Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
Segui la storia  |       
Autore: aleinad93    23/10/2018    2 recensioni
"La caffetteria conosceva dopo il pranzo la tranquillità e Keith finalmente poteva tirare un sospiro. Erano due mesi che lavorava come apprendista al Voltron Café, per rendersi indipendente da Shiro e Adam, i suoi genitori adottivi, solo che odiava la confusione. Non si era ancora abituato al chiacchiericcio, ai rumori e alla gente dell'ora di pranzo. Si posizionò vicino alla cassa, lasciando libero il campo al proprietario, il signor Wimbleton, e alla sua collega Allura che stavano lavorando. Lanciò un'occhiata verso la porta e proprio in quel momento entrò qualcuno che conosceva. Cioè non conosceva davvero quel tipo, Lance..." (dall'inizio del primo capitolo Caffetteria)
[le Os sono scritte per il #writober organizzato da fanwriter.it]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Garrison Hunk, Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dormire 

«Campione, non riesci a dormire?»
«Shiro, sono grande ormai.» Keith si voltò nel letto, dando le spalle al genitore adottivo apparso sulla porta della sua stanza con pantaloni lunghi grigi e una maglietta nera a mezze maniche. Quello era il suo look preferito per stare in casa d'autunno.
«Sei adulto, presto potresti lasciare il nido. Guidi…»
«Ho la patente da quando ho sedici anni.»
«Lavori. Hai persino portato a casa il tuo ragazzo.»
Keith si voltò di colpo verso Shiro. Questa storia doveva finire una volta per tutte.
«LANCE NON È IL MIO RAGAZZO.»
L’altro fece un sorrisetto che gli mise ancora più il nervoso. «Non serve farlo sapere anche alla galassia di Andromeda, cadetto. E ti ricordo che Adam e Kosmo stanno dormendo a sole tre stanze da qui.»
«Ah, ecco dov'era finito.» Il suo cane aveva deciso proprio quella notte tra tutte di stare nel lettone dei suoi genitori.
Shiro entrò e senza chiedere il permesso si sedette in fondo al letto del figlio. Si spostò indietro fino ad appoggiare la schiena alla parete. Keith seguì queste operazioni con sguardo torvo.
«Facciamo due chiacchiere, suvvia.»
«Io stavo per dormire.» Non aveva voglia di fare conversazione, dal momento che era già nata sotto una cattiva stella e le sue palle avevano girato più velocemente di quanto Giove ruotasse sul proprio asse.
«Con l’abajour accesa?» Shiro non aveva nessuna intenzione di demordere e Keith sbuffò. Si mise seduto e incrociò le braccia, mezzo rassegnato.
Non aveva proprio dormito da quando si era coricato alle dieci e mezza e a un certo punto aveva acceso la luce, perché lo angosciava riflettere a lungo al buio. Lanciò uno sguardò alla sveglia nera digitale sul suo comodino e i numeri indicavano che in quel momento mancavano dieci minuti al suo compleanno.
Ogni anno cancellava il 23 ottobre dal suo calendario, ma alla fine arrivava lo stesso per quanto lui cercasse di rimuoverlo calcando con la penna nera e avesse rischiato più di una volta di fare un buco nella carta plastificata.
Quel giorno gli ricordava che qualcuno, una donna che poteva essere dovunque oppure essere morta per quanto ne sapeva, l’aveva partorito e poi se n’era andata prima che compisse due anni. Quello stesso maledetto giorno lo spingeva a chiedersi se l’uomo che aveva contribuito alla sua nascita e poi l’aveva abbandonato per abbracciare la morte, si fosse mai ricordato di festeggiare il suo compleanno dopo la scomparsa della donna amata.
Non si soffermava mai su quelle domande, ma durante la notte che portava ora dopo ora al 23 ottobre e poi per tutta la giornata cancellata sul suo calendario quei pensieri bussavano e lui non riusciva a ignorarli.
Se era nato, era per quelle due persone.
Se era cresciuto, invece, era merito dell’eroe che lo stava guardando riflessivo in fondo al suo letto e di suo marito che stava dormendo a tre stanze dalla sua.
