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Autore: LanceTheWolf    19/10/2018    1 recensioni
Lan-Chen aveva una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale e dei sogni come tutte le giovani donne delle sua età. Poi la sua vita è cambiata, Lei è cambiata. In pochi sanno cosa è successo: la sua famiglia è allo scuro di tutto e ritiene che i suoi continui viaggi, le strane persone che frequenta, non siano altro che un periodo. Che stia semplicemente passando uno di quei momenti assurdi che prendono a tutti e che prima o poi passeranno proprio come sono giunti. Per lei, al contrario, ogni parola non detta ha il solo scopo di difenderli.
Si svolge molti Avatar dopo Korra.
NB: Questa raccolta partecipa al Writober 2018 a cura di Fanwriter.it
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziativa: Questa storia partecipa al “Writober 2018” a cura di Fanwriter.it.
Numero Parole: 1440
Prompt: Rubare (Red List – 19/10/2018)
 


Rubare
 

“Sì, sono io”, dichiarò Lan-Chen all’interno della cornetta. “Pete? Deve esserci un errore”, la giovane donna si incupì. “Bene, sarò da lei a momenti”, concluse, attaccando senza salutare.
 
Non perse tempo a cambiarsi, afferrò cappotto e sciarpa dall’attaccapanni, assicurandosi di avere le chiavi in tasca, e uscì con indosso gli abiti di casa.
 
La preside l’attendeva all’ingresso della scuola elementare e la guidò fino al suo ufficio, ribadendole l’accaduto. Percorrendo il corridoio, vide Pete di sfuggita attraverso la finestrella di vetro della sua classe. Il piccolo sedeva in un angolo, in disparte: la testolina china e le manine strette tra loro.
 
Lan-Chen non riuscì ad aprire bocca al riguardo che si ritrovò in presidenza.
 
Sedute, davanti alla scrivania della direttrice, tre donne tirate a lucido e con le unghie perfettamente dipinte, erano in attesa.
Una sedia vuota, accanto a quelle occupate, sembrava aspettarla.
 
***
 
“Vi rendete conto che stiamo parlando di un bambino? Lo state facendo passare per una creatura meschina, neanche fosse il Ladro di Volti”, esordì Lan incredula, dopo pochi minuti dall’inizio della conversazione, cercando di far ragionare quelle persone.
Parole al vento, nessuna di quelle donne sapeva cosa intendesse o a cosa si riferisse.
Sospirò e tentò di correggere il tiro: “Stiamo parlando di un bambino, non certo di un mostro. Sono sua madre e conosco…”.
Madre!? Lei? Tz, non mi faccia ridere!”, l’interruppe una delle tre signore alzando la voce. “Non ha fatto altro che raccogliere dei randagi dalla strada, dei delinquenti, e imporceli come se fossero nostri pari”.
Lan-Chen respirò profondamente, il suo istinto da guerriera passò in rassegna l’ambiente circostante e c’era davvero poco che non rispondesse al suo dominio in quella stanza.
“Quindi bisogna espellere un invertebrato dall’utero per essere una madre?”, chiese con amara ironia.
“Ovviamente”, rispose la donna, non sufficientemente preparata per recepire l’insulto.
“Non siamo qui per linciare nessuno, Signora Lan-Chen”, intervenne la direttrice in contemporanea con quella risposta. A differenza delle altre persone presenti aveva capito appieno quanto Lan aveva insinuato, preferendo comunque appoggiare quelle tre esaltate, bloccando il suo dire anziché quello della tipa che aveva dato dei poco di buono ai suoi bambini.
“Quel criminale ha rubato la collana di mia figlia e chissà cos’altro”.
“Deve essere perquisito!”.
 
“Perquisito?”, tuonò nella mente di Lan-Chen che si trovò ancora a dover respirare lentamente nel tentativo di trattenere la rabbia ed evitare che l’intero caseggiato si accartocciasse su quelle quattro vipere.
 
“Bene”, disse a quel punto, apparentemente calma. “Se è questo che volete, va bene. Da quando è successo questo increscioso evento, mio figlio non è uscito dall’istituto. Controllate le sue cose, il suo banco e il suo armadietto. Se doveste trovare quello che è stato trafugato sarò ben felice di darvi ragione. Ma, in caso contrario, pretendo che venga fatto lo stesso con tutti i componenti della classe finché non uscirà il vero responsabile”.
Pretende? Lei pretende? Con che coraggio?!”, disse la presidente del consiglio dei genitori, squadrandola da capo a piedi e soffermando lo sguardo sdegnoso sulla sciarpa impiastricciata a dovere dalle manine appiccicose del suo piccolo Tori.  
“Non se ne parla! Sappiamo già chi è il colpevole”.
“Nessuno si deve permettere d’invadere lo spazio personale di mio figlio”.
“Benché meno del mio. Chissà poi dove quel… quell’animale…”, riprese l’illustrissima presidente con il più completo disgusto, “…avrà nascosto la refurtiva”.
“Non voglio certo che la mia bambina rimanga traumatizzata per una cosa del genere, è già così sconvolta!”.
“Crede forse che non sappiamo che tipo di persona è o delle sue frequentazioni. Una vera madre si vergognerebbe anche solo a dividere la stanza con una come lei. La sua presenza mi disgusta”.
“Tutte noi proviamo disgusto”.
 
