Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: kurojulia_    19/10/2018    0 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

02.



Perché l'aveva detto?

 

Era chiaro sia a lei, che a sua madre, che ai muri – che lei non avrebbe approfondito un bel niente e che casomai avrebbe rovinato i rapporti ancora di più.

Kazumi aveva ridotto le palpebre a due spilli e aveva mostrato i lunghi canini da vampiro – arrabbiato –, ma non aveva fatto altro. Si era gradualmente calmata ed era rimasta zitta.

 

Oseroth ne era stato lieto, a giudicare dalla sua espressione calma.

 

In quell'inquietante calma di totale disaccordo, la famiglia aveva lasciato la carrozza, che era ripartita subito dopo, e aveva avvicinato l'entrata della residenza Fukanishi – per amor di precisione, la villa in cui si svolgevano feste come quelle. Quest'ultima si trovava nella zona più esterna del paese ed era perciò isolata; grande e maestosa, la facciata quasi ricordava la reggia di Versailles, con le finestre alte a porta lasciate aperte, e i lunghi e spaziosi balconi. Le occasionali ventate facevano svolazzare le tende come fantasmi.

A precedere l'entrata – da cui proveniva una forte luce e un vociare rumoroso – c'era solo qualche scalino e guarda caso un tale noto come Tetsuya Tanigawa, con la schiena al muro, le mani nelle tasche del soprabito nero di cashmere.

 

Aveva lo sguardo perso a guardare lontano, ma senza risultare vacuo; i capelli biondi non erano stati acconciati in modo particolare, se non per quelli dietro che aveva pettinato per bene.

Col soprabito non si capiva molto, ma l'albina riconobbe i pantaloni e le scarpe di un completo. Era davvero elegante. Che lei ricordasse, non l'aveva mai visto così.

 

Yuki fece un cenno ai suoi genitori e poi s'incamminò verso di lui, cercando di tenersi in equilibrio sui tacchi, ben diversi dagli stivali della divisa scolastica. Stretta nel cappotto, salì i gradini lentamente finché non gli arrivò accanto.
Per un attimo, l'immagine di un esile ragazzino si affacciò nei suoi ricordi, schiacciando qualsiasi altro pensiero. Sorrise, nostalgica, toccandogli il braccio con la mano guantata.

«Monsieur, sta per caso facendo finta di non vedermi?».

Tetsuya roteò gli occhi verso di lei e si specchiò nei luminosi laghi dorati. Arcuò le labbra in un sorriso dubbioso. «È inquietante, dacci un taglio».

«Cosa sarebbe inquietante?».

«Quel modo di parlare. E il tono. Ti prego, smettila, mi stanno venendo i brividi».

Yuki si mise a ridere e tolse la mano dal suo braccio. «Ma guarda come ti sei messo in tiro».

«Senti chi parla», ribatté Tetsuya, con una leggera risata.

«Io sono stata forzata, tu non hai scuse».

 

Al suono di quelle parole, le schioccò un'occhiata divertita e si tolse dal muro, mentre uno schiaffo di vento gli sollevava il soprabito. Le mani, coperte dai guanti di pelle nera, presero delicatamente il suo viso.

«Che stai–», stordita, lei sobbalzò; Tetsuya si avvicinava, lentamente, tanto che lei poteva sentirne il respiro calmo sulle labbra. Lui non la smetteva di sorridere mentre strofinava il pollice contro il suo zigomo e sfiorava il suo naso col proprio. «Ti sto guardando. Sei bella, Yu».

«E c'era bisogno di fare così per dirmi che sono bella?», bisbigliò lei.

Lui allontanò il volto e sbuffò, con fare esasperato, per poi afferrare entrambe le guance dell'amica e tirarle come elastici. «Hai rovinato l'atmosfera».

«Shme... ti... shubito!». Riuscì a divincolarsi, afferrando le mani del ragazzo per togliersele dalla faccia. Con le guance rosse, fece qualche passo indietro, lasciandosi inondare dalla luce artificiale che proveniva dall'interno. Lo guardò con la coda dell'occhio, strizzando l'altro abbagliata. «Sei proprio strano, tu».
Alle loro spalle, arrivò un'altra carrozza, da cui scesero quattro persone. Imbellettati negli abiti di pregia fattura e in trucco elaborato, ridevano e commentavano la residenza per le feste dei Fukanishi. Qualcuno fece qualche commento divertito sul colore degli interni ma poi, quando intravide Yuki e Tetsuya, sobbalzò vistosamente e si ammutolì.


