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Autore: SherLokid221B    11/11/2018    1 recensioni
(post Kingsman: The Golden Circle, Harry Hart/Eggsy Unwin)
Nonostante siano passati mesi dalla missione in Kentucky, Harry non riesce a superare il trauma di quello che gli è successo e soffre terribilmente a causa di allucinazioni e incubi, senza contare il fatto che si sente inadeguato nei confronti di Eggsy, perché pensa che il ragazzo meriti di meglio. Harry prova a nascondere tutto, ma alla fine gli diventa impossibile e crolla. Eggsy e Merlin saranno al suo fianco per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Hart, Merlin, Roxy Morton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Merlin li stava aspettando insieme a quattro infermieri, che, nel momento in cui il jet atterrò, salirono rapidamente a bordo con una barella per Eggsy. Harry e Roxy li guardarono sollevare delicatamente il ragazzo, per poi seguirli all’esterno, dove Merlin iniziò ad impartire ordini, facendo attenzione a non guardare Harry negli occhi.

“Portatelo subito in infermeria.” ordinò agli uomini.

“Roxy, avrò bisogno del rapporto sulla missione entro stasera.” le disse, salutandola con un leggero sorriso. “Per il momento, però, vai con Eggsy.”

Merlin fece cenno agli infermieri di proseguire. Harry non aveva detto una parola, era stato fermo ad osservare Eggsy con il senso di colpa che aumentava ogni volta che posava gli occhi su di lui.

“Harry.” gli sussurrò Eggsy, mentre gli infermieri lo trasportavano vicino a lui. “Harry!” ripeté per richiamare la sua attenzione, dato che l’uomo si rifiutava di guardarlo. “Harry…starò bene, okay? Non preoccuparti per me. Tornerò in men che non si dica, così potrò prendermi cura di te.”

L’ultima cosa che Harry vide prima che Eggsy venisse portato via fu il suo sorriso, stanco ma dolce, quello che riservava soltanto per lui. Poi sentì la voce di Merlin.

“Arthur…posso parlarti un attimo in privato?”

“Certo.” Harry cercò mantenere i modi da gentiluomo che gli erano stati insegnati. In realtà non voleva altro che tornare al più presto a casa sua.

I due camminarono in silenzio fino a quando raggiunsero lo studio di Harry, che prese posto alla sua scrivania, invitando l’amico a sedersi di fronte a lui.

“Cosa è successo là fuori?” chiese Merlin, andando subito al punto, con un tono misto tra il rimprovero e la preoccupazione.

“Non lo so…non…avevo calcolato che potesse succedere una cosa del genere…io…” Harry smise di parlare. Qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe comunque bastata a cancellare quello che era accaduto.

“Avresti dovuto ascoltarmi. Eggsy sarebbe potuto morire…dannazione, sareste potuti morire tutti!” Merlin non voleva fare la parte del cattivo, ma, a quel punto, era più la preoccupazione a parlare. Semplicemente era il suo compito assicurarsi che nessuno si facesse del male e, in quel momento, Harry era un pericolo per se stesso e per gli altri.

“Credi che non lo sappia??” sbottò Harry. Si pentì immediatamente di aver urlato, soprattutto considerando che Merlin stava solo cercando di aiutarlo. Tuttavia non era riuscito a trattenersi, non aveva bisogno di qualcun altro che gli ricordasse quello che aveva fatto. I suoi continui sensi di colpa erano abbastanza.

Merlin rimase in silenzio, guardandolo fisso negli occhi. Harry mise da parte la rabbia e, quando riprese a parlare, lo fece con un tono di voce più basso: “Che cosa mi è successo? Non mi riconosco più…non sono più Galahad, non sono più Harry Hart, mi sento solo il fantasma di quello che ero. Non posso andare avanti così…”

“Harry, datti tempo, dobbiamo solo lavorarci insieme. Seriamente, questa volta, senza più distrazioni. Qualcun altro può sostituirti come Arthur mentre troviamo un modo per aiutarti. L’importante è che tu non rimanga da solo ad affrontare tutta questa merda.”

