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Autore: Emmastory    30/10/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXII

Oscure rimembranze

Calma e quieta come una bambina, dormivo ormai da ore, e come ogni notte, il buio mi avvolgeva. Secondo alcuni, l’oscurità poteva agire da scudo, da protezione contro i mali del mondo e della vita, ma non per me. Generalmente, riposavo senza alcun problema, ed era così anche oggi, fin quando un suono e una stranissima sensazione non mi hanno risvegliata dal torpore in cui mi ero lasciata cadere. Ad occhi ormai aperti, mi guardavo intorno senza una parola, ma con il respiro pesante e i pensieri sciolti come baldi destrieri liberi di correre nel vento. In netto contrasto con la fresca aria che spirava fuori dalla finestra, la mia pelle era bollente, avevo caldo, e sudavo. “Va tutto bene, Kaleia. Starai bene. Hai solo fatto un brutto sogno. Succede anche alle fate, giusto?” mi dissi, parlando con me stessa e tenendo una mano ferma sul cuore, per ascoltarne il battito ora impazzito. Tentando di calmarmi, bevvi dell’acqua dal bicchiere che tenevo sul comodino, e deglutendo quasi a vuoto, mi sdraiai di nuovo. Per pura fortuna, Christopher non mi aveva sentita, e contrariamente a me, nervosa e agitata come mai nella mia intera vita, era ancora preda del sonno più profondo. Intenerita da quella vista, gli accarezzai il viso con delicatezza, e ritirando la mano, la nascosi per un attimo sotto al suo cuscino. Svelta, mi concentrai per il tempo che bastava ad usare un incantesimo, e nello spazio di un momento, uno sprizzo di magia e polvere di fata si propagò fra le lenzuola, e a magia ultimata, fui felice di vederlo addormentato e con il sorriso  sulle labbra. “Riposa, amore mio.” Sussurrai, poco prima di alzarmi e lasciare la stanza, per poi ammirare la mia immagine riflessa nello specchio del salotto. Nel farlo, mi scostai una ciocca di capelli dal viso. Nel farlo, mi sembrò di scorgere un’altra figura, e scostandomi, fu allora che la vidi. Mia madre Eliza appisolata sul divano, con in braccio la gatta di casa. Insieme, dormivano tranquille, e prima di andare, ripetei quell’incantesimo. Sapevo di stare esagerando, che quello che stavo per fare poteva sembrare una pazzia, ma pur nel bel mezzo della notte, sentivo il quasi fisiologico bisogno di trovare un posto calmo e tranquillo dove provare a leggere il libro regalatomi da Christopher. Era stato quello il pensiero a tenermi sveglia, e nonostante desiderassi posare gli occhi su quelle pagine con tutta me stessa, era come se ogni fibra morale del mio corpo si rifiutasse. “Non aprirlo a meno che il tuo cuore non ti dica di farlo.” Mi aveva detto, volendo unicamente tentare di proteggermi e prepararmi al vero contenuto di quelle bianche e immacolate pagine. Così, restavo ferma e in piedi di fronte alla libreria, a pesare e ponderare la mia decisione. Era davvero il momento? Volevo davvero conoscere la realtà scritta e impressa nero su bianco? In quel momento, una parte di me sembrava non desiderare altro, ma un’altra, in completo disaccordo con la prima, mi portava ad esitare. Non sapevo cosa mi stesse accadendo, e impaurita, non sapevo cosa pensare. Ancora una volta, tremavo, e stavolta la colpa non era certo imputabile al vento fuori dalla finestra. Lento, il tempo passava, e allontanandomi, presi l’unica decisione che reputavo logica. Scuotendo la testa, diedi le spalle a quel ligneo ripiano, e piena di vergogna, uscii di casa. Una volta fuori, non seppi davvero cosa pensare, e sedendomi ai piedi di una grossa quercia, piansi. Calde lacrime mi solcarono il volto, e decisamente troppo triste per farlo, non potei evitare che fuggissero dai miei occhi, mentre la tristezza più profondo sembrava impossessarsi lentamente di me. Con uno sforzo immane, lottai per restare me stessa ed evitare di perdere il controllo, ma per mia sfortuna, senza risultati. Fallendo nel mio intento, mi strinsi le ginocchia al petto come una bambina, e fra una lacrima e l’altra, lasciai che il vento sferzasse