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Autore: Afaneia    16/10/2018    5 recensioni
Il signor Petri ha sempre avuto idee molto precise in merito alla sessualità di suo figlio.
Rocco è costretto a demolirle.
Per fortuna, uno dei massimi sostegni alla vita dell'uomo nei momenti difficili è sempre stata la fede.
[Originshipping]
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Adriano, Rocco Petri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Buonasera a tutti!

Finalmente, dopo due o tre anni che questa storia giace in un inserto abbandonato sulla mia scrivania, mi decido finalmente a copiarla, correggerla e pubblicarla. È veramente una sciocchezza, forse, e mi preoccupa davvero la caratterizzazione dei personaggi: desiderando scrivere qualcosa di comico e poco impegnato, mi sono attenuta soprattutto ad alcuni aspetti che io personalmente ho colto di loro, ossia alla nerdaggine di Rocco (che mi è sempre parso un personaggio estremamente saggio ma socialmente un po' ritroso) e all'aspetto camaleontico ed esuberante di Adriano – perché non penso di averlo mai amato tanto come nella scena che precede immediatamente lo scontro con lui in Palestra. Se non ve la ricordate, vi prego, correte a vederla!

Un altro paio di cose: il culto dell'Helix, ovviamente, è ispirato alla mania che dilagò su Internet qualche anno fa in seguito al fenomeno di Twitch Plays Pokémon, e sulla quale potrete sicuramente trovare notizie con facilità. Nessuno riuscirà mai a convincermi che sia stata una casualità che, dopo questo fenomeno, abbiano deciso di inserire un'icona simile all'Helixfossile dietro la scrivania del signor Petri in Rubino Omega e Zaffiro Alpha, ma vi sfido a provarci! ;)

Come ultima cosa: perfettamente consapevole che non si tratta di una storia impegnata, mi decido finalmente a pubblicarla solo perché spero che possa servire davvero a strappare anche solo un mezzo sorriso a qualcuno, magari dopo una giornata un po' stressante o in un periodo spiacevole. Anche se non è proprio equiparabile a una foto di un gattino o di un bassotto, che sono la cosa migliore del mondo, me lo auguro davvero con tutto il mio cuore.

Un enorme bacio a tutti e buona lettura – e come al solito un enorme ringraziamento a Fiulopis per tutte le sue inestimabili consulenze!


Afaneia


Praising Helix


Quando Rocco aveva deciso di dire a suo padre la verità, aveva capito subito che si trattava di una questione delicata. Gli aveva proposto, con simulata tranquillità, di passare a trovarlo nel suo ufficio alla Devon per un pranzo veloce, dato che si trovava a Ferrugipoli per puro caso; come c'era da aspettarsi, suo padre aveva accettato con entusiasmo, senza mancare di muovergli il solito rimprovero circa il fatto che avrebbe dovuto passare più tempo con lui.

Dell'idea del pranzo in ufficio Rocco non avrebbe mai smesso di complimentarsi con se stesso: era un luogo più intimo di un ristorante, ma suo padre non avrebbe comunque potuto fargli una scenata a pochi metri di distanza appena dai suoi dipendenti. Lo raggiunse perciò intorno a mezzogiorno, portando un sacchetto di cibo da asporto e un paio di bottiglie di vino – perché col vino, quando si dovevano dare certe notizie, era bene non risparmiare.

Suo padre lo accolse a braccia aperte, riprendendo il suo monologo forzatamente interrotto su quanto crudele e snaturato fosse un figlio che telefonava al padre meno di una volta a settimana, e proseguì poi il suo sermone su altri altri argomenti come la sua magrezza, il suo aspetto sciupato e il colore della sua cravatta. Rocco lo lasciò parlare con pazienza, limitandosi a recepire distrattamente le variabili tonalità della sua voce, ma senza distinguere realmente una sola parola, e gettando di tanto in tanto occhiate esasperate all'icona di Omanyte appesa sopra la sua scrivania, ripetendo tra sé: Mio signore, dammi la forza.

Finalmente, quando davanti al loro rapido pranzo da asporto suo padre parve calmarsi un poco, di certo rassicurato al vedere che suo figlio mangiava veramente, Rocco prese la parola con grande cautela. «Senti, papà... devo dirti una cosa.»

«Beh, siamo qui, no?» fu la flemmatica, serenissima risposta di suo padre, in un implicito invito a proseguire. Rocco provò quasi un senso di colpa alla vista del suo contegno pacifico e rilassato, all'idea di colpirlo in un momento in cui era vulnerabile e del tutto impreparato a quanto stava per sentire.

«Sono gay» disse tutto d'un fiato, chiudendo infantilmente gli occhi per un istante, per non dover assistere subito alla sua reazione.

Per quanto potesse sembrare una frase piuttosto semplice e priva di particolari sfumature di significato, in realtà Rocco vi aveva pensato a lungo. Inizialmente – circa una settimana prima – aveva pensato di definirsi, almeno per qualche tempo, bisessuale: non sarebbe stato vero, certo, ma gli era parso un atto di compassione quello di dare a suo padre almeno la vaga speranza che si sarebbe trovato una ragazza, un giorno, senza demolire in un solo colpo tutti i suoi sogni. Quell'idea gli era parsa la migliore per circa quarantacinque ore e si era esercitato molto a ripetere ad alta voce quelle parole, sono bisessuale, nei momenti di solitudine. Tuttavia, dopo appunto poco meno di due giorni, mentre si concedeva un lungo bagno rilassante, aveva realizzato che suo padre avrebbe negato in tutti i modi la verità, se essa non fosse stata inappellabile; che la frase mi piacciono sia i ragazzi che le ragazze sarebbe stata filtrata e interpretata, nella sua benevola ottica genitoriale, come sono in una fase di crescita e di cambiamento, i miei ormoni sono impazziti, perciò a volte provo sentimenti che mi confondono, ma in realtà sono etero fino al midollo e tra qualche mese questa fase sarà superata. Poco importava che Rocco avesse ormai venticinque anni compiuti e che i suoi ormoni fossero felicemente stabili da quando aveva smesso di crescere in altezza: conosceva bene suo padre e sapeva che, pur di chiudere gli occhi davanti alla sua omosessualità, egli avrebbe tradotto nella sua testa la parola bisessuale proprio a quel modo. Anche mi piacciono gli uomini, che era stata l'opzione favorita per i successivi tre giorni, alla fine si era rivelata ambigua: il verbo piacere poteva avere troppe accezioni e possibilità d'interpretazione.

Sono gay, invece, era diretto e semplice, facile da pronunciare anche in fretta, e non presentava particolari possibilità di fraintendimento: Rocco aveva trascorso l'intero giorno precedente a ripeterlo a sé stesso con varie intonazioni, cercando di suonare al tempo stesso convinto, persuasivo e poco aggressivo.

Dopo quell'affermazione, Rocco si era aspettato urla, recriminazioni o domande sciocche, ma quel silenzio proprio no. Guardò cautamente suo padre cambiare una quantità di colori diversi, dal rosso al viola al bianco smorto, e si preparò istintivamente ad alzarsi per soccorrerlo e a telefonare al pronto intervento più vicino. Grazie alla volontà di Lord Helix, non ce ne fu bisogno: dopo interminabili secondi, suo padre smise di boccheggiare in cerca d'aria e chiese: «Gay come?»

Questa domanda, almeno, Rocco se l'aspettava e poté rispondere prontamente: «Mi piacciono i ragazzi, papà.»

«Oh.» Vi fu ancora qualche istante di silenzio, in cui suo padre si voltò e gettò un'occhiata disperata, quasi in cerca d'aiuto, verso l'icona di Omanyte appesa al muro, prima di tornare a concentrarsi su di lui. I suoi occhi lo percorrevano senza realmente vederlo; dopo un poco, giocherellando nervosamente con il tovagliolo, balbettò: «Quando ti ho chiamato Rocco, non era questa l'idea che aveva in mente.»

Prima ancora che Rocco facesse in tempo a indignarsi o a protestare o a fare qualsiasi altra cosa, suo padre parve riprendersi in parte e cercò di affrontare la cosa razionalmente: «È per qualcosa che ho fatto? Qualche complesso di Edipo, oppure...?»

«No, no, papà, tu non c'entri niente» cercò di rassicurarlo Rocco, lasciando perdere, almeno per il momento, la questione del suo nome. «Sono io, è sempre stato così. Va tutto bene.»

«Ma... e Laura?»

Laura era stata la sua fidanzatina per circa due settimane quando aveva avuto quindici anni. Rocco si sorprese che se ne ricordasse ancora. «Ero un ragazzino, papà, e volevo essere come tutti gli altri... non è un caso che dopo di lei non ci sia più stata nessuna» soggiunse cautamente.

