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Autore: kurojulia_    16/10/2018    1 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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01.



Da un po' di tempo a quella parte, i corridoi di quella scuola erano diventati impossibili da gestire. Attraversarli in pace era intollerabile perché, da qualsiasi parte andassero, c'era sempre il solito mormorio, il solito chiacchiericcio fastidioso che si insinuava nelle orecchie; era un soprannome quello che veniva sussurrato a voce bassa, con le labbra nascoste dalle mani e gli occhi attenti. Con toni sorpresi, increduli, e in parte arrabbiati e invidiosi.
 

"La coppia perfetta".


Sì, era vero, almeno apparentemente; i due malcapitati erano in effetti esteticamente perfetti, tanto da far dubitare che si trattasse di esseri umani – beh. Peccato che, non molto in profondità, emergesse subito quanto poco perfetti fossero. Lei era perennemente arrabbiata, lui poco propenso ai rapporti civili – e con un passato da stalker.

Era un giorno di Novembre, e l'aria sembrava essersi improvvisamente raffreddata. Era un inferno svegliarsi la mattina e uscire dal tepore del proprio letto, ma altrettanto piacevole appoggiarsi ai termosifoni e riscaldarsi fino a non poterne più. Lo stesso valeva anche per loro. D'altronde, sotto sotto, erano adolescenti come tanti altri.

 

«Se non chiudono quelle dannate fogne... », disse Yuki, in piedi di fronte al proprio banco, con le braccia incrociate al petto.

Sicuramente, sentire certe frasi dalla bocca di una tale bella ragazza farebbe storcere il naso a chiunque – a chiunque non fosse abituato; ma Sayumi Ichinomiya e Takeshi Takugawa ne ridevano e basta, ogni volta che lei se ne usciva con quelle espressioni infelici. Loro erano abituati agli occhi della ragazza, che analizzavano, scrutavano, puntavano come falchi. Riuscivano solo a sorriderne.

«Temo che sarà una relazione molto breve se continua così», commentò Sayumi, inarcando un sopracciglio, per poi guardare verso Takeshi. Lui aggrottò la fronte, giudicandola.
«"Non lo lascerei per nessun motivo al mondo"», cantilenò. «"Lui è troppo importante per me". Ecco, Yumi, senti che belle cose dice la tua amica falco».

Ma l'albina era in un mondo tutto suo, fatto di pensieri omicidi. «Un genocidio organizzato in fretta e furia dovrebbe andar bene comunque. Non credo che Adolf me ne farebbe una colpa».

«Tra colleghi ci si capisce».

Takeshi Katugawa sembrava aver reso la sua reputazione un po' più... favorevole. Adesso non era più un teppista da strada, l'erede di una famiglia yakuza*, non spaccava più le gambe ai suoi compaesani se questi gli urtavano una spalla. Aveva cambiato lavoro, a quanto dicevano le voci, ed era diventato un ragazzo svogliato – ed era diventato il suo ragazzo, sebbene non si trattasse di un lavoro ufficiale. Non proprio, anche la fatica a volte era simile.
Seduto al posto dell'albina, poggiò pigramente la guancia sulla mano, sorridendo verso di lei.


Un attimo dopo, la porta della classe venne aperta con grinta; una donna scompigliata e trafelata faceva il suo ingresso, con imbraccio un libro e una quantità disturbante di fogli volanti, gli occhiali storti sul naso e la camicia fuori dalla gonna. «La personificazione del tornado Katrina», disse il ragazzo.

«Take, oggi sei in vena di battute?», osservò Sayumi, ridendo.

Sayumi era diventata più brava a parlare con il sesso opposto da quando aveva conosciuto Takeshi e un certo vampiro biondo – che non frequentava la scuola, dato che ormai aveva la bellezza di vent'anni; riusciva a fare battute e commenti adeguati alla situazione, non si sentiva a disagio se aveva un qualche tipo di contatto fisico. Ma, nonostante tutti i suoi miglioramenti, non aveva mai smesso di guardare il cielo con quel velo di nostalgia e malinconia.
I suoi voti in letteratura giapponese erano migliorati e sembrava più rilassata, in un certo senso – ma anche più consapevole e precisa.

Stava ridacchiando quando i suoi occhi si erano posati su Takeshi, e l'ilarità le era morta sulle labbra.


