Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: ghostmaker    01/11/2018    6 recensioni
La II Guerra Mondiale si è terminata con la firma dell’armistizio tra USA e Giappone ma non tutti i soldati stanziati nelle varie isole dell’oceano Pacifico sono tornati a casa. Alcuni, come Norman Willis, iniziano a lasciare le Filippine ma, per sicurezza, sono costretti a fermarsi durante il percorso.
[Settimo classificato al contest “sosta verso casa” indetto da Not_only_fairytales]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ULTIMA NOTTE NELLE FILIPPINE





Mia amata Betty,
anche per noi questa sanguinosa guerra è finalmente finita.
Ieri ho assistito, guardando il cinegiornale, alla firma dell’armistizio
tra il nostro paese e l’Impero Giapponese avvenuta sulla USS Missouri.
Qui tutti parlano di come il generale Douglas McArthur fosse imponente,
a tratti anche dominante, sulla piccola fragile e zoppicante figura
del Ministro degli esteri nipponico Mamoru Shigemitsu,
ma io ho soltanto pensato a ciò che quelle firme rappresentavano per noi,
e non alla dimostrazione di forza dei vincitori.
Oggi, prima di chiudere la mia sacca, ho l’opportunità di scriverti;
farti sapere che sto bene, confermarti che fra poco ci metteremo in marcia,
e che fra meno di un giorno m’imbarcherò per tornare a casa.
Non vedo l’ora di abbracciare i miei tre gioielli!
PS. La mia divisa con il nastrino che indica l’onorificenza,
la President Unit Citation, sembra quasi più bella.



La II Guerra Mondiale era giunta al suo epilogo con la firma del trattato di pace tra USA e Giappone; le truppe americane, dislocate sulle tante isole dell’oceano Pacifico, iniziavano a smobilitare realmente soltanto dopo quella data, il 2 settembre 1945, avvenuta diciotto giorni dopo la resa ufficiale dichiarata dall’Imperatore nipponico Hirohito. Il 19° Reggimento di fanteria, guidato dal tenente colonnello Thomas E. Clifford e che si era distinto nella battaglia delle Kilay Ridges nelle Filippine, il 3 settembre, iniziava a muoversi dalla propria posizione  per raggiungere le navi che avrebbero riportato a casa l’intera 6° Armata.

L’umore dei sopravvissuti era alle stelle; camminare non dava più fastidio, si poteva mangiare qualche biscotto senza temere di gettarlo a terra per le raffiche di colpi dei nemici, si rideva, e si poteva parlare con i compagni d’avventura della vita che li aspettava tornati a casa. Durante questo viaggio a piedi il gruppo raggiunse una zona, colpita mortalmente dagli attacchi aerei alleati, dove la maggior parte delle abitazioni era stata abbattuta mentre alcune, per una strana decisione del destino che le aveva risparmiate dal bombardamento, si ergevano quasi intatte e pronte ad accogliere i soldati del reggimento, così come specificato nei minimi dettagli sulla mappa fornita dall’Intelligence Militare. Gli uomini si sorpresero nel vedere delle famiglie native del luogo ancora presenti in questo strano posto; alcune accampate in modo molto disordinato, altre proprio stabilitesi all’interno di queste case e, soprattutto, tutte molto disponibili nel prestare servizio a dei soldati che fino a qualche mese prima non si facevano scrupolo a uccidere i loro compatrioti mischiati, anche se non per loro scelta, con le truppe nemiche. Divisi i gruppi, quattro soldati si diressero verso una di queste abitazioni, dove ad accoglierli c’erano una donna anziana, molto minuta, un ragazzino di circa tredici anni e un bambino forse di sei.
«Salve signora, so che non capisce la nostra lingua», disse Norman, uno dei quattro soldati, sorridendo in modo da non preoccupare la donna.
Lei ripose senza battere ciglio: «Vi capisco bene, non preoccupatevi. Entrate, sceglietevi un posto a terra, dove stendervi e se avete bisogno di qualcosa, basterà chiamare Pacho, il mio nipote maggiore, e lui provvederà alle vostre esigenze nei limiti del nostro possibile».
La donna, senza aggiungere altro, si voltò entrando in casa mentre i due ragazzini fecero segno, con il gesto della mano e con un inchino, ai quattro militari di entrare.

