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Autore: alessandroago_94    15/10/2018    10 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo ventuno

CAPITOLO VENTUNO

 

 

 

 

 

 

 

 

La nostra uscita, infatti, non sarebbe potuta andare meglio, come mi accorsi col trascorrere graduale del tempo.

Cenammo mano nella mano, tra sguardi amorevoli e un bisogno crescente di trovare un posto tutto per noi, che non fosse sotto al naso di quel curiosone di Vincenzo, che ovunque si trovasse cercava sempre di buttare un occhio verso il nostro tavolo.

Non dovevamo comunque lamentarci, poiché il locale era quasi completamente vuoto. Cenammo con molta più calma rispetto alla nostra prima volta, essendo entrambi rilassati e imbevuti di desiderio, e qualche altro avventore si era unito a noi, seppur fosse stato sistemato in tavoli abbastanza lontani dal nostro.

A dire il vero, ben presto fui costretta a riconoscere che non avevo prestato alcuna attenzione al cibo che avevo mangiato, e all’ambiente circostante, se non proprio solo un minimo che non mi era neppure rimasto impresso nella memoria, siccome i miei occhi erano sempre puntati verso quelli di Piergiorgio.

Era stato il mio desiderio dell’intera giornata che stava volgendo al termine, quello di tornare a guardarli, con intensità, ed era incredibile quanto fossero espressivi. Erano acquosi, come se soffrissero di una qualche allergia, e questo li rendeva ancor più dolci, ancor più da cucciolo. E poi davano un senso di profondità che a guardarli anche solo a prima vista sembravano due porte aperte su un mondo tutto da scoprire, o almeno quella era la sensazione che offrivano a me.

Erano davvero fantastici, in poche parole.

Finimmo di mangiare quasi in fretta e furia, senza sapere che cosa sarebbe stato, da lì a poco, di noi, ma una premonizione sembrava aleggiare sulle nostre teste, poiché sentivamo entrambi che quella serata era destinata a non finire così. No, sarebbe stata speciale, siccome ci eravamo soltanto limitati a sfamare i nostri corpi, mentre l’anima doveva ancora essere dovutamente nutrita.

Divorammo le portate, pur di bruciare il tempo che ci separava da quello che più desideravamo, seppur tacitamente, e cioè trascorrere una nottata come quella precedente. La nostra cena fu fatta di occhiate, di sguardi fissi, di mani intrecciate sul tavolo, nei brevi momenti di attesa, ma le nostre labbra continuarono a non sfiorarsi, dovevamo resistere.

“Isa… non voglio dirti addio, tra poco”, espresse la faccenda Piergiorgio, dopo essersi scolato distrattamente il sorbetto al limone che concludeva quella nostra cenetta, col suo fresco sapore dolce.

“Neppure io lo voglio”, ammisi, sospirando.

“Restiamo qui, allora”, concluse lui, sorridendomi e stringendo più forte la mia mano, ancora tra le sue, sul tavolo.

Rimasi un po’ stupita da quella sua frase decisa, e non capivo bene dove volesse andare a parare, quindi mi limitai ad abbassare lo sguardo e a scuotere il capo, sconsolata.

“Chiedo a Vincenzo una camera, sono sicuro che ne ha una bella per noi, libera e pulita. Passiamo la notte qui”, tornò a dire, notando la mia momentanea reticenza.

“Vorrei, ma non posso. Mia madre mi aspetta a casa”, gli dissi, comprendendo meglio quel che voleva.

“Non hai detto che a tua madre non importa nulla di te?”.

Piergiorgio, nel suo ardore amoroso, mi aveva colpito, in maniera molto ingenua, come se fosse stato un ago appuntito.

“Oddio, scusami, ti chiedo perdono, Isa… perdonami, sono stato indiscreto e maleducato”, iniziò infatti a dire il mio amante, accorgendosi di cosa avesse appena detto, seppur l’avesse fatto solo con buone intenzioni, e non per ferirmi. Gliela avevo narrata io stessa, la vicenda, durante la prima parte disperata della serata precedente.