La sua chioma scura era rimasta scarmigliata sin da quando si erano conosciuti, cadendo confusi sulla fronte e, ormai erano cresciuti abbastanza fa sfiorare il ponte del naso dritto. E poi, aveva gli occhi più dolci di tutte le galassie. Più lo guardava, più si rendeva conto di quanto bello fosse e stesse diventando, mentre i suoi tratti si indurivano pian piano – e contemporaneamente, ricordava che lui e la sua migliore amica si erano fidanzati il giorno della partenza da Kyoto.

Aveva provato una strana sensazione quando quei due si erano presentati di fronte a lei e le avevano dato la notizia. Yuki era imbarazzata, Takeshi aveva un bel sorriso sulle labbra.


«Dovresti tornare in classe», si affrettò Sayumi, riscuotendosi. «Già i tuoi voti fanno pietà e compassione, rimedia almeno con la condotta! Su, pussa via!».

«Senti chi parla– ».

«Non ha tutti i torti».

«Yuki. Non infierire». Yuki guardò il ragazzo, ridacchiando – con occhi gentili. E Sayumi quasi si sentì felice, in quel momento. Eppure, quella strana sensazione non tardava mai.


 


 

 

***


 

 


 

«Sbaglio o è la seconda volta che riusciamo a tornare a casa? Insieme, intendo».


Takeshi si voltò a guardare la mezzosangue. Ma la domanda che le aveva fatto era più un fatto che un dubbio. Era davvero solo la seconda volta che facevano quella strada insieme – da coppia – ed era un peccato, dato quanto fosse bello camminare insieme.
Lei non rispose subito, presa in contropiede, ma subito annuì. «È vero, hai ragione. Cominciavo a pensare che non ci saremmo più riusciti», aggiunse, con una breve risata.

«Credo proprio che dovrò comportarmi meglio».

«Così non ti farai trattenere tutte le volte dai professori».

«Sì, sì. Non è che sia solo a causa mia, però, se non ci siamo riusciti», ribatté lui. «Sai, non ero io quello che faceva lo schivo».


 

Sì, era vero. Era stata un po'... sfuggente, e le dispiaceva, perché ad un certo punto Takeshi sembrava cominciare ad esasperarsi; il principale problema era che lei non era mai stata in una relazione prima d'ora e, sicuramente, non pensava che la prima volta sarebbe stata con un essere umano.
Si era persino chiesta se c'era qualche differenza nei rapporti di coppia tra umani rispetto a quelli fra vampiri o demoni, ma era giunta alla conclusione che era tutto più o meno uguale. O comunque, avrebbe usato la sapienza di Sayumi, se avesse avuto qualche dubbio in più.

«Ti ho già chiesto scusa», brontolò Yuki, alzando gli occhi al cielo. Accanto a loro passò una macchina, sollevando un leggero strato di polvere. «Mentre tu non ti sei mai scusato per avermi pedinata».

«Che esagerazione. Non ti ho pedinata. Ti ho solo tenuta d'occhio».

«... certo. Pedinata».


Yuki e Takeshi si voltarono, per guardarsi reciprocamente con delle espressioni divertite.

«Ehy», fece lui, mentre stringeva la mano fredda della mezzosangue. Titubante, non sapeva se fosse davvero il caso di farle quella domanda, ma era preoccupato per lei, per il suo stato d'animo, sebbene sembrasse star bene. Alla fine respirò piano, cercando di nascondere un sospiro. «Come stai?», disse.

«Sto bene», disse placidamente Yuki. «E tu, Take? Come stai?».

Takeshi non rispose, limitandosi a sorridere leggermente e a voltarsi verso la strada.


Con le ombre proiettate sul marciapiedi, dalle chiome smeraldine sopra le loro teste, continuavano il loro tragitto lentamente, cullati dalla temperatura mite del pomeriggio. All'orizzonte, il disco aranciato del sole al crepuscolo cominciava a sparire dietro gli edifici.
Yuki credeva che mancasse ancora tanto per arrivare a casa sua, ma si sbagliava alla grande. Era così presa da quel senso di pace che stava per picchiare la testa contro la porta ed era stato solo grazie a Takeshi se si era evitata un bernoccolo grande quanto il pomello. «Ehy, siamo arrivati. O vuoi passarci attraverso? Puoi fare anche questo?», con delicatezza, il ragazzo aveva lasciato le sue spalle, e si era poi infilato una mano nella tasca.

