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Autore: LanceTheWolf    28/10/2018    2 recensioni
Lan-Chen aveva una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale e dei sogni come tutte le giovani donne delle sua età. Poi la sua vita è cambiata, Lei è cambiata. In pochi sanno cosa è successo: la sua famiglia è allo scuro di tutto e ritiene che i suoi continui viaggi, le strane persone che frequenta, non siano altro che un periodo. Che stia semplicemente passando uno di quei momenti assurdi che prendono a tutti e che prima o poi passeranno proprio come sono giunti. Per lei, al contrario, ogni parola non detta ha il solo scopo di difenderli.
Si svolge molti Avatar dopo Korra.
NB: Questa raccolta partecipa al Writober 2018 a cura di Fanwriter.it
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziativa: Questa storia partecipa al “Writober 2018” a cura di Fanwriter.it.
Numero Parole: 1645
Prompt: Sciarpa (Red List – 28/10/2018)
 


Sciarpa


Pioveva è già questo era un male; si trovava all’aperto e questo non migliorava certo le cose, ma quello che proprio non le andava giù erano quei tre che continuavano a lanciarle addosso fiammate e a illuminare la notte neanche fosse l’ultimo dell’anno.
Lan-Chen scattò all’indietro, abbassandosi e sollevando un pugno verso l’alto con un movimento rigido quanto l’elemento che stava richiamando.
La parete di roccia si erse rapida tra lei e i dominatori del fuoco, mentre le fiamme di questi s’infrangevano violentemente contro la pietra appena eretta.
Uno, due, tre colpi e per un momento l’attacco sembrò placarsi. Sembrò, appunto, perché un quarto colpo più potente e mirato sgretolò la sua protezione costringendola a schivare, scivolando sul fango fresco.
Altri due colpi in rapido susseguirsi arrostirono la terra dove prima di trovava.
Rivoli di vapore si alzavano nell’aria a ogni fiammata inflitta sul suolo bagnato.
 
“E fortuna che è notte e che i dominatori del fuoco sono meno potenti con le tenebre”, si disse sarcastica domandandosi di seguito se qualcuno avesse mai avvisato quei tre della cosa.
Fece appena in tempo a richiamare la terra chiudendo le braccia, serrando energicamente gli avambracci, che altri violenti colpi si scagliarono contro i due pilastri di pietra che le si erano sigillati davanti seguendo i movimenti del suo corpo.
 
No, non andava bene. Finché difendeva non poteva attaccare e questo non le piaceva affatto, ma dov’erano i suoi compagni?
D’accordo, le avevano detto di controllare solamente quel piccolo gruppo, di non agire prima che fossero arrivati; cosa che lei aveva avuto tutta l’intenzione di fare, non fosse stato che quei tizi avessero finito di caricare tutta la loro schifezza chimica sul camion se ne stessero andando.
Che avrebbe dovuto fare a quel punto?
Aveva spaccato il loro mezzo, ecco cosa, ma quei quattro non sembravano averla presa troppo bene, più che altro i tre dominatori del fuoco che sembravano intenzionati a rosolarla a dovere, neanche fosse una bistecca.
 
Il suo nuovo riparo durò meno del previsto e quel terreno bagnato non era sicura che riuscisse a mantenere la forma richiesta qualora avesse deciso di farsi inghiottire dal suolo, per spuntare sotto i piedi di quei tre idioti e seppellirli fino al collo.
Era una pratica che aveva fatto, solo il cielo sapeva quante volte, ma mai in quelle condizioni e finire lei vittima del suo stesso potere avrebbe avuto dell’assurdo.
 
Il metallo che indossava si fluidificò e seguì i cerchi circolari disegnati nell’aria dalle sue mani, ponendo una debole difesa tra lei e le fiamme.
La pioggia incessante faceva di ogni movimento, immersa ormai nella melma fino al ginocchio, un’agonia.
Era una dominatrice, questo era vero, ma il suo fisico non era allenato a sufficienza per sopportare lo sforzo necessario per muoversi in quelle condizioni.
Si sentiva messa all’angolo mentre quei tre sembravano non patire lo stesso tormento, con i piedi all’asciutto su quanto rimaneva del loro mezzo.
Certo, quel coso era fatto di metallo e lei avrebbe potuto richiamarlo se fosse riuscita a farlo rientrare nel suo raggio d’azione, ma… era ancora troppo lontana.
 
