, ed io gli sfilai le scarpe, con l’odore deciso del cuoio scaldato dal
calore dei piedi che mi stuzzicava il naso.
Finì di svestirsi da solo e in un attimo, e mi fu subito
addosso, abbracciandomi e slacciandomi il reggiseno.
“No”, lo frenai, risoluta, “no, non voglio”.
Piergiorgio ci rimase di sasso, per qualche istante,
sciogliendo l’abbraccio e lasciando immediatamente la presa sul mio reggiseno
già slacciato, che mi scivolò sul petto.
Mi guardò con quei suoi occhioni tutti sconvolti dall’ansia
di quel repentino rifiuto, e mi parve di vedere un cucciolo indifeso. Gli
sorrisi amabilmente, per sdrammatizzare subito la situazione.
“Non voglio che finisca tutto così, in un attimo. Questa sera
possiamo fare le cose per bene, e per questo prima di venire a letto voglio
farmi anche un bagno… sono sudata da questa mattina, mi fa anche schifo il solo
pensiero di restare tra le tue braccia in questo stato”, aggiunsi, poi,
rassicurandolo.
George rispose al mio sorriso, a quel punto, tornando a
sciogliersi.
“Anche io, oggi sono stato tutto il giorno al lavoro, e non è
proprio che sia tanto profumato, come magari avrai già notato da sola”,
sogghignò, “quindi direi che possiamo concederci almeno una doccia rilassante,
prima di buttarci sul letto”.
Annuii, soddisfatta.
Mi diressi verso il bagno, e non appena lo aprii, notai che
si trattava di un ambiente davvero piccolo e ristretto, quasi di seconda
categoria.
Sbuffai, poiché mi sarei dovuta aspettare che
quell’alberghetto fosse così messo male al suo interno, d’altronde non era un
hotel a cinque stelle. Infatti, non c’era neppure un box doccia, o una doccia,
ma solo la classica vasca, tra l’altro abbastanza ristretta anche quella.
“Immagino che non sarà tanto ospitale”, soggiunse alle mie
spalle Piergiorgio, ancora bonariamente.
Mi volsi verso di lui, sorridendo.
“C’è solo una vasca, anche scomoda. E come se non bastasse,
non ho neppure l’occorrente per rivestirmi in maniera decente”.
“Vorrà dire che affronteremo l’insidia assieme, va bene?
Anche io sono nella tua stessa e medesima situazione”, mi disse George,
dolcissimo ed abbracciandomi da dietro.
“Ci sto!”, esclamai, piena di euforia.
Non ero mai stata in vasca da bagno con qualcun altro, e con
il mio ex al massimo avevamo fatto una doccia assieme, e cioè tutto ciò che il
nostro angusto appartamentino affittato poteva lasciarci permettere. Finii di
spogliarmi in un baleno, e lasciati i miei abiti in disordine ai piedi del
letto, quasi corsi a testare la vasca.
Piergiorgio, totalmente nudo, la stava già riempiendo di
acqua piacevolmente tiepida, di quel calore frizzantino e lieve, piacevolissimo
anche in piena estate.
Ci immergemmo assieme, all’unisono, uno da un lato e l’altro
dall’altro della vasca che, per fortuna, era abbastanza spaziosa.
“Peccato che non abbia l’idromassaggio”, osservò George,
sempre con la sua solita ironia pungente.
“Faremo anche senza, dai”. Gli concessi un sorriso.
“Ti prometto che, se vorrai, la prossima volta ti porto in un
bell’albergo stellato, dotato di tutti i confort”.
“Non ho bisogno di confort, se con me ci sei tu”, gli dissi,
sorridendogli, mentre mi lasciavo immergere piano, facendo in modo che anche il
mio viso finisse sott’acqua per una manciata di secondi.
Così facendo, però, finii per dare una pedata involontaria a
Piergiorgio, che dall’altro lato della vasca si stava dando da fare per
bagnarsi la nuca.
“Non so se ti sei accorta che mi hai appena sferrato un
calcio”, mi fece notare, non appena riemersi. Ed io risi, mi lasciai sfuggire
una risatina pura e sincera, che in sé non aveva nulla di malefico.
“Fa niente”, riuscii a dire.
Prima che potessi provare a ritrarmi, mi afferrò dolcemente,
eppure con risolutezza, la gamba sinistra, e prese a strofinarla con una
spugnetta offerta nei vari accessori dell’alberghetto, e si mosse con una
delicatezza che mi fece morire la felicità che provavo dentro di me.