Sapevo che non l’aveva detto per colpirmi o per cercare di convincermi in fretta a prendere una decisione azzardata, poiché il mio George non l’avrebbe mai fatto con cattiveria e malizia, e potevo leggere anche quello nei suoi occhi, ma si era limitato a sbattermi in faccia la verità.

Se, appena udita, quella domanda mi aveva lasciato un po’ scosso, e mi aveva turbato, in un attimo si tramutò in un consapevole nervosismo nei confronti di mia madre, e, egoista com’ero in quel momento, mi parve di detestarla.

Ragionai quindi d’impeto; lei mi aveva trattato male, negli ultimi giorni, ed io avrei fatto altrettanto. Ormai ero maggiorenne da tempo, e se volevo dormire una notte fuori, senza avvisare, potevo tranquillamente farlo, e la mia genitrice aveva tutti i mezzi per passarsela da sola.

“Va bene”, acconsentii, e Piergiorgio, sorridendomi, andò subito da Vincenzo, a parlargli.

Dopo nemmeno dieci minuti, avevamo già una stanza a nostra completa disposizione, con tanto di letto a due piazze, e ci chiudevamo al suo interno cominciando subito ad abbracciarci, con l’anziano proprietario del piccolissimo alberghetto che continuava a osservarci con un’espressione sbigottita sul volto, che non sarebbe di sicuro bastata a frenare, neppure per un secondo, quello che provavamo e quello di cui avevamo bisogno per tornare a sentirci di nuovo amati.

Il fuoco della passione ardeva dentro di noi, con tutto il suo ardore, e non potevamo domarlo, e niente e nessuno poteva darci fastidio o pensiero. Eravamo perduti.

Non ci fu bisogno di parlare, chiusi nella nostra stanza; agivamo d’istinto, come belve selvatiche infervorate dalla passione più ancestrale e primitiva. In men che si potesse dire, ero già intenta a svestirmi, e George faceva anche lui lo stesso.

“Sei sempre più bella”, lo sentii dire, mentre ero alle prese col mio semplice vestitino da uscita serale.

“Miglioro a ogni tuo sguardo, allora”, ribattei, senza fermarmi e continuando a perseguire il mio scopo.

“Suppongo che mi sia concesso, quindi, di osservarti molto di più, d’ora in poi”, volle aggiungere, scherzosamente, con quella pacata ironia molto simpatica che stavo cominciando a conoscere un po’ meglio.

Sorrisi, senza guardarlo, e togliendomi finalmente la maglietta che indossavo, per poi lasciarla cadere sul comodino a fianco del letto, tutta in disordine.

“Ti ho mai detto di non farlo? O che mi desse fastidio?”, lo stuzzicai, con tono provocante, e allora mi volsi verso di lui, ormai in reggiseno.

Piergiorgio era cotto a puntino, e notai il baluginio netto e distinto che attraversò i suoi occhi, non appena mi vide così, con la mia pelle bianca come il latte, che di sole estivo ne aveva visto ben poco, e ormai pronta a lasciarmi andare. Lui, quasi incredibile da constatare, era ancora alle prese con la sua solita camicia, e i rispettivi e ostici bottoncini, sempre fastidiosi da sbottonare.

Aveva le palpebre sgranate, più aperte del solito, mentre osservava la mia camminata felpata verso di lui.

“No…”, rispose al mio duplice quesito, con un attimo di ritardo e la bocca semi aperta.

“Lascia stare, ti aiuto io”, mi limitai a dirgli, andandogli a sbottonare la camicia quando ormai sembrava aver gettato la spugna, trovandosi di fronte a me.

Le sue mani avevano smesso di essere agitate e sudate, in lotta con i bottoni, e il suo sguardo non era più incentrato sul suo ventre, ma solo ed esclusivamente verso di me, verso la mia pelle nuda, e verso il mio intero corpo. Ed io ero rapita da quella vista, poiché vedevo in modo chiaro e netto che aveva occhi solo per me, e che appariva come un uomo perso, tutto mio, ed ero sicurissima che mi amasse davvero, o che almeno provasse qualcosa di fortissimo nei miei confronti, dissipando anche gli ultimi residui di dubbio che potevo provare quando riflettevo con estrema serietà.