Dopo Laura – e qualunque cosa ne pensasse suo padre, un paio di baci al parco dopo la scuola non comprovavano la sua eterosessualità, a maggior ragione visto che quei baci egli li aveva dati e ricevuti più come un'autoimposizione che perché Laura gli piacesse veramente – Rocco semplicemente si era dedicato soltanto ai Pokémon e alle sue collezioni di rocce, con buona pace di ogni possibile stimolo fisico o dubbio sui propri sentimenti: si era limitato a posticiparli... a un ipotetico tempo in cui la sua anima gemella fosse saltata fuori spontaneamente. Cosa che, fortunatamente, e in modo del tutto incredibile, era successa, evitandogli di dover seriamente pensare a che genere di partner volesse per la sua vita.

«Oh» ripeté suo padre, un po' deluso dal crollo della sua ultima speranza di salvezza. Tornò a rinchiudersi nel suo cupo silenzio per qualche momento, guardando fissamente nel proprio piatto, e infine chiese: «Da quanto tempo... lo sei, o lo sai? Non so neppure cosa chiederti.»

Povero papà, così desideroso e contemporaneamente così incapace di comunicare con lui. Ma stava facendo del suo meglio per non mortificarlo, Rocco lo vedeva, e rispose a bassa voce, in tono caldo e conciliante: «Ne sono sicuro da circa un anno, ma mi preoccupava un po' l'idea di dirtelo.»

«La notizia è di dominio pubblico?»

«Papà! Non è una notizia!» esclamò Rocco indignato. «Non è una cosa che vado a dire alle conferenze stampa! Certo, si saprà quando mi vedranno con...» E un po' troppo bruscamente, rendendosi conto di essersi scoperto troppo, ammutolì all'istante. Ma ormai era tardi: suo padre aveva colto quanto c'era da cogliere nelle sue parole e aveva sollevato il capo.

«Con...?» chiese ansiosamente, scrutandolo con occhi dilatati. «Ti vedi già con qualcuno, dunque? E che aspettavi a dirmelo? Dovevo scoprirlo dai tabloid?»

«Non è ancora nulla di serio, papà» disse Rocco in fretta, sentendosi avvampare, sperando di porre rimedio. «Per questo ancora non te ne ho parlato... ma non prendertela, ti prego.»

«Okay, okay.» Suo padre si sforzò in modo ammirevole di stare calmo, bevendo un lungo sorso di vino e allentando un poco il nodo alla cravatta. Trasse un respiro profondo: «Chi è questo ragazzo? Lo conosco, almeno?»

«Non credo» mentì Rocco. «Fa il modello.» Era solo una mezza verità, ma esistevano molti più modelli che Capipalestra, perciò, seguendo quella pista, suo padre non sarebbe mai riuscito a scoprire di chi si trattava. Rocco amava considerare quella risposta, che si era preparato già da qualche giorno, come una semplice misura difensiva... nei confronti di suo padre e della sua situazione cardiovascolare. Aveva deciso che il miglior modo per preservarlo in vita, o almeno provarci, sarebbe stato quello di comunicargli le notizie un po' per volta.

«Il modello» ripeté suo padre con un mezzo sorriso di circostanza. «Beh, almeno questa è una buona cosa.»

Lo smarrimento nei suoi occhi era evidente, ma lo era ancora di più lo sforzo che stava facendo per non farglielo notare. Rocco gli accarezzò piano il dorso di una mano e gli chiese cautamente: «Sei arrabbiato con me?»

Suo padre gli rivolse un sorriso stanco. «No, Rocco, non potrei mai essere arrabbiato con te. Grazie per aver trovato il coraggio di dirmelo. Ma ora ti prego, lasciami: devo tornare al lavoro.»


Abbandonato sul cuscino accanto alla sua testa, il telefono trillò di un messaggio ricevuto. Rocco lo prese pigramente e lo lesse. Diceva: Tuo padre sembra impazzito. Che ne dici di una serata rilassante? Puoi dormire da me se non hai impegni. Bacio.

Adriano sapeva sempre di cosa aveva bisogno: Rocco sorrise a quel pensiero.

Che suo padre sembrasse impazzito, questo era drammaticamente vero. Erano trascorsi pochissimi giorni da quando Rocco gli aveva detto la verità e già il signor Petri – persino Rocco lo chiamava così nella propria testa, quando lo vedeva comportarsi a quel modo – aveva deciso di affrontare la cosa a modo suo, cioè inaugurando una campagna per l'accettazione dell'omosessualità.

Quando l'aveva scoperto, Rocco gli aveva telefonato inorridito, soltanto per sentirsi rispondere: «Non appena i media lo scopriranno, scoppierà il finimondo. Il Campione della Lega Pokémon e l'erede della Devon SPA! Perciò, quando verranno a parlarmene, preferisco poter dimostrare di essere favorevole su tutta la linea.»

Non c'era stato verso di smuoverlo dalle sue idee, né assicurandogli che lui e il suo modello stavano attentissimi a evitare i paparazzi, né ricordandogli che vivevano ormai nel ventunesimo secolo. Rocco si era dovuto limitare a ricordargli l'esistenza delle lesbiche – perché lo preoccupava l'idea che suo padre le trascurasse nella sua campagna - e aveva riattaccato.

La campagna stava riscuotendo un discreto successo. Era un'idea ridicola, certo, ma malgrado il signor Petri sostenesse che era solo una strategia per ottenere l'approvazione mediatica, Rocco non poteva non sorriderne tra sé: in fin dei conti, quello era il modo di suo padre per accettarlo. Era un modo un po' strano, certo, e indubbiamente megalomane, ma era l'unico in cui suo padre fosse in grado di dirgli: Mi vai bene anche così. M'importa ancora di cosa pensa la gente, ma piuttosto che ferirti, piegherò l'opinione pubblica per te. Dopotutto, se Rocco voleva che suo padre lo amasse così com'era, coi suoi difetti e l'omosessualità e tutto il resto, era giusto che anche lui facesse lo stesso... megalomania compresa.

E poi i padri sono sempre un po' strani. Stiracchiandosi sul letto, Rocco si concesse di ripensare a quando il padre di Adriano si era rivolto a lui in cerca di aiuto.


Rocco era Campione ormai da tre anni e conosceva il Capopalestra di Ceneride, Elio*, piuttosto bene. Elio non era anziano, almeno non secondo i canoni di Rocco, ma coi suoi sessantacinque anni, non era neppure giovanissimo.

Sessantacinque anni, dopotutto, erano una buona età per andare in pensione, eppure c'era qualcosa che lasciava Elio inquieto e poco convinto: Rocco se n'era accorto già quando aveva letto il biglietto in cui gli chiedeva un appuntamento veloce per fare quattro chiacchiere. Già, decisamente doveva esserci sotto qualcosa, perciò, prevedendo una lunga chiacchierata, Rocco gli aveva offerto un caffè a casa sua.

«Allora, Elio» cominciò allegramente, sperando di stimolarlo a parlare, mentre gli serviva sul tavolino del salotto un paio di tazzine. «Pronto a goderti la pensione, eh?»

«Lo spero, Rocco» disse Elio con un sorriso incerto. Lo ringraziò per il caffè con un cenno del capo, ma non fece per prendere la tazzina: sembrava molto nervoso. Forse un decaffeinato sarebbe stata una scelta migliore, considerò Rocco osservandolo con un moto di preoccupazione. «A dire il vero, c'è qualcosa di cui vorrei parlarti, proprio circa la mia pensione.»

«Ti ascolto.»

Elio tamburellò un poco con le dita sul tavolo. «Ecco... tu sai che è tradizione lasciare la Palestra ai figli, se se ne hanno, al momento della pensione.»

«Oh» borbottò Rocco, sentendosi improvvisamente colpito. Non aveva mai sentito Elio parlare di figli, non aveva mai visto nessuno che gli somigliasse nella Palestra di Ceneride... Elio colse il lampo di dubbio che gli attraversò gli occhi e si affrettò a specificare: «Non credo che tu abbia mai conosciuto mio figlio Adriano.»

Dunque un figlio ce l'aveva. Rocco scosse il capo. «No, non ricordo di averlo mai visto. C'è qualche problema con lui, quindi? Non so, non gli piace allenare i Pokémon, oppure...»

«Al contrario, è un allenatore bravissimo» sospirò Elio. «Molto più bravo di me, per essere onesti. Il problema è un altro: ha già un altro lavoro, e non credo che vorrà lasciarlo.»