Yuki fece un passo indietro, storcendo la bocca. «Sì, vedo».

«Qualcosa non– », "qualcosa non va", stava per chiederle, ma un pensiero si infiltrò fra le sinapsi del suo cervello, un pensiero troppo bello e divertente per lasciarlo come tale – allora decise di dargli una voce, mentre le labbra si incurvavano in un sorriso allietato e compiaciuto. «Non dirmi che ti manco già».


 

Oh, precisamente. Ci aveva azzeccato. Aveva fatto centro. 100 punti.

Yuki abbassò lo sguardo, tentanto disperatamente di nascondere l'imbarazzo che la stava attanagliando – le leggeva nel pensiero o cosa? Non era possibile che l'avesse capito così facilmente. Non era proprio possibile.
Si sentì una stupida, ma soprattutto troppo scoperta, mentre i suoi occhi gli videro compiere un piccolo passo, finché le sue scarpe non toccarono quelle dell'albina. Solo allora Yuki alzò il volto.
«Non ti crucciare», le aveva sussurrato, contro il suo viso. Le sue braccia si mossero, le dita andarono sui fianchi per cingerli. Takeshi aveva perso il sorriso, concentrato com'era sulle labbra di lei, sottili e dischiuse, a stento aveva fatto caso al rossore sulle guance. Il respiro della mezzosangue era quasi freddo, inumano – allora, chiuse gli occhi e si sporse verso di lei. Piano, mentre l'aria intorno a loro si caricava di elettricità.

E a quel punto, Yuki lo spinse via con entrambe le mani.

Le aveva appoggiate contro il suo petto, nell'atto di avvicinarsi a sua volta, e subito dopo queste l'avevano allontanato – perché l'anta sinistra della porta d'ingresso si era aperta.

 

Adesso, un uomo stava sull'uscio, le braccia incrociate al petto; doveva avere poco più di quarant'anni, la pelle cerea e i tratti induriti dal tempo, la bocca sottile e rigida. Aveva i capelli argentei, tirati indietro in una pettinatura ordinata, e gelidi occhi color borgogna.
Indossava degli abiti piuttosto eleganti. Una camicia bianca, con al di sopra un gilet nero di seta, e un paio di pantaloni della stessa tinta.

Yuki, con le braccia incrociate al petto, tutta impettita, lo fissava con occhi strani. «Che c'è?», sbottò. «Sono tornata, e quindi?».

Takeshi li teneva d'occhio. Si assomigliavano parecchio, l'un l'altra, probabilmente a causa dello sguardo incattivito. L'uomo sembrava però più freddo rispetto alla ragazza, e aveva un portamento più composto e fiero – ma gli mancava l'ironia di lei. Inutile rifletterci, erano padre e figlia.

«Questo lo vedo», fece l'uomo, con una voce bassa.


Wow, ehy, non esageriamo con le effusioni, pensò Takeshi, inarcando un sopracciglio.
L'uomo albino guardò prima Yuki, con un accenno di fronte aggrottata, e poi pose la sua attenzione sul moro. La sensazione era simile a quella che si provava in tribunale, si sentiva accusato di colpe fantasma. Aveva l'impressione che l'uomo non lo volesse lì e che lui non avrebbe mai dovuto trovarsi di fronte a quella porta.

«Entra», proseguì l'uomo, serafico, per poi sparire dentro casa così com'era apparso – silenzioso.

«Se il mondo starà per precipitare, allora in quel caso prenderò in considerazione l'idea di seguir – ehy! Ehy, tu, sto parlando con te! Dannazione».


Con un po' di furia repressa, Yuki scalciò la terra sotto i suoi piedi, sollevando una sottile coltre di polvere e pulviscolo, schioccando un'occhiata indignata all'interno della sua stessa casa.
Ma perché doveva sempre... prese un respiro profondo e poi espirò, lentamente. Solo a quel punto si era calmata abbastanza da poter parlare con Takeshi. Ruotò i piedi verso di lui, notando la sua espressione perplessa, quella che esigeva qualche tipo di spiegazione.
«Scusami», cominciò lei, prendendogli una mano, stringendola con gentilezza. «Avevo sentito i suoi passi e sai, non mi sembra il modo giusto per... presentarti».

