Titolo: I know that you're with me in a way that you will not show
Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po’ Tutti
Pairing: DerekxStiles [Sterek]
Rating: Verde
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico, Slice
of life, Sentimentale
Avviso: Slash, What if?
Note: Ambientata
un attimo prima della fine della 3a.
1° Capitolo
Il Nemeton si era risvegliato nella sua magnificenza e potenza
al centro di un luogo dimenticato di Beacon Hills, protetto ed adombrato da
tutto quello che lo circondava, ma il suo canto era più chiaro e forte che mai
ed era quasi del tutto impossibile resistergli ed ignorarlo. Preannunciava
l’arrivo di nuove prove da affrontare e battaglie da combattere, la presenza di
ulteriori creature magiche e sovrannaturali che vi si sarebbero accerchiate
attorno per usufruire del suo potere.
A nulla
sarebbe valso nascondere la sua collocazione se l’ode avesse continuato a riecheggiare
in ogni dove.
Ed era
anche vero che dopo il suo risveglio ed il conseguente sacrificio da parte di
Scott, Allison e Stiles e lo scontro appena vinto,
fosse difficile riprendersi e raccogliere i cocci, convivere con un’oscurità
che avvolgeva il cuore, perdendo tutta la loro innocenza e diventando
conoscitori del male del mondo.
Tutti e tre
reagivano in modo del tutto differente, la presa e gli effetti avevano
un’impronta più pronunciata ed incisiva e con difficoltà riuscivano a
sovrastarli.
Ed il canto
aveva un suono diverso per ognuno di loro.
Il borsone
di Derek si trovava esattamente sull’uscio della porta scorrevole, con Cora
dalla parte esterna con il proprio ed il lupo che compieva un ultimo giro di
perlustrazione all’interno del loft. Era pulito ed immacolato, come se al suo
interno non fosse mai capitato nulla e non fosse stato testimone della dura
lotta e dell’ennesimo tradimento che l’aveva colto, accompagnato da tutte le
perdite che erano susseguite e del sacrificio a cui si era esposto.
Quell’appartamento urlava con tutta la sua voce risonante il suo fallimento.
Con una
mano teneva i manici del borsone nero e con l’altra si accingeva a chiudere il
lungo portellone di metallo, sostenuto dalla presenza della sorella minore
riacquisita, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva
privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso
a ricreare ed a difendere.
C’era un
unico ostacolo che si frapponeva alla sua nuova missiva purificatrice.
Il cellulare
prese a squillare con urgenza, risuonando nefasto in tutto l’ambiente
circostante e quasi vuoto, esortandolo e pregandolo di rispondere
nell’immediato possibile.
Derek
lanciò uno sguardo di finta meraviglia alla lupa e lei roteò gli occhi
esasperata, per nulla sorpresa da quell’impeccabile puntualità, riconoscendo al
volo la suoneria assegnata a quella persona specifica.
«Scott,
cosa vuoi?» domandò il mannaro atono quando estrasse il telefono dalla tasca,
senza nemmeno aver bisogno di avvicinarlo all’orecchio.
«Stiles»
gracchiò con affanno l’Alpha, agitato e timoroso e dalla chiamata erano udibili
perfettamente i passi veloci che corrispondevano ad una corsa sfrenata ed alle
voci di sottofondo, familiari e precise, che interagivano con lui. «Non riusciamo
a trovarlo. È scomparso all’improvviso e non troviamo alcuna traccia. Sta
diventando troppo bravo, accidenti!».
Cora
allentò la presa sul suo bagaglio e l’attenzione si concentrò interamente su
suo fratello. «E perché dovrei esserne coinvolto?» chiese spicciolo e poco
interessato l’uomo, stringendo possessivamente i lacci della sua borsa e
sbiancando le nocche. La Beta sapeva quanto falsamente fosse distaccato ed
indifferente alla situazione.
