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Autore: LanceTheWolf    25/10/2018    1 recensioni
Lan-Chen aveva una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale e dei sogni come tutte le giovani donne delle sua età. Poi la sua vita è cambiata, Lei è cambiata. In pochi sanno cosa è successo: la sua famiglia è allo scuro di tutto e ritiene che i suoi continui viaggi, le strane persone che frequenta, non siano altro che un periodo. Che stia semplicemente passando uno di quei momenti assurdi che prendono a tutti e che prima o poi passeranno proprio come sono giunti. Per lei, al contrario, ogni parola non detta ha il solo scopo di difenderli.
Si svolge molti Avatar dopo Korra.
NB: Questa raccolta partecipa al Writober 2018 a cura di Fanwriter.it
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Iniziativa: Questa storia partecipa al “Writober 2018” a cura di Fanwriter.it.
Numero Parole: 1395
Prompt: Calze (Red List – 25/10/2018)
 

Calze


Lan-Chen era in piedi accanto alla cesta strabordante dei panni sporchi: con dieci ragazzini dentro casa non ricordava di averla mai vista meno piena di così.
Guardava controvoglia quanto aveva davanti e, come ogni singola volta che si accingeva a fare il bucato da un paio di mesi a quella parte, si domandava perché mai non potesse semplicemente prenderli e portarli in lavanderia. In quella meravigliosa lavanderia all’angolo della strada.
 
Era in momenti come quello che le tornava in mente quel lontano terribile giorno di Settembre: era esausta per il far collimare gli impegni dei bambini con l’inizio della scuola e, non bastasse, i piccoli si erano passati alternativamente una terribile influenza intestinale che non le aveva permesso di chiudere occhio per giorni pur di accudirli; quando poi l’influenza era passata erano arrivati gli incubi a fiondargli i figli, rigorosamente a multipli di due, nel lettone in cerca di conforto. Oltretutto, quella mattina nello specifico, Juju aveva infilato il suo peluche rosso nella lavatrice insieme ai bianchi, stava facendo tardi al colloquio con i genitori a scuola di Liang e Nala aveva dimenticato la lista della spesa a casa, lasciando a lei anche quell’incombenza.
A peggiorare la situazione c’era Liang che voleva fare bella impressione con gli insegnanti e le aveva chiesto di vestirsi da donna per una volta. Il bambino si era tanto raccomandato e lei, per accontentarlo, stava soffrendo le pene dell’inferno strizzata in un rigido tailleur a doppio petto e con ai piedi delle scarpe troppo alte per non essere considerate un’arma impropria.
Ma per quanto quella giornata potesse essere cominciata storta, gli spiriti sembravano avere altro ancora in serbo per lei.
Con la scusa di dover pagare solo un litro di latte, una tizia al supermercato aveva tagliato la fila. L’aveva superata senza chiederle se fosse d’accordo e quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Erano uscite parole grosse e, se non ricordava male, lei e l’altra donna erano arrivate ad accusare i loro rispettivi animali domestici di intrattenersi in rapporti impropri e non necessariamente con dei loro simili, questo, ovviamente, dopo aver menzionato ogni più truce abitudine parentale e le reciproche dubbie origini.
Alla fine, dopo che i proprietari del negozio avevano aperto un’altra cassa per calmare il resto dei clienti in fila e aver minacciato lei e la tipa del latte di chiamare le guardie, Lan-Chen l’aveva avuta vinta.
Aveva perso più tempo di quello che avrebbe impiegato a lasciar correre, ma… era stata una questione di principio e Liang le avrebbe perdonato qualche minuto di ritardo, aveva creduto. Ahhh, povera illusa!
La successiva litigata con il figlio non era stata certo all’acqua di rose, ma non era ancora finita, perché in quella giornata gli astri sembravano voler proprio che Lan raschiasse il fondo.
Una volta sbrigati gli impegni più impellenti, per riportare le lenzuola, e quant’altro fosse all’interno della lavatrice, al loro colore originale, dopo il passaggio di Juju, si era recata in lavanderia. E lì, ciliegina sulla torta, a ricevere i clienti aveva trovato quella meravigliosa creatura che le aveva dato della figlia di un babbuino agreste al supermercato.
Ancora doveva informarsi su che tipo di animale fosse il babbuino agreste, ma era abbastanza sicura che non potesse vantare alcun tipo di paternità nei suoi confronti e che non dovesse essere l’animale più bello del mondo.
A quel punto però aveva esaurito forza e combattività e, intuendo impossibile vincere quella battaglia, aveva battuto in ritirata, indietreggiando neanche fosse un granchio-pavone e sparendo tra le ombre più scure del vicolo.
 
Certo, c’era sempre l’opzione di spiegare alla donna che le era capitata una giornata storta e chiedere semplicemente scusa, era pur sempre il genitore singol di dieci marmocchi, ma… non era convinta che la sua genetica fosse stata programmata in tal senso.
 
