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Autore: LanceTheWolf    21/10/2018    1 recensioni
Lan-Chen aveva una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale e dei sogni come tutte le giovani donne delle sua età. Poi la sua vita è cambiata, Lei è cambiata. In pochi sanno cosa è successo: la sua famiglia è allo scuro di tutto e ritiene che i suoi continui viaggi, le strane persone che frequenta, non siano altro che un periodo. Che stia semplicemente passando uno di quei momenti assurdi che prendono a tutti e che prima o poi passeranno proprio come sono giunti. Per lei, al contrario, ogni parola non detta ha il solo scopo di difenderli.
Si svolge molti Avatar dopo Korra.
NB: Questa raccolta partecipa al Writober 2018 a cura di Fanwriter.it
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Iniziativa: Questa storia partecipa al “Writober 2018” a cura di Fanwriter.it.
Numero Parole: 982
Prompt: Chiave (Red List – 21/10/2018)
 

Chiave


“Ho parlato con tua nonna”, a quelle parole Lan-Chen assottigliò lo sguardo. La voce della madre attraverso la cornetta era stata per i primi minuti di quella chiamata quasi atona, troppo calma per non farle temere che avesse qualcosa da dire che andasse al di là del semplice informarsi sul come stesse.
Non disse nulla all’affermazione della donna e rimase in ascolto: non era stata una domanda e sapeva bene a cosa si stesse riferendo.
“Lan, piccola mia, ho aspettato. Credevo fosse un periodo, credevo che ne avessi bisogno, ma…”, la madre sospirò in maniera anche troppo scenica per concedere a Lan-Chen il dubbio che non avesse pianificato tutto quel discorso, “…tre anni. Tre lunghi anni. Cosa devo pensare?”.
“Non capisco, mamma. A cosa ti riferisci?”, rispose a domanda con domanda.
Aveva temuto quel momento talmente a lungo che per un attimo le sembrò di trovarsi in uno dei suoi incubi e, proprio come in questi, si sentì sprofondare, ma non doveva lasciare che trapelasse dalla sua voce, non poteva.
“Come a cosa, Lan? Passi per i viaggi, per tutto il denaro speso, per la gente che frequenti, per aver lasciato il lavoro. Ho accettato che ti togliessi ognuno di questi sfizi, ma… questo? Cos’è? Non ti andiamo più bene come famiglia?”.
La ragazza si portò una mano alla bocca trattenendo un sentimento troppo doloroso da tradurre, da capire lei stessa.
Le labbra le tremarono, ma riuscì a mantenere la voce nitida.
Sfizi? Credi che tutto quello che ho fatto in questi anni fosse solo per togliermi uno sfizio?”, ancora… ancora l’unico modo per difendersi era non rispondere, ma chiedere, facendo finta di aver inchiodato il pensiero a quella parola sfuggita troppo amaramente dalle labbra della madre.
“E come li dovrei chiamare? Avevi dei sogni una volta, li hai dimenticati?”.
Dimenticati?
Solo gli spiriti sapevano quanto desiderasse poterlo fare, riuscire a dimenticare, riuscire a smettere di soffrire.
Le lacrime cominciarono a rigarle il viso.
Era stata costretta a rivedere tutta la sua esistenza per proteggerli, perché per uno stupido scherzo del destino si era trovata nel posso sbagliato al momento sbagliato.
E poi… poi tutto era degenerato. Aveva lottato, aveva ferito e… aveva ucciso. Inutile girarci intorno.
Doveva difendere chi amava e cielo se amava quella donna petulante dall’altra parte della cornetta, quel folle di suo padre, i suoi nonni, i suoi vecchi amici, il suo lavoro.
“È la mia vita”, ringhiò a denti stretti.
“Ti piaceva quel ragazzo, Ming, e volevi diventare ingegnere come me e papà”, continuò la donna senza sentire ragioni.
Il suo lavoro era stata l’ultima cosa che aveva abbandonato, i suoi vecchi amici, quelli erano stati i primi verso i quali si era sentita costretta a recidere ogni rapporto. Aveva troncato con loro di netto, senza dare spiegazioni, ma cosa avrebbe potuto dire infondo?
Scusate, ma sono ricercata in tutti i regni conosciuti e non vedervi più è l’unico modo che conosco per evitare che vi facciano del male pur di arrivare a me?
Proprio la pessima trama di uno di quei Moventi spionistici che amava tanto suo padre.
Il sorriso amaro che le si dipinse in viso non fece che accrescere il suo dolore.
Ricordava ancora le sere passate a guardare il telefono che squillava, sapendo che l’unica a poter insistere a quel modo era Na-Zhu, la sua amica da sempre; ricordava i momenti passati immobile a osservare lei e gli altri amici attraverso lo spioncino della porta, a osservare le sue lacrime, mentre le chiedeva di aprirle, mentre le chiedeva cosa le avesse mai fatto di tanto orribile da non meritare neanche una spiegazione. Ricordava quando diceva di sapere che fosse lì, dietro la porta; ricordava il resto degli amici che lentamente la lasciavano sola ad aspettare, sparendo uno dopo l’altro dietro la sua figura minuta e delicata. Ricordava le scuse raffazzonate e stanche. Ricordava quelle spalle da uccellino fremere per le lacrime versate, versate insieme a lei senza che lo sapesse. Ricordava di averla vista venire sola a bussare alla sua porta, attendere in silenzio, per giorni, e ricordava… ricordava perfettamente il momento che smise per sempre di cercarla.
 
Non sentendo arrivare nessuna parola da lei, sua madre riprese: “L’ho incontrato al mercato l’altro giorno. Ming. Era con quella tua amica Na-Zhu, ti ricordi di lei?”.
Sua madre non poteva immaginare quanto la ferissero quelle parole.
“Mi hanno chiesto se stavi bene, ma... non ho saputo rispondere, perché io… io non lo so, Lan, non lo so più ormai, non so più niente”, stava piangendo, la sua mamma stava piangendo per colpa sua.
Non era sicura di quanto ancora avrebbe potuto resistere, ma sapeva come finivano tutti i suoi incubi: ogni volta che affrontava quel discorso con la sua famiglia, ogni singola volta, si concludeva con una rottura.
 
Seguì un lungo silenzio, ma entrambe sapevano che l’altra era ancora in ascolto dal capo opposto del telefono.
“Tua nonna dice che quei bambini ti chiamano Mamma”, eccolo era arrivato il momento. “È per loro che lo stai facendo? Stai buttando via la tua vita, lo capisci? A che gioco stai giocando?”.
“Non sto giocando”, un sussurro probabilmente non udito, mentre la donna dall’altra parte del filo alzava la voce esasperata.
“Ti ho messa al mondo, avrò diritto a un po’ di considerazione, a una spiegazione?”.
“No”, disse seccamente.
Non avrebbe discusso mai quel punto, perché non c’era nulla da discutere: loro, i suoi bambini, erano stati la soluzione, la chiave per aprire la porta della sua rassegnazione, la chiave per trovare un nuovo sprazzo di luce a cui aggrapparsi e andare avanti.
Se doveva decidere quale porta serrarsi alle spalle non sarebbe mai stata quella.
“Lan come…”.
Non aspettò che terminasse. Piangendo, chiuse la chiamata.
 
Sperava… aveva sperato che il suo lavoro fosse stato l’ultima cosa della sua vecchia vita a cui era stata costretta a rinunciare, ma, a quanto sembrava, sperarlo non era bastato.
   
 
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