Mi misi quindi di buona volontà, e col sorriso sempre stampato sul volto, a svestirlo, e lo feci pian piano, in modo sensuale, con Piergiorgio sempre più perso e inebriato, e le sue mani che invece di aiutarmi corsero a sfiorare il mio ventre, all’altezza dell’ombelico, e poi risalirono, ancora più su…

“Perché ti vesti in questo modo? Per me, non devi essere impeccabile, lo sai. Quello che mi piace di te è tutto il resto, gli abiti non contano”, gli chiesi, smorzando un attimo l’attenzione che stava rivolgendo al mio corpo.

“Per te, questo e altro. E poi non me la sento di andare in giro con abiti slabbrati, come fanno i ragazzi negli ultimi anni, oppure con qualche vestito così, da mercato del giovedì mattina. Ti dà fastidio, forse?”.

“No, per me va benissimo, anzi, ti dona l’importanza che meriti. Però, immagino che tu provi un po’ di caldo, ad andare in giro in piena estate con tanto di calzoni lunghi e scarpe di cuoio lucido”, osservai, cercando ancora di farlo parlare.

Sembrava in procinto di saltarmi addosso così com’era, e non volevo, non desideravo quella passionalità che sarebbe durata solo fino a un precoce orgasmo. Cercavo la seduzione, la dolcezza di due corpi nudi e pronti a unirsi, non un qualcosa di lasciato a metà.

Avevo vissuto quell’esperienza per un’infinità di volte, quando stavo ancora con Marco, e non avevo voglia di tornare a sperimentare qualcosa che già conoscevo da tempo, e che avrebbe rischiato di lasciarmi con l’amaro in bocca. Cercavo solo la magia di un momento perfetto, come quello che si era andato a creare durante la notte precedente a quella.

“Non ho caldo, non ne ho mai. L’ho solo quando ti vedo, mio grandissimo amore”, mi rispose, passionale, ed allora gli sfilai la camicia, gliela consegnai e gli slacciai in un lampo la cintura, anch’essa di cuoio, ma mi chinai poi a slacciargli i lacci delle scarpe, senza andare a sfiorare con una mossa volgare le sue intimità. Se voleva sbottonarsi anche i calzoni, lo doveva fare da solo e di sua iniziativa.

“Non si trattano così i panni, lo sai, vero?”, gli feci notare quando si sbarazzò della camicia gettandola in un angolo della camera, più o meno come aveva fatto durante la nostra prima nottata romantica.

Solo durante la sera precedente eravamo sospinti da una situazione diversa da quella, dove potevamo gestire molto meglio il tempo che avevamo a disposizione, senza badare troppo ai particolari, o a soffocare in maniera eccessiva le nostre voci.

“Non mi importa… mi importa solo di te, adesso”, disse, la voce ridotta a un singulto ebbro di una passione che pareva esser stata repressa per l’intero arco della giornata.

Si slacciò i calzoni e si sedette all’improvviso a bordo del letto, ed io gli sfilai le scarpe, con l’odore deciso del cuoio scaldato dal calore dei piedi che mi stuzzicava il naso.

Finì di svestirsi da solo e in un attimo, e mi fu subito addosso, abbracciandomi e slacciandomi il reggiseno.

“No”, lo frenai, risoluta, “no, non voglio”.

Piergiorgio ci rimase di sasso, per qualche istante, sciogliendo l’abbraccio e lasciando immediatamente la presa sul mio reggiseno già slacciato, che mi scivolò sul petto.

Mi guardò con quei suoi occhioni tutti sconvolti dall’ansia di quel repentino rifiuto, e mi parve di vedere un cucciolo indifeso. Gli sorrisi amabilmente, per sdrammatizzare subito la situazione.

“Non voglio che finisca tutto così, in un attimo. Questa sera possiamo fare le cose per bene, e per questo prima di venire a letto voglio farmi anche un bagno… sono sudata da questa mattina, mi fa anche schifo il solo pensiero di restare tra le tue braccia in questo stato”, aggiunsi, poi, rassicurandolo.