Lo osservato mentre toccava la mia pelle, e sembrava
accudirla. Aveva le mani da una pelle delicata quanto il loro tocco, mi
sembrava di essere in paradiso.
Rimasi a bocca semi aperta a osservarlo; mi sembrava
incredibile di star condividendo una serata così intensa con un uomo così tanto
pieno d’amore rivolto tutto nei miei confronti.
“Che c’è?”, mi chiese, sorridendomi, quando notò che ero come
rimasta di pietra.
“C’è che io ti amo, George. Ogni secondo che passa, lo scopro
sempre di più”, gli dissi, con le lacrime agli occhi per la commozione che
stavo provando. Non ero abituata a così tante attenzioni, e questo stava
colpendo molto la parte di me più emotiva.
Mi zittì con un gesto deciso.
“Per favore, non ripeterlo più, almeno per un po’, altrimenti
credo che non riuscirò a trattenermi oltre”.
Mi sorrise, sornione. Leggevo la passione che gli ardeva
dentro agli occhi, così stranamente profondi, e dalla parvenza grande, vivida
ed animata. Era come un libro stampato, per me.
Di tutta risposta, non aggiunsi niente a voce, ma cominciai a
fare la medesima sequenza di gesti sul suo corpo, prendendomi cura di lui come
egli stava facendo nei miei confronti, evitando le zone più intime, col
medesimo rispetto che mi stava portando.
Proseguimmo il nostro bagno condiviso in silenzio, e quando
finimmo, dopo esserci dovutamente risciacquati e preparati per metterci in
accappatoio, mi intrufolai tra le sua braccia, quasi di soppiatto, mentre
recuperava una tovaglia. Con prontezza, mi baciò a stampo sulla fronte.
“Te ne prego… ancora un attimo di pazienza”.
Ci asciugammo in fretta, e lui, con ancora i capelli fradici
e il viso peloso reso sfavillante dall’umidità, mi guardò con ferocia e ardore,
come una fiera selvatica.
“Lascia stare, ti asciugo io”, gli dissi, e racimolai un
vecchissimo phon da un cassetto nel bagno, tra l’altro anche di vecchio
modello. Una roba da brivido, se trovata in un albergo.
“Non ti preoccupare, lascia stare quel coso antidiluviano”,
aggiunse Piergiorgio, abbracciandomi da dietro, ma non mi lasciai abbindolare.
Il piacere dell’attesa stava crescendo, e sentivo di non voler rovinare tutto,
provando solo a resistere fin quando avrei potuto.
“E tu vorresti che io abbracciassi e baciassi un uomo tutto
fradicio in testa e nel viso? Che poi bagnerebbe tutto il cuscino e magari si
ammalerebbe, tanto per aggiungere qualcosa al disastro? Non scherziamo”, lo
rimproverai, piano e col sorriso sulle labbra.
Lui si ammansì e mi lasciò fare, come se fosse stata una
cavia consenziente.
Presi il pettine e mi resi un’improvvisata parrucchiera,
approfittando del fatto che, una volta tanto, non era toccato a me
asciugarmeli, facendo una fatica bestiale e impiegandoci tantissimo tempo. Ero
infatti stata molto attenta e non avevo lasciato che si bagnassero, essendomeli
tenuti ben raccolti sulla nuca.
In effetti, ci rimasi un po’ sorpresa, in maniera ingenua,
quando dopo una sola decina di minuti di phon i suoi capelli a tratti ancora
scuri erano già praticamente asciutti.
“Oddio, spero di aver fatto un buon lavoro”, mi lasciai
sfuggire, quando spensi quell’oggetto rumorosissimo.
Piergiorgio rise sommessamente, e mettendosi di fronte allo
specchio del bagno, si pettinò come preferiva.
“Va bene così, sei stata perfetta”, mi rassicurò.
“Non devi per forza dirmi che va tutto alla perfezione, è la
mia prima volta da parrucchiera…”, quasi ironizzai, a mia volta.
“Va sempre benissimo”.
Si volse verso di me, sorridendomi, e lasciando scivolare giù
l’accappatoio. Rimasi folgorata, m’interruppi e non seppi dire altro, di fronte
a lui e alla forza che emanava.
George mi venne incontro e sciolse anche il nodo del mio
accappatoio, ed io lasciai sfilarmelo di dosso. Poi, fece una cosa che non mi
aspettavo; fece per abbracciarmi, ma in realtà mi prese in braccio.
