A
Tya/Ele.
Perchè è una grande fic-writer (ora in
tutti i sensi!) e un’autrice che amo e ammiro dal profondo del mio nero
cuoricino, perchè è la donna dei paragoni calzanti e del SasuSaku,
di “Hail to the geek”, del SuiKa e di molte altre cose eccezionali.
Perchè c’è sempre quando ho bisogno
di lei, quando sono in piena crisi da
“oddio-chi-me-l’ha-fatto-fare-di-andare-in-spagna-rivoglio-la-mia-casina!”,
quando voglio leggere e commentare fan fiction in diretta, quando voglio
condividere con qualcuno una canzone che mi ossessiona da giorni, quando voglio
discutere anche seriamente di quello che accade.
Perchè le voglio bene, anche se mi ha bidonata il
secondo giorno di Lucca, e questo non glielo perdonerò mai.
Buon Compleanno <3
~a
ghost in daylight
“Sasuke?”.
Nel pronunciare il suo nome, Sakura assaporò
lentamente ogni lettera. Nonostante scendesse in gola come veleno ed il suo
sapore acre le facesse lacrimare gli occhi, continuava a ripeterlo,
imperterrita.
“...Sasuke”.
Si rigirò in bocca quella parola tanto uguale al
sibilo di un serpente, incurante delle conseguenze. Fece risuonare tutte le
esse, lasciando che il fiato le uscisse dai polmoni, per poi tornare ad
inspirare.
Ma nemmeno al secondo richiamo l’interpellato aveva
risposto.
Sakura si ritrovò a rabbrividire, avvolta dalla
gelida penombra della stanza; se n’era accorta fin dal primo istante che
aveva messo piede nel quartiere degli Uchiha: le tenebre la stavano
inghiottendo.
Quando solo poche ore prima l’avevano avvertita di
una chiamata da parte di Sasuke Uchiha, Sakura aveva scosso la testa pensando
che si trattasse di uno scherzo. Da quanto era tornato a Konoha, volente o
nolente, solo Naruto -e per solo una
manciata di minuti- era riuscito ad avere una conversazione di senso compiuto
con l’ultimo erede dell’antica casata. Successivamente Sasuke si
era chiuso in un mutismo esasperato, rifiutandosi di mettere piede oltre la
soglia della propria casa e vedere anima viva. Lei stessa aveva provato ad
avere contatti con il suddetto, ma inutilmente; dopo i primi due mesi di
tentativi fallimentali, anche Sakura aveva rinunciato.
E ora era lui, in carne ed ossa, a richiedere una visita
da parte sua. Voleva lei, l’aveva
detto espressamente.
Raggiungendo la sua meta, Sakura aveva distintamente
avvertito una fitta al petto. Da medico qualificato qual’era aveva
escluso ogni tipo di malattia, dalla più comune alla più rara,
rimanendo infine senza risposta.
Perchè faceva così male?
Era come se le mancasse qualcosa dentro, oltre la cassa toracica, esattamente dove avrebbe dovuto
esserci il cuore. Passando di fronte alle vetrine dei negozi, aveva cercato di
evitare il proprio riflesso, timorosa di scoprire che –effettivamente-
qualcosa non c’era.
Ma allora, come poteva quel niente, quello che al momento
non aveva –non più, almeno-, farle male come se fosse stato un
tutto?
Forse quella voragine era
Sasuke, perchè il vuoto che aveva lasciato andandosene aveva causato
più sofferenza di quella che avrebbero ottenuto se fosse rimasto.
Era quello, allora. Era lui e, dentro Sakura, non era mai
tornato.
Aveva continuato a camminare, incurante di ciò;
Sasuke aveva richiesto una visita, nulla più, si era ripetuta.
Ma ora che sedeva muto al tavolo della cucina, Sakura non
ne era più tanto sicura. Gli occhi cerchiati da profonde occhiaie
risaltavano sul volto pallido, mentre i capelli che gli ricadevano sulla fronte
in ciuffi scomposti rendevano la sua figura ancora più spettrale.
E, soprattutto, non sembrava intenzionato a rivolgerle la
parola.
“Sasuke” ripetè per la terza volta,
sentendosi gelare il sangue.
Quando lo sguardo vacuo di Sasuke –finalmente- si
posò su di lei, Sakura ne ebbe la certezza: qualcosa di era rotto, e non
solo dentro di lei. Nonostante fosse certa che lui non potesse mettere a fuoco
i dettagli, abbassò gli occhi, fissando il tavolo.