Due fiammate in contemporanea fecero schizzare via buona parte del metallo dei suoi orpelli, troppo lontano per poterlo richiamare. Certo l’avevano protetta, ma ora?
Spiriti, non ricordava di aver mai odiato tanto dei dominatori de fuoco in vita sua!
“Forza Lan, manca poco”, si disse, tentando di farsi coraggio, “resisti, i ragazzi stanno per arrivare”, ma non terminò quel pensiero che un nuovo colpo la privò dell’ultimo brandello di metallo rimastole, fiondandolo chissà dove.
Impreparata al colpo che seguì si trovò catapultata all’indietro, gettata su un fianco con la faccia nel fango e una spalla ustionata.
 
Non era convinta che a farle male fosse più il dolore o l’orgoglio; non erano quei tre che la stavano massacrando, ma quella maledetta pioggia e quel combattimento in campo aperto e… proprio un campo era quello nel quale si affrontavano, uno stramaledetto campo smosso di fresco dai contadini e troppo soffice per essere un aiuto realmente valido in quelle condizioni.
Doveva accedere a metri sotto di lei per richiamare la pietra e… ma perché diamine non aveva permesso a quei quattro idioti di andarsene via con i loro veleni, accidenti a lei?
 
Non fece in tempo a rialzarsi che una nuova fiammata esaurì la sua energia sulla melma a pochi centimetri dal suo viso.
Che non fosse l’unica a subire quell’handicap? Ragionò senza trovarne reale sollievo, nel trovarsi di nuovo a scivolare sul suolo bagnato per togliersi dalla traiettoria dei tre tiratori.
“Ma cosa diav…”, ringhiò a denti stretti, mentre la sua sciarpa la strattonava all’indietro, trattenendola.
Non riuscì a evitare quella nuova raffica e i tre colpì, concentrati al centro del suo corpo, la rispedirono nel fango.
 
Aveva fatto male, questa volta aveva davvero fatto male.
Sentiva la ferita bruciarle al punto da credere che fosse arrivata a squarciarle le viscere, ma imbrattata di fango com’era non poteva certo vedere nulla, oltre a intuire che se non fosse stato per gli strati d’indumenti bagnati, la pioggia e la fanghiglia sarebbe arsa come una strega sul rogo.
 
Arrancò nel fango per evitare i colpi successivi, mentre la mano tastava lungo la sciarpa per disincagliarla da qualunque cosa l’avesse intrappolata; più facile liberarla a quel modo che sciogliere i giri ripetuti intorno al suo collo.
Le dita trovarono quello che cercavano: cielo come odiava radici e legnetti!
Sarebbe stato lungamente più semplice se la stoffa si fosse incastrata in una pietra, ma no, troppa grazia!
Era libera finalmente.
 
“La prossima volta devo ricordarmi che sciarpa, guanti e cappotto non sono gli indumenti adatti per missioni del genere”, ironizzò come era proprio della sua indole, mentre l’adrenalina del combattimento rispingeva indietro il dolore. Ma, per tutti i fulmini, poteva sapere che si sarebbe trovata in una situazione del genere quando si era preparata per uscire quella mattina?
No, certo che no; altrimenti avrebbe indossato i suoi stivali rinforzati e avrebbe preso a calci nel culo quei tre incendiari della domenica.
E… in effetti era domenica, ora che ci pensava.
 
Era stanca di fare da bersaglio mobile: il fango non era esattamente facile da dominare con la sua tecnica, preferiva la sabbia arsa del deserto, ma era pur sempre nelle sue corde e se poteva manipolare il metallo come un fluido, usare quella roba non doveva essere troppo diverso infondo.
 
