Yúyīn
Nene sospirò,
osservando l’edificio davanti a lei. L’auditorium “Towa Hall”. Non c’era mai
stata prima.
Alzò lo sguardo verso
il ragazzo al suo fianco.
«Un auditorium?»
domandò, inarcando un sopracciglio. Non sapeva che la musica – classica, per di
più! – rientrasse negli interessi di Isshiki Satoshi.
C’erano molte –
troppe – cose di lui che ignorava, in realtà, sebbene fossero cresciuti
insieme. La musica classica, però, l’avrebbe realmente sorpresa. Non le
sembrava il tipo, semplicemente.
Satoshi le sorrise.
«Oggi suonerà una ragazza che conosco» spiegò, vago.
Lo sguardo di Nene si
assottigliò. «Una ragazza che conosci?»
ripeté, scettica.
«Ha suonato a un
evento per cui mi sono occupato del buffet qualche mese fa». Isshiki lo disse
muovendo il primo passo verso l’entrata; lei si affrettò a seguirlo.
«Tutto qui?» domandò
senza guardarlo, cercando di suonare il più naturale possibile.
Lui rise. «Sembri
quasi gelosa. Non lo sei, vero?» chiese, voltandosi a cercare il suo sguardo.
Nene glielo negò,
fissando davanti a sé con decisione. «Affatto. Non parli mai di ragazze che conosci, escluse quelle del
dormitorio. Tutto qui» affermò sistemandosi gli occhiali. Accelerò il passo;
perché con Isshiki finiva sempre così, con lei che si faceva troppi problemi
per ogni minima cosa?
Però, era davvero
strano. Dopo il Regiment de Cuisine l’aveva invitata a uscire già altre due
volte, ma si era sempre trattato di eventi legati al mondo della cucina. Non
che le dispiacesse, cercare di recuperare un rapporto troppo a lungo
trascurato, ma Isshiki era un vero mistero. Innanzitutto, dove voleva arrivare
con quelle uscite?
Qualcuno le tagliò
bruscamente la strada, riuscì a fermarsi giusto in tempo. Avrebbe voluto dire
qualcosa, ma la ragazza – riuscì a vederla solo di spalle, mentre si
allontanava rapida – sparì in fretta, senza neanche mormorare un mi spiace.
Isshiki sorrise.
«Dev’essere piuttosto ansiosa di suonare» commentò.
Effettivamente, pur di
sfuggita aveva notato il vestito elegante che indossava. Quello, e lunghi
capelli biondi – nient’altro. Era verosimile che dovesse esibirsi. Scosse la
testa: non un’ottima presentazione, decisamente.
Non poté rimuginare
oltre sulla scarsa educazione di certi artisti, perché si ritrovò il volto
sorridente di Isshiki decisamente troppo vicino
al suo. «So cosa stai pensando. Su, perdonala» l’esortò il ragazzo, in piedi
tra lei e la porta d’ingresso alla sala. Erano arrivati.
Perdonarla? Perché avrebbe
dovuto – che importanza poteva avere, tra l’altro? Probabilmente non l’avrebbe
neanche più vista.
«Non voglio che ti
incupisca per una cosa del genere. Devi avere la mente libera per goderti a
pieno la musica» aggiunse Satoshi, fissandola negli occhi.
Sembrava così serio…
Sospirò, distogliendo
lo sguardo. «Se insisti».
La sala all’interno
non era troppo ampia. Trovarono posto in una delle file centrali, accanto a una
bambina bionda. Non doveva avere più di otto anni, valutò rapidamente Nene; la
madre doveva essere la donna seduta nel posto seguente. Aveva corti capelli
neri e uno sguardo luminoso, non
avrebbe saputo descriverlo diversamente; la colpì. La donna si voltò verso di
lei – forse si era sentita osservata? – e le sorrise gentilmente.
Ricambiò impacciata e
si sedette, lanciando uno sguardo a Isshiki che aveva fatto lo stesso. Non la
stava guardando, tutta la sua attenzione era rivolta al palco. Suo malgrado
doveva ammetterlo: era riuscito a incuriosirla.
Non dovettero
aspettare molto perché il presentatore apparisse sul palco: presentò il ragazzo
che si sarebbe esibito per primo, nome che Nene scordò subito.
Si stupì nel vederlo,
e si voltò di scatto verso Isshiki per farglielo presente.