Ma quand'era così, non era poi un ostacolo insormontabile. Rocco gli sorrise: «Non è obbligato a lasciare del tutto il suo lavoro, conosco molti Capipalestra che si occupano anche di altro nel loro tempo libero. Sono sicuro che parlandogli...»

«È questo il punto» disse infine Elio, apparentemente sollevato dall'essere arrivato al dunque. «È per questo che sono venuto a parlarti, Rocco... sono davvero mortificato, ma ti spiacerebbe provare a parlargli tu? Io e lui non ci capiamo e ho pensato che... tra ragazzi, sai...»

Ah. Dunque era quello il motivo per cui Elio era venuto da lui: chiedergli di andare a parlare per suo conto a un ragazzino viziato e sconosciuto. Rocco si trattenne dallo sbuffare dall'esasperazione solo perché Elio lo stava letteralmente supplicando con gli occhi.

«D'accordo, va bene. Ma avrò bisogno di qualche informazione in più. Che lavoro fa, e soprattutto dove posso trovarlo?»

«Ecco... è complicato da spiegare.»

Cosa mai poteva esserci di complicato in un lavoro e in un indirizzo? Rocco seguì con viva perplessità i movimenti di Elio mentre si chinava lentamente e apriva la ventiquattrore che aveva portato con sé; solo allora, in effetti, egli si rese pienamente conto di quanto insolito fosse portare una valigetta per far visita a un amico. Tirandosi di nuovo su, Elio posò una rivista sul tavolo e la spinse verso di lui.

Rocco aggrottò la fronte senza capire. «Fa il giornalista?»

A quell'ipotesi, Elio accennò un sorriso triste e scosse la testa. «No, Rocco, non fa il giornalista. Guarda meglio.»

Sperando di trovare qualche altro indizio che lo conducesse sulla strada giusta, Rocco tornò a chinare lo sguardo sulla rivista, stavolta con più attenzione... e con stupore si rese conto che non era una rivista. Era un catalogo di moda. «Ah, il fotografo?» chiese di nuovo, sollevando meccanicamente la mano per sfogliare il catalogo.

Elio accennò di nuovo di no col capo. «La copertina, Rocco.»

La copertina...? Rocco la scrutò perplesso, senza capire: non aveva nulla di diverso da qualsiasi catalogo di moda che avesse mai visto, con un ragazzo snello dagli occhi azzurri che gli sorrideva ammiccante con addosso solo un paio di slip e... ah.

Rocco fissò Elio con sguardo sgomento, e ai suoi occhi increduli il Capopalestra rispose con stanca rassegnazione.


Se non fosse stato per Elio, chissà se avrebbe conosciuto Adriano e se tra di loro le cose sarebbero andate allo stesso modo. Rocco guardò la sveglia sul comodino: erano appena le sei del pomeriggio. Riprese il telefono e digitò una risposta veloce per Adriano: Mi faccio una doccia e arrivo. Rimango volentieri da te – bacio.

Certo, era difficile a volte trovare il tempo di vedersi, abitando così lontani e con impegni tanto diversi: Adriano si divideva tra la Palestra, le Gare Pokémon e i servizi fotografici, mentre lui doveva trascorrere molto tempo a Iridopoli, a completare noiose scartoffie... essere il Campione non era poi interessante come qualcuno avrebbe potuto pensare. Nei prossimi mesi avrebbero potuto lavorare su quell'aspetto, pensò oziosamente mentre si dirigeva in bagno... sull'accorciare le distanze, insomma.


Elio gli aveva dato l'indirizzo dello studio fotografico di Porto Alghepoli dove lavorava suo figlio. Rocco aveva rimandato, posticipato, offrendo a se stesso le scuse più assurde per non dover incontrare quel ragazzo che sembrava dannatamente sexy, ma alla fine, tre giorni dopo, ci era andato.

Essere il Campione aveva i suoi vantaggi, sotto certi punti di vista, e la signorina della reception l'aveva fatto entrare senza esitazione, quando le aveva detto che aveva bisogno di vedere il figlio del Capopalestra di Ceneride.

«Adriano è impegnato al momento» aveva cinguettato indicandogli una porta. «Ma tra una decina di minuti dovrebbe aver finito. Lo aspetti pure dentro, ma faccia piano» aveva concluso in tono di complicità, poggiandosi un dito sulle labbra.

In che guaio si era cacciato, solo per fare un favore a un amico. Rocco era entrato nello studio di soppiatto, sorridendo discretamente per l'imbarazzo.

La stanza era piena di fotografi, di luce e di gente: mantenendosi vicino alla porta, Rocco si guardava attorno cercando il suo obiettivo con lo sguardo... ma si rese ben presto conto che non c'era bisogno di cercarlo a lungo.

«Adriano, guarda un po' a destra, per favore! Abbiamo quasi finito.»

Oh, Helix. Se Rocco non l'avesse visto coi proprio occhi non avrebbe creduto mai che il figlio di Elio fosse proprio così... così... effeminato, esagerato, fuori dalle righe. Come altro poterlo definire? E non era perché era un modello di biancheria intima, o per il suo ridicolo taglio di capelli che comunque gli stava benissimo, o per il suo snello e tonico corpo candido e liscio perfettamente depilato... o forse era per tutte quelle cose insieme. Davvero Rocco non sarebbe riuscito a deciderlo in quel momento: si limitava a fissare senza parole, né a dire il vero troppi pensieri ben definiti, quel ragazzo sorridente, sensuale, seducente che ammiccava alla macchina fotografica con addosso nient'altro che un paio di slip...

«Mi scusi, signore, chi l'ha fatta entrare?»

Rocco chinò lo sguardo sul giovane assistente che gli aveva rivolto la parola a bassa voce e gli dedicò il suo sorriso più smagliante. Trovarsi in quel posto lo metteva tremendamente a disagio, ma che altro poteva fare se non mostrarsi calmo e sicuro di sé come tutti si aspettavano di vederlo?

«La signorina alla reception mi ha dato il permesso» mormorò tendendogli la mano. «Rocco Petri, molto piacere. Dovrei parlare col signor Adriano per conto di suo padre, se non disturbo troppo.»

«Oh.» Quell'assistente non doveva essere lì da molto, decise Rocco quando lo vide guardarsi attorno arrossendo, decisamente in difficoltà. «Beh, penso che vada bene. Non dovrebbe stare qui, ma Adriano ha quasi finito, perciò... lo avvertirò che lo sta aspettando» concluse in fretta prima di allontanarsi quasi senza guardarlo, e Rocco si sentì quasi in colpa perché, decisamente, non era sua abitudine mettere a disagio la gente. E poi, a disagio perché?

Si dedicò distrattamente a osservare il servizio fotografico. Così era quello il lavoro di Adriano: decisamente avrebbe potuto portarlo avanti anche facendo il Capopalestra senza troppi problemi, se farsi vedere da tutto il mondo in mutande gli piaceva proprio tanto.

Finalmente il servizio finì: Rocco vide che Adriano si rilassava all'improvviso, ma senza smettere di sorridere, e il giovane assistente con cui aveva parlato un attimo prima che si avvicinava per porgergli un accappatoio e gli mormorava qualche parola all'orecchio. Si sentì imbarazzato all'improvviso quando Adriano sollevò lo sguardo su di lui: Helix, perché sono qui? Gli rivolse un nervoso cenno di saluto con la mano, maledicendo mentalmente suo padre, la carica di Campione e tutti gli studi fotografici del mondo.

Adriano ringraziò gentilmente l'assistente e s'infilò l'accappatoio, muovendosi verso di lui: persino la sua camminata aveva qualcosa di disperatamente provocante, e i suoi occhi erano fissi nei suoi come quelli di un predatore. Rocco si scoprì fastidiosamente imbarazzato.

«Rocco» cominciò fermandosi davanti a lui. «Finalmente ho l'occasione di conoscerla. La manda mio padre?»

«Io, ecco... piacere di conoscerla, Adriano.» L'abbondante porzione di pelle che l'accappatoio semiaperto lasciava scoperta, così candida, abbacinante, indecente, era semplicemente perturbante, per qualche strano motivo. Rocco si sforzò di non guardare il petto di Adriano e cercò invece di concentrarsi sui suoi occhi, salvo poi scoprire dopo un istante che quella scelta non gli era d'aiuto in alcun modo: i suoi occhi erano di quell'ipnotico azzurro-verde delle acque limpide poco profonde, sulle cui increspature riluceva il sole. Si affrettò a porgergli ansiosamente la mano. «Posso chiamarla così?»