il mio povero corpo. Quelli che ricevevo sembravano veri colpi di frusta, e pur provata dal freddo, non volli muovermi. Il dolore era entrata a far parte della mia anima, e non riuscendo a scacciarla, soffrivo. Muta e immobile sotto quel grande albero, con la mente funestata da mille pensieri. “Perché? Perché a me? Perché non a qualunque altra fata?” Queste le domande che quella notte mi ponevo senza sosta. Sin da piccola, mi era stato insegnato che seguire il cuore era la scelta più giusta che una qualunque persona potesse mai compiere, eppure ora mi lasciavo prendere dallo sconforto. Amavo Christopher, ed era vero, ma odiavo il modo in cui pensare alla profondità del nostro rapporto mi facesse sentire. Felice e in cima al mondo, certo, ma allo stesso tempo tristissima e con il morale metri e metri sotto terra, nelle vere viscere della superficie. Andando alla ricerca di conforto, guardai in alto, non vedendo altro che le stelle e la luna, padrone del cielo in quella notte senza nuvole. Sconsolata, tornai a guardare in basso, e provando ad usare le dita per muovere qualche piccolo filo d’erba come me provato dal gelo, scoprii di non riuscirci. Quasi istintivamente, mi sfiorai il petto, e solo allora, un ricordo si fece spazio nella mia mente. Poco prima di dormire, avevo lasciato il mio ciondolo in uno dei cassetti del comò accanto al mio letto, e ora me ne pentivo. Oltre che avere l’aspetto di un gioiello, vantava anche la capacità di stabilizzare i miei poteri, offrendomi la possibilità di farne un uso ragionato e privo di sforzi. La spiegazione era semplice. Non lo avevo al collo, e facevo fatica con incantesimi e magia. Avevo usato quella che mi restava su due delle persone che più amavo, ma ora, sola e infreddolita, sentivo di star per perdere le forze. Disorientata e confusa, pregai di non svenire sull’erba pregna di rugiada, e con la mano libera, disegnai molteplici croci sul mio polso. Reagendo al mio stesso tocco, la pelle intorno al mio segno si scaldò brillando, e nello spazio di un momento, sentii ciò che non avrei mai più voluto udire neanche nel peggiore degli incubi. Le voci. Di nuovo quelle stesse e orribili voci che ero sicura di aver scacciato avevano continuato a seguirmi, e ora erano tornate a tormentarmi. Inizialmente non sentii altro che bisbigli confusi, poi, poco dopo, piccole frasi e distinte parole. “Kaleia… scappa. Se vuoi vivere, scappa. Non appartieni a lui, torna indietro.” Un monito diverso dai precedenti, che giungendo alle mie orecchie come una cupa novità, mi gelò il sangue nelle vene. “No.” Ripetevo a bassa voce, frustrata. “Non voglio ascoltare.” Mi dicevo stringendo i pugni e trovando improvvisamente faticoso respirare. Stoica, provavo a tenere duro e a resistere, ma nonostante tutto, ogni mio tentativo si rivelava vano. “Arrenditi.” Sussurrava quella voce, tentandomi come un venefico serpente in una storia che avevo sentito provenisse dal villaggio degli umani. Riducendomi al silenzio, lo sentii rompersi sotto l’insistente suono dei miei singhiozzi, che uno dopo l’altro mi scuotevano il petto, lacerandomi il cuore e l’anima. Avevo i nervi a fior di pelle, e lo sapevo, ma a quanto sembrava, provare a resistere era inutile oltre che impossibile. Di minuto in minuto, ero sempre più nervosa, e come se non bastasse, un estraneo corvo restava a guardarmi stando appollaiato su un ramo, facendo brillare sinistramente al buio gli occhi rossi come sangue. “No! Lasciatemi sola, subito!” gridai, incapace di trattenermi e decisamente stanca di subire quell’incessante tortura. Spossata, continuai a piangere stringendomi nella leggera veste che indossavo, e quasi rispondendo al mio comando, le voci cessarono. Chiudendo gli occhi, cercai di calmarmi, e quando finalmente ci riuscii e tornai in casa, non riuscii a dormire al fianco di Christopher. Pur non volendo, mi costrinsi a dargli le spalle, scoppiando di nuovo in un silenzioso pianto di dolore e lacrime dettate da oscure rimembranze.  

 
   
 
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