Shiro non rimase in silenzio a lungo. «Non riesci a dormire, vediamo se indovino perché. Il pensiero di Lance ti toglie il sonno, per caso?» Keith si trattenne dal darsi una manata in faccia e ripeté mangiandosi le parole. «Lance. È. Mio. Amico.»
La calma che aveva ricercato per non urlare era già andata a farsi benedire.
Shiro sogghignò e afferrò un piede di Keith da sopra le coperte. «Secondo me ti piace. L'hai invitato a casa...»
«Voleva conoscere Kosmo.» In realtà poteva parlare del suo cane a Lance anche senza portarlo a casa loro, ma questo Shiro non doveva assolutamente saperlo.
«Ma tu non hai mai fatto venire nessuno qui» insistette l’altro.
Lui si mise a gesticolare spazientito e gli venne in mente che sembrava decisamente il suo amico allampanato in quel momento. Smise prima che Shiro si mettesse in testa altre strane idee. «Lance è... testardo quando ha un obiettivo.»
«L'hai fatto rimanere anche a cena.» Non voleva proprio demordere, ma questa volta gli avrebbe ribattuto tranquillamente con la verità. «È stato Adam a invitarlo, non io.»
Il padre adottivo giudizioso e occhialuto era rientrato con la spesa e aveva trovato lui e Lance che giocavano con Kosmo sui gradini di casa. La prima reazione era stata aggiustarsi gli occhiali, la seconda pronunciare in modo esasperato/rassegnato «Shiro ha portato a casa un altro essere vivente...»
Keith aveva scosso la testa e stava per lanciarsi nella presentazione di Lance, di cui aveva parlato diverse volte a cena, ma Adam non ne ebbe bisogno, perché aveva già fatto due più due. «Ah no. Tu sei il primo ospite di mio figlio. Piacere io sono Adam Shirogane, ma chiamami tranquillamente Adam. Nessun formalismo.»
«Io sono Lance McClain, signore.» Lance si drizzò rigido e impettito gli porse la mano. Adam lo guardò, abbassò lo sguardo sull’arto proteso e alzò appena i sacchetti che portava, come per dire che ovviamente non poteva ricambiare la stretta.
Keith che andava da tutta la vita a braccetto con l’imbarazzo si fece avanti per prendere un sacchetto della spesa in modo da aiutare suo padre e contemporaneamente anche l’amico che intanto aveva abbassato la mano, leggermente rosso in volto.
«È sufficiente il nome. Signore mi sa di vecchio e non ho ancora quarant’anni» disse Adam con il sorriso dolce che dedicava a Shiro, quando combinava delle vere e proprie catastrofi nella loro cucina. «Lei è straordinariamente giovane e avvenente, sig... Adam» aveva detto Lance che un attimo dopo, accortosi delle sue parole, si era scusato.
Keith aveva lanciato un’occhiataccia all’amico, mentre abbassava la maniglia con la mano libera e spalancava la porta con un calcio. Per i quasi ottanta satelliti di Giove, Adam era sposato ed era suo padre.
Il diretto interessato non era sembrato infastidito del complimento, tant’è che se n’era uscito con «Stasera per cena ci sono le cotolette. Lance sei dei nostri, vero?»
Keith aveva quasi lasciato cadere il sacchetto stupito, mentre l’amico si era illuminato. Aveva aperto la bocca per replicare, poi l’aveva chiusa e aveva risposto. «Sì, la ringrazio, sign... Adam.»
Keith si sentiva confuso ogni volta che Lance si dimostrava impacciato. Non sembrava quasi lo stesso ragazzo che con tanta sicurezza riusciva a flirtare, fare occhiolini e movimenti strani e spavaldi, e attribuire nomi e aggettivi imbarazzanti.
«Va bene, l'ha invitato Adam, però tu non sembravi contrariato.»
«È un mio amico. Le volte successive sono venuti anche Hunk e Pidge. O pensi che io stia con tutti loro in una grande relazione poliamorosa?»