I passi si
fecero quasi taglienti e battevano come un rimprovero sul terreno; Scott non
aveva mai bisogno di alzare la voce. «Muoviti immediatamente, Derek. Sai
benissimo in che condizioni sia ed a causa di che cosa» ma Cora era ben
consapevole del chi che rimaneva
sospeso e graffiante, senza essere pronunciato. «Sei l’unico in grado di
trovarlo» l’unico da cui si farebbe
trovare, la mannara era diventata anche troppo brava a parafrasare.
«Sto
andando via, Scott» e la lupa non doveva sorprendersi della voce ferma ed
impostata con cui il suo consanguineo si esponeva e in cui era evidente il suo
scetticismo. Ma forse non era soltanto quello.
«Lo so
benissimo» dichiarò l’Alpha con una nota precisa e consona, come se sapessero
entrambi di cosa stessero parlando.
«Non ti
sembra alquanto tempestivo?» la fermezza nel moro si fece meno premente mentre
il dubbio e la diffidenza crescevano, l’idea che fosse un semplice capriccio
non l’abbandonava.
«Mi sarei
preoccupato se non avesse fatto niente» Scott era moderato e per nulla
meravigliato, ma la nota stonata riecheggiava funesta.
«Sei
preoccupato» gli fece presente la creatura della notte smorzando tutta la sua
sicurezza.
«Certo che
sì» enfatizzò il messicano, alzando la voce di un’ottava di troppo. «Qui c’è
qualcos’altro in ballo, ne sono certo. Non c’entra soltanto la tua-» l’isteria
che Derek aveva conosciuto in Scott durante i primi tempi della sua
trasformazione si presentò e sapeva chi fosse l’unico a saperla gestire – come
tutto il resto –, ma si bloccò improvvisamente, smorzando il suo fiume in piena
e tutti coloro che potevano udire quella chiamata sapevano come si concludesse
la frase. «Non è rilevante, ma per favore, vallo a cercare».
Certo che era rilevante! Tutto quello che riguardava Stiles e Derek lo era, Cora ne aveva
l’assoluta certezza.
Il lupo
mannaro continuò a non muoversi, premendo forte il cellulare all’orecchio e
mostrando sempre la sua espressione indecifrabile e poco comunicativa, sembrava
che nulla potesse intaccarla, ma in quel momento era così precaria che sarebbe
servito molto poco per vederla cadere. Il silenzio di Derek comunicava
costantemente per lui.
«Derek»
chiamò l’Alpha con profondità, attirando la sua totale attenzione e preparando
il terreno per rilasciare la sua arma segreta, perché sapeva esattamente in che
situazione si trovassero e cosa servisse per far muovere le cose. «È Stiles».
Parola magica.
Cora si
rifiutò con tutta se stessa di tradurre ciò che era contenuto in quel singolo
nome, tutte le variazioni che poteva contenere ed estrapolare, tutte le
inclinazioni ed i significati che erano radicati in esso, tutto quello che vi
era legato, ma era certa che suo fratello potesse sentirli tutti ed ognuno era
collegato alla sua persona.
Derek esitò
con lo smartphone in mano, accostato appena all’apparato uditivo, con il
respiro basso e quasi assente. Il tempo si era congelato ed in quelle frazioni
di secondo il borsone, abbandonato ed eclissato, era già tornato all’interno
del loft come se avesse utilizzato un incantesimo, perché Cora era certa che il
fratello non si fosse minimamente mosso. «Sto arrivando» comunicò semplicemente
il licantropo, mettendo immediatamente fine alla chiamata ed affrettandosi
senza perdere un solo attimo.
Stiles viene sempre prima di tutto.
Il lupo non
provò nemmeno a scusarsi e Cora si ritrovò in un corridoio vuoto e desolato con
il bagaglio ancora in mano.