“Merlin, non c’è più niente che tu possa fare.”

“Harry…”

“È finita. Domani dirò addio a tutti.” I suoi occhi non tradivano alcuna emozione, il tono di voce era distaccato e professionale, ma, dentro di sé, Harry stava lottando per impedire alle lacrime di iniziare a scendere. Non solo per il senso di colpa riguardo a ciò che era successo, ma anche perché aveva realizzato che quello era davvero il momento in cui avrebbe dovuto dire addio al suo lavoro come spia, a tutto quello che conosceva, alla sua vita. Cos’era lui senza Kingsman?

Merlin aprì la bocca per provare a controbattere, ma Harry gli lanciò un’occhiata che lasciava intendere che non avevano più niente da dirsi. Quando Merlin si chiuse la porta alle spalle, Harry permise finalmente alle lacrime di bagnargli le guance.

***
 
Eggsy venne a sapere che Harry aveva lasciato Kingsman il pomeriggio del giorno seguente. Ad informarlo fu Merlin durante una delle sue visite in infermeria.

“No…no…non è possibile! Lasciami uscire di qui, devo andare a parlargli!” Eggsy fece per alzarsi, ma Merlin lo fermò all’istante.

“Devi ancora guarire del tutto, Eggsy. E poi…forse dovremmo lasciargli un po’ di spazio.”

“Cosa cazzo stai dicendo, Merlin?? Harry ha bisogno di noi, devo aiutarlo!”

“Eggsy…” Merlin esitò, ma realizzò di non poter far altro che dirglielo. “Harry ha lasciato detto che preferisce non ricevere visite per il momento. Ci farà sapere lui quando è pronto.”

“Stai scherzando, vero? Merlin, dimmi che stai scherzando…”

“È meglio che tu stia da tua mamma, o da Roxy, per il momento. È meglio così. Sono sicuro che sarà solo una cosa temporanea.”

***
 
Il suo cellulare vibrò all’improvviso e lo schermo si illuminò. Al rumore, Harry, seduto su una poltrona nel suo salotto, immerso nei suoi pensieri, sussultò appena. Prese il dispositivo e aprì il messaggio. Per un attimo fece fatica a distinguere le parole a causa di un leggero tremore nella mano.

-Harry, sono passate due settimane. Possiamo parlare? Ti amo-

Eggsy. Harry non poteva nemmeno leggere il suo nome sullo schermo senza sentirsi mancare il respiro, il senso di colpa che lo assaliva. Non voleva pensare come sarebbe stato sentire la sua voce, o rivederlo. Non che quelle due settimane passate senza vederlo né sentirlo fossero andate bene.

Decise di ignorare il messaggio e spense il telefono. Nell’appoggiarlo sul tavolino di fronte a sé, scorse la sua immagine nello schermo e faticò a riconoscersi. Un sottile strato di barba gli ricopriva le guance e il mento, dovevano essere passati giorni dall’ultima volta che l’aveva tagliata, i capelli arricciati gli ricadevano scomposti sulla fronte e aveva due segni scuri sotto gli occhi, perfettamente comprensibile, dato che non riusciva a dormire per più di due ore di seguito a causa degli incubi. Quel giorno indossava una t-shirt nera, che aveva trovato nell’armadio e che probabilmente apparteneva ad Eggsy, e una tuta grigia, che gli ricordava terribilmente quella che aveva dovuto indossare nella cella degli Statesman. Non si preoccupava neanche più di coprirsi la cicatrice sull’occhio con la benda o gli occhiali. Non ne aveva alcun motivo visto che i suoi unici compagni erano Mr. Pickle e le sue farfalle, che spesso prendevano vita improvvisamente e gli sfrecciavano davanti agli occhi in un turbinio di colori, lasciandolo ogni volta incapace di reggersi sulle ginocchia e con una fortissima emicrania. Aveva affidato Hamish, il cagnolino che Eggsy gli aveva regalato, a Roxy, il giorno in cui aveva detto addio a tutti, con la raccomandazione di lasciarlo al ragazzo una volta che si fosse rimesso. Le sue giornate passavano lentamente: durante quelle buone riusciva a leggere qualche pagina di un libro che aveva scelto a caso dalla sua libreria, anche se doveva spesso interrompersi per non affaticare troppo l’occhio, a cucinarsi qualcosa di diverso e più elaborato dei soliti sandwich e insalata, addirittura a fare qualche esercizio fisico. Nelle giornate cattive, invece, stava semplicemente sdraiato nel letto o sulla poltrona e piangeva, sopraffatto dai ricordi di tutto quello che aveva fatto. Le notti erano praticamente tutte uguali: una serie incessante di incubi diversi che si concludevano tutti con lui che si svegliava coperto di sudore, urlando e stringendo le coperte, cercando invano il corpo caldo di Eggsy.

