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Autore: _Destinyan_    14/11/2018    1 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Italia, 1958
Ottobre

Una delle mattine più imbarazzanti della sua vita.
Lovino non riusciva a credere a quello che era successo la sera precedente, non che non lo volesse, ma si conosceva fin troppo bene… come avrebbe guardato di nuovo Antonio negli occhi tranquillamente?

Si svegliò presto, con il mal di pancia, e sentendo un po’ di freddo, la sera iniziava a fare fresco e lui aveva dormito solo con le mutande. Andò alla ricerca dei suoi jeans, sapeva di averli lanciati dietro di lui, ma non sapeva dove fossero effettivamente finiti. Si sporse dal bracciolo del divano solo con il petto e li trovò nascosti dietro una piantina che il nonno teneva accanto al divano, ma della quale non si prendeva particolarmente cura. Li infilò, cercando di non fare rumore. Se avesse svegliato Antonio sarebbero stati solo loro due, dato che tutti stavano ancora dormendo. Osservò, mentre infilava una gamba nel pantalone, Antonio che dormiva beatamente. Aveva un braccio sopra la testa, e aveva scoperto una gamba. Riusciva a notare la barba che stava per spuntare sotto il suo mento e lungo la sua mascella. In realtà gli donava, ma Lovino lo preferiva con la faccia liscia. Si alzò e andò verso il bagno, ma lo trovò occupato. Si affacciò nella camera da letto e notò Feliciano e Ludwig ancora a letto, il biondo nel punto dove di solito dormiva Lovino, aveva preso il suo posto. Feliciano stava sorridendo, mentre Ludwig aveva una faccia seria, anche da addormentati non cambiavano molto. Non riusciva a vedere invece se il nonno era sveglio oppure era ancora a letto da quel punto. Sentì il rumore dello scarico e Roma apparve sulla porta del bagno. In uno sbadiglio disse “Oh, Lovino, sei già sveglio.”
“Sì… ho mal di pancia.” Era la verità, probabilmente era la paura che il nonno potesse averli sentiti e la paura di dover affrontare un discorso serio con Antonio.
Il nonno rise “Vedi di non otturare il bagno allora.” Lovino alzò gli occhi al cielo e l’altro si avviò verso la cucina “Preparo un caffè ad entrambi.”
“Va bene.” Gli disse tranquillamente e poi andò in bagno. Si preoccupò di chiudere la porta a chiave, un’azione che per qualche ragione non piaceva a suo nonno. Diceva che se fosse successo qualcosa mentre loro erano in bagno, lui non avrebbe potuto soccorrerli, ma a Lovino non interessava e la chiudeva ogni volta. Si soffermò a guardarsi allo specchio, ispezionò con attenzione il collo per controllare che Antonio non avesse lasciato alcun segno. “Che imbecille.” Si lanciò dell’acqua fredda in faccia per togliersi dalla mente Antonio che gli baciava il collo, convinto che a tratti lo avesse anche leccato, sentì improvvisamente un dolore fra le gambe. Alzò la testa per vedersi con l’acqua sgocciolare fino al mento e sospirò rumorosamente. Si asciugò, aspettò qualche secondo e poi uscì fuori.
“Hai chiuso a chiave.” Commentò il nonno quando Lovino apparve accanto al tavolo. Nel frattempo lui aveva dato un’occhiata ad Antonio che mormorò qualcosa e si girò dall’altro lato.
“Lo so.” Lovino gli rispose sedendosi al tavolo. Il nonno gli aveva già tagliato del pane e aveva portato la marmellata a tavola. Iniziò a mangiare pane e marmellata e Roma gli servì il caffè.
“Non voglio che chiudi a chiave.” Mormorò.
“Lo so.” Ripeté di nuovo “Me lo ripeti ogni volta.” E gli sorrise, forzatamente.
Lovino masticava in silenzio, mentre l’altro aveva già iniziato a bere il suo caffè con calma. “Spiegami una cosa.” Lovino alzò lo sguardo dal tavolo e guardò il suo interlocutore. “Perché quel tizio è lì.” E indicò Antonio nell’altra stanza “Mentre l’altro è nella nostra camera.”