Probabilmente
e sicuramente in un’altra situazione avrebbe controllato vari posti, girando e
rigirando su se stesso, per ricominciare dal principio e sbagliando ancora e
forse, soltanto forse, alla fine avrebbe trovato il luogo giusto.
Ma la
verità era un’altra.
Quando si
trattava di Stiles, Derek difficilmente tentennava e poteva sbagliare uno o al
massimo due bivi, ma lo trovava sempre, senza che ne avesse davvero
l’intenzione.
Ma in quel
momento non ebbe un minimo di esitazione e le gambe lo portarono esattamente
nel luogo in cui si trovava l’umano.
Stiles era
lì, al confine della città, nel cuore della riserva, a poche falcate dal ceppo
rimasto del Nemeton, che si era risvegliato e che li
attirava a lui.
Le domande
che avrebbero dovuto risuonare nella mente dovevano comprendere il perché lui
fosse lì e da quanto tempo, ma Derek poteva osservare che il figlio dello
sceriffo non avesse usato alcun mezzo per arrivare in quel luogo e che avesse
vagato per la città circumnavigando la natura, procedendo con andatura
scomposta e poco lineare, accelerando e rallentando davanti a motivazioni che
l’uomo non sapeva cogliere. Ma era in grado di stabilire che Stiles era lì da
pochi minuti e quella sensazione che gli suggeriva quanto procedessero per lo
stesso passo, stanziandosi di pochi istanti, lo fece sentire strano ed a
disagio.
«Riesci a
sentirlo?» domandò Stiles con voce sommessa e profonda, devota ed altisonante.
Derek fu
completamente attirato dalla sua figura e quasi inciampò nei propri pensieri
quando udì la sua voce risuonare in quel modo; era come se il ragazzo fosse
immerso in un mondo che non poteva raggiungere. «Ti stanno cercando tutti»
disse come unica risposta, ignorando quella domanda che non comprendeva ed
avvicinandosi di qualche centimetro a lui.
«Tutti, eh»
proferì il liceale con il classico tono a metà tra il sarcastico ed il
meditativo, ma era ancora distante e scostante. «E tu?».
Il lupo lo
guardò sorpreso ed interrogativo, ma Stiles non gli prestava alcuna attenzione.
«Sono qui» ed il suo tono esponeva evidenza e chiarezza.
Gli occhi
ambrati si illuminarono improvvisamente e la patina vitrea che li ricopriva fu
ingoiata, lasciando emergere la vera persona di Stiles. Si voltò verso la sua
direzione e fece un unico impercettibile passo indietro. «Dovresti già essere
via».
Il mannaro
sentiva perfettamente l’accusa ed il risentimento presenti nel sottile velo
della sua voce. «Quello era il piano».
«Torna al
tuo piano» sentenziò serafico, mentre le sue iridi bruciavano nefaste.
«Devo
riportarti indietro» doveva riuscire almeno in quello, anche se il liceale non
l’avrebbe mai perdonato.
«Cosa?
All’improvviso esegui gli ordini di un Alpha che riconosci soltanto a metà»
gracchiò infastidito il figlio dello sceriffo poco impressionato. «O vuoi
semplicemente ripulirti di qualcosa e chiuderti più conti in sospeso
possibili?».
«Non sei un
conto in sospeso» lo riprese il mutaforma combattendo contro la furia che gli
gettava contro.
«No»
proferì l’altro con voce sciolta, chinando il capo ed osservando un punto vuoto
nel nulla. «Sarebbe un passo avanti».
«Stiles»
ammonirlo era sempre più forte di lui e per quanto l’umano avesse le sue
ragioni, non poteva lasciarlo guidato dalla rabbia, pronunciando cose non vere.
Stiles si
tirò indietro e Derek poté interpretarlo come un ultimo gesto disperato per
scappare da lui. «Vattene via» e nel rancore che gli riversava poteva sentire
la supplica afflitta con cui lo pregava. «Smettila di farmi del male fino alla
fine».