«Ma certo, e io posso chiamarla Rocco, non è vero? È davvero un nome... intrigante.»

Intrigante, già. Neppure un cieco avrebbe potuto ignorare lo sguardo malizioso che Adriano gli gettò per accompagnare queste parole, e Rocco non era cieco né tantomeno stupido. Quello sguardo lo sprofondò nell'imbarazzo più totale: ritirò seccamente la mano, cacciandola in tasca, e si strinse nelle spalle quasi a voler minimizzare l'indecente vicinanza dei loro corpi.

«Sono qui su richiesta di suo padre, sì» riprese bruscamente distogliendo lo sguardo. «Avrebbe qualche minuto da dedicarmi?»

«Ma certo, Rocco» rispose Adriano sorridendo. Persino il suo solo sguardo lo metteva in difficoltà: era malizioso, provocante... Gli fece cenno di seguirlo. «Venga, andiamo nel mio camerino.»

Una parte della sua mente gli stava dicendo che no, assolutamente non doveva seguire quel ragazzo che lo stava divorando con gli occhi, che era una pessima idea... ma subito dopo un'altra parte di lui, una parte razionale e logica, gli disse severamente: Hai paura che ti violenti? Perciò, dopo una silenziosa quanto breve lotta intestina, Rocco annuì e seguì Adriano in un'altra piccola stanza.

Era esattamente come ci si aspettava che un camerino fosse: Rocco rimase nervosamente in piedi davanti alla porta chiusa come accanto alla sua unica via di fuga, anche dopo che Adriano lo ebbe invitato a sedere su una poltroncina. Lo ringraziò con un cenno. «Non importa, grazie... la tratterrò solo un minuto.»

«Come preferisce. Allora... di cosa esattamente voleva parlarmi?»

Non guardargli il petto. Con un incredibile sforzo di volontà Rocco riuscì a controllarsi abbastanza da fissarlo negli occhi... anche se questo continuava a non farlo sentire molto più a suo agio.

«Suo padre mi ha chiesto solo di parlare un po' con lei della faccenda della Palestra. Gli farebbe molto piacere lasciarla a lei, dopo la pensione.»

«Questo lo so» ammise Adriano annuendo gentilmente. Gli sorrideva ancora, adesso in modo un po' meno provocante e un poco più accogliente, e il suo sorriso rischiò di deconcentrarlo per un attimo: accorgendosene appena in tempo, Rocco si riscosse a fatica e proseguì:

«Suo padre mi ha detto che questo lavoro le piace molto, e... beh, mi sembra che sia molto bravo, in effetti. Per quel poco che me ne intendo, cioè. Volevo assicurarle che non sarebbe un problema e che potrebbe portarlo avanti anche come Capopalestra.»

«Ah, davvero? Lei crede? Questo è molto interessante.»

A questo punto, senza alcun preavviso, Adriano gli diede le spalle e si sfilò l'accappatoio. Lo fece letteralmente: Rocco si sentì cogliere così alla sprovvista da sobbalzare. Adriano scoppiò a ridere, ma senza cattiveria.

«La metto a disagio, Rocco? Se preferisce, posso rivestirmi.»

«Ma no, io... la prego, faccia pure come se io non ci fossi» balbettò Rocco guardando disperatamente ovunque nella stanza, fuori che verso il corpo candido e invitante del ragazzo che gli stava di fronte. Adriano stava flirtando con lui in modo semplicemente vergognoso, ma lui era comunque un adulto. Non avrebbe dovuto sentirsi così turbato. No?

«La ringrazio. Non le dispiace se faccio una doccia veloce, vero? Sa, il trucco, l'olio... non ha idea di quanto siano fastidiosi. Possiamo comunque continuare a parlare nel frattempo.»

Alla sua sinistra c'era un piccolo bagno che doveva contenere la cabina della doccia. Sarebbe stato incredibilmente più facile parlare senza poter vedere Adriano e le sue oscene grazie: Rocco annuì quasi con riconoscenza. «Ma certo, non ci sono problemi.»

A quel punto, senza smettere di dargli le spalle, Adriano si tolse gli slip, e Rocco avrebbe potuto giurare di aver sentito un piccolo arresto cardiaco.

Adriano continuò a parlare con la massima naturalezza mentre recuperava il suo accappatoio. «Grazie, Rocco. Dopotutto non s'imbarazzerà certo per così poco, no? Ho sempre immaginato che lei sia etero, giusto?»

Rocco si sentiva la testa stranamente leggera e... qualche altro problema da un'altra parte. Helix, che imbarazzo. Si volse discretamente di un quarto di giro rispetto ad Adriano, sia per calmarsi che per evitare che potesse vedere un primo accenno di qualcosa di molto imbarazzante, maledicendolo in tutte le lingue del mondo, e prima che la sua mente facesse in tempo a frenare la sua bocca, sbottò: «Ma lei non lo è!»

Adriano si era fermato alle sue spalle e lo stava fissando: Rocco sentiva il suo sguardo sulla schiena e avrebbe potuto giurare che stesse sorridendo.

«Ha indovinato: non lo sono» ribatté divertito. «Ma eviterò di metterla ancora in imbarazzo, Rocco. Venga pure, la prego.»

Un minuto dopo, quando Adriano fu svanito dietro il vetro smerigliato di un box doccia, Rocco si sentì infinitamente sollevato. Non era gay, o almeno immaginava di non esserlo, o quantomeno non ci aveva mai pensato, ma quel ragazzo lo... infastidiva, ecco. Senza vederlo riusciva a parlare molto meglio. L'acqua scrosciava piano a poca distanza da lui, dove non riusciva a vederla, ed egli si concentrò su quel suono e su quel fruscio.

«Le stavo solo dicendo che potrebbe continuare a fare il modello anche gestendo la Palestra, è solo una questione di organizzazione. Non sarebbe disposto a ripensarci?»

«Le dirò, Rocco... queste condizioni mi soddisferebbero molto, ma a dire il vero ho anche un altro hobby oltre al lavoro. Forse mio padre non gliene ha parlato, ma io sono anche un coordinatore.»

Effettivamente questa giustizia gli giungeva alquanto nuova. «Non mi ha detto niente.»

«Me l'aspettavo, sa. Che io sia un coordinatore gli fa piacere, tutto sommato, ma che io sia un modello... beh, asciamo stare. Forse lei non capirà, Rocco, ma io amo questo lavoro.»

«Al contrario, la capisco, invece. Anch'io ho degli hobby a cui non vorrei rinunciare, neppure per essere Campione.»

«Davvero? Potrei chiederle quali?»

«Beh... colleziono pietre rare.»

Vi fu un attimo di silenzio.

«Non è proprio la stessa cosa» disse Adriano ridendo, e Rocco non seppe bene se sentirsi profondamente insultato. Era un'implicita offesa alla sua collezione, quella?

All'improvviso l'acqua cessò di scorrere: possibile che Adriano avesse già finito? Per un attimo lo attraversò il dubbio che fosse stata tutta una farsa per metterlo in imbarazzo e per denudarsi davanti a lui... ma no. Certo che no. Nessuno si sarebbe spinto tanto oltre solo per il gusto di flirtare un po'.

Oppure sì?

«Suppongo di doverla avvertire che sto uscendo, così che possa voltarsi. Mi sembra un ragazzo piuttosto timido, sa, Rocco?»

Imponendosi d'ignorare le sue frecciatine, Rocco diede le spalle ala doccia e ringhiò un ringraziamento. Sentì che dietro di lui Adriano usciva e si copriva almeno in parte e si sforzò di non pensare alla vicinanza della sua pelle umida.

«Sa, Rocco, questo lavoro è una delle poche cose in cui sia bravo. Mi dà un'incredibile soddisfazione.»

«Suo padre mi ha detto che è bravo anche con i Pokémon» borbottò Rocco gettandogli un'occhiata cauta. Per fortuna Adriano era ora rivestito del suo accappatoio e si frizionava i capelli con un asciugamano, chinandosi sullo specchio. Gli sorrise.

«Questo è piuttosto vero.»

E allora dove diamine era il problema?

«La ringrazio molto per il suo tempo, Adriano» concluse seccamente Rocco avanzando verso di lui con la mano tesa: non ne poteva più della sua vicinanza. Si sentiva tremendamente a disagio. Aveva fatto ciò per cui era venuto, e ora Elio poteva ritenersi soddisfatto. «Spero che rifletterà su ciò che le ho detto e non getti via la sua occasione.»

«Ma come, se ne va già?»

«Non vorrei disturbarla oltre» ribatté Rocco inesorabilmente, continuando a porgergli la mano. Adriano la strinse appena con la punta delle dita, ma non accennò a lasciarla andare, e Rocco ebbe l'impressione che la sua pelle umida fosse bollente.