Shiro fece un sorriso divertito, ma poi lo guardò negli occhi. «Puoi chiamarli quando vuoi. Ad Adam e a me fa solo che piacere.»
Era serio e Keith annuì deciso. Aveva percepito in quelle parole tutta la preoccupazione che quei due essere umani che l’avevano accolto dovevano aver fatto provare. A volte gliel’avevano mostrata, ma per lo più nascosta per non farlo sentire diverso dagli altri bambini e ragazzini. Avevano cercato di incoraggiarlo a fare amicizia, ma non avevano mai calcato la mano, lasciandogli i suoi tempi.
Keith tirò la felpa che indossava fino a coprire il mento e morsicò il bordo del colletto.
Shiro riprese la parola. «Per quanto riguarda Lance...» Keith roteò gli occhi. Ora sì che stava calcando la mano. «Mi è parso un bravo ragazzo. E se tu provassi certi impulsi, una voglia di sfregare...»
«Ma che stai dicendo!?!» Keith era troppo stupito anche per coprirsi le orecchie. Sperò con tutto se stesso di aver capito male.
«Sfregarti da solo, là sotto, è normale. E se vuoi sfregarti con lui...pure. Sempre che lo voglia anche lui.» Shiro stava cercando le giuste parole con gli occhi che scrutavano il soffitto. Si era indicato il suo “là sotto”, probabilmente per rendere chiaro il discorso e Keith ebbe la tentazione di nascondersi sotto le coperte. Ma cosa aveva fatto di male per meritarsi una conversazione di quel tipo a – si voltò appena per vedere la sveglia – quattro minuti da quell’infausto giorno che era il 23 ottobre?
«Sapevo che dovevo lasciare la chiacchierata sulla masturbazione e sul sesso ad Adam. È più... schietto e dettagliato.»
Keith fece un suono schifato. Si immaginò Adam con sua la faccia da professorino che gli tirava fuori anche una lavagnetta per fargli i disegni esemplificativi.
«So tutto… a scuola si studia…» provò a dire, ma Shiro disse di nuovo. «Siamo tra padre e figlio. Pensa che io ho dovuto subire questa conversazione da nonna Marianne che mi ha lanciato alla fine una scatola di preservativi. Tranquillo, non te li ho portati.»
Keith sospirò leggermente sollevato e Shiro lo imitò. Scoppiarono a ridere per stemperare l’imbarazzo che si era accumulato nella stanza.
La citata Nonna Marianne era la mamma di Shiro e quindi sua nonna acquisita. Si era sentito subito accolto da lei. L’aveva abbracciato stringendolo contro una delle sue vesti a fiori e l’aveva condotto in cucina, dove gli aveva messo in mano una grossa ciambella.
Shiro aveva liberato la tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti, prendendo un dolcetto a sua volta e ficcandoselo in bocca. Nonna Marianne l’aveva colpito con il cucchiaio di legno, sbottando. «Ti ho educato meglio di così, Shirogane Takashi. Prima di addentare la ciambella come un morto di fame dovevi offrirla anche agli altri e soprattutto a tuo marito che sarà affamato. Hai un figlio ora, guarda che dolce stellina che è. Grazie a Dio c’è Adam ad aiutarti a crescerlo.»
«Ma mamma…»
«Non si parla con la bocca piena, Takashi.»
La tensione di Shiro era dipesa dal fatto che sua madre potesse non accettare il bambino che aveva adottato, come all’inizio non aveva sentito ragioni per la sua relazione.
Keith aveva appreso questa storia da nonno Toshio che aveva sempre accettato il figlio, a cui aveva dato un colpetto sulla schiena quando aveva comunicato loro che usciva con un ragazzo e gliel’aveva ribattuta nel momento in cui si era presentato con un anello leggermente lavorato al dito e poi di nuovo il giorno delle nozze.
I suoi genitori adottivi si erano conosciuti il primo anno di college, perché Adam che iniziava a ribellarsi ai genitori li aveva convinti che era necessario per un futuro capo di un’azienda prestigiosa come la loro mescolarsi con la plebe, in realtà voleva solo mettere distanza tra sé e l’ambiente snob in cui era cresciuto. Era riuscito grazie all’intervento di suo zio a mascherare il fatto che frequentasse letteratura, invece, che le lezioni di economia e finanza.