George rispose al mio sorriso, a quel punto, tornando a sciogliersi.

“Anche io, oggi sono stato tutto il giorno al lavoro, e non è proprio che sia tanto profumato, come magari avrai già notato da sola”, sogghignò, “quindi direi che possiamo concederci almeno una doccia rilassante, prima di buttarci sul letto”.

Annuii, soddisfatta.

Mi diressi verso il bagno, e non appena lo aprii, notai che si trattava di un ambiente davvero piccolo e ristretto, quasi di seconda categoria.

Sbuffai, poiché mi sarei dovuta aspettare che quell’alberghetto fosse così messo male al suo interno, d’altronde non era un hotel a cinque stelle. Infatti, non c’era neppure un box doccia, o una doccia, ma solo la classica vasca, tra l’altro abbastanza ristretta anche quella.

“Immagino che non sarà tanto ospitale”, soggiunse alle mie spalle Piergiorgio, ancora bonariamente.

Mi volsi verso di lui, sorridendo.

“C’è solo una vasca, anche scomoda. E come se non bastasse, non ho neppure l’occorrente per rivestirmi in maniera decente”.

“Vorrà dire che affronteremo l’insidia assieme, va bene? Anche io sono nella tua stessa e medesima situazione”, mi disse George, dolcissimo ed abbracciandomi da dietro.

“Ci sto!”, esclamai, piena di euforia.

Non ero mai stata in vasca da bagno con qualcun altro, e con il mio ex al massimo avevamo fatto una doccia assieme, e cioè tutto ciò che il nostro angusto appartamentino affittato poteva lasciarci permettere. Finii di spogliarmi in un baleno, e lasciati i miei abiti in disordine ai piedi del letto, quasi corsi a testare la vasca.

Piergiorgio, totalmente nudo, la stava già riempiendo di acqua piacevolmente tiepida, di quel calore frizzantino e lieve, piacevolissimo anche in piena estate.

Ci immergemmo assieme, all’unisono, uno da un lato e l’altro dall’altro della vasca che, per fortuna, era abbastanza spaziosa.

“Peccato che non abbia l’idromassaggio”, osservò George, sempre con la sua solita ironia pungente.

“Faremo anche senza, dai”. Gli concessi un sorriso.

“Ti prometto che, se vorrai, la prossima volta ti porto in un bell’albergo stellato, dotato di tutti i confort”.

“Non ho bisogno di confort, se con me ci sei tu”, gli dissi, sorridendogli, mentre mi lasciavo immergere piano, facendo in modo che anche il mio viso finisse sott’acqua per una manciata di secondi.

Così facendo, però, finii per dare una pedata involontaria a Piergiorgio, che dall’altro lato della vasca si stava dando da fare per bagnarsi la nuca.

“Non so se ti sei accorta che mi hai appena sferrato un calcio”, mi fece notare, non appena riemersi. Ed io risi, mi lasciai sfuggire una risatina pura e sincera, che in sé non aveva nulla di malefico.

“Fa niente”, riuscii a dire.

Prima che potessi provare a ritrarmi, mi afferrò dolcemente, eppure con risolutezza, la gamba sinistra, e prese a strofinarla con una spugnetta offerta nei vari accessori dell’alberghetto, e si mosse con una delicatezza che mi fece morire la felicità che provavo dentro di me.

Lo osservato mentre toccava la mia pelle, e sembrava accudirla. Aveva le mani da una pelle delicata quanto il loro tocco, mi sembrava di essere in paradiso.

Rimasi a bocca semi aperta a osservarlo; mi sembrava incredibile di star condividendo una serata così intensa con un uomo così tanto pieno d’amore rivolto tutto nei miei confronti.

“Che c’è?”, mi chiese, sorridendomi, quando notò che ero come rimasta di pietra.

“C’è che io ti amo, George. Ogni secondo che passa, lo scopro sempre di più”, gli dissi, con le lacrime agli occhi per la commozione che stavo provando. Non ero abituata a così tante attenzioni, e questo stava colpendo molto la parte di me più emotiva.