Esisteva
un’unica realtà. Una in cui gli aveva spezzato il cuore; più volte.
Stiles e
Derek avevano orbitato l’uno attorno all’altro fin dall’inizio, fin dal loro
primo e disastroso incontro. Era naturale e quasi obbligatorio e non lo
facevano mai di proposito, ma continuavano ad attrarsi come due poli di cariche
opposte e non riuscivano a resistere a quella presa magnetica, ma rimanevano
comunque composti ai loro rispettivi posti, nei loro ruoli, e difficilmente
attraversavano il limite che avevano tracciato. Quella linea invisibile che con
il tempo era diventava soffocante e claustrofobica.
Non avevano
studiato e concordato nulla, non ne avevano nemmeno mai parlato e non un solo
soffio era uscito dalle loro labbra, ma era come se persistesse un tacito
accordo muto che li accompagnava senza mai esporsi.
Ma il loro
modo di incrociarsi, attorcigliarsi e scontrarsi aveva portato delle modifiche
nel rapportarsi e quella relazione inconsistente che appesantiva l’aria, si era
trasformata in una tagliente e nociva perché non riuscivano più a fare a meno
l’uno dell’altro e non avevano alcuna idea di come gestirla.
Con il tipo
di vita che conducevano e con il male avverso che si abbatteva su tutti loro,
le rispettive presenze erano essenziali e provvidenziali e la loro
collaborazione era fondamentale. Per quanto amassero urlarsi contro ed avere
costantemente opinioni completamente differenti, il loro gioco di squadra era
spettacolare, il limite che si era disegnato automaticamente andava ad
assottigliarsi ed il contatto fisico e mentale era sempre più possibile. Ma
nessuno continuava a fare il primo passo.
Per un
periodo Stiles si era illuso e cullato nella speranza che il momento in cui la
loro relazione ostentatamente platonica si evolvesse fosse quanto mai vicino
alla fine, ma non c’era mai stata alcuna pressione e lui era in grado di capire
di quanto spazio e tempo avesse bisogno il lupo, di quanto la vita e le
disgrazie che gli si erano abbattute contro incidessero su lui e su qualsiasi
decisione potesse anche solo pensare di prendere. Stiles era disposto ad
aspettare un’intera era geologica se fosse stato necessario.
Ma Derek
aveva scelto una donna.
E non una qualsiasi,
ma la sua giovanissima e bellissima professoressa di letteratura. Colei che
doveva vedere quasi quotidianamente e che automaticamente collegava il loro
stare insieme con l’uomo per cui provava qualcosa di esageratamente forte. Ogni
giorno era una silenziosa agonia che non poteva esprimere.
Era
matematico che il loro rapporto si incrinasse e che la fiducia fosse andata in
brandelli, eppure erano comunque costretti a salvarsi la vita a vicenda ed a
tutti quelli del branco e ognuno di loro era consapevole di quanto il suo cuore
stesse sanguinando, nascondendolo sotto la maschera del ragazzo sarcastico con
la battuta sottile sempre pronta e con l’intelligenza che faceva da padrone,
distaccandosi dalla sfera emotiva.
Non era
cambiato nulla quando la vera identità della dolce ed innocente professoressa
era venuta a galla, rivelandosi per il perfido nemico che stavano cercando.
Stiles
avrebbe potuto abbuonagliela considerando che l’attrazione e l’interesse che
Derek provava per lei erano scaturiti da un trucco indotto dal sacrificio dei
vergini, che lo attirava come la luce per una falena ed il licantropo aveva
dimostrato quanto ancora si fidasse delle sue parole, quanto considerasse
Stiles la verità. Ed era possibile che Stiles avesse sofferto per e con lui
quando l’ennesimo inganno rivolto alla sua persona si aggiunse alla lista che
già possedeva, ma guarire un cuore spezzato non era un affare di poco conto.
E poi era
arrivata la resa di Derek.