Takeshi guardò la sua mano, accolta da quella della mezzosangue, e l'ombra di un sorriso gli passò sulle labbra. «Devo dire che è un tipo particolare. Ti somiglia molto».


 

Yuki aprì la bocca – e la richiuse. Poi gli diede le spalle, senza aggiungere altro, ed entrò dentro casa.

Takeshi allora ripensò alle parole di Sayumi. Chissà che davvero la loro relazione fosse sul punto di chiudersi.

Quella iettatrice, pensò.


 


 

 

 

***


 

 


 


Somigliarsi? Lei? Con lui?

Ma non diciamo fesserie, pensò, mentre attraversava il salone, non per vantarmi, ma sono nettamente meglio di lui. Sono più gentile. Più affettuosa. ... okay, ora ho detto una balla.

Mentre si avvicinava in direzione della sua stanza, dove probabilmente avrebbe distrutto qualche mobile, intravide la figura del padre in cima alle scale che l'aspettava, con le braccia al petto e un espressione quasi annoiata in viso. Yuki sbuffò e per un attimo fu tentata di fare inversione di marcia – tuttavia continuò a salire le scale finché non gli fu arrivata di fronte. «Complimenti», ringhiò la mezzosangue. «Hai proprio l'ospitalità di un uomo di neanderthal. Vuoi anche una clava, dato che ci troviamo?».

Ma l'uomo non si scompose nemmeno per sbaglio, anzi, la sua maschera si induriva anche di più; le diede le spalle e cominciò a camminare verso la passerella dal lato destro. Lei lo seguì, alzando gli occhi alla volta. «Con te ci si diverte da morire, eh», commentò.

«Non ci si deve divertire, difatti. Non sono certo un clown. Per quello esistono gli umani».


 

Ma Yuki non odiava suo padre, no, assolutamente. Solo, se lei avesse avuto un salvagente e lui stesse affogando nelle terribili acque dell'oceano, l'avrebbe bucato con un riccio indiavolato.
«In ogni caso, di cosa vuoi parlarmi?».

«Adesso lo saprai».

L'albina si morse la lingua dentro la bocca perché sapeva che sarebbero andati in quel suo studio, che lui tanto amava, e che lei odiava. Superarono la stanza di Ai, la camera da letto, la lavanderia e finalmente raggiunsero la quarta porta che ospitava lo studio del capostipite Oseroth Akawa, fiero demone di origini nobili.
Il suo studio era una stanza parecchio angusta – una sua precisa scelta “estetica” –, le cui pareti erano tappezzate di librerie stracolme di libri spessi, ormai impolverati dopo tanto tempo. Al centro svettava la scrivania dell'uomo, su cui sopra c'era una lampada da tavolo verde, diversi fogli sparpagliati, qualche testo aperto con solo una penna a fare da segnalibro, una sedia di fronte alla scrivania per gli ospiti.

Yuki non vi si sedette, mentre Oseroth tornava al suo posto, alla poltrona. Una volta accomodatosi, accennò un impercettibile sorriso. «Era un tuo compagno di scuola? O forse, una preda?».

«Cosa? No», sibilò lei. «Sai che non ho prede».

Beh, tecnicamente una volta aveva approfittato del sangue di Takeshi – e di Sayumi – ma non c'erano stati altri episodi come quelli, il ché si faceva risentire sulla sua stessa salute.

«Avevo creduto che ti fosse passata questa stupida fase di ribellione e avessi finalmente cominciato a nutrirti in modo normale. Sono stato sciocco a pensarlo».

Yuki sorrise, forzatamente. «Oh, per una volta ci troviamo d'accordo».


 

Forse era meglio fargli credere che Takeshi fosse solo una preda, in questo modo – se andava tutto bene – Oseroth non avrebbe sospettato di loro; se l'avesse scoperto, beh, i problemi sarebbero stati infiniti.
Yuki spostò il peso da un piede all'altro, sentendosi improvvisamente a disagio e circospetta. «Allora?».


Oseroth Akawa, il "Re di ghiaccio", incurvò ancora una volta la bocca, e Yuki si maledì per non essere una povera orfanella.

«Ballo».