 

Yuki sospirò. Già. Gli interni. Se n'era quasi dimenticata.

Di uno sgargiante colore giallo – uno sgargiantissimo oro. Non era un mistero il perché di quella scelta né tanto meno la repulsione che la mezzosangue provava per quel vampiro da quattro soldi, soprattutto a causa di come si era svolto il loro primo incontro; tuttavia, per mantenere dei rapporti stabili, poteva capitare che qualche volta partecipassero a certe occasioni mondane.
Per entrambi non era certo il primo ballo; Tetsuya aveva guadagnato esperienza in quel campo già da cinque anni, quando aveva partecipato al primo party, insieme ai suoi genitori e a suo fratello maggiore. Adesso che ne aveva venti, il vampiro era sicuramente la persona più indicata a fare da cicerone – se così vogliamo dire – ad una ribelle come Yuki, che era ancora inesperta.

«Dimmi una cosa», fece Tetsuya, ad un certo punto. «Quanto è stato disastroso il viaggio per arrivare qui?».

«Indovina?».

Tetsuya scrollò le spalle. «E qual è stato il motivo?». Yuki indugiò, strofinando le mani tra di loro per tenersi occupata. Alla fine, con aria sfiancata, rispose all'amico: «Mio padre vuole che io approfondisca – per citare le sue parole – il mio rapporto con quell'idiota di Fukanishi».

Il vampiro batté le palpebre. «Con... il figlio, vero?».

«Ma va», esclamò lei. «Col padre, che avrà cinquecento anni per gamba. Sì, col figlio, Tetsu».

«Lo sai benissimo che l'età non è affatto contemplata in questi contesti. E il padre di Ichiro Fukanishi è vedovo già da un po'. Quindi, tu cosa hai detto?».

L'albina giocherellava con l'angolo del suo cappotto quando, sussurrando, aveva risposto: «... ho detto di sì. No, cioè, all'inizio ho rifiutato, ma poi mia madre ha cercato di prendere le mie difese e... e a quel punto, ho detto di sì».

Sul viso di Tetsuya comparve la stessa identica espressione di sconcerto che aveva avuto lei, in carrozza, quando aveva sentito le assurdità di Oseroth. Finalmente, tolse le mani dalle tasche e si avvicinò all'amica. «Scherzi».

«Magari!», esclamò Yuki, aprendo le braccia, per poi lasciarle cadere lungo i fianchi. Alzò lo sguardo al cielo, una volta nera puntellata di astri celesti. «Il bello è che mia madre ha inizialmente preso le mie difese, ma solo perché, per lei, il mio futuro sposo deve essere alto, biondo e con gli occhi viola».

«Non pensavo che qualcuno mi volesse ancora come genero», disse con un sorriso divertito. Non pensava ad una cosa come il matrimonio da secoli – da quando i suoi genitori si erano suicidati. Così uniti, così vicini, che avevano deciso di togliersi la vita insieme, mano nella mano, stesi su un letto di rose. Chiuse le palpebre. Quella reminiscenza gli faceva venire le vertigini.
Quando tornò a fissare la mezzosangue, si sentiva più sereno. «Quindi, che intenzioni hai? Cambierai il tuo cognome... in Tanigawa, forse?».

Yuki aveva gli occhi fissi di lato, a guardare un qualche punto impreciso di quello sfondo buio, e incastrava il labbro tra i denti per non rispondergli. Ma perché doveva fare così?

«Avere una moglie come te», lo sentì sospirare teatralmente. «sarebbe una catastrofe bella e buona. Comincerei a chiedermi se nella vita passata io non abbia commesso qualche grave peccato. Mi dispiace per Takeshi».


Yuki si girò e roteò le iridi ambra – e sorrise. «Smettila, scemo. Entriamo prima che i miei inizino a pensare che siamo fuggiti».


 


 

 

***


 


 


 

L'interno della villa non era meno fastoso della facciata.

 

Non appena si varcava la soglia – le cui porte erano rigorosamente lasciate aperte – si entrava in un ampio e spazioso salone, illuminato a giorno dal lampadario che pendeva dal centro della volta a cupola, alta una decina di metri. Alla sinistra del salone spiccava invece un soppalco, a cui si accedeva tramite la scale a chiocciola. Era una zona riservata per lo più ai fumatori e a quelli che volevano un po' di tranquillità in mezzo al chiasso delle feste. Lì si trovava anche una porta che conduceva alle stanze interne del salone.
Il centro era invece adibito a sala da ballo, con le decorazioni festose, e un'orchestra da camera a fondo sala composta da pianoforte, violino, violoncello e contrabbasso; alla destra, una lunga tavolata era adibita ad arte per servire un gran numero di ospiti, piena di cibo e bevande.