Appoggiati i loro zaini, i quattro uomini si sedettero appoggiando la schiena ai muri di quella che sembrava una grande sala: al suo interno non c’erano oggetti, né mobili, né sedie, né letti.
«Ragazzi che stanchezza. Il tenente è sempre agitato, sembra che non abbia mai smesso di combattere», disse Greg allargando le braccia per stirare i muscoli.
«Si dice in giro, nella Compagnia, che, anche se hanno firmato l’armistizio, ci siano ancora degli scontri a fuoco con delle sacche di resistenza costituite da uomini che non accettano la resa, ma che preferiscono morire in battaglia o togliersi la vita da soli. Preferisco sgobbare e mantenere alta la concentrazione che ritrovarmi in una situazione del genere senza essere preparato», rispose il giovane Tony.
Steven fece una sonora risata. «Io ho sentito che i loro fantasmi ci attaccano mentre dormiamo, quindi state attenti voi due se vi si chiudono gli occhi», e poi, rivolgendosi al loro superiore disse: «E lei Willis? A cosa sta pensando?»

Norman Willis, nativo della città di Houston, aveva scelto di seguire le orme del padre arruolandosi nell’esercito e in quest’ambito si era distinto per le capacità organizzative diventando, ben presto, un punto di riferimento sia per i soldati semplici sia per gli ufficiali, tanto da ricevere il grado di sergente prima delle sue stesse previsioni. Grazie al padre, anch’egli molto apprezzato negli ambienti militari, aveva ottenuto l’opportunità di servire nella Sixth United States Army; armata con sede a Fort Sam e dislocata proprio nella città di Houston. Ventinovenne, sposato con una bellissima donna di nome Betty e padre di due piccoli gemelli, si trovava a casa, per una licenza premio, quando fu annunciata dal Presidente Roosevelt l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone reo di avere attaccato Pearl Harbour senza una dichiarazione ufficiale di guerra. Le ostilità già divampavano in Europa da due anni ma Norman aveva continuato a fare il suo lavoro sul suolo americano perché il proprio paese non partecipava, almeno non apertamente, al conflitto, ma con l’annuncio del Presidente le cose erano cambiate, anche se non immediatamente per lui che, infatti, partì alla volta delle Filippine soltanto tre anni più tardi.

Norman, con lo sguardo rivolto verso il basso, non rispose a Steven, aveva solo bisogno di tranquillità e riposo dopo tutte le cose orribili viste nell’ultimo anno su quell’isola, a lui tanto straniera da porsi spesso la domanda sul motivo per cui si trovasse ancora lì, nonostante il suo ultimo scontro a fuoco con i giapponesi fosse avvenuto più di un mese prima. Nella testa di quest’uomo ormai c’era solo la voglia di tornare a casa dalla sua famiglia e, perché no, decidere finalmente di chiudere con l’esercito per iniziare a lavorare senza dover impugnare qualche arma. Alzando lo sguardo vide il più piccolo dei due ragazzini filippini che si avvicinava portando della frutta e che gliela porgeva facendo fatica a tenerla in quelle piccole manine.
«Grazie. Come ti chiami?»
Il bambino non capiva ciò che gli chiedeva così Norman, con dei semplici gesti, indicò se stesso pronunciando il proprio nome. Il piccolo prese un foglio di carta e scrisse il suo nome, Alon, poi, fece un sorriso mostrando la mancanza di più denti.
Norman pensò subito ai suoi figli, a quanto fossero fortunati a vivere in un posto tranquillo e provò pena per il piccolo Alon, così denutrito, e che si privava di un frutto per offrirlo a perfetti sconosciuti. Il soldato, impugnato il suo coltello, tagliò in due il mango offrendone la metà al piccolo che, sorpreso da quel gesto, dapprima rifiutò ringraziando con un inchino, ma poi, all’insistenza di questo bravo straniero, accettò con le lacrime agli occhi.
«Sergente, non sapevo che lei fosse così gentile», disse Steven ironicamente.
«Io premio sempre i meriti degli altri. Alon, sorridendo, meritava di mangiare un pezzo del frutto piuttosto che rinunciarci per me, tu, poiché ti piace essere spiritoso, meriti di fare una bella passeggiata fino alla casa in cui si è stabilito il tenente per raccontagli la storiella dei fantasmi assassini», rispose Norman con lo sguardo torvo.
Il sergente, notando che i soldati non capivano che fosse uno scherzo, iniziò a ridere sonoramente tanto che la faccia dei tre sottoposti cambiò fisionomia in un istante.
L’anziana donna entrò nella sala. «Qualcosa non va signori?»
Ripresosi dalla risata Greg la rassicurò dicendo: «Stia tranquilla, va tutto bene, non abbiamo bisogno di niente altro. Mi scusi se le abbiamo messo paura.»
«Lei pensa davvero che dei gridolini possano mettermi paura? Dopo che le nostre case sono state bombardate dai giapponesi, dopo che sono state bombardate da voi americani, dopo che i miei figli sono morti per la vostra guerra, crede che mi possa permettere di avere ancora paura per cose così insignificanti?», rispose la donna mostrando nei suoi occhi la rabbia per aver perso tutto grazie alle colpevoli azioni di persone che, forse, non sapevano neanche dove si trovassero le Filippine sulle carte fino al momento di sbarcare.
«Ci scusi signora se l’abbiamo disturbata e perdoni l’atteggiamento incurante che ha avuto il soldato Houghton nel risponderle», disse Norman, alzatosi in piedi e dopo aver accennato a un inchino di rispetto per le perdite avute in famiglia.
La donna fu colpita dal gesto e dalle parole del sergente. «Se ci fossero più uomini come lei non ci sarebbe bisogno di un fucile o una pistola per risolvere le questioni delicate», e mentre si voltò, aggiunse: «Fra poco ci sarà buio, vi conviene dormire. Alon ed io saremo nell’altra stanza mentre Pacho tornerà a breve».