Sospirò e si fece coraggio. Infondo c’era solo da dividere i bianchi dai colorati e infilarli in lavatrice, e stava per farlo, quando un paio di manine le strattonarono i pantaloni.
Tori si era svegliato e la stava fissando con quei suoi incredibili occhi celesti, il visetto assonnato e l’aria spaurita.
Lei sorrise e lo prese in braccio insieme all’enorme squalo blu di peluche che si trascinava ovunque.
Il piccolo le si strinse forte al collo in cerca di conforto.
Lan-Chen gli passò una mano tra i capelli umidi per il sudore, prima di voltarsi e baciargli una tempia.
La febbre era scesa, ma era ancora caldo.
“Hai fame?”.
Il bimbo dissentì con la testolina.
“Nooo? Hai fatto un brutto sogno allora?”.
Il piccino annuì rannicchiandosi maggiormente tra le sue braccia.
Con Tori era così, dovevi tirare a indovinare; non amava parlare se non era strettamente necessario e sicuramente per lui quel suo musetto sconvolto doveva essere un segnale più che chiaro per la sua mamma.
Quel bimbo era tanto bello quanto fragile.
Lan-Chen si sedette sul bordo della vasca e cominciò a dondolare su sé stessa.
“Sono qui, lo sai che non permetto a nulla e nessuno di farti del male”, disse, cercando di rincuorarlo.
Tori singhiozzò e strinse tra le manine la stoffa della camicetta della mamma tanto a far scolorire le piccole nocche.
Lei continuò a cullarlo, stringendolo con quanta più tenerezza possibile.
“Non a me”, disse lamentoso il bambino.
“No?”, chiese sorpresa: difficilmente Tori raccontava i suoi sogni.
“Facevano male a te, mamma Lan, morivi e mi lasciavi come l’altra mamma”, spiegò con vocina sottile.
Cielo, come si fa a essere preparati a questo?
Ognuno dei suoi bambini ne aveva passate tante, poteva averli liberati dalle mani di chi li sfruttava, ma non poteva liberarli dai loro ricordi, poteva solo sperare che col tempo avrebbero fatto meno male.
Poteva solo immaginare la paura che aveva avuto il suo piccino.
 “Ahhh, ma allora puoi stare tranquillo, io non morirò”, tentò di rassicurarlo come meglio poteva.
Tori alzò gli occhioni lucidi verso i suoi, voleva qualche certezza in più e Lan-Chen doveva trovare qualcosa di efficace da dirgli, si guardò velocemente intorno e…
“Vuoi sapere un segreto?”, chiese abbassando il tono e fingendo un fare circospetto.
Il piccolo annuì.
“Ho un drago che mi protegge”.
“Un drago invisibile?”, intervenne Tori, asciugandosi gli occhioni col dorso della manina.
“Uhm… Sì e no”, rispose Lan, facendo la misteriosa, “è solo ben nascosto”.
“Dove?”, chiese, pulendosi la mano sulla magliettina.
“Nelle mie calze”.
Il piccolo piegò la testa di lato, scrutandola sospettoso, assottigliando gli occhioni.
“Non ci credi?”.
La testolina castana dissentì un paio di volte.
“Come?”, disse Lan, fingendosi sbigottita, “Guarda che poi si offende, è una creatura magica, può vivere dove vuole. Ricordi le mie calze con il drago ricamato?”.
Il bimbo fece “sì, sì” con la testolina.
“Ecco, lui vive lì”.
L’espressione sorpresa sostituì definitivamente l’ombra d’angoscia che un bambino di sei anni non avrebbe mai dovuto avere sul viso.
Tori si liberò dell’abbraccio per scendere dalle gambe di Lan-Chen, facendo cadere il suo peluche. Appena arrivato con i piedini in terra sollevò il bordo del pantalone della mamma, per poi sgranare gli occhioni e rigettarli in quelli di Lan nuovamente preoccupato.
“Già, sono tra le cose da lavare”, spiegò lei, fingendo un sospiro, “anche le case dei draghi magici vanno pulite di tanto in tanto, sai?”.
Fu un secondo e il piccolo si fiondò sulla cesta del bucato alla ricerca del fantomatico paio di calze. Le trovò con facilità, la stessa che aveva impiegato Lan a scorgerle sul mucchio dei panni da lavare quando gli era saltata in testa quella folle idea.
 
“Laviamole, presto, o il drago scappa!”, esordì il piccolo, “Questa casa puzza”.
 
Inutile dire che per diverso tempo a venire, quelle calze non fecero in tempo a venir pulite che Lan-Chen già se le ritrovava ai piedi.
 
***
 
Lan osservava perplessa lo squalo bagnato in cima alla pila della biancheria che aveva ritirato dalla lavatrice. In effetti si era domandata che fine avesse fatto.
Sospirò arresa, guardando i panni, una volta bianchi, diventati di un azzurro marmorizzato.
Sollevò la camicia preferita di Kimo, quella che il ragazzino si era tanto raccomandato di lavare e stirare per quella sera così da indossarla per uscire con la sua nuova fiamma.
“Infondo non è così male”, cercò di convincersi, prima di lasciare cadere le spalle verso il basso e lamentare arresa: “Kimo mi ucciderà”.
 
Forse era giunto il momento di considerare l’idea di chiedere scusa alla padrona della lavanderia all’angolo.
   
 
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