Nonna Marianne all’inizio aveva ben accolto l’amico che suo figlio aveva portato a casa dal college qualche fine settimana, ma tutto aveva preso una brutta piega quando li aveva beccati in camera che si baciavano.
Non aveva detto molto. Aveva smesso di chiamare Shiro, lo evitava quanto rientrava per le vacanze. Gli preparava da mangiare, ma se lui tentava di dirle qualcosa, lei usciva dalla cucina con il suo piatto diretta probabilmente in camera. Gli lasciava sulla scrivania dei santini che Shiro buttava nel corridoio appallottolati.
Toshio da uomo di poche parole metteva ogni volta una mano sulla spalla del figlio, dispiaciuto per la situazione e lo spronava a non mollare il suo ragazzo e amarlo, perché un giorno sua madre avrebbe capito e sarebbe stata contenta di vederlo felice.
La situazione era cambiata quando Adam era stato cacciato di casa dai suoi genitori e ricoperto d’oro, perché vivesse la sua relazione il più possibile lontano da loro.
Shiro si era precipitato a casa con l’aria di uno spiritato e aveva preteso che sua madre lo ascoltasse. Il racconto della pessima situazione familiare del compagno e il seguente pianto del figlio dovevano aperto gli occhi a Nonna Marianne che orgogliosa non aveva ammesso subito di aver sbagliato, ma aveva aspettato una quindicina di giorni per chiamare suo figlio e invitarlo con Adam a casa, per potersi scusare con entrambi.
Spesso la donna ripeteva che il suo Toshio era sempre stato più saggio di lei in fatto di sentimenti, poi tornava a rimproverarlo e a comandare tutto con il suo cucchiaio di legno impugnato nella mano sinistra e la sua aria apparentemente innocua.
Keith e Adam erano sempre esonerati da tutto quando erano a casa dei nonni. Marianne specialmente li trattava come se fossero stati a lungo in guerra e avesse deciso di ripagarli delle fatiche facendoli accomodare sulle due poltrone migliori e mangiare ogni ben di dio che metteva sulla tavola.
Keith rabbrividì pensando alla nonna che si metteva a spiegargli l’educazione sessuale con il cucchiaio di legno pronto a darglielo in testa se provava a infilare la testa sotto il lenzuolo.
Che maledetto imbarazzo.
«So che non c'è nulla di male.» Probabilmente aveva le guance rosse. «Ma Lance...»
«Mi stai per dirmi che è un figo galattico e tu non sai dove mettere le mani?»
«Papà!»
Figo galattico? Era peggio di bellezza spaziale.
«Ho capito, sei ancora confuso. Succede.» Keith non rispose, ormai era un mese che tirava fuori l’argomento Lance e lui non sapeva più che fare.
«Quando sei pronto, il tuo papà è qui.» Shiro gli strizzò l’occhio complice. Poi guardò nella direzione del comodino e la sua bocca si aprì in una grande sorriso. «Ah guarda, ridendo e scherzando, è passata la mezzanotte. Buon compleanno, campione.»
Keith fissò sorpreso Shiro e poi si voltò verso la sua sveglia. Era mezzanotte e tre minuti. Aveva ufficialmente diciannove anni.
«Parlando di Lance, i minuti volano» commentò il padre divertito per la reazione di Keith che preferì di nuovo chiudersi nel silenzio stampa.
Dalla porta entrò all’improvviso Kosmo, che scodinzolava pimpante e appena dopo si affacciò Adam con la sua immancabile vestaglia di seta, malamente infilata su un pigiama blu notte. «Buon compleanno, Keith» biascicò Adam con la voce impastata dal sonno. Sbadigliò, mettendo la mano davanti. «Ho sentito uno strillo prima. Takashi, non gli avrai già dato il suo regalo, vero?»
«No, tesoro, stavamo parlando di Lance e nostro figlio è giusto un poco sensibile sull’argomento.»