Presa alla sprovvista, lanciai un gridolino di stupore, e mi
affrettai ad avvolgere le mie braccia attorno al suo collo, mentre lui mi
portava a passo spedito verso il nostro letto ancora immacolato, ma in procinto
di finire sfatto.
“Non me l’aspettavo!”, gridacchiai, quando mi lasciò andare
sul letto, con dolcezza, e in meno di un attimo il suo corpo si sovrappose al
mio.
“Dovresti avere imparato, ormai, che quando voglio so essere
un po’ birbante”, mi disse di rimando e con la sua solita simpatia, non
deludendomi mai.
Poi, non ci fu più spazio per le parole, ma solo per i baci e
le dolci effusioni scomposte di una coppia che aveva scoperto una passione
travolgenti, di quelle da considerare come un tabù, durante la vita di ogni
giorno. Ma quella tanto non era più vita quotidiana, per noi; era diventata la
nostra vita, quella di due persone adulte che scelgono di loro spontanea
volontà di unirsi, di fondere con amore i loro due corpi distinti, senza far
più caso a ciò che ci circondava.
Eravamo ebbri di un amore che aveva qualcosa di fatato.
Rifacemmo l’amore almeno tre volte di fila, intervallate da
piccole pause di una decina di minuti, o poco più. Per me quello era molto più
di semplice sesso, era come una connessione tra due entità corporee, che andava
oltre il voler comunicare a parole. Era un legame che ci aveva unito così tanto
da sembrare un potente collante, un qualcosa di trascendentale che andava ben
oltre la semplice materia.
Solo quando non avevamo più niente da dare, stanchi e
sfiniti, ed io ero riversa tra le sue braccia, col suo corpo caldo e villoso
adagiato con incredibile leggerezza sul mio, trovai che fosse giunto il momento
di tornare a parlare. Ma prima di farlo, cominciai ad accarezzargli i capelli,
con ordine e senza scompigliarli, mostrando dolcezza.
Il suo viso era voltato verso sinistra, appoggiato anch’egli
sulla parte alta del mio petto, quasi all’altezza della gola, mentre le sue
mani ancora stringevano le mie, senza alcuna intenzione imminente di
interrompere il contatto.
“Sei sveglio?”, gli chiesi, ben sapendo che lo era. Volevo
solo spezzare con cautela il nostro recente silenzio.
“Sì”, infatti mi rispose, subito.
“Siamo stati degli idioti, non credi?”, andai direttamente al
punto.
Piergiorgio allora si tirò su, guardandomi con i suoi occhi
grandi e magnetici.
“E perché mai?”, chiese. “Perché abbiamo seguito il nostro
cuore e il nostro istinto naturale?”.
“No”, risposi io, e sospirai piano, “perché abbiamo condiviso
il letto in queste due notti, e abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare.
Il problema è che l’abbiamo fatto senza precauzioni”.
George sorrise, all’improvviso.
“Non dirmi che ti preoccupi del fatto che non abbiamo usato
contraccettivi”.
“Mi preoccupo un po’, invece. Siamo stati ingenui. Da domani
prometto che…”.
Mi interruppe, prendendomi il viso tra le mani.
“Non capisco qual è il problema, tesoro mio”, insistette.
“Cos’è che non capisci? Non hai più due anni, sai come si
generano i bambini”, gli sbottai in faccia, perdendo un po’ di delicatezza.
Lui rise forte, col suo vocione duro.
“E’ avere un figlio che ti spaventa?”, mi chiese, poi.
Lo guardai senza dire nulla, non capendo dove volesse andare
a parare con una tale domanda a bruciapelo.
“Quanti anni hai, Isabella?”, tornò a chiedere, sorridendomi.
“Ventisei, quasi ventisette”.
“Non ti sembra ora di diventare mamma? Scusa, ma ci sono
ragazze che lo diventano anche prima di te…”.
“Cosa stai cercando di dirmi?”, lo interruppi io, quella
volta, essendo molto perplessa.
“Voglio dirti che non comprendo qual è il tuo problema. Un
bambino in arrivo sarebbe una buona notizia, una gioia immensa, e non una
complicazione”, rispose con una semplicità disarmante.
Scrollai il capo.
“Allora non capisci, non stai provando ad ascoltare quello
che voglio dirti…”, quasi lasciai perdere, sconsolata.