«Lei non disturba affatto, Rocco, e spero di non avergliene dato l'impressione. Spero che non se la sia presa perché mi sono permesso di... flirtare un po' con lei.» Ignorando i suoi discreti tentativi di divincolare la mano dalla sua, Adriano gli rivolse un sorriso dolcissimo. «A dire il vero, avrei voluto chiederle qualche informazione in più. Non potrei invitarla a cena?»


Come al solito, Adriano era in ritardo. Rocco aveva ormai smesso di stupirsene: stare con una primadonna come lui aveva i suoi svantaggi, e i tempi biblici per prepararsi rientravano tra questi. Ma Adriano era fatto così, era vanitoso, eccentrico e ritardatario, e Rocco ci aveva fatto l'abitudine.

Specialmente al lato dell'eccentricità. Forse vi era stato un tempo, all'inizio della loro relazione, in cui avrebbe sgranato gli occhi al vederselo apparire davanti con un boa di piume, ma se quel tempo vi era stato, ormai era finito da un pezzo. Tutto ciò che invece fece quella sera, alzandosi dalla panchina in riva al mare dove lo stava aspettando, fu afferrare la sua mano e stringerla. «Mi sei mancato, sai?»

Adriano sorrise tra sé. «Certo che lo so. Non ci vediamo da domenica.»

Vedersi solo i fine-settimana manteneva viva la passione, certo, ma Rocco dubitava che si sarebbe un granché affievolita se fossero stati insieme un po' più spesso... perché Adriano, durante i giorni feriali, gli mancava e anche tanto. Si concesse di guardarlo in silenzio per un po' e Adriano gli accarezzò distrattamente i capelli.

«La campagna di tuo padre è patetica, amore. Glielo hai detto?»

«Già, ma non ha voluto ascoltarmi.» Rocco sedette di nuovo attirandolo a sé e scosse la testa. «È fatto così. Deve esagerare in tutto ciò che fa, ma credo che sia il suo modo per dimostrarmi che mi vuole bene.»

«Un modo molto esplicito» constatò Adriano ridendo. «Comunque, che cosa ti va di fare? Cena fuori, cinema, bowling... o casa mia?» Dal tono in cui pronunciò l'ultima proposta parve anche troppo evidente quale fosse la sua preferita. Il suo ragazzo era sempre molto entusiasta, e discretamente fantasioso, da quel punto di vista, e Rocco avrebbe dovuto essere un terribile bugiardo per fingere che questo gli dispiacesse.

«Casa tua va bene» rispose stringendogli la mano. Aveva avuto una settimana tanto stressante che, in quel momento, perdersi e ritrovarsi tra le braccia di Adriano gli sembrava una prospettiva paradisiaca. «Ma aspetta un attimo... prima devo chiederti una cosa.»

Ci stava pensando ormai ininterrottamente da quando aveva parlato con suo padre e ormai, si disse per l'ennesima volta davanti al suo sguardo rassicurante, era il momento giusto. Guardandolo con stupore e forse un senso lieve di ansia, Adriano gli fece cenno di parlare.

«Nulla di preoccupante, amore, solo... mi domandavo se ti farebbe piacere conoscere mio padre.»

La pallida pietra di Ceneride rosseggiava infuocata sotto il tramonto; sotto di loro, sullo specchio d'acqua fulgida e trasparente che si apriva come una voragine, il sole ardeva come una sfera increspata d'oro. In quell'atmosfera di sogno, Adriano scoppiò a ridere.

«Amore, sei impazzito?»

Di tutte le reazioni al mondo che si era immaginato, quella era proprio l'ultima.

«Cosa c'è di strano?» protestò. «Stiamo insieme da quasi un anno. Non ti va di ufficializzare la cosa?»

«Non è questo, Rocco, ma... tuo padre avrà un infarto quando mi vedrà. Sei sicuro di essere pronto a ereditare la Devon?»

Di fronte ai suoi occhi che vibravano ancora della risata che la sua bocca tratteneva, Rocco si accigliò per un istante. «Perché pensi che avrà un infarto?»

«Perché non credo si aspetti proprio me» lo rimbeccò Adriano avvolgendogli il boa attorno al collo. «Tuo padre mi sembra un tipo un po'... non so come dire. Serioso?»

«Preferisci di no, allora?» chiese Rocco a bassa voce. Non voleva farglielo pesare, eppure non poteva negare di sentirsi un po' deluso da quella risposta. Aveva sperato che anche Adriano, come lui, avrebbe voluto cominciare a rendere ufficiale la loro storia; ma un istante dopo la presa del boa di piume attorno al suo collo si strinse un po' di più ed egli si sentì attratto verso il petto di Adriano.

«Non ho detto questo» lo rimproverò dolcemente. «Penso solo che sia una pessima idea... ma se sei proprio sicuro che non avrò tuo padre sulla coscienza, verrò. Gli uomini d'affari mi hanno sempre tremendamente affascinato.»

Rocco si sentì terribilmente diviso tra la tentazione di prenderlo a schiaffi e quella di baciarlo... nel dubbio si guardò attorno. Erano sulla terrazza più alta di tutta Ceneride: attorno a loro tutto era deserto. Non c'era nessuno che potesse vederli, perciò, senza un attimo d'esitazione, egli si mosse rapidamente sulla panchina e sedette a cavalcioni delle sue cosce. Adriano rimase tanto spiazzato dal suo gesto da ridere di nuovo.

«Che fai ora? Mi violenti?»

«Non sarebbe una cattiva idea.» Per il momento Rocco si accontentò di baciarlo molto a lungo, in modo forse un po' più passionale e vendicativo del solito, e Adriano si limitò per parte sua a ricambiare in modo decisamente consenziente. Beh, poteva perdonarlo... per quella volta.

Fu Adriano ad allontanarlo, quando ormai il bisogno d'aria stava facendosi terribilmente impellente per entrambi, e gli gettò un'occhiata compiaciuta. «Sarà meglio andare a casa, Rocco.»

Forse non era una pessima idea. Seppur a malincuore Rocco si alzò e gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. Intrapresero lentamente la discesa ripida verso il centro abitato del cratere.

«Suppongo che dovrò lasciare a casa questo, quando andremo da tuo padre» gli disse scherzosamente Adriano gettandogli di nuovo il boa attorno al collo, mentre camminavano. Rocco se ne disimpegnò ridendo prima di rischiare d'inciampare.

«Portalo, invece. Voglio che tu a mio padre piaccia così come sei.»

Forse era una di quelle cose che a dirle suonavano meglio di quanto facessero nella sua mente. A Rocco non sembrava di aver detto decisamente nulla di che, e a dire il vero non ne aveva neppure l'intenzione, eppure lo sguardo di Adriano, quando incrociò i suoi occhi, gli parve per un momento farsi più luminoso.

«Non ti ho chiesto come mai tutta questa fretta, comunque. In una settimana hai detto a tuo padre che sei omosessuale e ora vuoi farci conoscere... va tutto bene, caro?»

Soffermandosi sulla discesa rosseggiante di sole, Rocco esitò un istante. Era il momento giusto per chiederglielo? Aveva pensato a una romantica cena al ristorante, a una serata sotto le stelle, a... eppure decise di non poter più aspettare.

«È solo che volevo chiederti di venire a vivere con me» rispose sinceramente.


Rocco aveva accettato la cena solo perché a Elio avrebbe fatto piacere, e in questo modo non avrebbe potuto accusarsi d'aver lasciato nulla d'intentato. E si trattava, beninteso, di una cena d'affari, nulla di più.

A dire il vero avrebbe preferito un pranzo, potendo scegliere: più professionalità e meno rischi di fraintendimenti. Ma si trovavano entrambi a Porto Alghepoli quella sera, e non avrebbe avuto senso rimandare: ragion per cui, dopo aver atteso Adriano per circa quarantacinque minuti fuori del suo camerino – perché decisamente non ci teneva a vedere di nuovo le sue nudità e a rischiare le, uhm, conseguenze fisiche – se lo era visto arrivare davanti vestito, e neppure in modo imbarazzante, per la verità, con un paio di attillati jeans neri che fasciavano il suo sedere in modo quasi illegale e una camicia azzurra che riprendeva i suoi occhi. Anche da vestito era bello come un demonio, e per un istante lo aveva fronteggiato con aria di provocazione.

«Come sto?»

«Benissimo» aveva balbettato Rocco imbarazzato come non mai.