Keith stava per protestare, ma Adam prese la parola, spazientito. «Ancora? Sembra che ti abbia conquistato quel ragazzino, devo preoccuparmi?»
Shiro mise il broncio e borbottò tirando un dito al figlio che sogghignava. «No, tesoro, nel mio cuore ci sei solo tu.»
«Allora vieni che torniamo a letto e lasciamo riposare i nostri ragazzi.» Shiro sbuffò e si alzò dal letto, dando una carezza a Kosmo felice che finalmente il suo padrone con il ciuffo bianco gli lasciasse il posto.
Adam salutò. «Dormi che domani ti aspetta una giornata piena.»
Keith fece un cenno con la testa e si sdraiò. Era mezzanotte e dodici minuti e spense la luce.
Provò a voltarsi, poi si rigirò, ma non aveva sonno. Allungò la mano dietro la sveglia e afferrò il cellulare staccandolo dal caricabatterie. Attaccò la connessione WiFi e dopo un attimo gli arrivò una notifica di WhatsApp.
Controllò e vide che Lance gli aveva scritto in chat e non nel gruppo "I ragazzi del VC" che comprendeva, oltre LanceyLance (come si era salvato da solo sul cellulare di Keith), Hunk, Pidge e Allura (sono anch’io una ragazza del Voltron Café!).
Keith lo aprì e rimase un attimo sorpreso.
Buon compleanno, bellezza spaziale. Oggi compi 19 anni e sei fortunato perché io vado pazzo per i ragazzi più grandi ;)
P.S Che questo messaggio rimanga tra noi, se no gli altri mi uccidono. Mostrati sorpreso domani!
P.P.S Non dirlo a Shiro e Adam.
P.P.P.S Perché non ci hai detto del tuo compleanno, silly kitty*?
Keith si trovò a soffocare le risate tra le coperte. Gli venne persino da piangere, non aveva mai riso così della grossa.
Deduceva dal messaggio che i suoi genitori avevano detto ai suoi amici del suo compleanno. Solo loro potevano averlo fatto. Mostrarsi sorpreso? Cosa poteva significare, gli aveva organizzato una festa? Se lo chiese, mentre tentava di soffocare l’ilarità improvvisa e le lacrime che scendevano libere lungo il suo volto. Le sue mani fredde tremavano e le strinse forte intorno al cellulare con la paura che scivolasse lungo la coperta e poi per terra.
Kosmo rumoreggiò in fondo al letto e un attimo dopo gli venne vicino, camminando tra il suo corpo e la parete. Gli leccò una guancia. «Scusa, no, non sto male. Veramente.»
Il cane lo guardò, uggiolò e poi si mise di nuovo sdraiato questa volta proprio accanto a lui.
Keith rilesse di nuovo il messaggio con gli occhi offuscati dalle lacrime che restavano intrappolate tra le ciglia. Si pulì di nuovo sul lenzuolo e scrisse una risposta. Grazie, Lance. Mi fingerò sorpreso.
Inviò e un secondo dopo apparve in alto “Lance sta scrivendo…”
A Keith batté il cuore e fu tentato di spegnere il cellulare e riporlo sul comodino. Per un attimo pensò di gettarlo dalla finestra, ma prima che potesse fare anche solo un movimento arrivò il messaggio dell’altro. Bravo!
Hai eluso solo qualche domanda, mistery boy*.
Keith si lasciò andare a un sorriso e scrisse. Tranquillo, non lo dirò a Adam e Shiro. Tra parentesi Shiro ha una cotta per te, sono sicuro che non se la prenderebbe mai con il suo Lance.
L’altro replicò un secondo dopo a caratteri maiuscoli. COSA? POW POW. LANCEYLANCE IL SHARPSHOOTER HA COLPITO ANCORA. XD
Keith scosse la testa divertito per l’ennesima cavolata sparata del suo amico e poi cercò di mettere giù una risposta all’ultima domanda che gli aveva fatto nel primo messaggio, intanto che l’altro sommergeva la chat di gif di gente trionfante, che ballava e si scatenava.