Una mollica fece strozzare Lovino. Tossì un po’ e poi si riprese “Ce lo siamo domandati anche noi ieri sera.” Iniziò. Doveva trovare un modo per giustificare quei due idioti. “Io credo che mi abbia fregato il posto perché avrebbe dormito in un letto più comodo.” Disse. Poi aggiunse “Ha approfittato del fatto che lui e Feliciano sono andati a dormire prima.” I suoi occhi tornarono al pane e alle briciole sul tovagliolo.
Il nonno alzò le spalle e non tornò al suo caffè “Sarà.” Disse dopo aver bevuto l’ultima goccia. Nella sua voce c’era qualcosa di strano, Lovino riusciva a sentirlo.
 “Tu quando sei andato a cambiarti?” parlò con la bocca piena di pane.
“Cosa?” Lovino inarcò un sopracciglio.
“Indossi i jeans.” Roma notò “Quando hai cambiato il pigiama, non ti ho sentito.”
Lovino arrossì, perché gli venne in mente la faccia di Antonio mentre gli toglieva quegli stessi pantaloni la sera prima. “Ah…” poggiò la sua tazzina.
Nella sua mente passarono gli occhi di Antonio con uno scintillare particolare, si era passato la lingua fra le labbra mentre aveva lasciato atterrare i pantaloni sul pavimento. “Mentre eri in bagno.” Finì di spiegare. Scosse la testa e Antonio svanì dalla sua mente.
“Sei un po’ agitato.” Gli disse il nonno, con della premura nel suo tono.
“Ho mal di pancia, te l’ho detto.” Mentì.
Il nonno gli sorrise e si alzò da tavola. Quando il nonno passò, Lovino notò subito Antonio in piedi. La maglia e la tuta in disordine, dopo la dormita. I capelli erano ancora più indomabili del solito. Sorrise a Lovino quando i loro occhi si toccarono, lui girò la faccia. Il nonno lo vide solo con la coda dell’occhio e si girò di scatto emettendo un sibilo. “Antonio!” poi disse “Non ti avevo sentito.”
Antonio, con aria stordita gli disse “Buongiorno.” Lovino ora lo stava guardando, e vide il suo sorriso autentico. Roma fece per andare in cucina, poi fece un passo indietro.
“E tu quando sei andato a cambiarti?”
Lovino si coprì con una mano e cercò di bere il suo caffè, alzò la faccia solo per vedere Antonio rispondere “Ah… sì.” Poi si indicò i pantaloni “La tuta intendi?!” stava ancora sorridendo, ma per il nervosismo.
“Sì, la tuta. Io e Lovino non ti abbiamo sentito per nulla.”
“Io sì.” Disse subito Lovino. Lui e Antonio si scambiarono un’occhiata nervosa. “L’ho sentito andare verso la stanza e cambiarsi.”
“Sì, proprio poco fa.” Antonio rise “Possibile che tu non mi abbia sentito?”
Roma, preso alla sprovvista, scosse la testa turbato “Bha, sono davvero diventato vecchio.” E tornò in cucina. “T-ti preparo la colazione allora.” Gli disse “Che vuoi?”
“Del latte andrà bene.” Antonio si era seduto di fronte a Lovino. Gli sussurrò, un po’ imbarazzato “Tutto bene?”
Lovino incrociò le braccia e roteò gli occhi. No, non andava tutto bene, la zona fra le sue gambe non aveva mai fatto così male, tutto perché la sera prima gli era passato per la mente di baciare Antonio. Non sapeva neanche lui perché l’avesse fatto, aveva sempre resistito, sempre. Era come se la tensione che avvertiva ogni volta che erano da soli fosse esplosa in quel momento. Forse aveva ripensato a quando il nonno gli disse che si canta solo per le persone speciali e questo lo aveva fatto ragionare molto. “Chiudi il becco.” Fu l’unica cosa che riuscì a rispondere. Il nonno tornò con il latte per Antonio che gli sorrise in modo cordiale e Lovino adorava guardarlo così. Quando Roma sparì di nuovo Antonio gli chiese “Non vuoi parlarne?”
“No.” Con una risposta secca chiuse il discorso. Antonio tornò al suo latte e lui andò sul divano. Antonio bevve la sua tazza e quando la finì emise un suono, come di compiacimento e si andò ad accomodare accanto a Lovino.
“Fai schifo, come fai a bere tutto quel latte così velocemente.” Parlava sinceramente.
“Dovevo fare in fretta, prima che torni Roma.” Gli mise una mano sul ginocchio.
“Eh?” Lovino emise, e Antonio gli diede un bacio. In uno scocco veloce era già finito. Antonio premette il naso contro il suo, poi rise e si allontanò in tempo per quando Roma era tornato, si era andato a cambiare. Tornò trovando Antonio ridere e Lovino che lo picchiava forte sulla schiena, alzò le spalle e li lasciò perdere.