Mi zittì con un gesto deciso.

“Per favore, non ripeterlo più, almeno per un po’, altrimenti credo che non riuscirò a trattenermi oltre”.

Mi sorrise, sornione. Leggevo la passione che gli ardeva dentro agli occhi, così stranamente profondi, e dalla parvenza grande, vivida ed animata. Era come un libro stampato, per me.

Di tutta risposta, non aggiunsi niente a voce, ma cominciai a fare la medesima sequenza di gesti sul suo corpo, prendendomi cura di lui come egli stava facendo nei miei confronti, evitando le zone più intime, col medesimo rispetto che mi stava portando.

Proseguimmo il nostro bagno condiviso in silenzio, e quando finimmo, dopo esserci dovutamente risciacquati e preparati per metterci in accappatoio, mi intrufolai tra le sua braccia, quasi di soppiatto, mentre recuperava una tovaglia. Con prontezza, mi baciò a stampo sulla fronte.

“Te ne prego… ancora un attimo di pazienza”.

Ci asciugammo in fretta, e lui, con ancora i capelli fradici e il viso peloso reso sfavillante dall’umidità, mi guardò con ferocia e ardore, come una fiera selvatica.

“Lascia stare, ti asciugo io”, gli dissi, e racimolai un vecchissimo phon da un cassetto nel bagno, tra l’altro anche di vecchio modello. Una roba da brivido, se trovata in un albergo.

“Non ti preoccupare, lascia stare quel coso antidiluviano”, aggiunse Piergiorgio, abbracciandomi da dietro, ma non mi lasciai abbindolare. Il piacere dell’attesa stava crescendo, e sentivo di non voler rovinare tutto, provando solo a resistere fin quando avrei potuto.

“E tu vorresti che io abbracciassi e baciassi un uomo tutto fradicio in testa e nel viso? Che poi bagnerebbe tutto il cuscino e magari si ammalerebbe, tanto per aggiungere qualcosa al disastro? Non scherziamo”, lo rimproverai, piano e col sorriso sulle labbra.

Lui si ammansì e mi lasciò fare, come se fosse stata una cavia consenziente.

Presi il pettine e mi resi un’improvvisata parrucchiera, approfittando del fatto che, una volta tanto, non era toccato a me asciugarmeli, facendo una fatica bestiale e impiegandoci tantissimo tempo. Ero infatti stata molto attenta e non avevo lasciato che si bagnassero, essendomeli tenuti ben raccolti sulla nuca.

In effetti, ci rimasi un po’ sorpresa, in maniera ingenua, quando dopo una sola decina di minuti di phon i suoi capelli a tratti ancora scuri erano già praticamente asciutti.

“Oddio, spero di aver fatto un buon lavoro”, mi lasciai sfuggire, quando spensi quell’oggetto rumorosissimo.

Piergiorgio rise sommessamente, e mettendosi di fronte allo specchio del bagno, si pettinò come preferiva.

“Va bene così, sei stata perfetta”, mi rassicurò.

“Non devi per forza dirmi che va tutto alla perfezione, è la mia prima volta da parrucchiera…”, quasi ironizzai, a mia volta.

“Va sempre benissimo”.

Si volse verso di me, sorridendomi, e lasciando scivolare giù l’accappatoio. Rimasi folgorata, m’interruppi e non seppi dire altro, di fronte a lui e alla forza che emanava.

George mi venne incontro e sciolse anche il nodo del mio accappatoio, ed io lasciai sfilarmelo di dosso. Poi, fece una cosa che non mi aspettavo; fece per abbracciarmi, ma in realtà mi prese in braccio.

Presa alla sprovvista, lanciai un gridolino di stupore, e mi affrettai ad avvolgere le mie braccia attorno al suo collo, mentre lui mi portava a passo spedito verso il nostro letto ancora immacolato, ma in procinto di finire sfatto.

“Non me l’aspettavo!”, gridacchiai, quando mi lasciò andare sul letto, con dolcezza, e in meno di un attimo il suo corpo si sovrappose al mio.