 


 


 

***


 


 


 

«Dai. Portami con te. Me ne starò buona buonina. Sono o non sono la tua migliore amica?».

«Proprio perché sei la mia migliore amica non ti porterò mai ad una cosa del genere. Sai come funziona? Tanti pinguini con la puzza sotto al naso che cercano di ingraziarsi i potenti e tanti saluti ai principi morali».

Sayumi, dall'altra parte del telefono, sbuffò sonoramente. «Immaginavo che non fosse proprio come in Cenerentola».

«Non credo di averlo mai visto».

«Ma parli sul serio?», Sayumi scoppiò a ridere mentre infilava una mano nel sacchetto delle patatine e se ne portava una alla bocca. «A voi vampiri e demoni non è permesso guardare la tv? A proposito, ripetimi il nome del festeggiato un secondo».

«Ichiro. Ichiro "mi-piace-prendermi-i-calci" Fukanishi».


L'altra rise nuovamente, cercando di non sputacchiare le patatine, mentre batteva i tasti del suo portatile; quella ragazza era stata incapace di usare qualsiasi forma di tecnologia per un po' di tempo, almeno fino a quando non aveva compiuto quattordici anni e le avevano regalato il suo primo cellulare. A quel punto, era diventata velocemente portata per telefoni e computer. Infatti, Sayumi aveva un certo talento nell'apprendimento, come se fosse affamata di informazioni. «Dunque, dunque... è il figlio di un imprenditore, eh? Naturalmente, non poteva essere un tizio qualunque».

Yuki stendette le gambe sul letto, mettendone una sopra l'altra. «Molte persone famose sono in realtà vampiri o demoni – per lo più vampiri, se devo dirti la verità». Alzò lo sguardo verso il soffitto della stanza, strizzando le palpebre. «Attori, cantanti, medici importanti».

«Ah, ma bene. Quindi un vampiro o un demone potrebbe aprirmi su un tavolo operatorio?», Sayumi tirò su col naso e spostò il portatile sul letto. «Ma aspetta. Come fanno a fare i medici di fronte a tutto quel sangue?».

«Ascoltami, non dovete prendermi come esempio, perché io sono una causa persa. I vampiri e i demoni che si nutrono regolarmente – o molto spesso – sono in grado di vedere o sentire sangue e rimanere comunque lucidi. Anche Tetsuya ne è capace».

«... che forza».

Yuki sospirò. «Da una parte sono tranquilla, dato che Tetsuya mi accompagna».


 

Dall'altro capo, si sentì il rumore pesante e sordo di un tonfo. La mezzosangue si mise seduta, chiamandola un paio di volte prima di ricevere una risposta dalla ragazza.

«Ah, sì – sono caduta», biascicò Sayumi. «E mi era caduto il cellulare. Okay, dicevamo? Ah giusto, che sarete insieme al ballo... vi devo assolutamente vedere».
Al ché, Yuki non sapeva più se mettersi a ridere o assecondarla e basta, perché cominciava a diventare insistente. «Ti faccio una foto dell'interno, così ti basta?».

«Ti prometto un favore».

Yuki non rispose, rimanendo in silenzio. Eh, no. Era proprio una pessima idea fare una promessa ad una creatura non-umana, specialmente se era un demone, perché non aspettavano altro che approfittarne. Sorrise leggermente, passandosi la lingua sui canini.
«Allora sei invitata a non imbucarti al party».


 


 


 

***

 


 


 

Non era la sua indole ribelle che la faceva apparire così contrariata – non solo, per lo meno.

Era proprio l'idea in sé a mandarla fuori dai gangheri. Era un rifiuto morale, fisico e psichico; tutti conoscevano il suo carattere contorto e ciononostante nessuno, in quella dannata società, aveva mai provato a comportarsi in modo più vero nei suoi confronti, avevano sempre continuato con quegli atteggiamenti fastidiosi. E adesso li avrebbe visti tutti insieme in una volta sola.

Yuki serrò la mandibola, di fronte alla specchiera, seduta su uno sgabello di pelle nera. Le iridi erano incollate con insistenza sul vetro ma non stavano davvero guardando il proprio riflesso. Addosso, aveva la sottoveste dell'abito che avrebbe indossato – dopo che Kukuri l'avesse truccata.