***


Nelle case ancora intatte rimanevano accese delle flebili luci, di vari colori, prodotte dalle attrezzature dei soldati americani che svolgevano il turno di guardia mentre il buio della notte, sfruttando la mancanza della Luna coperta da grosse nubi cariche di pioggia, circondava questo paesaggio distrutto amplificandone l’aspetto spettrale e malinconico. Tony, appostato di guardia all’esterno della casa, si teneva sveglio raccontandosi a bassa voce delle barzellette, all’interno Steven e Greg dormivano pesantemente mentre Norman, sfruttando una piccola pila in dotazione, scriveva sulle parti bianche della lettera indirizzata all’amata Betty, ciò che stava vivendo in quelle ultime ore lontano di casa.



Nessuno poteva portare la mia lettera in anticipo alla nave
così quando la leggerai mancherà pochissimo al mio ritorno.
 In queste ultime ore ho conosciuto delle persone del posto
e mi sono rattristato per le loro condizioni di vita;
sapevo che questa guerra avrebbe causato tante vittime,
ma non pensavo che la maggior parte sarebbero state dei civili.
Se tu fossi qui in tempo di pace
sono sicuro che cercheresti di adottare il piccolo Alon,
un ragazzino, credo, di sei anni, provato dagli stenti,
ma così gentile ed educato da farci sembrare dei veri bruti.
Il mio cuore di padre è sempre stato un bel difetto vero?
Ho voglia di rivedere le faccine buffe di Terence e Thomas,
sento la mancanza dei loro abbracci ogni giorno,
così come sento la mancanza dei tuoi baci.
Spero che i piccoli capiscano perché il padre è lontano,
che comprendano ciò che faccio per tutti noi,
e che mi perdonino se per essere un patriota
ho dovuto usare le armi ma



Un rumore sospetto mise in allarme Norman che, riposto il foglio nel proprio zaino, estrasse la pistola dal fodero puntandola, insieme alla luce della pila, verso l’entrata della sala pronto a sferrare un colpo mortale ma, notata l’ombra minuscola che si stava avvicinando, abbassò prontamente la sua arma. Il piccolo Alon, muovendosi in ginocchio, raggiunse il sergente mostrandogli una banana; tolse la buccia, la divise in due parti e ne consegnò una metà al soldato. Norman, che all’inizio era adirato con il bambino che, muovendosi così furtivamente, aveva rischiato di farsi colpire, sorrise e accettò il prezioso regalo e si mise a mangiare solo per fargli compagnia.
«Grazie Alon, è buona», disse Norman mentre accarezzava la testa del piccolo che, sorprendentemente, lo abbracciò.
Il sergente stava per dire qualcosa quando, provenienti dall’esterno, si sentirono dei colpi di fucile sparati da poco lontano. Steven e Greg si svegliarono di colpo e imbracciarono le loro armi mentre Tony corse in casa. «Signore, qualcuno sta sparando dall’esterno del perimetro. Che cosa dobbiamo fare?»
«Steven, prendi contatto con le vedette,» ordinò Norman mentre cercava un angolo sicuro dove nascondere il piccolo Alon, «chiedi informazioni sulla direzione da cui provengono gli spari e se dobbiamo mobilitare un drappello di soccorso».
All’interno della casa giunse di corsa un altro soldato che disse: «Sergente Willis, il tenente ritiene che si tratti soltanto di qualche sbandato della popolazione indigena alla ricerca di cibo. Le ordina di mantenere la posizione».
«Molto bene Donner, dica di fare un passa parola tra le abitazioni più vicine e lei raggiunga quelle più distanti», ordinò con veemenza Norman.
Donner si allontanò velocemente dalla casa, il gruppetto dal sergente si dispose con i fucili puntati verso l’esterno, pronti a ogni evenienza mentre Alon, per nulla turbato, si avvicinò a Norman che, vedendolo impassibile al rumore dei colpi delle armi che si sentivano più ravvicinati, capì che quel povero bambino era sordo. Lasciata la propria posizione, Norman afferrò per mano Alon spostandosi verso il fondo della sala per tenerlo al sicuro dietro di lui, quando Greg, avvistata una figura in avvicinamento ma ancora nascosta nel buio, urlò: «Qualificati o un passo ancora e sei spacciato!»
«Io, Pacho. Io viene a casa, no spara me».
I soldati mantennero i fucili spianati e tolsero il dito dal grilletto solo quando il viso del ragazzo fu illuminato dalle torce; Pacho, che portava con sei una piccola sacca sgualcita da cui fuoriuscivano dei frutti, entrò in casa senza proferire parola. Norman osservò attentamente il ragazzino che, seduto a terra, iniziava a svuotare lentamente il sacco, così non si accorse che il piccolo Alon gli si era avvicinato per guardare cosa stesse facendo il fratello più grande. Neppure Pacho si accorse della presenza del fratellino fino a quando prese qualcosa dalla sacca e alzò lo sguardo verso Norman che, intuendo cosa stesse per succedere, riuscì a spingere lontano da sé il bambino utilizzando tutta la forza che aveva in corpo, prima che l’ordigno esplodesse.