***

Erano passate due settimane da quell’evento. Lovino non permise mai ad Antonio di parlare dell’argomento, e in tutto quel periodo non si toccarono, non si baciarono e non provarono a rifarlo mai più. A Lovino a volte veniva in mente e in quei momenti l’unica cosa da fare era chiudersi in bagno. Per qualche motivo il coraggio di affrontare una cosa del genere gli mancava. Non riusciva nemmeno a comprendere perché Antonio ci tenesse così tanto, non lo meritava affatto. Alcune notti riuscivano a passarle insieme, si incontravano in cucina, dopo essersi svegliati per andare a bere o al bagno, oppure andavano a dormire tardi. Lo facevano semplicemente per parlare, oppure per stare in silenzio, ma insieme. Lovino notò, oltretutto, con piacere che Ludwig non andò più a dormire nel suo letto. Anche se la notte sapeva che lui e Feliciano perdevano tempo in giro per la casa, quando ne parlò con il fratello gli disse che quello era l’unico momento in cui potevano stare da soli, quando però gli fece notare che anche lui e Antonio facevano la stessa cosa, finirono con il litigare.

“Voglio partire con Ludwig.” Gli disse all’improvviso mentre erano nell’orto. Ludwig e Antonio erano dall’altra parte della casa ad aiutare il nonno a potare un albero accanto alla casa.
“Cosa?” gli chiese Lovino. Erano accovacciati nel terreno, avevano parlato fino a quel momento solo di sciocchezze, i discorsi preferiti di Feliciano, poi all’improvviso uscì con quella frase.
“Parto con Ludwig.” Ripeté. Lovino aveva capito perfettamente, ma sperava di essersi confuso. “Andiamo in Germania.” Disse con la sua vocina e si alzò in piedi. Lovino si sfilò la sigaretta dall’orecchio, la poggiava lì per averla a portava di mano, e con un fiammifero la accese. Si trovarono uno di fronte all’altro.
“E quando lo abbiamo deciso?” gli disse con la sigaretta fra i denti. Feliciano con la mano scostò il fumo e tossì.
“Mi dai fastidio quando fai così.” Gli disse, con fare quasi infantile. “Lo ho deciso io, con Ludwig, qualche giorno fa.”
“Feliciano...” Farfugliò mentre si teneva con le dita le tempie “Non capisco di cosa stai parlando.”
Il fratello brontolò “Io e Ludwig ce ne andiamo, in Germania.”
“Siete venuti fin qui per non stare con Gilbert.” Lovino non capiva, che cosa aveva in testa quello stupido di suo fratello.
“Sì, ma… Ludwig vuole tornare, gli manca, e io voglio stare con lui.” Disse reggendosi la manica della camicia vecchia e larga.
“No.” Lovino gli disse, con un dito poggiato contro il petto “Non andrai con lui.”
“Lovino, non te lo sto chiedendo!” Feliciano fece, quasi alzando la voce. “Andremo a stare insieme da Gilbert e poi troveremo una casa e andremo a vivere lì.” Lo guardò negli occhi nocciola, Feliciano ormai non era più così innocente, ormai era diventato un adulto anche lui. A Lovino tornò in mente il momento in cui quella coppia lo portò lontano da lui, dall’orfanotrofio, ripensò a tutto quello che Elizabeta gli aveva detto e ripensò a quando gli disse “Prenditi cura di Feliciano.”
“Non puoi farle questo.” Gli sibilò. Feliciano lo guardò confuso e lui continuò “Elizabeta, lei si fida di me.” Quasi gli faceva scendere le lacrime ammettere una cosa del genere, qualcuno che si fidava di lui, che gli dava importanza “Io le ho promesso di stare con te, non puoi andare via senza dirle nulla.”
“Come posso dirle che voglio partire con Ludwig?”
Lovino lanciò la sigaretta nella terra e la lasciò affogare nel terriccio. “Non andrai.”
“Ma…” iniziò a piangere. Si tratteneva la camicia con la mano salda.
“Tornerà lui se volete stare insieme.” Quando vedeva il fratello piangere non riusciva a trattenersi, ma quella volta doveva farlo. Feliciano si pulì il volto con una mano e la terra si impastò con le lacrime, si allontanò e andò verso casa, passando dalla porta della cucina. Lovino contemplò per qualche momento la porta sbattere e poi alzò uno sguardò al cielo.
“Ma che cazzo volete tutti da me?” urlò a qualcosa di invisibile fra le nuvole “Non posso fare tutto io! Non ce la faccio, non ce l’ho mai fatta!” Calciò il terreno e fece alzare della polvere, tornò al lavoro che il nonno gli aveva chiesto di svolgere, svogliatamente e con mille pensieri nella testa.