«Mi hai portata a un
concerto di liceali?» mormorò
incredula.
Lui le rispose con l’espressione
più calma del mondo. «Qualcosa non va?»
Il pianista intanto
aveva iniziato; non commetteva particolari errori, ma era evidente che fosse
nervoso, un paio di volte saltò una nota, il ritmo in generale le parve spesso
eccessivamente accelerato.
L’educazione di un’erede
Kinokuni prevedeva anche rudimenti musicali: sebbene il pianoforte non fosse
tra gli strumenti che era in grado di maneggiare, aveva sviluppato un buon
orecchio. Perse ben presto interesse, spiando delusa Isshiki con la coda dell’occhio.
Tutto qui, l’aveva portata a un concerto di principianti? Possibile che fossero
davvero lì solo per ascoltare la ragazza di cui le aveva accennato? Si
accigliò, rassegnandosi di fronte all’ennesimo mistero offertole da Isshiki
Satoshi.
Il bambino che un
tempo le era piaciuto – scosse la testa per scacciare il pensiero. Erano
cambiate molte cose, da allora.
Il brano terminò, l’esecutore
si alzò e fece l’inchino. Qualcuno applaudì.
Il pianista
successivo era un ragazzo biondo. Produsse una melodia decisa, forte. Senza
errori. Ne rimase molto colpita, iniziò a ricredersi.
Quando la musica
cessò, si unì all’applauso generale che percorse la sala.
Il biondo fece un inchino,
rimase qualche secondo a fissare il pubblico. Aveva un sorriso soddisfatto
dipinto in volto, o almeno le sembrò.
Curvò le labbra.
Forse quei ragazzi erano come lei, come loro,
dopotutto; giovani che avevano dedicato tutta la vita alla musica, come gli
studenti della Tootsuki facevano per la cucina.
Quanti prodigi
potevano esserci, però? Dopo il ragazzo biondo – Aiza, captò dai commenti degli
spettatori seduti dietro a lei – suonarono due violinisti, un ragazzo e una
ragazza. Trovò la loro esibizione mediocre quanto la prima, niente a che fare
con la musica di Aiza. Accavallò le gambe, chiedendosi se quel concerto avesse
altre sorprese in serbo per lei.
Suonarono altri due
pianisti, poi la vide. La maleducata che le era quasi finita addosso prima del
concerto. Era una violinista, scoprì – e non si esibiva da sola.
Sul palco con lei c’era
un ragazzo che prese posto al pianoforte. Un accompagnatore, chiaramente; la
protagonista doveva essere lei.
Bastò che le prime
note riecheggiassero nella sala perché si ricredesse.
Il pianista non l’accompagnava
affatto; sembrava che la sfidasse,
piuttosto.
Lei, affatto
intimidita, rispondeva a tono, manipolando lo spartito, imprimendovi a fuoco la
propria anima.
Si incalzavano a
vicenda, in un gioco serrato di note e accordi che, Nene ne era certa, avrebbe
fatto impallidire la sua insegnante di musica di un tempo.
Ciò che stavano
suonando non era più Beethoven: le note erano le stesse, la melodia – intrisa dei
loro sentimenti – qualcosa di totalmente diverso.
Poté solo ascoltare,
rapita, finché la violinista non abbassò l’archetto, il pianista staccò le
mani dai tasti. Ignari del pubblico, li vide scambiarsi uno sguardo; Nene
applaudì, ingoiando l’orgoglio, presto imitata da tutti. Anche Satoshi
applaudì, un luccichio soddisfatto negli occhi.
«Hai visto, Koharu?
Kousei ce l’ha fatta!»
La donna a due posti
da lei attirò l’attenzione di Nene. Sembrava conoscere i due che si erano
appena esibiti – il pianista, probabilmente.
«Che ne pensi?»
Isshiki richiamò la
sua attenzione. Si ricompose. «Che intendi? Sono stati bravi, non c’è molto da
dire» commentò, cercando di non apparire eccessivamente colpita. Le venne un
dubbio. «Era lei la ragazza di cui
parlavi?» domandò, stranamente agitata all’idea.
Isshiki scosse la
testa. «No,» affermò, raggiante come sempre, «lei suona adesso. Ecco, la stanno
annunciando».
Riportò
immediatamente l’attenzione sul palco; il pubblico aveva smesso di applaudire,
l’unico suono udibile adesso era la voce del presentatore.