Digitò, poi cancellò, scrisse di nuovo. Sentiva che aveva bisogno di dire all’amico che odiava il suo compleanno e la causa. Ne aveva parlato a Shiro e Adam un anno, ma loro non glielo avevano mai chiesto. Avevano intuito che qualcosa non andava il 23 ottobre. Tendeva a isolarsi, parlava poco e nel momento di soffiare la candelina la spegneva velocemente, perché non aveva niente da desiderare, aveva già due genitori meravigliosi che però non erano quelli che l’avevano messo al mondo.
Alla fine inviò questo. Vi ho detto che i miei mi hanno abbandonato, non è proprio tutta la storia, ma in fondo è quello che conta. Odio il 23 perché odio loro. Mi hanno messo al mondo e sono andati via.
Keith inviò questa cosa senza senso e per un attimo volle cancellarla, ma ormai Lance l'aveva vista, come indicavano le famigerate spunte blu.
Il messaggio dell’altro arrivò alla svelta. Li odi solo perché ti hanno abbandonato
o perché in fondo ti mancano anche se ti hanno lasciato orfano?
Fissò con stupore la domanda, la rilesse e ne rimase di nuovo colpito.
Lance aggiunse al volo un altro paio di righe. Spezzava le frasi. Le mandava a raffica, a distanza di nemmeno un secondo.
Senti Keith, scusa
Scusami tanto, tantissimo
Non mi dovevo permettere
Lascia stare
Ha ragione mia sorella Veronica, non mi faccio mai gli affaracci miei.
Keith pensò che Lance aveva centrato il punto. Aveva due genitori adottivi meravigliosi che avevano sempre festeggiato il suo compleanno con i regali e la torta, l'avevano fatto istruire, lo sgridavano, gli avevano insegnato ad andare in bicicletta, gli avevano comprato il primo telescopio, l’avevano curato quando stava male e si erano fatti contagiare dalle sue malattie, ma il 23 ottobre non riusciva a smettere di pensare alle due persone che l'avevano messo al mondo e poi lasciato solo. E sì, cavolo, gli mancavano quelle due persone. Le odiava, ma si chiedeva come sarebbe stato vivere con loro, come l'avrebbero chiamato, se avrebbero amato la sua passione per le stelle, se gli avrebbero comprato un telescopio, se ci sarebbero state cose che avrebbero fatto volentieri insieme, come quando cucinava con Adam o correva con Shiro per due isolati.
Se, tantissimi se che si affollavano. Scene di una vita che non avrebbe mai vissuto accanto alle due persone che l’avevano messo al mondo.
Keith strinse le labbra per dare una degna risposta all’altro, mentre Lance continuava a scrivere scuse su scuse, nominando parenti su parenti che gli dicevano che era un ficcanaso, un entrometido* e altri termini sconosciuti.
Si affrettò a interrompere l’invio compulsivo dell’amico. Lance, smettila, mi stai impallando wa. Potresti avere ragione, forse li odio anche perché non riesco a far meno di pensare a loro, a come sarebbe stata la mia vita con loro. È stupido.
Lance scrisse. È umano! Pensiamo sempre a qualcuno che non abbiamo, anche se ci ha ferito. Lo dice sempre la mi abuela.* Credo che lei odi ancora il suo primo marito per essere scappato, ma alla fine come te non può fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se non se ne fosse andato con un’altra.
Keith non era abituato a mandare emoticon, lo scocciavano, ma decise di inserire un cuore dopo a un breve ringraziamento.
L’amico gli scrisse indietro. Se mia nonna non fosse stata lasciata, magari non esisterei. Se tu non fossi stato abbandonato, magari non avresti mai conosciuto Adam e Shiro, non avresti mai lavorato al Voltron Café e non ci saremmo mai incontrati. Ora non staremmo parlando.
Sarebbe veramente triste.
Rilesse le parole dell’amico varie volte e il suo cuore si rivoltò nel petto. Kosmo dormiva inconsapevole di quello che stava accadendo dentro Keith. Guardò l’orario, era mezzanotte e mezza e digitò Ti voglio bene, Lance. Stette fermò sul tasto dell’invio, ma decise di non schiacciarlo. Cancellò.