Cosa credevano di sapere? Frequentava delle case da gioco?
Ovvio, era il responsabile edile della più magnificente di quelle strutture in città, era il suo lavoro.
Quelle donne volevano davvero mettersi contro di lei?
Povere creature, non potevano nemmeno immaginare che le sarebbe bastato un singolo cenno della mano per trapassar loro il petto con uno qualunque degli orpelli che avevano indosso.
Si facevano grandi per aver scoperto il passato del piccolo Pete, passato che probabilmente aveva rivelato il suo stesso bambino, cresciuto nella consapevolezza di non doversi mai nascondere o vergognare di chi fosse o da dove venisse.
Si facevano grandi, ma non sapevano che lei aveva annichilito eserciti, armati con ben più di qualche gioiello e una borsetta griffata.
 
“Non vogliamo che i nostri figli stiano in contatto con delinquenti del genere”.
“Signore, calmat…”.
Un ghigno inquietante si aprì sul volto di Lan-Chen, tanto da azzittire la preside della scuola in un istante.
 
Aveva da scegliere tra due metodi per finire quell’assurda conversazione: quello violento, e solo il cielo sapeva quanto volesse applicarlo, o quello diplomatico.
 
Si alzò in piedi in un gesto talmente repentino da riuscire a ottenere l’attenzione dei presenti. Dichiarò senza indugi con tono fermo e portamento retto: “Lan-Chen, discendente della Nobile Penga e Ho Tun di Yu Dao, nipote della governatrice Lan-Lan di Gaoling e come questa facente parte del Clan del Metallo”. Fece una breve pausa al termine della sua presentazione, non aveva mai amato farsi grande col suo titolo, ma quella era una situazione che lo necessitava, poi aggiunse: “Non siamo qui per linciare nessuno, è vero. Siamo qui per risolvere un problema. Proprio per questo provvederò immediatamente a risarcire questa donna dieci volte il valore del gioiello che le è stato trafugato”, nel suo parlare si piegò sulla scrivania, tirò verso di sé il notes accanto alla preside e, sfilando la penna dal suo pacchiano supporto in vinile, vergò poche parole sulla carta. “Ecco a voi il recapito del nostro tesoriere, comunicherò lui quanto da me stabilito in questa sede”. Il denaro non era mai mancato al suo casato. Tornò ad assumere un fare imponente, prima di riprendere: “Mio figlio avrebbe potuto portare lustro alla vostra istituzione, ma accontenterò con piacere le richieste di questo consiglio genitoriale, ritirandolo seduta stante da questa scuola; decisamente non idonea a educare gli eredi di un lignaggio, tanto illustre quanto antico, quale quello della mia famiglia. Mi premurerò personalmente a far sì che questo si sappia in tutte le regioni che hanno usufruito dell’appoggio della mia casata, stabilendo con questi che chiunque abbia studiato in siffatto istituto venga etichettato per l’inetto che si è dimostrato non essendo in grado di apprezzare il valore di chi gli è accanto”. Una pausa voluta interruppe il suo disquisire. “Ora che il problema è risolto, con permesso”, problema che la giovane madre non aveva mai ritenuto per un solo istante essere suo figlio.
 
Si diresse alla porta nel mutismo più totale.
“Ah!”, esordì, soffermandosi sull’uscio e voltandosi con sufficienza verso quelle cornacchie starnazzanti. “Non so quanto questo rientri o meno nelle vostre decantate conoscenze sulla mia persona, ma sappiate che ho conseguito un dottorato in scienze delle costruzioni e un altro in ingegneria avanzata. Mi piacerebbe sapere quante di voi, signore, sono in grado di vantare altrettanto. Sempre che sappiate almeno scrivere correttamente il vostro nome”.
Uscì senza attendere risposta.
 
L’esodo di studenti da quella scuola agli altri istituti cittadini sarebbe stato difficilmente contenuto non appena quella voce sarebbe girata, fosse stata questa una semplice minaccia o meno; ma, fortunatamente per le quattro donne in quella stanza, Lan-Chen aveva scelto di applicare una linea esecutiva più gentile di quella suggerita inizialmente dal suo temperamento, e di questo avrebbero dovuto ringraziare l’amore che provava nei confronti del suo bambino, una delle poche cose, ormai, in grado di frenare i suoi istinti.
 
Quella scuola non era certo l’unica della città e neanche la più vicina alla nuova casa, forse quello spiacevole evento era stato solo uno degli infiniti e bizzarri metodi degli spiriti per farle capire che era giunta l’ora di trasferire anche Pete nell’istituto dove studiavano il resto dei suoi figli.
 
***
 
“Dove andiamo, mamma?”, domandò il piccolo aggrappato alle dita sottili.
“Se non ricordo male, mi avevi chiesto una macchina foto-qualcosa, per il tuo compleanno”, rispose Lan-Chen, fingendo di non sapere di cosa si trattasse.
“Fotografica!”, esordì il bimbo entusiasta, perdendo un passo per saltellare sul posto. “Devo documentare tutti i miei incredibili viaggi. Ma…”, aggiunse quasi istantaneamente, perdendo un po’ della sua euforia, “…al mio compleanno mancano ancora… quattro mesi”, dichiarò dopo aver contato con le dita della manina libera, chiudendone una dopo l’altra.
“Quattro mesi?”, disse fintamente allarmata, voltandosi, “Solo quattro mesi?”. Si fermò di colpo, abbassandosi per sollevare il bambino. “Allora dobbiamo correre!”, concluse, riprendendo a muoversi con passo veloce tra le vie fuligginose della periferia di Senlin, mentre Pete si stringeva a lei, la guanciotta schiacciata contro la sua, ridendo felice per quel gioco tutto loro.
   
 
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