“Il fatto è che il problema non sarebbe tanto se tu restassi
incinta, ma se tu restassi incinta di me, giusto?”, tornò a chiedermi, e quella
volta mi ferì.
Mi agitai sotto al suo corpo, quella domanda mi aveva
inquietato.
“No… non è questo”.
“Io ti amo, ti amo davvero, Isa, e non ne ho mai fatto
mistero. Se vuoi, io ora mi inchino davanti a te e ti chiedo di sposarmi,
subito e senza attendere oltre. Possiamo far avviare le procedure del
matrimonio già da domani, se vuoi, e come vedi non è un problema per me
sposarti”.
Lasciai che quelle frasi pesanti scivolassero su di me, e le
soppesai per qualche istante, prima di tornare ad esprimermi a riguardo.
“Anche io ti amo, George… ti amo, te lo giuro. Più di tutti e
di tutto. Ma non ti sembra che stiamo correndo un po’ troppo, in questo modo? Stiamo
forzando molte tappe”.
Lui scrollò il capo, in segno di diniego.
“Ciò che ti turba è la mia età, e chi sono. Non vorresti che
si sapesse che stai con me…”.
Non lasciai che finisse di parlare, poiché gli diedi
d’istinto uno schiaffo.
Mi venne da scusarmi, subito dopo, poiché avevo esagerato con
la mia reazione repentina, ma lui aveva detto parole troppo pesanti da essere
pronunciate, formulando un discorso che, per il momento, non mi era mai apparso
in maniera definita nella mia mente.
Piergiorgio però mi stupì, e rise di nuovo.
“Era la reazione che mi aspettavo, ora sono certo che mi ami
davvero”, mi disse, per nulla turbato.
“Hai mai avuto dubbi, a riguardo?”, gli chiesi, con grande
serietà.
“No, ma questo discorso…”.
“Questo discorso non merita nulla”, gli parlai sopra,
interrompendolo di nuovo, “il problema vero è che io non ti conosco, e non so
nulla di te. Mi hai chiesto di sposarti, abbiamo dormito assieme, abbiamo fatto
tutto quello che una coppia affiatata può fare. Ma io non ti conosco, lo
capisci questo? Mi piacerebbe dire che so qualcosa di te, che ho afferrato
almeno una parte della tua esistenza, e invece so solo che ti amo, e che stiamo
passando dei bei momenti assieme, e nient’altro!”.
Mi lasciai andare, sfinita, mentre qualche lacrima solcava il
mio viso, dopo quel rapidissimo sfogo.
“Ah, no, non piangere mica per una cosa così!”, provò a
rasserenarmi Piergiorgio. “Anzi, se per te questo è un grave impedimento,
poiché mi chiedi sempre qualcosa sul mio passato, farò di più; ti prometto che
sarò un libro aperto, per te, ma non questa notte”.
“E quando?”.
“Domani. Domani sera, magari. Ti va di passare a casa mia? Ti
lascio il mio indirizzo, vieni lì ed io ti racconterò e ti mostrerò tutto su di
me. Tutto, anche in foto”.
Non sapevo cosa dire, potevo solo accettare l’invito.
“Va… va bene”, concessi, “però… è ok se passo durante la mia
pausa pranzo, da mezzogiorno alle quattordici?”, domandai, tentennante. Non era
tanto il problema di andare a casa sua, ad angustiarmi, bensì il fatto che non
volevo tornare ad uscire di sera, per non dar troppo nell’occhio a mia madre.
Già quella notte la stavo combinando grossa, e mi stavo
scoprendo davvero troppo.
“D’accordo. Domani ho il turno della mattina… mi sta bene,
quindi”, asserì.
“Perfetto. Dove abiti, allora?”, andai al punto, ma
Piergiorgio mi baciò appassionatamente.
“Ora no, va bene? Ne riparliamo tra un po’. Poi ti do anche
il mio indirizzo. Ma ora no, sei d’accordo?”, mi chiese, sincero e sorridente.
Ed io non seppi resistergli, e mi lasciai di nuovo andare
alla passione, felice in cuor mio di essere così tanto amata, mentre cercavo di
non pensare a null’altro se non all’amore che provavo per quell’uomo così
dolce.
NOTA DELL’AUTORE
Non so se è il mio genere, questo. Però ce l’ho messa tutta.
Ho cercato di creare un capitolo a due facce, diciamo così,
ad alti e bassi.
Grazie per essere qui! ^^