“Dovresti avere imparato, ormai, che quando voglio so essere un po’ birbante”, mi disse di rimando e con la sua solita simpatia, non deludendomi mai.

Poi, non ci fu più spazio per le parole, ma solo per i baci e le dolci effusioni scomposte di una coppia che aveva scoperto una passione travolgenti, di quelle da considerare come un tabù, durante la vita di ogni giorno. Ma quella tanto non era più vita quotidiana, per noi; era diventata la nostra vita, quella di due persone adulte che scelgono di loro spontanea volontà di unirsi, di fondere con amore i loro due corpi distinti, senza far più caso a ciò che ci circondava.

Eravamo ebbri di un amore che aveva qualcosa di fatato.

 

Rifacemmo l’amore almeno tre volte di fila, intervallate da piccole pause di una decina di minuti, o poco più. Per me quello era molto più di semplice sesso, era come una connessione tra due entità corporee, che andava oltre il voler comunicare a parole. Era un legame che ci aveva unito così tanto da sembrare un potente collante, un qualcosa di trascendentale che andava ben oltre la semplice materia.

Solo quando non avevamo più niente da dare, stanchi e sfiniti, ed io ero riversa tra le sue braccia, col suo corpo caldo e villoso adagiato con incredibile leggerezza sul mio, trovai che fosse giunto il momento di tornare a parlare. Ma prima di farlo, cominciai ad accarezzargli i capelli, con ordine e senza scompigliarli, mostrando dolcezza.

Il suo viso era voltato verso sinistra, appoggiato anch’egli sulla parte alta del mio petto, quasi all’altezza della gola, mentre le sue mani ancora stringevano le mie, senza alcuna intenzione imminente di interrompere il contatto.

“Sei sveglio?”, gli chiesi, ben sapendo che lo era. Volevo solo spezzare con cautela il nostro recente silenzio.

“Sì”, infatti mi rispose, subito.

“Siamo stati degli idioti, non credi?”, andai direttamente al punto.

Piergiorgio allora si tirò su, guardandomi con i suoi occhi grandi e magnetici.

“E perché mai?”, chiese. “Perché abbiamo seguito il nostro cuore e il nostro istinto naturale?”.

“No”, risposi io, e sospirai piano, “perché abbiamo condiviso il letto in queste due notti, e abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Il problema è che l’abbiamo fatto senza precauzioni”.

George sorrise, all’improvviso.

“Non dirmi che ti preoccupi del fatto che non abbiamo usato contraccettivi”.

“Mi preoccupo un po’, invece. Siamo stati ingenui. Da domani prometto che…”.

Mi interruppe, prendendomi il viso tra le mani.

“Non capisco qual è il problema, tesoro mio”, insistette.

“Cos’è che non capisci? Non hai più due anni, sai come si generano i bambini”, gli sbottai in faccia, perdendo un po’ di delicatezza.

Lui rise forte, col suo vocione duro.

“E’ avere un figlio che ti spaventa?”, mi chiese, poi.

Lo guardai senza dire nulla, non capendo dove volesse andare a parare con una tale domanda a bruciapelo.

“Quanti anni hai, Isabella?”, tornò a chiedere, sorridendomi.

“Ventisei, quasi ventisette”.

“Non ti sembra ora di diventare mamma? Scusa, ma ci sono ragazze che lo diventano anche prima di te…”.

“Cosa stai cercando di dirmi?”, lo interruppi io, quella volta, essendo molto perplessa.

“Voglio dirti che non comprendo qual è il tuo problema. Un bambino in arrivo sarebbe una buona notizia, una gioia immensa, e non una complicazione”, rispose con una semplicità disarmante.

Scrollai il capo.

“Allora non capisci, non stai provando ad ascoltare quello che voglio dirti…”, quasi lasciai perdere, sconsolata.

“Il fatto è che il problema non sarebbe tanto se tu restassi incinta, ma se tu restassi incinta di me, giusto?”, tornò a chiedermi, e quella volta mi ferì.

Mi agitai sotto al suo corpo, quella domanda mi aveva inquietato.