Per grazia divina, il ristorante dove l'aveva portato Adriano non aveva nulla di romantico o elegante: in qualche modo questo lo tranquillizzò un poco. Forse sarebbe stata davvero una semplice cena per parlare della Palestra, al termine della quale Rocco avrebbe potuto tornarsene a casa sua a Verdeazzupoli, dire a Elio che aveva mantenuto la parola e mettersi a sistemare quel pacco di pietre provenienti dal Monte Argento che si era fatto inviare da Johto... dimenticando così Adriano e il suo sedere. Perché era questo che voleva. No?

Ma per le due ore seguenti la Palestra di Ceneride giacque infelicemente nel dimenticatoio, da qualche parte molto lontano dal tavolo, e di certo Elio, se fosse stato lì, non avrebbe visti particolarmente difesi i propri interessi. Adriano non era poi irritante come sembrava all'inizio, anche se era tutte le altre cose che sembrava; malizioso, provocante, egocentrico e tutto il resto. Ma a quanto pareva era anche altro, ed era questa la cosa che Rocco, forse superficialmente, non s'era aspettato. Amava i suoi Pokémon di tutto l'amore del mondo, e gliene mostrò delle foto e gli descrisse nel dettaglio tutte le loro abitudini, e pretese di sapere dei suoi. Era un grande appassionato dei miti più antichi di Ceneride e di Hoenn, a quanto pareva, e Rocco si sorprese di scoprire che ne sapeva anche più di lui sotto certi aspetti. Gli piaceva la filosofia, anche, e gli sarebbe piaciuto iscriversi all'Università, se solo il lavoro e tutto il resto gliene avessero lasciato il tempo...

Rocco si rese conto dell'orario solo quando il cameriere venne a chieder loro, in tono di lieve insistenza, quasi a suggerire la risposta giusta, se volessero il conto. Sollevando lo sguardo su di lui come riemergendo da un sogno, Rocco realizzò con stupore che erano rimasti gli unici due clienti in tutto il ristorante. Si affrettò ad accettare il conto, mentre dall'altra parte del tavolo Adriano lo guardava con aria di simulato rimorso, mordendosi appena le labbra. «Ops. Abbiamo fatto tardi?»

«Già» ammise Rocco, ma senza sentirsi troppo dispiaciuto. «E non le ho neppure detto niente della Palestra... suo padre avrebbe ragione ad arrabbiarsi con me.»

«Non dobbiamo dirglielo per forza» lo rimbeccò Adriano sorridendo appena. «E poi, se posso essere sincero, non sono affatto dispiaciuto, Rocco. Questo la obbligherà a tornare a cena ancora una volta con me se non vuole far torto a mio padre, no?»

Rocco non aveva bevuto sufficiente vino da non riconoscere i suoi plateali tentativi di flirtare con lui, ma tutto ciò che disse fu: «Perché no?»

Cenarono di nuovo assieme il giorno seguente, a Ceneride, in un ristorante di pesce dal vino eccellente e dall'atmosfera deliziosa, e poi ancora quel sabato, dopo una tranquilla serata a teatro. La domenica si lasciarono prima di cena, dopo aver trascorso tutta la giornata a passeggiare con calma tra i negozi di Ciclamipoli.

Dopodiché i loro appuntamenti si fecero troppo frequenti per continuare a tenerne il conto, e a ogni incontro la sua parte razionale e incerta e prudente si faceva sempre più silenziosa, finché Rocco non la mise autorevolmente a tacere pensando che, tutto sommato, non gliene importava niente. Perciò una sera, un po' timidamente perché quella era la prima volta ch'egli baciava un ragazzo e perché Adriano ancora gli pareva un po' troppo bello per lui, Rocco lo baciò sulla spiaggia di Ceneride, nel biancore accecante della città, ed era un bacio caldo e rassicurante come mai egli ne aveva ricevuti dalle labbra di una ragazza.

Quella notte, dopo essersi addormentato in un intrico di membra allacciate, del sonno più dolce che ricordasse di aver goduto negli ultimi anni, Rocco si sentì svegliare da un paio di dita che gli accarezzavano la guancia. Aprì pigramente un occhio, cercando istintivamente il volto di Adriano nel buio, ma tutto ciò che riuscì a distinguere furono le parole.

«Come stai?»

«Mmm... bene.» Rocco cercò di attirarlo maggiormente a sé tra le lenzuola sfatte, e decisamente Adriano non parve opporre particolare resistenza: il suo corpo snello aderì maggiormente al suo sotto le lenzuola. «E tu?»

«Molto bene.» Adriano posò un bacio da qualche parte vicino al suo orecchio. «Senti, Rocco... volevo dirti che ho preso una decisione.»

Forse sarebbe stato poco romantico fargli notare che le tre del mattino erano un orario improponibile per prendere decisioni. Rocco mugolò qualcosa che, nelle sue intenzioni, doveva suonare più o meno come un “ti ascolto”, affondando il volto nel suo petto nudo. Adriano tacque per qualche istante, intrecciando le dita tra i suoi capelli argentei. Dal modo in cui il suo cuore accelerò un poco contro la sua fronte, Rocco intuì che doveva trattarsi di qualcosa d'importante, sebbene egli si sentisse in quel momento davvero troppo felicemente stanco e rilassato per prestarvi attenzione.

«Accetterò la Palestra di mio padre, se questo mi permetterà di starti più vicino.»

Persino dal delizioso stato di torpore nel quale si trovava, Rocco si sentì profondamente intenerito a queste parole. Sollevò il capo per affondare un sonnolento bacio nell'incavo del suo collo.

«Amore... non potresti dirmi che mi ami come tutti i comuni mortali?»

Sotto le sue labbra il collo di Adriano vibrò di una risata. «Ma io non sono per niente comune, lo sai. E poi aspettavo che me lo dicessi tu per primo.»

Quello sembrava proprio il momento adatto per dire qualcosa di dolce.

«Ti amo, cretino. E ora dormi» borbottò Rocco avvinghiandosi letteralmente a lui in modo molto poco adulto.

Non era stata esattamente la dichiarazione d'amore più romantica della storia, ma Rocco se ne rese conto solo il giorno dopo, quando Adriano, per vendetta, fece bruciare il caffè.

Il caffè faceva schifo ma era pieno di zucchero, e Rocco, tutto sommato, non ricordava di aver mai fatto una colazione migliore.


Quando telefonò a suo padre per chiedergli se volesse conoscere il suo ragazzo, Rocco dovette sorbirsi un'insopportabile ramanzina sul fatto che gli aveva tenuta segreta una relazione tanto importante da presentare un ragazzo in casa fingendo che si trattasse di una cosa di poco conto. «Volevo essere sicuro prima di presentartelo» fu la sua linea di difesa, che suo padre smontò piuttosto rapidamente sentenziando: «Se vi frequentate da un anno, suppongo che tu ne sia già certo.» Il che naturalmente era vero, ma Rocco aveva sperato che suo padre non si perdesse in simili cavilli e apprezzasse la sua buona volontà.

Per sua fortuna, la curiosità prese presto il sopravvento su suo padre: cercando di addolcirlo, Rocco gli accennò che probabilmente conosceva già, almeno di vista, il suo ragazzo.

«Beh, se è un modello, suppongo di averlo visto in qualche pubblicità.»

«È possibile, ma... vedi, ha anche un altro lavoro, oltre a quello.» Adriano non aveva smesso di posare, ovviamente, anche se i servizi si erano un poco diradati; aveva scoperto che, tutto sommato, anche la Palestra gli piaceva molto. Dopo aver giocherellato per qualche istante col filo del telefono, Rocco si decise infine a dirgli: «Penso che tu sappia chi è, papà. È Adriano, il Capopalestra di Ceneride.»

Dall'altra parte della cornetta ci fu un lungo silenzio: Rocco non riusciva ad avvertire neppure il più flebile crepitio di energia statica che gli indicasse che suo padre respirasse ancora. Si domandò ansiosamente se non fosse il caso di riattaccare e telefonare in fretta al suo segretario per avvertirlo che suo padre stava avendo un ictus.

«Oh» disse finalmente suo padre ponendo fine ai suoi dubbi. «Quello. Quel ragazzo che si veste sempre in modo strano, giusto?»

«Sì» rispose Rocco, prima di sentirsi in dovere di specificare: «È il suo stile, sai.»

«Ah, certo.» Suo padre emise un lungo sospiro che costrinse Rocco ad allontanare la cornetta dall'orecchio. «Beh, figliolo, suppongo che sia inutile ripetere che quando ti ho chiamato Rocco...»