Nene colse il nome
della pianista, che era anche l’ultima della giornata a esibirsi: Emi Igawa.
Non le disse nulla – non che si fosse aspettata il contrario, in effetti.
~♪~
«Kinokuni-kun? Mi
senti?»
Ma Nene non lo
sentiva – non poteva. Non sentiva nulla, a eccezione del Liebestraum di Liszt.
Di Liszt? No, non
esattamente. Il Liebestraum di Emi Igawa sarebbe
stato più corretto.
Aveva osservato le
sue mani guizzare sul pianoforte, producendo una melodia che non era composta
di note, no: ciò che aveva raggiunto
Nene erano state dolci carezze per l’anima.
La musica l’aveva
toccata in profondità, aveva parlato alle parti più celate del suo essere.
Aveva risvegliato sentimenti che aveva ritenuto perduti.
Sentimenti: era stata
tutta lì, la differenza. Emi non aveva suonato meglio della coppia di violino e
pianoforte, né di Aiza, il primo ad averla colpita con la perfezione della sua
tecnica. Aveva persino scelto un brano relativamente semplice.
Quel che era
cambiato erano i sentimenti che aveva infuso nella sua musica. Ogni
singola nota le aveva parlato d’amore; l’amore della pianista, veicolato dalla
melodia, aveva finito per fondersi con il suo, un amore potente che l'aveva catturata e sconvolta, facendole riscoprire un sentimento
profondo che aveva deciso di rinnegare molto tempo prima.
L’aveva fatto
riaffiorare, non aveva potuto fare niente per impedirlo.
Forse
non l’aveva neppure voluto.
Aveva dimenticato i
suoi sentimenti, sigillati in un angolo remoto dell’inconscio. La musica le
aveva imposto di ricordarli, così, tutto d’un tratto: svelata da essa, Nene
aveva iniziato a piangere, impossibilitata a reagire in qualsiasi altro modo.
Le lacrime, calde,
avevano preso a rigarle il volto, e non si erano fermate nemmeno quando Emi
Igawa, terminata l’esibizione, si era alzata e aveva salutato gli spettatori
con un sorriso fiero dipinto in volto.
Questo non aveva
bloccato le lacrime, né la musica, non per Nene: continuava a echeggiarle nelle
orecchie, conquistando lentamente ogni pezzo della sua anima.
Perciò no, Nene non
sentiva Isshiki: non poteva.
«Yúyin».
La melodia si
affievolì, Nene avvertì un tocco delicato carezzarle una guancia.
Nuovamente conscia di
ciò che le stava accadendo intorno, la prima immagine che occupò la sua visuale
fu il volto di Isshiki. Arrossì di botto, cercò di cancellare le prove di
quella che considerava una debolezza strofinandosi le gote con le mani.
Fu inutile: le
lacrime continuarono a scendere, implacabili, dando libero sfogo a sentimenti
troppo a lungo repressi. Continuava ad avvertire quella musica così simile al Liebestraum, per alcuni istanti pensò di
odiarla.
Si sentiva totalmente
a nudo, si vergognò. Satoshi la fissava serio; si chiese cosa pensasse di lei,
vedendola così.
Prima aveva
pronunciato una strana parola, non l’aveva ben colta. «Cosa hai detto?» riuscì
a formulare, fortunatamente senza impicciarsi.
Lui le sorrise. «Yúyin»,
ripeté. «Ricordi? Ne parlò l’insegnante di musica, una volta che mi ero
intrufolato a una tua lezione. È cinese, vuol dire…»
Nene l’interruppe.
«La sensazione che resta di un suono dopo che lo si è sentito».
Era riuscita a
fermare le lacrime, mentre il ricordo di un tempo lontano riaffiorava sulle
note di Emi. Non aveva capito cosa intendesse dire l’insegnante, quando gliene
aveva parlato quella volta. Ora lo capì – e ricordò anche qualcos’altro.
Si strofinò gli occhi
e fissò Isshiki dubbiosa. «Tu piangevi, quella volta».
«Ne sei certa?»
replicò lui con un sorriso tranquillo. «Chissà. È passato così tanto tempo».
Nene annuì, cercando
di recuperare la sua consueta sicurezza. «Piangevi», ripeté. «La maestra ti ha
visto e ci ha raccontato di Yúyin… perché piangevi?»
«Non ricordo» affermò
Satoshi scrollando le spalle. «Sembra che riposare un po’ ti farebbe bene, Kinokuni-kun.