Stava provando qualcosa, ma non era pronto. Si limitò a ringraziarlo di nuovo per la conversazione, aggiungendo un “davvero” per essere convincente. Rilesse le parole della nonna di Lance e tenne stretto il cellulare contro il petto.
L’abuela di cui aveva parlato, doveva essere quella paterna che viveva ancora a Varadero. L’altra aveva avuto modo di conoscerla quando era andato dai McClain una settimana dopo che l’aveva portato a casa sua.
La famiglia di Lance era un nugolo di persone urlanti, frizzanti e euforiche quanto il suo amico. Mamá* McClain l’aveva abbracciato invitandolo in casa e mettendolo a sedere a capotavola. Papá* McClain gli aveva dato una pacca sulla schiena. Si era trovato circondato da voci che lo chiamavano e si presentavano. Si ricordava mezzo nome, se andava bene.
«Che cosa studi?» gli aveva chiesto una cugina, emergendo tra gli altri.
Gli era venuto un tuffo al cuore. Si aspettavano che stesse per iniziare il college come Lance, invece, aveva scelto quasi un anno dopo di pausa dalla scuola di andare a lavorare.
«È un cameriere e un barista molto affascinante» era intervenuto proprio l’amico a toglierlo dall’impiccio. «Il Voltron Café ha un sacco da clienti da quando è stato assunto.»
Keith era arrossito, non era affatto vero, ma la cugina aveva commentato. «Intanto che sono a casa, ci farò un giretto anch’io prima di tornare a Varadero.» Gli aveva fatto anche l’occhiolino.
La nonna Mercedes, una signora sulla sessantina, aveva commentato che era proprio un bel figliolo e gli aveva cercato di rifilare a tutti i costi la mano di uno dei nipoti, un ragazzone alto un metro e novanta e con un orecchino vistoso sull’orecchio sinistro. Keith intimidito aveva pensato che non era malaccio, mentre Lance protestava piagnucolando in spagnolo.
«Abuela lui piace a me» gli stava traducendo il fratellino del suo amico, un bambino di circa dieci anni, che gli si era seduto accanto dopo essersi presentato con il nome di Louis. «Nonna Mercedes lo sta prendendo in giro.»
Una delle zie era comparsa dalla cucina e aveva richiamato tutti all’ordine, comunicando che il pranzo era pronto. Keith si era ritrovato con una fondina stracolma piena di riso e fagioli, perché “era troppo magro” secondo il canone McClain. Lui era già sazio a metà del primo piatto, mentre quasi tutto il tavolo si stava servendo la terza porzione.
«Ti è piaciuto il moros y cristianos? Mamma l’ha fatto perché venivi tu, ma non ti preoccupare se non ti va più… invertiamo i piatti.» Lance effettuò lo scambio e lo guardò un po’ preoccupato. «C’è il dolce, ma tra poco trovo un diversivo, così ti faccio conoscere la mia bambina.»
Nessuno si era accorto del passaggio dei due piatti a parte il fratello di mezzo che in silenzio l’aveva osservato con astio da quando era entrato. Veronica successivamente gli aveva consigliato di non fare caso a Marco, era geloso di quelli che potevano uscire con suo fratello, mentre lui non poteva seguire il suo eroe dovunque, perché aveva ancora il coprifuoco e le regole di un ragazzino di quindici anni da rispettare.
Keith si era sentito imbarazzato in mezzo a quella famiglia così numerosa, ma non aveva voluto essere scortese e così aveva preso un’altra cucchiaiata della pietanza, ringraziando le signore di casa per aver cucinato apposta per lui.
Lance era poi venuto in un suo aiuto, come gli aveva detto. «Lasciatelo un attimo respirare, famiglia. Adesso ve lo porto via, giusto per conoscere la mia bella Kaltenecker.»
«La tua mucca mi ha mangiato di nuovo i fiori» aveva commentato arrabbiata Veronica.
«Mi ha fatto una quaglia enorme sulle scarpe, quella schifosa mangiaerba» aveva brontolato una delle cugine che sembrava una modella dal tanto che era bella.