Non aveva più visto nessuno dei suoi amici e colleghi. Aveva ricevuto una telefonata da Merlin, che voleva accertarsi che andasse tutto bene e al quale aveva risposto, sperando di suonare convincente, che se la stava cavando. Prima di terminare la chiamata, però, non aveva potuto non chiedere come stesse Eggsy.

“Gli manchi.” aveva risposto semplicemente Merlin.

Anche a lui mancava Eggsy, ovviamente. Era la sua ancora di salvezza, l’unico che aveva creduto in lui quando nessun altro l’aveva fatto. Il suo Eggsy. Tuttavia, non poteva assolutamente permettersi di vederlo, doveva essere forte per entrambi, in modo che il ragazzo potesse andare avanti con la sua vita.

Aveva provato a tenersi lontano dagli alcolici con tutte le sue forze. Sapeva che se avesse ceduto, sarebbero diventati il suo unico rifugio – un po’ come gli era accaduto prima di conoscere Eggsy – e allora tutto sarebbe stato irrimediabilmente perso. Per fortuna, il suo autocontrollo aveva sempre avuto la meglio e Harry si concedeva un bicchiere di whisky solo quando il peso dei ricordi diventava troppo grande e minacciava di schiacciarlo o dopo un attacco di panico causato da quelle maledette farfalle.

Stava sorseggiando un bicchiere di whisky quando, un giorno, all’improvviso, sentì suonare il campanello. Si alzò lentamente dalla poltrona e controllò chi ci fosse alla porta.

La voce di Eggsy risuonò nelle sue orecchie poco dopo: “Harry, lo so che ci sei. Ho ancora un paio di chiavi, quindi entrerò lo stesso, che tu mi apra o no.”
Le dannate chiavi di scorta! Quella era stata l’unica condizione per la quale Merlin gli aveva concesso di vivere da solo, che Eggsy conservasse il suo paio di chiavi in caso qualcosa andasse sorto.

“Harry…” continuò Eggsy. “Merlin ti sta ancora monitorando, mi ha tenuto aggiornato su tutto quello che stai passando. Fammi entrare, Harry.”

Harry fece un lungo sospiro, raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e aprì la porta, ringraziando il cielo di essersi fatto la barba il giorno prima.

“Ciao, Eggsy.”

Eggsy restò per un attimo a fissarlo senza dire niente, poi sorrise e lo abbracciò dolcemente, mormorando il suo nome. Harry si rese conto di non essere così forte da riuscire a resistergli e si abbandonò completamente sulla sua spalla. Era passato così tanto tempo da quando qualcuno, da quando Eggsy lo aveva stretto tra le proprie braccia.
Quando si separarono, Harry lo condusse nel suo salotto…nel loro salotto, a dire il vero. Eggsy si guardò intorno, come per cercare segni del fatto che le cose stessero andando peggio di quanto lui e Merlin pensassero, ma trovò la stanza praticamente come l’aveva vista l’ultima volta, fatta eccezione per il buio causato dalle tende tirate a coprire totalmente le finestre e il bicchiere accanto alla bottiglia di whisky.