Il pavimento in mosaico era lucido e splendente, tanto da riuscire a riflettere il soffitto.


 

Yuki, un po' allucinata da tutta quella luce, strizzava gli occhi per cercare di abituarsi.

«Chiedo scusa, volete affidarmi i vostri soprabiti?», disse una voce maschile. I due si voltarono in tempo per vedere un ragazzo, parecchio giovane, che chinava la testa con umiltà e protendeva le mani verso di loro – con stupore, Yuki capì che si trattava di un umano; si sfilò allora l'indumento, piegandolo e appoggiandolo tra le sue mani. Il ragazzo aspettò che Tetsuya facesse lo stesso e poi si inchinò e si fiondò verso una stanza sotto al soppalco, dove finivano tutte le giacche e soprabiti.

Yuki indietreggiò vicino a Tetsuya. «Cosa diavolo ci fa un umano qui?».

«Qualche volta succede», rispose lui, calmo. «Possono essere soggiogati, come sai, ma a volte si offrono volontari spontaneamente».

Lei non riusciva a trovare un solo buono motivo per lavorare lì. Rischiavano molto. Probabilmente, erano tutelati da chi decideva di assumerli, ma ciò non toglieva la possibilità di correre grossi pericoli.
Un numero molto ristretto di esseri umani sapeva dell'esistenza di quelle creature. Quella cerchia che permetteva alle tre razze di coesistere pacificamente, senza cadere in spargimenti di sangue; proprio questa cerchia permetteva a vampiri e demoni di poter vivere nelle città e nei paesi, metteva a disposizione esseri umani per lavorare – o in casi particolari, per sfamarli.


 


«Stai molto bene», disse Tetsuya. Inclinò la testa, spazzolandosi con le mani la giacca nera del completo. «Adesso lo so per certo».

Non era abituata a tutti quei complimenti – per questo non poté evitarsi di arrossire.
Il suo lungo abito blu scuro, con dei ricami floreali sotto la cinta del busto, scendeva in una gonna ampia fino a toccare il pavimento, e il retro del torso era l'intreccio di un nastro che lasciava piccole porzioni di pelle scoperta. Le braccia erano nascoste dai guanti grigio perla di raso che arrivavano sopra al gomito, mentre al collo pendeva un collier di diamanti.
Sua madre e Kukuri avevano insistito fino allo sfinimento ma alla fine Yuki era riuscita a non farsi toccare i capelli, lasciandoli sciolti sulla schiena nelle solite onde albine.
«Troviamo i miei genitori», borbottò laconica, sospingendo Tetsuya.

«No», lui le prese una mano e con l'altro braccio le circondò la vita, fissando un punto a sinistra della sola come un falco che avvista un coniglietto. «Aspetta. Guarda là».

Yuki stava per lamentarsi di quell'improvviso ravvicinamento, quando aveva seguito la direzione dello sguardo dell'amico, e tutto il suo corpo si era irrigidito come un pezzo di legno. Un ragazzo camminavo verso di loro. Alto, le spalle larghe e le gambe lunghe, in vistosi abiti bianchi. I capelli dalle forme ondulate, di un biondo platino, e gli occhi dal taglio felino – smeraldi luccicanti.

L'albina dovette fare appello a tutte le sue forze per non fare dietrofront e fuggire a gambe levate.

«... Ichiro».


 


 


 

***


 


 


 

«Yuki Akawa la mezzosangue». Ichiro sorrise. Le sue labbra, dalla forma già curva, sembravano una mezzaluna quando sorrideva. Aveva un tono di voce mellifluo, che in qualche modo riusciva a sposarsi alla perfezione con la luce che brillava nei suoi occhi verde chiaro.
Yuki si guardò bene dal rispondergli con la sua solita lingua biforcuta. Anche se Ichiro parlava – per la maggior parte del tempo – calmo e allietato, non era il caso di punzecchiarlo. Aveva una certa vena sadica nota a tutti nel settore. «Quale onore. Non ci speravo neanche più», disse.

«Non avete bisogno di sperare», disse Yuki – Ichiro sorrise contento e poi guardò Tetsuya, la fronte leggermente contratta e la bocca chiusa. Lo sguardo gli ricadde sulla mano che stringeva e poi sul braccio intorno al fianco di Yuki e a giudicare dalla sua faccia, non doveva esserne molto felice. «Tetsuya. Quanto tempo».