Cercò una posizione stabile: scavò, scivolando con i piedi nel fango fino a sentire il suolo più compatto sotto le suole. Abbassò il baricentro, mentre altri colpi fiammeggianti volavano rapidi nella sua direzione e, come era solita fare con i lacci di metallo delle sue bobine (anche quelle lasciate rigorosamente a casa, perché non le donavano di certo sotto il cappottino scamosciato), concentrò il suo pensiero per legarsi alla terra e ai minerari che erano parte di quell’ammasso vischioso. Le mani vorticarono, sincronizzando i movimenti del fango ai propri, mentre l’acqua scorreva rapida contro le sue gambe accresciuta dalla pioggia incessante e resa pericolosa dal inclinazione del suolo, costringendola a rinsaldare maggiormente la posizione, eppure… quella difesa resse i colpi dei tre dominatori, al punto da farle tirare un sospiro di sollievo.
Non si era mai cimentata in una cosa del genere, ma c’era sempre una prima volta, no?
 
Odiava la gittata dei dominatori del fuoco, cielo se l’odiava!
Lei poteva scatenare terremoti, ma i suoi colpi non andavano mai ugualmente lontano.
Doveva avvicinarsi.
Ritemprata dalla presenza del nuovo riparo, avanzò coperta dal vorticare di terra liquida.
Non vedeva a un palmo dal naso, ma sapeva che quei tre erano esattamente davanti a lei.
 
Come diavolo facevano i dominatori dell’acqua a dominare un elemento tanto instabile?
Non poteva perdere un secondo la concertazione che quella roba perdeva di consistenza precipitando su sé stessa, non come le sue pareti che rimanevano lì, stoiche, permettendole d’impiegarsi in altro.
Assurdi! Assurdi gli altri elementi e assurdi gli altri dominatori! Anche se probabilmente il suo potere era altrettanto incomprensibile per loro; troppo rigido e testardo per essere trattato con la dolcezza e l’eleganza dei movimenti d’acqua, d’aria e di fuoco.
 
Spostandosi verso il camion, verso la strada, la terra guadagnava consistenza sotto i piedi, lei prendeva dimestichezza con quella versione fluida del suo dominio e l’acqua scemava.
Non attese che il fango le arrivasse sotto le caviglie per lanciarsi di corsa verso i suoi aggressori (anche se, in effetti, era lei quella che aveva attaccato per prima).
 
I dominatori del fuoco dovettero capire cosa stava per precipitar loro addosso, dato che intensificarono gli attacchi, ma il loro era un destino segnato: era sulla terra ferma adesso.
 
Un pugno al suolo, mentre il fango che la proteggeva quasi sfuggiva al suo controllo, e la pietra e il metallo del veicolo sotto i piedi dei tre fiammiferi si accartocciavano attorno a questi, chiudendoli in una prigione cieca che non permetteva alcun movimento.
 
Erano in trappola, aveva… “no… cosa?”.
Qualcosa trapassò, sibilando, quel suo scudo fluido, mentre si rialzava ormai convinta della vittoria.
Sbottò sangue. Il suo domino piombò al suolo inerte, abbandonato dalla sua mente.
Lo sguardo si piegò lento a osservare la mano che aveva raggiunto il fianco nello stesso momento che si era sentita colpita, stranamente provava meno dolore di quanto avrebbe potuto immaginare: il palmo scoloriva sotto la pioggia dalla terra e dal sangue della ferita.
 
Lan cadde all’indietro, per l’ennesima volta, pesantemente, contro la terra bagnata.
Nella sua visuale il quarto uomo, il non-dominatore, imbracciava un fucile.
 
Era finita. Finita per un pezzo di metallo, c’era dell’ironico in questo o era solo lei a vederla così?
Un ghigno amaro le si dipinse sulle labbra, mentre la mente le si offuscava.
L’acqua continuava a colpirle il viso, incessante.
Arrivò il buio e il suo ultimo pensiero si chiuse sull’immagine dei suoi bambini e sulla certezza che nessuno avrebbe mai spiegato loro perché la mamma non sarebbe tornata a casa quella sera.
   
 
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