“No… non è questo”.

“Io ti amo, ti amo davvero, Isa, e non ne ho mai fatto mistero. Se vuoi, io ora mi inchino davanti a te e ti chiedo di sposarmi, subito e senza attendere oltre. Possiamo far avviare le procedure del matrimonio già da domani, se vuoi, e come vedi non è un problema per me sposarti”.

Lasciai che quelle frasi pesanti scivolassero su di me, e le soppesai per qualche istante, prima di tornare ad esprimermi a riguardo.

“Anche io ti amo, George… ti amo, te lo giuro. Più di tutti e di tutto. Ma non ti sembra che stiamo correndo un po’ troppo, in questo modo? Stiamo forzando molte tappe”.

Lui scrollò il capo, in segno di diniego.

“Ciò che ti turba è la mia età, e chi sono. Non vorresti che si sapesse che stai con me…”.

Non lasciai che finisse di parlare, poiché gli diedi d’istinto uno schiaffo.

Mi venne da scusarmi, subito dopo, poiché avevo esagerato con la mia reazione repentina, ma lui aveva detto parole troppo pesanti da essere pronunciate, formulando un discorso che, per il momento, non mi era mai apparso in maniera definita nella mia mente.

Piergiorgio però mi stupì, e rise di nuovo.

“Era la reazione che mi aspettavo, ora sono certo che mi ami davvero”, mi disse, per nulla turbato.

“Hai mai avuto dubbi, a riguardo?”, gli chiesi, con grande serietà.

“No, ma questo discorso…”.

“Questo discorso non merita nulla”, gli parlai sopra, interrompendolo di nuovo, “il problema vero è che io non ti conosco, e non so nulla di te. Mi hai chiesto di sposarti, abbiamo dormito assieme, abbiamo fatto tutto quello che una coppia affiatata può fare. Ma io non ti conosco, lo capisci questo? Mi piacerebbe dire che so qualcosa di te, che ho afferrato almeno una parte della tua esistenza, e invece so solo che ti amo, e che stiamo passando dei bei momenti assieme, e nient’altro!”.

Mi lasciai andare, sfinita, mentre qualche lacrima solcava il mio viso, dopo quel rapidissimo sfogo.

“Ah, no, non piangere mica per una cosa così!”, provò a rasserenarmi Piergiorgio. “Anzi, se per te questo è un grave impedimento, poiché mi chiedi sempre qualcosa sul mio passato, farò di più; ti prometto che sarò un libro aperto, per te, ma non questa notte”.

“E quando?”.

“Domani. Domani sera, magari. Ti va di passare a casa mia? Ti lascio il mio indirizzo, vieni lì ed io ti racconterò e ti mostrerò tutto su di me. Tutto, anche in foto”.

Non sapevo cosa dire, potevo solo accettare l’invito.

“Va… va bene”, concessi, “però… è ok se passo durante la mia pausa pranzo, da mezzogiorno alle quattordici?”, domandai, tentennante. Non era tanto il problema di andare a casa sua, ad angustiarmi, bensì il fatto che non volevo tornare ad uscire di sera, per non dar troppo nell’occhio a mia madre.

Già quella notte la stavo combinando grossa, e mi stavo scoprendo davvero troppo.

“D’accordo. Domani ho il turno della mattina… mi sta bene, quindi”, asserì.

“Perfetto. Dove abiti, allora?”, andai al punto, ma Piergiorgio mi baciò appassionatamente.

“Ora no, va bene? Ne riparliamo tra un po’. Poi ti do anche il mio indirizzo. Ma ora no, sei d’accordo?”, mi chiese, sincero e sorridente.

Ed io non seppi resistergli, e mi lasciai di nuovo andare alla passione, felice in cuor mio di essere così tanto amata, mentre cercavo di non pensare a null’altro se non all’amore che provavo per quell’uomo così dolce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Non so se è il mio genere, questo. Però ce l’ho messa tutta.

Ho cercato di creare un capitolo a due facce, diciamo così, ad alti e bassi.

Grazie per essere qui! ^^

   
 
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