Dopo che gli Akawa avevano accolto la ragazza umana nella loro famiglia, Kukuri aveva dimostrato di saper imparare in fretta e di avere un certo spirito di adattamento.

 

Kukuri aveva perso la memoria da bambina, all'età di sette anni, dopo che lei e i suoi genitori avevano avuto un incidente stradale in autostrada, poco distante dal paese. Oseroth e Kazumi Akawa avevano appena intrapreso quella strada in carrozza e mentre questa attraversava l'asfalto, Kazumi aveva notato una nube di fumo alzarsi in cielo, appena qualche metro da loro.
Lei aveva insistito con Oseroth per scendere dalla carrozza e andare a dare un'occhiata e proprio lì, la macchina capovolta in mezzo all'erba e ai rovi, una bambina stava urlando e piangendo a squarciagola. Kazumi si era mossa in fretta, sebbene sopra dei tacchi, e mentre raggiungeva la macchina un finestrino andava in frantumi.

Kukuri era riuscita ad uscire dal finestrino prendendolo a calci e Kazumi l'aveva presa fra le braccia all'istante, allontanandosi in pochi scatti. Qualche secondo dopo, la macchina era esplosa.

Ci aveva messo una settimana per ricordare il suo nome.

 

Un anno dopo, aveva ricordato abbastanza da poter condurre una vita reale; ricordava il suo nome, la sua età e dov'era nata, ma il cognome rimaneva in ombra nella sua mente.
E così, Kukuri aveva insistito per giorni perché potesse lavorare per loro, in modo da ripagarli per tutto quello che avevano fatto per lei.

 

Yuki la guardava mentre si aggiustava gli occhiali sul naso e si spostava i cortissimi capelli scuri. Quando incrociò il suo sguardo, Kukuri le sorrise allegramente.

La mezzosangue brontolò, incrociando le braccia al petto. «Invece di lavorare qui, potresti diventare una truccatrice professionista».

Kukuri si mise a ridere, scuotendo la testa. «Ah, non penso sia il caso. E poi, a me piace stare qui, con voi tutti».

«Beh... », Yuki si morse il labbro e poi sospirò, con una smorfia. «... ne sono felice».

 

Kukuri cominciò a spazzolarle i capelli con il pettine, delicatamente, canticchiando sottovoce. Ad un certo punto si piegò sulle ginocchia, per raggiungere le punte della chioma della sua padrona. «Beh, siete pronta? Stanotte farete un passo in più nella società!».

«Che sballo!».

Sentendo il suo tono ironico, la ragazza scoppiò a ridere. «E quali casati parteciperanno?».

«Beh, noi Akawa», cominciò la mezzosangue, alzando l'indice mentre contava. «Osawa, Ichinose, Tachibana, Beaumont e... non me li ricordo più, sono troppi. Quell'idiota di Fukanishi non sa proprio come darsi un contegno».

«Pensate positivo, magari potreste incontrare qualcuno di interessante, stasera».
 

Il sopracciglio dell'albina si inarcò sull'occhio; interessante? Non è che lo escludesse a priori, se doveva essere onesta, ma nemmeno osava provare una speranza simile, un sogno del genere. Sì, certo, ci sarebbe stata molta gente a quel party di compleanno ma la maggior parte sarebbe stata troppo presa da affari e incontri combinati. Stupidaggini come quelle ci sarebbero sempre state.
«Se mai dovessi incontrare qualcuno d'interessante», disse Yuki. «allora sarò finita al ballo sbagliato. Sicuramente, non un ballo per vampiri e demoni».


 

Un'ora più tardi, Yuki era pronta. Aveva indossato il cappotto e infilato le mani nelle tasche ed era scesa, percorrendo l'ampia scalinata che portava al salone d'ingresso. Lì, in piedi di fronte alla porta, c'era già suo padre, ma quando incrociarono gli sguardi, l'uomo le fece un cenno col capo ed uscì, lasciando il portone socchiuso.
Yuki allora continuò a scendere gli scalini, facendo attenzione a dove metteva i piedi, e raggiunse anche lei l'esterno. Il freddo che c'era fuori era tagliente e rigido come una lama, come ogni inverno in Giappone; l'erba sotto le sue scarpe col tacco era coperta da un leggero strato di rugiada, il vento era lento ma gelato, e tutto intorno era silenzioso come un tempio. Solo in lontananza, in strada, si sentiva un vago rumore di macchine.
Il cielo era ormai imbrunito da diverse ore e a mezzanotte era diventato buio pesto.