«Lo so, papà» lo interruppe Rocco gentilmente. Si sporse un poco sulla sedia per gettare uno sguardo alla sua camera, dove Adriano, seduto sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini, le lenzuola drappeggiate attorno ai fianchi magri, stava consultando gli annunci immobiliari sul giornale con gli occhiali sul naso (Rocco aveva impiegato un po' di tempo ad abituarsi a vederlo con gli occhiali. Per la verità gli stavano deliziosamente, ma li portava solo per leggere in privato). «Lo so che non ti aspettavi questo, ma Adriano è ciò che voglio io.»

A questo punto suo padre gli pose la domanda che Rocco meno si sarebbe atteso da lui, per quanto, probabilmente, fosse la domanda più sensata di tutta quella storia. «Questo ragazzo ti rende felice, Rocco?»

«Sì, papà» rispose a bassa voce. Avrebbe voluto ampliare quella risposta in modo intenso e significativo, ma tutto ciò che trovò da dire fu: «Più di una roccia, non so se mi spiego.»

«Capisco» fu la risposta. Vi fu un nuovo sospiro; quando suo padre riprese, Rocco avrebbe potuto giurare che si stesse sforzando di sorridere al di là della cornetta. «Va bene così, Rocco: se sei felice tu lo sono anche io. Senti... potreste venire a cena questo sabato e fermarvi a dormire qui, per non tornare tardi. Farò areare la tua vecchia camera. Che ne dici?»

«Sarebbe fantastico, papà. Sabato è perfetto.»

Forse, in fin dei conti, suo padre sarebbe sopravvissuto almeno fino a sabato, quando gli avrebbero dato la notizia della convivenza. Rocco lo salutò e si trascinò ancora in pigiama fino al suo letto, dove si distese trasversalmente poggiando la testa sulle ginocchia di Adriano.

«Com'è andata?» s'informò pragmaticamente quegli senza levare gli occhi dal giornale, ma posandogli quasi casualmente una mano tra i capelli.

«Bene, suppongo.» Rocco si stiracchiò pigramente. «Ci ha invitati a cena per questo sabato e a fermarci a dormire da lui e ha detto che è felice per me.»

A questa notizia, Adriano depose da una parte il giornale e si tolse gli occhiali da lettura. «Felice per te? Ma ha capito chi sono... glielo hai detto bene il mio nome?»

Per tutta risposta Rocco gli morse scherzosamente un ginocchio da sopra le lenzuola. «Certo che sa chi sei, scemo. Si sta adattando all'idea.»

«Oh beh... meglio così. Te l'ho detto, non voglio che tuo padre abbia un infarto per colpa mia.» Detto questo, Adriano riprese in mano il giornale e tornò a immergersi nella pagina degli annunci. «È molto gentile a volerci ospitare. L'hai ringraziato anche da parte mia?»

«Sì, ma... bisogna che ti avverta prima. Mio padre è un uomo molto religioso e... un po' bigotto. Penso che avrebbe un infarto se sapesse che dormiamo insieme.»

Questo era così insolito che Adriano tornò ad abbassare il giornale, si sistemò gli occhiali sul naso e rimase a fissarlo sovrappensiero per un po'. «Vuoi dire che ha accettato che tu stia con un ragazzo, ma non che tu ci dorma insieme... a venticinque anni? Gli hai detto in che anno siamo?»

«Mi dispiace» ammise Rocco. «È fatto così... sostiene di aver dormito per la prima volta con mia madre la prima notte di nozze. Se questo ti dà fastidio possiamo sempre lasciar perdere...»

«Nessuno arriva più vergine al matrimonio da un secolo, e tuo padre ti ha raccontato una gran balla perché non è così vecchio» replicò saggiamente Adriano con l'aria di star pronunciando una gran massima, per poi rimettersi a sfogliare serenamente il giornale. «Comunque non essere sciocco, tesoro, è solo per una notte. Ma come farà a tenerci divisi? Dormirai in camera con lui?»

Rocco gli morse la coscia attraverso le lenzuola. «Certo che no! Si fida di me. Suppongo che metterà un altro letto nella mia camera.»

«Ottimo. In tal caso, tu farai il cavaliere e io mi prendo il letto migliore» fu la sua flemmatica conclusione. Dopodiché, considerando evidentemente chiusa la questione, gli spinse il giornale in faccia e chiese allegramente: «Cosa ne pensi di un quattro vani, amore?»


Contro ogni aspettativa la cena fu un successo. Sul fatto che dovesse essere una tranquilla e intima cena in casa suo padre era stato inflessibile, rifiutando in ogni modo anche solo la prospettiva di un ristorante: a sentir lui, cenare fuori sarebbe equivalso a dare alla serata un tono troppo formale e a escludere Adriano dalla loro famiglia. A nulla era valso ricordargli che erano ormai nel ventunesimo secolo e che nessuno ragionava più in quel modo: a quanto pareva, la versione del signor Petri che voleva a tutti i costi mostrarsi inclusivo e tollerante nei confronti dell'omosessualità di suo figlio era ancora più terrificante, e inamovibile, di quella che avrebbe a tutti i costi voluto fingere che nulla di tutto ciò stesse succedendo.

Ma anche volendo, durante la cena Rocco non sarebbe riuscito a trovare la benché minima obiezione da muovere al padre: fu un padrone di casa eccellente, almeno dopo che ebbe ricominciato a respirare dopo una decina di secondi di apnea, e soprattutto non fece commenti e si limitò a tirare fuori imbarazzanti aneddoti relativi alla sua infanzia. Nella sua mente era precisamente così che doveva andare una cena del genere, ed egli riuscì persino a trarre un sospiro di sollievo.

Forse fu la straordinaria capacità di Adriano di affascinare chiunque, o forse fu semplicemente una straordinaria manifestazione di bontà da parte dell'Helix, quella sera: Rocco non avrebbe saputo dire perché, ma per qualche motivo a un certo punto suo padre gli gettò al di sopra di un calice di vino un'occhiata compiaciuta. Rocco si sentì mancare l'aria: Adriano gli piaceva!

Naturalmente, come nelle migliori commedie romantiche all'americana che davano in televisione la sera, il momento cruciale arrivò assieme al dolce, quando Adriano gli strinse delicatamente il ginocchio sotto il tavolo, ricordandogli il motivo fondamentale per cui erano venuti fin lì. Rocco si schiarì la voce un paio di volte, augurandosi vagamente di morire soffocato nel tentativo.

«Papà, senti... io e Adriano dobbiamo dirti una cosa.»

Suo padre volse lo sguardo su di lui in un improvviso moto di tensione: nulla di sorprendente, visto che l'ultima volta che Rocco aveva iniziato un discorso così, era stato per rivelargli la sua omosessualità. Come minimo, probabilmente adesso si aspettava qualcosa come la sifilide.

«Sai, io e Adriano abitiamo lontani, per noi è molto faticoso vederci... perciò stavamo pensando di cercare casa insieme.»

Stavolta ha un infarto. Quella era la volta buona, Rocco se lo sentiva, nessuno avrebbe potuto sopportare due notizie del genere in una settimana, non un uomo come suo padre, che aveva scelto il suo nome in base alla virilità che esso gli evocava: avvicinò nervosamente le dita al telefono che aveva in tasca per tenersi pronto a telefonare al pronto soccorso.

Lo sguardo di suo padre, inizialmente, si mantenne impenetrabile e vitreo, quasi che non avesse neppure udito le sue parole – o avesse davvero un principio di ictus. Poi, lentamente, aprì la bocca, gli gettò uno sguardo implorante, la richiuse e guardò il piatto in silenzio.

«Beh... è una notizia... inaspettata» iniziò.

«Spero che lei non pensi che sia troppo presto» intervenne diplomaticamente Adriano. «Il suo parere conta molto per noi, specialmente per Rocco.» Rocco lo guardò con riconoscenza: come riusciva a essere così schifosamente convincente?

Anche suo padre parve parzialmente risollevato a queste parole: guardò Adriano come se lo vedesse per la prima volta e si volse poi verso Rocco, come a cercare da lui una conferma. Sentendosi direttamente chiamato in causa, Rocco non poté fare altro che balbettare: «Io... vorrei sapere cosa ne pensi, papà.»

Prima di dare finalmente la sua risposta, suo padre si voltò rapidamente a gettare un'occhiata di conforto all'icona sacra appesa al muro alle sue spalle, dopodiché, con un profondo sospiro, tornò a guardarli con un sorriso un po' forzato e batté le mani con decisione.

«Beh! Se siete contenti voi, io sono d'accordo» disse con un po' troppa allegria. «Anzi, per dimostrarvi che sono pienamente favorevole, vi regalerò una casa. Che ne dite?»