***

Novembre, 1958

Ormai da cinque giorni Feliciano parlava raramente con Lovino, furioso perché il fratello non gli aveva dato il permesso di partire. A Lovino non interessava, o almeno così credeva.
Si stavano dirigendo da Emma, in quel pomeriggio freddo di novembre, nel giro di un’ora avrebbe fatto subito buio. Le ombre di Antonio e Lovino, lungo la strada, si erano infatti allungate e tutto aveva assunto sfumature arancioni e viola scuro. Lovino calciava qualche sassolino lungo la strada, Antonio con le mani nelle tasche del pantalone gli domandò “Qualcosa non va, non è vero?”
Lovino non rispose, sapeva che prima o poi Antonio avrebbe capito senza che gli avesse detto nulla.
“È successo qualcosa con Feliciano? Sembrate strani ultimamente.” Antonio si sporse in avanti per comparire nel campo visivo di Lovino.
“Sai che Ludwig torna in Germania?” gli chiese invece di rispondere alla domanda.
Antonio smise di camminare e si fermò dietro Lovino, il quale si girò per trovarsi faccia a faccia con l’altro. “Ludwig parte?” Aveva tolto le mani dalle tasche.
“Già.”
“Perché non me ne ha parlato?” chiese quasi offeso.
“Probabilmente perché voleva partire solo con Feliciano.”
Antonio sembrò illuminarsi “Per questo avete litigato?”
“Io non voglio che vada, mi sembra ovvio.” Lovino sbottò, sapeva di avere ragione, ne era convinto. “E lui non dovrebbe essere arrabbiato con me, dopo tutto quello che ho fatto per lui… per questa stronzata ora si sta comportando da bambino!” Confessò ad Antonio tutto quello che pensava. Lovino aveva fatto di tutto per fare in modo di tornare a vivere tutti insieme come una famiglia normale, e questo era il ringraziamento. Antonio riprese a camminare.
“Capisco…” poi aggiunse “Hai detto queste cose a Feliciano?”
“No.” Ammise con un po’ di vergogna “Potrebbe anche arrivarci da solo, ormai ha una certa età!”
Antonio fece una risatina “Certo, certo.”
Avevano ripreso il loro passo normale e ormai erano vicini alla pasticceria di Emma. Lovino, prima di entrare, si voltò a guardare Antonio. Nascose il naso nella sciarpa leggera quando il vento si alzò e gli chiese sottovoce “È colpa mia, vero?” preso quasi dal panico. Era abituato a darsi sempre la colpa.
Antonio intenerito si avvicinò a Lovino “No, no, certo che no Lovi.” E strinse la sua testa vicino al petto “Tranquillo.”
Lovino aveva le guance in fiamme e non aggiunsero più nulla. Antonio sapeva sempre cosa dirgli.
Emma aprì la porta di colpo “Insomma, volete entrare?” urlò in inglese e rise come non mai quando li vide sobbalzare per la paura. Emma aveva ormai imparato alcune frasi, ma comunque Lovino doveva fare da interprete. Quando entrarono Emma stava vendendo dei grissini ad una signora anziana, che Lovino non conosceva, ma lei lo salutò comunque. Quando uscì Emma mise le braccia attorno Antonio e Lovino “Che si fa oggi?” e si tolse il grembiule.
“Stai lasciando il negozio?” Lovino la fermò mentre stava per lanciare oltre il bancone il suo grembiule.
“Sì!” lanciò il panno “Tim! Pensaci tu qui, va bene?” urlò e si avvicinò verso il bancone. “Mi hai capito?”
“Sì, ho capito.” Tim apparve oltre la porta. Era un ragazzo alto e biondo, con i tratti molto simili a quelli di Emma. Aveva una sigaretta in bocca, e Lovino si domandò se la stava fumando mentre era nella sala dove preparavano i dolci e il pane. Guardò con aria diffidente Lovino e Antonio “Che vai a fare?” e tornò alla sorella. Lei sorrise “Una passeggiata, andiamo al bar forse.” Disse lei. Lovino notò che Antonio lo guardava confuso e questa cosa lo fece quasi ridere.
“Ti porto qualcosa?” gli chiese, lui rispose quasi immediatamente “Una birra.”
Mentre uscivano dalla porta iniziò a farle varie raccomandazioni fra cui “Se ti vedono in giro con due ragazzi e papà lo viene a sapere sarà furioso.” Non sorrideva molto, ma il modo in cui parlava con lei era affettuoso. Lei annuì e uscirono.
“Che facciamo?” chiese Antonio a lei sorridendole. Lei capì e rispose subito.
“Passeggiata!” e si avviò camminando in mezzo ai due. Indossava una camicia e una gonna lunga fino alle caviglie, con la giacca e la sciarpa, tutti colori accesi, e la gonna era evidentemente sporca di farina. Quando entrarono nel bar Emma andò ad ordinare e rimase ferma a parlare con delle ragazze sedute al bancone che indicavano verso Antonio e Lovino ridacchiando fra loro. Lovino arrossì quando una delle due gli fece un cenno con la mano, una con i capelli ricci. Quando Antonio se ne accorse si spostò accanto a Lovino.
“Se dovesse chiedertelo… andrai con Ludwig?” gli chiese, ripensando al discorso che avevano avuto prima e a Feliciano. I loro volti erano molto vicini e Lovino parlava con la voce calma e bassa.
“No.” Rispose Antonio. “Voglio restare qui.” Ammise lui passandosi una mano fra i ricci “Con te.” Le guance di Lovino andarono di nuovo in fiamme. Poi guardò il bancone e rise quando notò che Emma stava per far cadere le bevande che aveva preso. Notò però che Antonio non gli aveva tolto gli occhi di dosso.