«Sai che
non è così» disse il mutaforma con razionalità e concretezza, trovandosi
finalmente dinnanzi a lui e distanziandolo di pochi spazi.
«Ho dovuto
saperlo da Lydia. Da Lydia, Derek» gli occhi ambrati erano grandi e brillanti,
provati e sofferti, con l’assurdità della situazione che si stampava nella sua
voce, come se le due cose non potessero coesistere e fosse utopia vera e
propria.
Derek
sapeva perfettamente che qualsiasi cosa avesse detto gli si sarebbe rivolta
contro. «Non era programmato» e voleva dire una marea di cose, con significanti
così traboccanti e contrastanti da far girare la testa e non quell’uscita
infelice che non rispondeva ad alcuna domanda.
Nell’esatto
momento in cui quella spiegazione aveva lasciato la sua bocca, la furia omicida
di Stiles dilagò. «Cosa, Derek? L’averlo comunicato a qualcuno? Che sia
trapelata la notizia e non sei potuto scappare nel cuore della notte senza
lasciare alcuna traccia di te?» e c’era un minuscolo io? così sottile e fragile che il lupo avrebbe dovuto salvare e non
lasciare che si sfracellasse a terra.
«Devo andare»
proferì infine il mannaro con un unico tono, senza cercare più alcun modo di
giustificarsi e sperando che il ragazzo se ne facesse una ragione.
Le spalle
di Stiles si abbassarono e tutto apparve come una battaglia persa che non aveva
più motivo di essere combattuta, di lottare per lei. «Non tornerai più» la
certezza era assordante.
Derek non
aveva alcuna base per confermare o smentire la cosa. Era comunque qualcosa su
cui aveva riflettuto parecchio e le percettuali di non far ritorno erano
talmente alte che era meglio nascondere il numero sotto un enorme tappeto
introvabile, ma ogni suo gesto, ogni decisione, non aiutavano l’umano a
risanare quell’organo ridotto in frammenti.
Stiles
voltò la testa dietro di sé, inclinando il capo e sporgendosi come se stesse
cercando di afferrare un suono specifico. «Lo senti?».
Lo sguardo
dubbioso nell’uomo si ripresentò e le iridi di miele tornarono ad essere vitree
ed assenti, catapultate da un’altra parte e la voce era identica a quando
l’aveva incontrato pochi minuti prima. «Cosa dovrei sentire?» la possibilità
che Stiles fosse in grado di udire qualcosa a lui estranea era fuori
discussione.
«Il canto»
soffiò completamente rapito ed attratto, come se fosse in procinto di seguirlo.
Derek rizzò
le orecchie e provò a captare la frequenza da cui sembrava attirato l’altro, ma
tutto quello che sentiva erano fruscii ed il battito del suo cuore ad un
intervallo irregolare. C’era qualcosa che non andava. «Quale canto?».
Stiles si
voltò completamente, pronto a partire. «Mi sta chiamando».
Il Beta lo
afferrò nell’immediato, prendendolo per un braccio e tirandoselo contro, ma
Stiles lo ritirò indietro, smontando la presa e rivolgendogli un’occhiata di
fuoco puro. «Non toccarmi».
Derek non
si sarebbe mai potuto abituare a quel tipo di sguardo da parte sua. «Non andare
da nessuna parte, torniamo dagli altri».
«Ma… sta
chiamando» ed il diciasettenne sembrava così perso e confuso, ma così certo
delle sue parole che tutto lo portava a smarrirsi, perché la voce di Derek era
ancora qualcosa che avrebbe potuto contrastare tutto il resto.
«Resta qui
con me» e il lupo era irremovibile, perché aveva compreso che il richiamo non
era nient’altri se non quello del Nemeton stesso e
quando accadeva, il pericolo ed i guai erano dietro l’angolo e il fatto che
Stiles sembrasse l’unico ad essere in grado di udirlo, attratto e pronto per
adempiere al suo compito, non era assolutamente qualcosa da classificare come
positiva. Derek doveva impedirlo in ogni modo.