“Perché sei qui, Eggsy?” gli chiese subito Harry. Quando vide lo sguardo del ragazzo indugiare sulla bottiglia, aggiunse: “Non sto passando le mie giornate ad ubriacarmi, non preoccuparti. E poi, Merlin lo saprebbe, no?”.

Eggsy annuì piano. Non era lì per qualcosa in particolare. Voleva solo vedere Harry, voleva…convincerlo a tornare dai suoi Kingsman, a tornare da lui.

“Sono preoccupato per te…” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

“Non devi, davvero.” Harry pregò di riuscire a sopprimere tutte le emozioni che si stavano affollando nel suo cervello in quel momento.

“Harry, ti ho appena avuto indietro, non voglio perderti di nuovo.” mormorò Eggsy, avvicinandosi lentamente all’uomo per sfiorargli la guancia.

A quel gesto Harry indietreggiò, impedendogli di toccarlo, e poté vedere chiaramente, nella sua espressione, il cuore del ragazzo che si spezzava.

“Eggsy, io…” provò a trovare una giustificazione. “…sei quasi morto per causa mia, non me lo perdonerò mai. Non posso. Non…non riesco neanche a guardarti senza volermi sparare un colpo in testa e farla finita.”

Eggsy lo guardò senza credere a quello che aveva appena sentito, le lacrime gli riempirono gli occhi e subito dopo iniziarono a scorrere lungo le sue guance. Harry avrebbe voluto stringerlo tra le sue braccia, baciarlo fino a che non avesse smesso di piangere, ma non poteva.  

“Lascia che ti aiuti, Harry! Tutto può tornare come prima, ma devi lasciare che io ti aiuti, cazzo!” gli disse quasi urlando.

“Non c’è niente che tu possa fare per me, è troppo tardi. Tu meriti di meglio, meriti di essere felice, con qualcun altro, con qualcuno che possa darti tranquillità e sicurezza. Non puoi sprecare la tua giovinezza prendendoti cura di uno come me.” Finalmente Harry lo aveva detto, ora Eggsy doveva solo realizzare che l’uomo aveva ragione e poi sarebbe stato libero di trovare la persona giusta per lui. Non importava quanto facesse male, l’importante era che Eggsy fosse felice.

Eggsy lo guardò scioccato per un attimo, senza sapere cosa dire. Prima di parlare, aprì le labbra più volte, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Alla fine, l’unica cosa che riuscì ad urlare fu: “Come fai a non capire che tu sei l'unica persona di cui mi voglio prendere cura??”

Harry ammutolì all’istante. Il ragazzo aspettò una risposta che non arrivò in tempo e fece la cosa di cui poi si sarebbe pentito per il resto dei suoi giorni. Se ne andò. Lasciò Harry da solo. Semplicemente non poteva sopportare di guardarlo dopo che gli aveva detto quelle cose. Davvero Harry aveva un’opinione così bassa di lui? Davvero credeva che lo avrebbe abbandonato alla prima difficoltà? Non si rendeva conto che lo amava davvero? Che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui? Eggsy camminò oltre il taxi che lo aveva portato fino a lì e iniziò semplicemente a correre senza una meta precisa, con le lacrime che gli offuscavano la vista.

Harry era rimasto fermo, in piedi nel suo salotto, anche dopo aver sentito Eggsy sbattere la porta d’ingresso. Dopo qualche minuto, la maschera che aveva indossato cadde all’improvviso e Harry si lasciò cadere sul pavimento, con la testa tra le mani e lacrime calde che gli bagnavano le guance e i palmi delle mani. Non poteva credere alle parole che erano uscite dalla sua bocca, ma voleva solo che Eggsy fosse felice e lui non poteva garantirgli quella felicità.

Quando, una decina di minuti dopo, Harry alzò lo sguardò, gli occhi arrossati e la testa che pulsava, la prima cosa che vide fu la bottiglia di whisky, più invitante che mai.
   
 
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