Le mani del ragazzo, sciupate come ogni altra parte del
suo corpo, erano compostamente appoggiate sul ripiano in legno, una sopra
l’altra. Non fu tanto la loro magrezza scheletrica a colpire Sakura,
quanto le sue unghie: scure, quasi livide, alcune spezzate e altre
completamente mangiate.
Cosa stava accadendo?
“Sa...”.
“Ti ho sentito” le rispose laconico, senza
cambiare espressione.
Inspiegabilmente Sakura sentì il bisogno di
voltarsi e correre, correre fino a quando il quartiere Uchiha non fosse stato
che un punto all’orizzonte, ma subito se ne vergognò.
“In... in ambulatorio mi hanno detto che hai
telefonato” disse allora, cercando di ignorare il tremore e la gola
secca. “C’è qualcosa che non va? È tutto a
posto?”.
“Tu credi che sia tutto a posto?” le chiese
con voce bassissima.
“No, non... no” mormorò spiazzata.
Dopo quella strana domanda si sentì autorizzata ad
avanzare fino a raggiungere il tavolo. Tatami vecchi di anni scricchiolarono
sotto i suoi passi, mettendola ulteriormente a disagio: quella che doveva
essere una semplice visita a domicilio si stava rivelando un incontro
pericolosamente surreale.
“Siediti” aggiunse perentorio, almeno quanto
poteva esserlo il fantasma che era diventato.
Sakura ubbidì, prendendo posto di fronte a lui.
Era quasi certa che a quella distanza lui potesse vederla chiaramente.
Avrebbe notato il suo sguardo intimorito,
l’espressione sconvolta, il petto che si alzava e abbassava a ritmo
frenetico? Sì pentì di non essere rimasta dov’era, ferma
sulla soglia.
Quel Sasuke le faceva ben più paura di quando lo
aveva visto combattere contro Kyuubi.
“Perchè non mi hai risposto, prima?”.
Lui scrollò le spalle, evidenziando
l’eccessiva magrezza.
“Così, non mi andava”.
Quella risposta parve rassicurarla ed irritarla al tempo
stesso. Era insulsa, campata in aria come un capriccio infantile, ma aveva un
suono familiare. Forse perchè quelle parole contenevano non solo
l’ombra che il ragazzo era diventato, ma anche il vecchio Sasuke.
“Che risposta stupida” sputò Sakura,
come per sublimare tutta l’angoscia e la tensione di quel momento.
Sasuke sollevò impercettibilmente le sopracciglia,
quasi divertito.
“...Come?”.
“Ho detto che è una risposta stupida”
scandì lei con calma, piacevolmente incredula davanti alle sue stesse
parole. “Ma quello che vorrei sapere è perchè mi hai
chiamata”.
“C’è qualcosa che non va, l’hai
detto tu stessa” rispose Sasuke, monocorde come sempre.
“Oppure ti stai semplicemente annoiando?”.
“Non escludo nessuna opzione”.
Un timido sorriso cominciò a farsi spazio sulla
bocca di Sakura, ingrandendosi man mano. Infine, quando le sue labbra furono
completamente incurvate, la ragazza scoppiò in una risata cristallina ma
indecifrabile.
Sasuke sbattè le palpebre più volte, sua
unica espressione di perplessità.
“Ho capito!” esclamò Sakura tra le
risa. “Come ho potuto non arrivarci prima?”.
Con una mano asciugò le lacrime che le erano
colate lungo le guance, poi si fermò un attimo per riprendere fiato.
“Tu non hai nulla che non va, Sasuke”
aggiunse con foga. “O meglio, hai qualcosa, ma è un problema soltanto tuo. Vuoi sapere perchè
hai telefonato all’ospedale? Perche non vuoi essere solo, anche tu hai
bisogno di qualcuno... nel tuo modo malato, ovvio. Qualcuno che stia qui e ti
guardi mentre cerci di autodistruggerti, altrimenti dove starebbe il
divertimento?”.
Il ragazzo scosse leggermente la testa, cercando di
negare quelle parole senza risultare abbastanza convincente.
Sakura si alzò si scatto, facendo cadere la
propria sedia e battendo i palmi delle mani sul tavolo consumato.
“Allora, Sasuke?” gli chiese duramente.
“Ho ragione?”.
“Mh... sei completamente fuori strada, come al
solito” le rispose
semplicemente lui.
“No, io non credo” mormorò livida,
voltandogli le spalle. “E comunque tornerò anche domani”.
“Cosa?”.
“Tornerò domani”.
“No”.
“Non mi importa, Sasuke. Ho detto che
tornerò”.
“...Perchè?”.
“Per vedere la tua distruzione e provare a me
stessa che non cercherò di fermarti”.