In qualche modo, quel tempo le aveva alleggerito l'animo. Lei non percepiva molto il freddo, ma le piaceva la sensazione che l'inverno trasmetteva. Si mise le mani, coperte dai guanti, davanti alla bocca a coppa e ci respirò dentro, chiudendo le palpebre.

Chissà se a Makoto piace l'inverno, pensò, di riflesso – riaprì gli occhi e infilò le mani nelle tasche del cappotto. Forse sì. Makoto sembrava un tipo romantico.


 

Sospirò e riprese a camminare per raggiungere il retro della residenza, dove la carrozza la stava aspettando. Si infiltrò silenziosamente nel buio e spuntò dall'altra parte, trovandosi il veicolo di fronte agli occhi, a qualche metro dal giardino dove venivano coltivati ortaggi, frutta e verdura.

Di fronte alla carrozza, c'era una donna; una figura longilinea ed elegante, nascosta dal cappotto con pelliccia, con una cascata di capelli rosso bordeaux lasciati lunghi sulla schiena, sulle guance arrotolati in morbidi boccoli. Aveva un viso delicato, dalla pelle chiara, e fulgidi occhi oro dalla forma dolce ma affilata. Kazumi Akawa sorrideva dolcemente in direzione di sua figlia, socchiudendo le palpebre.
«Cara, fa in fretta», disse la donna. «Dobbiamo partire per la villa!»

«Sì sì», rispose Yuki, affrettando il passo.


 

Kazumi la precedette e, aiutata da Sebastian che le diede la mano, si infilò nella carrozza. Lo stesso fece Yuki, che salutò il maggiordomo con un sorriso, e si sedette di fronte ai suoi genitori.

La carrozza aveva soffici sedili in velluto verde, tendine davanti ai finestrini ed era abbastanza spaziosa da contenere quattro adulti e una bambina. Oseroth e Kazumi sedevano l'uno accanto all'altra e l'albina si era messa di fronte a sua madre, appoggiando il gomito sullo sportello e la guancia contro la mano.
«Alla buon'ora», commentò Oseroth, prima di colpire il separé che li divideva dal cocchiere all'esterno. Subito dopo, la carrozza cominciò a muoversi.

«Prova ad indossare un paio di tacchi, poi voglio vedere». Suo padre era sempre così simpatico. Ma che accidenti ci vedeva sua madre in lui? Sembrava fondersi con le ombre all'interno del veicolo, con quel grande mantello nero, in viso un espressione stranamente annoiata. I capelli bianchi erano ordinatamente pettinati all'indietro e indossava un completo nero e un papillon rosso.

«E Tetsuya, invece? È già lì? Avrebbe potuto venire con noi», disse Kazumi.

«Non so che dirti, evidentemente non voleva prendere un passaggio».


 

Con due dita, scostò la tendina e guardò fuori dal finestrino. Solo al sospiro della vampira, Yuki si decise a guardarli; Oseroth teneva le braccia incrociate al petto come un militare, mentre Kazumi sembrava un po' giù di morale, con le mani posate in grembo. Il primo guardava la seconda di traverso – era peggio della Monna Lisa, in quanto ad espressività –, con le labbra leggermente imbronciate.
Qualche istante dopo, sotto lo sguardo perplesso della figlia, l'uomo si voltò verso di lei ed esordì: «Ascoltami bene. Mi aspetto molto da te, questa sera. È della tua reputazione in società che parliamo ed è fondamentale che tu faccia buona impressione. Demoni e vampiri hanno molti pregiudizi, sia in generale che su di te, e devi fare in modo di dissiparli».

«Come no, e magari porto anche la pace nel mondo».

«Non essere sciocca, non è niente di impossibile», ribatté Oseroth. «Devi solo rispettare l'etichetta».

«Tuo padre ha ragione, tesoro», disse Kazumi. «Ti sarà molto utile per costruirti un futuro».

«Ma soprattutto, voglio che tu approfondisca il tuo rapporto con Ichiro Fukanishi».

«Esatto, Yuki, ha rag–... che hai detto?».