«Non ti
sarei bastato?» esordì l’adolescente all’improvviso nel silenzio che li
circondava, con una voce così immensa e stracolma di sfumature che gli diede
una momentanea nausea.
Derek era
completamente frastornato e disorientato, gli era quasi impossibile riuscire a
seguire tutti gli sbalzi d’umore che Stiles stava attraversando, i cambiamenti
ed i sentimenti opposti che stava provando. Il buio che stava percorrendo,
inseguendo qualcosa che era permesso soltanto a lui di sentire. Era così
fragile ed inerme che si dannò per non essere capace di riportarlo indietro, di
strapparlo da quella malia che gli scorreva nelle vene e che il sacrificio per
risvegliare il Nemeton, e salvare suo padre, aveva
costruito, istaurando un legame perpetuo e duraturo. Stiles viveva con
l’oscurità intorno al cuore ed esso era ammaccato e scombussolato a causa sua,
non aveva il modo né la forza per contrastare il potere che il Nemeton aveva su di lui. Non aveva modo di proteggersi.
Stiles non
era scomparso o scappato per sua volontà, ma perché qualcosa più grande di lui
lo portava a camminare per le strade della città per raggiungerlo.
«Lo so che
ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco
che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai
fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo
stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e
meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Prendere una boccata
d’aria. Ma io non sono abbastanza?» per
rinunciare e restare, per tornare. Per provarci.
Nell’assurdità
delle cose, Stiles era sempre quello che riusciva a capirlo senza che aprisse
bocca, su qualsiasi argomento e situazione.
Ma quello
che lo lasciava più interdetto era la facilità con cui il ragazzo si stesse lasciando
andare, mettendo voce a tutto quello che avevano taciuto ed a cui non avevano
mai dato un nome, quello che avevano evitato e su cui si erano semplicemente
limitati a girare intorno. Stiles non avrebbe mai lasciato andare quei
pensieri, permettendogli di fluire via e dandogli la possibilità di
manifestarsi usufruendo della sua capacità oratoria.
Sapeva
anche che avrebbe dovuto possedere la risposta a quella domanda. «Questo non
sei tu».
Le perle
ambrate si spalancarono maggiormente ed una scintilla sconosciuta le
attraversò. «Perché te lo sto chiedendo? Perché sto confessando cosa provo
esattamente per te?» era esterrefatto e sbalordito ed appariva come se fosse
stato accusato e colpito, non riconosciuto.
L’espressione
del licantropo era sempre la stessa, impassibile e scrutatrice, con la capacità
di farsi scivolare tutto via, senza essere sfiorato da nulla. L’espressione
seria e stabile era fondamentale. «Credimi. Dobbiamo tornare dagli altri e
sistemare questa storia» a volte la sua preoccupazione veniva a galla, in modo
molto sottile e Stiles era l’unico, insieme a suo zio, a saperla vedere e
cogliere. Rispondeva innegabilmente di conseguenza e difficilmente perdeva
tempo se vedeva il lupo mannaro in quello stato, ma Derek sapeva che in quella
particolare occasione avrebbe dovuto forzare la mano. E non poteva nemmeno
toccarlo e rassicurarlo; Stiles sicuramente se ne sarebbe uscito con qualcosa
che assomigliava a questo sì che non sei
tu, ma l’adolescente disconosceva che il mutaforma in determinate circostanze
doveva farsi violenza per privarsi di cedere ad un semplice sfioramento.
«Starai bene, fidati di me».
Il liceale
saltò indietro e lo sguardo si fece duro e pieno di dolore. «Non posso farlo»
esclamò con costernazione, ma con impegno e richiamando tutta la sua forza.
«Non posso più fidarmi di te, di tutto quello che ti rappresenta».