Sarà meglio tornare».
«No, sto bene. Io–»
Satoshi non la lasciò
finire, le prese una mano e la guidò verso l’uscita.
Incapace di opporsi,
Nene neanche ci provò. Era effettivamente stanca, anche se avrebbe preferito
ingoiare un tentacolo coperto di burro d’arachidi piuttosto che confessarlo a
Isshiki.
La melodia del
Liebestraum l’accompagnò per tutto il viaggio di ritorno, risparmiandole gli
infiniti aneddoti di Satoshi sui suoi compagni di dormitorio.
Al momento di
separarsi, Nene aveva solo voglia di chiudere gli occhi e obliarsi nel sonno
per un po’. Salutò Isshiki con un rapido, distratto «Buonanotte» e fece per
avviarsi.
Si sentì trattenere
per il polso e si voltò ad affrontarlo nuovamente.
«Va tutto bene?» le
domandò lui, in faccia un sorriso – fintamente
– ingenuo.
«Perché?» ribatté
secca. Non aveva voglia di stare al suo gioco, non quella sera. Era ancora scossa.
«Non mi hai intimato
di arrivare puntuale alla riunione di domani» disse Satoshi, mettendo su un'espressione curiosa. «Normalmente lo fai. Sei certa di star bene?»
Quel rimarco la fece
avvampare. Strinse il pugno e prese un bel respiro per calmarsi, prima di
rispondere. «Se anche te lo dicessi, arriveresti tardi comunque» l’accusò,
ignorando la domanda. «Forse mi sono rassegnata».
Satoshi assunse una
posa teatrale, portandosi una mano al cuore. «Mi ferisce che mi consideri un
caso perso».
«Ne dubito vivamente»
replicò, accalorandosi.
Lui rise. «Ora sembri
più tu». Nene si bloccò. «Temevo che Emi ti avesse scossa un po’ troppo, ora
sono più tranquillo» aggiunse lui con naturalezza. «Non ti ruberò altro tempo.
Per oggi, almeno» affermò sornione. «A domani!»
Nene non rispose al
saluto, fissandolo darle le spalle e allontanarsi in direzione dello Stella
Polare. Stupido Isshiki, sempre così…
Si sentiva le guance in fiamme.
Raggiunse la sua
stanza a passo un po’ più spedito del solito e vi si chiuse.
Si preparò
rapidamente per la notte, sforzandosi – dunque ottenendo l’effetto opposto – di
non pensare al ragazzo.
Una volta nel letto,
passò diversi minuti a rigirarcisi, senza riuscire in alcun modo a prendere
sonno.
Continuava a ripensare
agli eventi della giornata.
Perché Isshiki l’aveva
portata a quel concerto, cosa aveva pensato di ottenere?
Non avrebbe potuto
prevedere la sua reazione, giusto?
E cosa aveva pensato,
vedendola piangere in quel modo?
Affondò la faccia nel
cuscino, esausta. Doveva smettere di pensare a lui, doveva smettere di pensare
a qualsiasi cosa. Se solo avesse potuto lasciarsi sprofondare.
Blu,
rosso, viola.
Lampi di questi
colori le oscurarono la visuale, mentre la melodia ripartiva, più forte di
prima, e si appropriava nuovamente della sua mente.
Nene non la
contrastò, decise di lasciarvisi andare, le si abbandonò totalmente.
Quella notte sognò
Isshiki, sulle note del Sogno d’amore di
Liszt,
o forse no.
NdA
Giusto un paio di precisazioni: come immagino avrete notato, ho immaginato un Alternative Universe / What if? in cui Kaori è viva, per quanto riguarda Shigatsu wa kimi no uso. Li ho immaginati tutti più grandi di un paio d'anni, al liceo, appunto.
Spero si sia capito: il motivo per cui la musica di Emi colpisce Nene così a fondo è per un'affinità di sentimenti che invece con Kaori e Kousei non avverte, non perché non si mettano del tutto in gioco anche loro.
Sul resto non ho molto da dire, spero di non essere andata OOC >.<
Come scritto nell'introduzione, la parola che ha ispirato questa storia [insieme al fatto di voler scrivere su Emi] viene dalla challenge delle parole intraducibili, indetta da Soly Dea - che ringrazio! - sul forum di EFP. ^^
Che altro dire? Grazie per aver letto! Alla prossima,
Mari :3