«Già», convenne l'altro.

«Sono lieto di vederti vivo e vegeto».

«Ci credo».


 

I due vampiri – biondi, ma dal tono totalmente diverso – si studiarono per quelle che sembrarono ere geologiche, le palpebre che tagliavano gli occhi in gelidi spilli. Erano così concentrati a lanciarsi occhiate di fuoco che l'albina pensò di poterne approfittare per scappare via. Allora spostò lentamente una gamba all'indietro, ormai libera dalla presa di Tetsuya, ma proprio in quel momento Ichiro tornò a prestarle attenzione.

E ti pareva, pensò.

«Ho parlato con i tuoi genitori. Tuo padre aveva uno sguardo... felice», Ichiro aggrottò la fronte, come se non riuscisse a spiegarsi una cosa del genere. «Ho provato a immaginare la ragione dietro quell'allegria, ma non posso darla per scontata. Quindi chiederò direttamente a te, se non ti dispiace».

«Era felice? Ah, non... ».

«Non hai deciso di ritirarti da quella scuola di umani?», la interruppe Ichiro. Fece per sorridere, ancora, ma si fermò cedendo il posto ad un espressione contrariata. «e dagli umani stessi. Non riesco a trovare un solo buono motivo per stare in loro compagnia e, per quanto ti suoni surreale, noi tutti attendiamo con molta ansia il tuo ingresso ufficiale nella società».

«È surreale», commentò Tetsuya.

Ichiro gli lanciò un'occhiata obliqua. «Ma è la verità. Sappiamo tutti quanto tu sia importante. Non riusciamo a spiegarci il perché di molte tue scelte, tuttavia».


 

Yuki non riuscì a evitare di inarcare un sopracciglio. Oh, ma davvero? Era così che stavano le cose?

Il Consiglio aveva scoperto molto in fretta che si era iscritta ad un liceo di esseri umani ed erano rimasti tutti perplessi e increduli; qualcuno aveva ipotizzato che fosse un modo come un altro per nutrirsi, per creare qualche schiavo, o persino per sfuggire alla noia.
Ma nessuno di questi motivi rientrava nelle intenzioni di Yuki e loro l'avevano capito subito. Lei era andata lì per poter tornare nel suo paese d'origine, dove avrebbe potuto cercare il suo amico, sparito da ormai tre anni.

In effetti, arrivata a quel punto, avrebbe dovuto ritirarsi – ma poi, c'erano Sayumi, Takeshi e persino Hokori.


 

Con un piccolo colpo di tosse, si schiarì la gola. «Mh-mh. Beh, se vi può consolare, non ho particolari contatti con loro. Oserei dire di non averne affatto». Sentiva lo sguardo di Tetsuya addosso come una calamita, perché quella era una mezza bugia. «Per quanto concerne il mio ritiro, non penso sia una buona idea renderlo immediato: risulterebbe bizzarro».

«Il ritiro di una singola persona sarebbe bizzarro?», disse Ichiro.

«Sì. Dovete sapere che non sono particolarmente amata, in questa scuola», spiegò la mezzosangue. «per cui, penso che salterebbe all'occhio. Vi invito ad aspettare la conclusione di questi anni, Ichiro».

«Ci vorrà del tempo».

«"Chi va piano, va sano e va lontano". Mai parole furono più azzeccate».


 

Ichiro sorrise, comprensivo e divertito; con un gesto fluido, le prese la mano sinistra per appoggiare le labbra sul dorso. Il suo sguardo era di un verde così luminoso e intenso da far pensare alla pietra preziosa. «Adesso devo lasciarti, ma tornerò appena possibile – è una promessa, piccola».

Al nomignolo, tutta la schiena di Yuki si riempì di brividi – agghiacciante. Avrebbe potuto vomitare. Tuttavia, si sforzò di sorridere, almeno fin quando il vampiro non si fosse allontanato abbastanza. Da lontano riusciva comunque a spiccare in mezzo a tanta gente, l'unico ad indossare un completo bianco. Prendeva un po' troppo sul serio il suo compleanno.



Tetsuya rideva mentre finalmente raggiungevano Kazumi e Oseroth. Ridere delle sventure altrui non era molto carino, da parte sua. Anche quando si incontrarono e i coniugi salutarono il vampiro – Kazumi lo abbracciò e Oseroth gli strinse la mano – lui ridacchiava ancora.

«Cara, abbiamo parlato con Ichiro Fukanishi», disse la vampira dai capelli rossi, toccando la spalla della figlia. «e ho visto che l'avete incontrato anche voi».