«Non si dice così a Kaltenecker, Marie. Sei brutta» aveva protestato uno dei due nipoti di Lance, figli del fratello più grande che in quel momento era al lavoro.  
«Taci tu, sei piccolo.»
«Strega.»
«Poppante.»
Mentre i grandi erano intervenuti a bloccare il litigio, Keith era stato portato via da Lance che l’aveva afferrato per la mano e gli aveva fatto segno di stare zitto. Erano sgattaiolati praticamente senza essere visti sul retro di quella casa minuscola e si erano diretti in una piccola stalletta, adatta proprio per una singola mucca e per contenere qualche attrezzo da giardino.
«Scusali, sono un po’…»
«Un po’tanto Lance» aveva scherzato Keith subito spintonato dall’altro.
«Mi dispiace, io non avevo idea che Mamá avesse chiamato tutta la famiglia…»
Lui non aveva saputo che dire, gli era uscito solo «Tua nonna ha provato in tutti i modi a mettermi con tuo cugino.»
Lance aveva sbuffato, disgustato e poi era scoppiato a ridere con Keith, mentre apriva la porta della stalletta. «Bellissima amore mio, Kalty, vieni da papà. Ti devo far conoscere una persona.»
La mucca pezzata stava ruminando del fieno, incurante dell’arrivo del suo padrone. Faceva ondeggiare la coda di qua e di là per scacciare qualche mosca e chinava di nuovo la testa sulla mangiatoia. «È timida la mia bimba al contrario del tuo Kosmo.»
Keith non si era sentito subito a suo agio con l’animale ed era passato ben lontano. Si era avvicinato solo quando era stato incoraggiato dal suo amico.
«Se stasera rimani, ti faccio vedere come si munge.»
Erano stati parecchio tempo nella stalletta a parlare tranquilli, seduti sul fieno.
«Si sta bene qui» aveva mormorato a un certo punto Keith quasi del tutto sdraiato e mezzo assopito per il troppo cibo.
«È il mio rifugio. Kaltenecker è una buona compagnia, silenziosa, pronta ad ascoltare e in grado di fornire latte.»
Keith si era addormentato una mezz’oretta quel giorno, mentre in quel momento non aveva ancora sonno nonostante l’orario tardo.
Lance era ancora online e gli scrisse inaspettatamente. Dobbiamo dormire. Io ho il college. Tu hai il turno al VC dalle undici del mattino. Ci vediamo domani.
Avrebbe voluto chiedergli di rimanere ancora un po' ma in fondo aveva ragione. Buonanotte, Lance.
Hello, Kitty.
Keith strinse le labbra spazientito e scrisse. Questa te la potevi anche risparmiare, sharpshooter.
No no, the birthday kitty*. Notte e sogna.                     
La sua mente finì quell’ultima parola con un “mi” e fece una smorfia. Shiro l'aveva seriamente contagiato e una parte di sé gli disse che avrebbe voluto davvero trovare Lance nei suoi sogni.
Ebbe un tuffo al cuore per quel pensiero, ma anche alla vista dell’amico offline.
Spense il cellulare, lo ripose sul comodino e si schiacciò contro Kosmo che russava.
«Buon Compleanno, Keith Kogane Shirogane» si disse, facendosi cullare dal respiro intenso del proprio cane.
 
 

*silly = stupido, sciocco
mistery = misterioso
entrometido= impiccione
mi abuela = mia nonna
mamá = mamma
the birthday = di solito è the birthday boy e sta per il festeggiato

 
 
 
Auguri Keith Kogane (Shirogane) da parte mia. Ti meriti il meglio, sempre.
Mi voglio scusare con Krolia e il papà senza nome, perché nella mia storia ne escono malissimo. Vi voglio bene, tanto bene e grazie per aver generato Keith.
Penso che stasera su K2 ci sia la puntata in cui Keith scopre del suo passato e incontra Kosmo. Mi sa che sarò seduta sul divano con i fazzoletti giusto per festeggiare.
Grazie a chi legge.
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender / Vai alla pagina dell'autore: aleinad93