Un macigno
enorme gli cadde addosso e la creatura della notte non poteva credere di stare
per perderlo in quel modo. «Allora fidati di loro» non aveva mai creduto più in
nessuno dopo l’incendio, non aveva permesso che altri gli si avvicinassero,
aveva chiuso Stiles in una bolla privata e si era lasciato andare con le
persone sbagliate. Non poteva costringere qualcun altro a fidarsi quando lui
aveva agito diversamente, ma non avrebbe mai immaginato di doversi muovere con
cautela con il diciasettenne, suggerendogli di credere nella sua famiglia.
«Non posso.
Diventa sempre più forte» l’umano si era nuovamente isolato, tagliandolo fuori
e cadendo in quello stato di assenteismo, manovrato da fili invisibili. Per
quanto ancora poteva passare da uno stato all’altro senza rompersi? «Devo
andare».
«Stiles» lo
richiamò nell’immediato il licantropo con voce gutturale ed autoritaria quando
lo vide muoversi nella direzione opposta alla propria.
«Vai via,
Derek» soffiò candido e con voce spezzata, invitandolo e nascondendo quella
nota di supplica che gli strappava il cuore. «Non valgo la pena».
Stiles fu
inghiottito dalla riserva e Derek non riuscì a muoversi.
Pochi
minuti dopo il branco era già lì, guidato dal suo Alpha e seguendo la scia di
Stiles.
«Dov’è? Sei
riuscito ad intercettarlo?» domandò a raffica il messicano con gli occhi grandi
che si spostavano da una parte all’altra, mentre Allison,
che gli stava esattamente dietro, lo guardava con attenzione, aspettandosi una
risposta e Lydia lo studiava meticolosamente, apparendo confusa e provata.
Isaac era l’ultimo della cerchia.
Derek
sembrava non guardarli davvero ed essere completamente estraneo a tutto quello,
con la mandibola poco allenata che faticava ad emettere suoni. Cosa avrebbe
dovuto dire?
«Derek,
parla. Sento il suo odore, è qui; dimmi dov’è» disse l’Alpha con quell’isteria
che ormai prendeva vita quando si trattava del suo migliore amico, non
smettendo un attimo di cercarlo ed agitandosi per la mancanza di risposte; non
presagiva nulla di buono ed odiava non avere la situazione sotto controllo.
Il fruscio
del vento si frappose tra loro, portandosi qualsiasi cosa potesse anche
soltanto essere sussurrata, strappandola via; qualora fosse stata pronunciata.
«Derek»
provò ancora con la preoccupazione e la paura che raggiungevano le stelle.
Derek si
sentì tirare un lembo dei jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e
delicata, quasi impalpabile e si voltò confuso nell’immediato, incontrando
degli occhi giganti dall’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai
dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante,
impostata ed educata, buona e pulita.
Il branco fu chiamato all’attenzione da quel
siparietto ed il fiato si bloccò nella trachea del messicano; se Scott avesse
sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe
bastato. «Stiles?».
Passo
dal rosso rubino sangue al verde smeraldo che più smeraldo non si può, ma
eccomi tornata con la nuova storia promessa.
In
realtà i primi tre capitoli e mezzo sono stati scritti nel lontano dicembre
2015 (una vita fa), ma in qualche modo tutte le altre storie che sono state
pubblicate in questi anni gridavano di essere scritte con più voce e questa di
conseguenza è finita in un’attesa eterna, ma non è mai stata dimenticata e non
è nemmeno mai cambiato il suo sviluppo nella mia testa. È rimasta tale e quale,
fedele a se stessa.
Ci
sarebbero molte cose da dire su questo primissimo capitolo, ma per il momento
mi limiterò a lasciarvi la parola.
Ringrazio
la mia beta che è miracolosamente resuscitata (EarthquakeMG), ma sono sicura che ad entrambe
saranno sfuggite delle sviste.
A
settimana prossima,
Antys