«È stato molto divertente», disse Tetsuya.

«Come no. Guarda come sto ridendo».


 

Oseroth – dopo aver rivolto qualche sorriso di ghiaccio ad una coppia – era tornato dagli altri e si era rivolto all'albina, una punta di eccitazione che brillava negli occhi. «Allora? Com'è andata? Ti sembra ancora interessato?».
Adesso capiva cosa intendeva Ichiro. Lanciò un'occhiata tormentata all'amico, guadagnandosi un'alzata di spalle, forse una piccola vendetta per quando lei aveva tentato la fuga.

«Non so che dirti, ci ho parlato appena un minuto», borbottò. «E non guardarmi così. Non devi sposarti tu». Il demone fece una smorfia e si allontanò di un passo, mentre Kazumi ridacchiava.

«Devo presentarvi qualcuno. Sono delle persone deliziose».

«... che bello. Yuppie».

«Magari sono davvero delle delizie», cantilenò Tetsuya, appoggiando una mano sulla schiena dell'amica.

«Sì, e tu hai i capelli neri».


 


 

 

 

***


 


 

 

 

Per un attimo, l'idea di protestare e girare i tacchi le aveva attraversato il cervello; purtroppo però aveva visto il sorriso speranzoso di Kazumi e proprio non se l'era sentita di tradire le sue aspettative – o speranze, per l'appunto. Allora si era messa le gambe in spalla e si era fatta condurre, insieme a Tetsuya, verso la famigerata famiglia che dovevano conoscere.
Un paio di metri distanti c'erano quattro persone: una donna e un uomo, entrambi sorridenti, ed un coppia di adolescenti – una ragazza e un ragazzo – dall'aria seria.

Dopo una manciata di passi, si trovarono faccia a faccia.

Erano tutti di bell'aspetto, come l'albina aveva sospettato; la ragazza aveva soffici capelli castani, acconciati in uno chignon, e gli occhi di un caldo colore scuro, ma con un'aria seccata, il ché stonava con il suo aspetto delicato e femminile.
Indossava un abito indaco scuro con un'unica bretella che circondava la sua spalla sinistra, una scollatura a cuore sul petto generoso, mentre alle braccia dei lunghi guanti bianchi.

Aveva davvero uno sguardo serio, sembrava non volesse lasciar trasparire nessun sentimento. Yuki la fissava senza batter ciglio, come se volesse mettere alla prova la sua freddezza.

«Buonasera, signori Osawa», esordì Kazumi, con un sorriso allegro e felice sulle labbra.

«Buonasera», rispose la donna.

«Lui è mio marito Oseroth», riprese la vampira, appoggiando la mano sulla spalla del demone, il quale si esibì in un sorriso cordiale. Poi Kazumi si rivolse alla figlia e al vampiro biondo. «Mentre loro sono Yuki, mia figlia, e Tetsuya, un caro amico di famiglia. Ci sarebbe anche la nostra seconda figlia, Ai, ma non è con noi oggi».


 

Miwa Osawa aveva un espressione gentile e affettuosa mentre ascoltava le presentazioni e, alla fine di queste, si accinse a fare lo stesso con la sua famiglia. «Loro sono mio marito Hiroyuki e questi due giovani Kyo e Mitsuki, i nostri figli». Come se stesse trattando con dei tesori inestimabili, le sue dita toccarono il braccio del ragazzo e della ragazza con molta delicatezza.

Yuki guardò nuovamente i giovani vampiri. Quei due erano... fratelli? No, era impossibile.

Okay, erano entrambi belli, ma questo davvero non significava nulla; Kyo era slanciato e a giudicare dalle spalle doveva avere anche una notevole muscolatura. I suoi lineamenti erano quelli tipici di chi stava per diventare adulto, un po' spigolosi e un po' ammorbiditi. Folti capelli scuri e occhi del medesimo colore, profondi come il mare di notte, ma con uno sguardo distante – non come Mitsuki, che era freddo e serio. Gli occhi di Kyo erano strani e l'albina non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto ambiguo.

Che ci fosse qualcosa, sotto lo strato di pelle e muscoli?


 


 


 

NOTA:

Salve! Piccola nota per precisare la natura di della famiglia Osawa: l'intera famiglia non mi appartiene in alcun modo, sono invece personaggi di Sae Morinaga, che è un'autrice (presente anche qui su EFP, e vi invito ad andare a leggere ciò che scrive).
Nulla, volevo solo dire questo. Come sempre, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento!

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: kurojulia_