 

Al suono delle parole del padre, Yuki si impietrì sul suo posto. Stava scherzando. Doveva per forza essere una battuta, anche se non era divertente, ma era di suo padre che si stava parlando e aveva uno strano modo di fare il burlone.
No, Oseroth non scherzava mai, a malapena sorrideva, figuriamoci fare qualche battuta.
Era serio – come al solito.

Kazumi aveva sgranato gli occhi, puntandoli sul marito come un leopardo con un coniglietto. Kazumi era universalmente nota come una donna dolce e comprensiva, dai modi eleganti e molto fini, ma era conosciuta anche per la sua forza e per quando... si arrabbiava. Perché diventava una furia. La personificazione stessa della rabbia. Eppure, Oseroth non aveva mai dimostrato paura o soggezione verso di lei, aveva sempre mantenuto un velo di freddezza, in qualsiasi situazione. Forse questo aveva avuto un impatto sulla donna.

 

«Hai sbattuto la testa contro un spigolo, per caso, mio caro?».

Yuki guardò sua madre con occhi sorpresi. Stava forse cercando di aiutarla?

«No».

«E che ne è di Tetsuya? Lui sì che è un ottimo partito!».

Come non detto.

«Yuki Fukanishi. Suona bene».

«Mi stai ascoltando?», sibilò la vampira, mentre apriva la bocca e i canini facevano capolino.

«Ti sto ascoltando e Kazumi, non ti ci mettere anche tu».

«Certo, invece. È mia figlia. Quindi sì, mi ci metto anch'io».

«Fai come vuoi, ma Tetsuya non è un “ottimo partito”. La sua famiglia è distrutta, chissà cosa ha combinato in tutto questo tempo», disse Oseroth.

«Ma noi conosciamo Tetsuya e sappiamo che persona è. Ci possiamo fidare di lui, è intelligente, di bell'aspetto ed è forte. È uno dei pochi vampiri ad aver sviluppato le sue abilità e, nonostante tutto, non rientra tra le “possibilità”?».


 

«ALT!». Yuki tirò un sospirò, chiudendo le braccia, dopo che le aveva aperte per attirare la loro attenzione – nervosa e confusa. Con sua madre, forse, sarebbe riuscita a cavare un ragno dal buco. Il vero problema era Oseroth – allora lo fissò dritto nelle pupille strette e sottili. «Senti un po'. Non obbedisco ad una tua richiesta – o ordine, chiamalo come vuoi – da quando avevo undici anni. Undici. Ti aspetti che adesso invece lo faccia? Quello spigolo doveva essere bello appuntito».

Lei aveva Takeshi, lei aveva quel meraviglioso distruttore, e non aveva bisogno di altri pretendenti, che si trattasse di conti, principi o amori passati.
Oseroth sorrideva, sornione. «Non è che me l'aspetto. Devi farlo. È un ordine».

«Siamo arrivati», annunciò la voce del cocchiere, che batté un pugno contro il separé. Il rumore degli zoccoli era difatti stato sostituito da un vociare continuo; una forte luce calda, proveniente dalla destra dell'albina, precedeva l'entrata alla residenza dei Fukanishi, illustre famiglia vampirica.


 

Ma Yuki stava scrutando Oseroth.

I suoi occhi scuri, con quello screzio di borgogna, ricambiavano lo sguardo senza la minima esitazione, fermi. Lei odiava ammetterlo, ma si somigliavano molto più di quanto volesse.
«Riprenderemo questa discussione», la voce di Kazumi destò la ragazza dalla sua contemplazione, che si voltò in tempo per vederla scendere dalla carrozza con aria stizzita. Allora, Yuki scosse il capo e sorrise.

«Non ce n'è bisogno. Lo farò».


 


 


 

 

NOTA:
Ed eccoci qua. Secondo atto, primo capitolo.
… Dio, avrei dovuto aspettare un po' di più per riprendere la pubblicazione, ma non ce la facevo. Sentivo questa smania assurda di continuare la storia.
In ogni caso! Con l'inizio del secondo atto, c'è anche l'introduzione di due nuovi personaggi, i genitori di Yuki!

Sarei molto curiosa di conoscere le vostre opinioni su Oseroth – per la cronaca, io lo adoro.

IN OGNI CASO (pt2) spero che questo nuovo inizio vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia fino alla fine!

   
 
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