***


Le prime luci dell’alba accarezzavano i tetti bianchi delle piccole villette a schiera situate in uno dei quartieri più tranquilli di Houston e le donne, mogli di soldati ancora lontani, come ogni giorno erano già in piedi per preparare la colazione ai figli o per sistemare la casa in modo che i propri mariti, ritornati a casa, potessero stare tra le loro braccia più tempo possibile. Betty stava sistemando la cucina quando, attraverso la finestra, vide soltanto i colori di una giacca militare; corse ad aprire l’uscio e quando capì di non trovarsi davanti al suo amato marito ebbe una sorta di svenimento che le fece perdere l’equilibro e solo grazie al pronto intervento di quel soldato evitò di crollare a terra. Betty pianse tra le braccia di quello sconosciuto che, senza parlare, attese il momento in cui la donna si fosse ripresa.
«Signora Willis, mi chiamo Tony Bellano ed è con profondo cordoglio che sono venuto a comunicarle la scomparsa di vostro marito, nonché mio superiore nelle Filippine, e soprattutto amico al quale ho tenuto la mano fino all’ultimo istante».
«Lei era lì quando è successo?», chiese Betty asciugandosi le lacrime.
«Sì signora, sia quando è avvenuto l’incidente, sia nelle ultime ore di vita di vostro marito; sono qui proprio per rispettare le ultime volontà del sergente», rispose Tony estraendo dalla tasca due lettere indirizzate a Betty da Norman.
La prima lettera era stropicciata, aveva parte del bordo bruciato, ma si era salvata perché Norman l’aveva riposta nel suo zaino; la seconda era perfettamente inserita in una busta sul cui dorso era riportato il timbro di un ospedale militare. Betty ringraziò Tony, attese che il giovane soldato si fosse allontanato, chiuse la porta e si sedette sulla poltrona preferita dal marito dove lesse la prima lettera per poi, facendosi forza, continuare con la seconda.



Mia amata Betty,
in questo ospedale le forze mi stanno abbandonando
e posso solo dettare all’amico Tony cosa scrivere
perché non posso cambiare ciò che il destino ha scelto per me.
Questa guerra ha portato sventura in tutte le famiglie,
non solo a quelle che, come voi, avranno perso i loro cari,
ma anche a quelle che accoglieranno i sopravvissuti
che faticheranno a vivere spensierati come prima;
quando vivi ogni giorno costringendoti a non avere paura della morte,
quando colpisci un tuo simile per difenderti senza provare rimorso,
e quando porti sul corpo ferite irreparabili,
in ogni istante, la coscienza farà sentire la propria voce,
così forte che sarà inutile chiudere le orecchie.
Io ho cercato di reprimere questo sentimento di disgusto
e solo all’ultimo istante sono riuscito a fare la cosa giusta per mia scelta
salvando il piccolo Alon prima che perdesse la vita
in una guerra che lui non capiva e che di certo non voleva.
Spero che voi siate sempre fieri di me perché, in fondo,
non ho buttato via la mia umanità.





N.d.A.
- Ringrazio mystery_koopa che mi ha dato l’opportunità di sistemare, a livello grammaticale, questa storia.
- Ringrazio yonoi. per il suo commento che mi ha dato l’opportunità di sistemare un errore anacronistico.
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: ghostmaker