Non era possibile, era assurdo, doveva essere il primo sintomo dell'ictus. Rocco rimase letteralmente a bocca aperta, incredulo, e la mano di Adriano perse la presa sul suo ginocchio.

«Papà!» esclamò semplicemente, incapace di formulare alcunché di più articolato.

«Signor Petri, è troppo!» protestò educatamente Adriano. «Una casa è troppo... sarebbe troppo persino per un matrimonio!»

A questo punto fece eco una domanda tanto naturale, spontanea e innocente da sprofondare entrambi nel panico: «Perché? Non avete intenzione di sposarvi?»

Ora l'infarto stava per venire a lui. Rocco cercò in aiuto lo sguardo di Adriano, ma era smarrito e sconvolto come doveva essere il suo, e formulò dentro di sé un breve pensiero religioso, nel caso di un'intempestiva perdita di coscienza.

Dall'altra parte del tavolo, suo padre aveva osservato in silenzio la loro confusione e il loro scambio di sguardi e piuttosto rapidamente, come in un incontro di affari, aveva tratto le sue conclusioni. Trasse un respiro profondo.

«Rocco» incominciò lentamente, con una tale fissità di sguardo da non far presagire nulla di buono. «Vuoi dire che stavi parlando di convivere senza essere sposati

Ma prima ancora che Rocco facesse in tempo a fargli notare che erano nel ventunesimo secolo, o che nessuno arrivava davvero ancora vergine al matrimonio, o tutta una serie di importanti nozioni di buonsenso e notizie dal mondo moderno, l'esile mano di Adriano tornò ad artigliargli il ginocchio e la sua voce squillante risuonò nitidamente: «Sa, signor Petri, il nostro Rocco non si decideva proprio a chiedermelo!»

Rocco lo fissò letteralmente sbigottito. Il nostro Rocco? Da quando in qua era il loro Rocco? Ma dovette imporsi di richiudere la bocca e di rimandare a più tardi domande e dubbi quando Adriano gli diede un'ultima stretta al ginocchio e suo padre – suo padre! Ma che cosa stava succedendo? - gettò al suo ragazzo uno sguardo di comprensiva benevolenza.

«Non preoccuparti, non lo fa solo con te. Tende sempre a rimandare. Dopotutto ci ha impiegato un anno a confessarmi di avere una storia seria, no?»

Tutto ciò non poteva star accadendo davvero, quella conversazione non stava realmente avendo luogo, Rocco non poteva crederlo. Si passò discretamente una mano sulla guancia: no, non sembrava bruciare. Non aveva neppure bevuto troppo vino. Ma se non era febbricitante e non era ubriaco, allora stava impazzendo?

«Rocco, cosa ne dici di portare Adriano a fare una passeggiata, prima di dormire? Non credo che sia mai stato a Ferrugipoli prima d'ora. Sbaglio, Adriano?»

«Solo una volta, ma vari anni fa. Ti va, amore?»

Rocco fu strappato alle sue riflessioni quasi con la forza quando Adriano gli diede una delicata stretta sulla coscia per farlo tornare in sé. Suo padre lo stava fissando aspettandosi una risposta, ed egli non poté che schiarirsi la voce e alzarsi in piedi quasi meccanicamente.

«Ma certo... la Devon di notte è molto carina. Hai bisogno di una mano qui, papà?» chiese, scrutandolo con apprensione.

«E con cosa, Rocco?»

Con il tuo attacco cardiaco ritardato, con la tua demenza senile, o con qualsiasi altra cosa tu abbia.

«Con i piatti» rispose invece con naturalezza. Per tutta risposta suo padre lo liquidò con un cenno della mano, sorridendo.

«Devo togliere solo i piatti del dolce, e a tutto il resto penserà la lavastoviglie. Andate e fate una buona passeggiata!»

Pochi minuti più tardi, sul freddo lastricato di pietra della quieta Ferrugipoli notturna, ormai a un paio di centinaia di metri da casa sua, Rocco afferrò le mani di Adriano e le strinse per costringerlo a fermarsi. Non si era sentito mai più mortificato, umiliato di così, specie sotto lo sguardo paziente e divertito dei suoi occhi verdazzurri.

«Mi dispiace tanto, Adriano» disse sinceramente, perché davvero non avrebbe avuto altro da dire. «Non pensavo che mio padre avrebbe reagito così. Per la cosa del matrimonio...»

«Tuo padre è l'uomo più simpatico e incoerente che abbia mai conosciuto» ribatté Adriano ridendo. A quanto pareva, dal suo punto di vista la serata era stata una sorta di siparietto comico irrazionale e divertentissimo, totalmente privo di senso, e la cosa gli era piaciuta un casino. «È straordinario che sia disposto ad accettare che tu sia omosessuale e che tu conviva con un ragazzo... purché ti sposi.»

«È molto religioso» borbottò Rocco a mo' di giustificazione.

«È adorabile» concluse Adriano ridendo, e Rocco si lasciò scappare un sorriso.

Ferrugipoli non era mai stata una bella città nel senso più classico del termine, e a Rocco, nella fattispecie, non era mai piaciuta molto. Ma la sede della Devon notturna, illuminata a giorno da un gioco di luci e di fontane colorate, era davvero il luogo più bello della città, e Rocco si soffermò un istante a inalare il profumo umido della pietra bagnata delle fontane e della sua infanzia.

«Sai, Rocco» disse a un tratto Adriano con calma, e Rocco si riscosse un istante e si girò a guardarlo. Si era messo gli occhiali mentre non lo stava guardando, forse per riposarsi gli occhi ora che era da solo con lui, e non gli era parso mai più carino di così. «Se è per la salute di tuo padre, è un sacrificio che son pronto a fare.»

Questa era una... discreta novità. Rocco si volse di scatto verso di lui e lo fissò incredulo, senza capire, mentre Adriano sorrideva dolcemente d'un sorriso che pareva illuminare lo splendore verdazzurro dei suoi occhi.

«Non c'è bisogno che ci sposiamo» balbettò, perché gli pareva l'unica obiezione possibile. «Papà capirà, vedrai, non è poi così...»

«Rocco» intervenne piano Adriano. «Stavo scherzando. Non dicevo per tuo padre... parlavo di noi. Non ti piacerebbe?»

La sua mente era sovraccarica d'informazioni, Rocco sentiva che avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro. Cercò di analizzare quella proposta. «Stiamo insieme da meno di un anno...»

Adriano si strinse nelle spalle ridendo. «I miei si sono sposati dopo quattro mesi, eppure stanno ancora insieme. Non possiamo sapere come andranno le cose, visto che tanti altri matrimoni terminano dopo pochissimo e dopo anni di fidanzamento. Ma io ti amo e tu ami me. Cosa c'è di difficile?»

Una risposta da dargli c'era, ci doveva essere, Rocco ne era certo; ma quando cercò dentro di sé per trovarla, d'improvviso si rese conto che non ne trovava nessuna. Adriano aveva ragione. Non c'era nulla di difficile, nulla d'impossibile: se avesse cercato ovunque in tutto il mondo, egli ne era certo, non avrebbe voluto mai nessuno come voleva Adriano. Veramente, qual era il problema?

«Hai ragione» mormorò. Non poteva parlare a voce più alta, perché se l'avesse fatto sentiva che avrebbe urlato. «Hai ragione, amor mio. Sposiamoci.»

Non c'era nulla di difficile, nulla di... Era semplice e spontaneo come un bacio di prima mattina, e Adriano sorrise come se non avesse atteso altro.

«Ora però devi chiedermelo» rispose.

Questo lasciò Rocco alquanto spiazzato. «Perché devo chiedertelo, se lo abbiamo appena deciso?»

Adriano mise su un broncio che Rocco aveva sempre trovato semplicemente irresistibile.

«Lo so, ma ammetterai che non è stata una proposta molto romantica.»

Ma se me lo hai proposto tu!, protestò quella piccola parte razionale della sua mente che ancora sopravviveva a stento, da qualche parte dentro di lui... tuttavia, come al solito, Rocco non le prestò una particolare attenzione. Reprimendo il familiare desiderio di tirare un pugno sul naso del suo ragazzo così insopportabilmente irresistibile, Rocco si rassegnò e si inginocchiò di fronte a lui per chiedere seriamente ad Adriano di sposarlo.



*Non avevo idea di quale nome dare al padre di Adriano, perciò, colta dalla disperazione, ho controllato l'onomastica completa dell'imperatore Publio Elio Traiano Adriano, e quello mi sembrava decisamente il nome più adatto tra tutti.

   
 
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