***

Antonio aiutò Ludwig a preparare la valigia, mentre i fratelli Vargas si occuparono si smontare la vecchia brandina. Dalla stanza dove c’erano i due italiani non si sentì volare una mosca, Feliciano continuava a non volergli parlare.
Antonio aveva il compito di prendere gli abiti piegati e ordinati perfettamente da Ludwig dal letto per metterli nella valigia. Oltre i suoi vestiti dovette posare il taccuino con gli appunti per i suoi scritti e alcuni libri. Antonio lo osservò mentre riordinava delle camicie. Aveva un profilo scolpito perfettamente e i suoi occhi piccoli e azzurri sembravano assenti mentre guardavano le camicie davanti a loro.
“Ludwig.” Antonio lo chiamò e l’altro sembrò tornare al presente. Gli tolse le camicie dalle mani e le mise dentro “Abbiamo finito.” Continuò.
“Oh, sì.” Ludwig disse vagamente, ripose vari oggetti e poi chiuse il suo bagaglio “Grazie mille.” Abbozzò un sorriso e fece per uscire dalla stanza.
“Feliciano non dovrebbe prendersela con Lovino.” Gli disse, mentre il biondo gli dava le spalle. Rimase così per qualche secondo e Antonio aggiunse “E neanche tu.”
Ludwig non si mosse, eretto e immobile come una statua. Era come se con quella frase Antonio gli avesse conferito di essere a conoscenza di tutto. Si prese un momento per pensare poi guardò Antonio, quasi stupito. Antonio gli sorrise “Non date la colpa a Lovino. Lui ha sempre fatto del suo meglio.” Con quello sperava che anche Ludwig capisse la sua situazione. Il tedesco fece solo un cenno con la testa, poi aggiunse “Non ce l’ho con lui.” lo rassicurò. “Io so tutto quello che ha fatto Lovino.” Lo disse con una vena di affetto nella sua voce.
Antonio poi si avvicinò e gli prese una parte dei bagagli “Ti aiuto io.” E andarono verso la porta. Sul portico c’erano Lovino e Feliciano ad aspettarli. Feliciano lo avrebbe accompagnato fino alla stazione e poi sarebbe tornato a casa da solo. Ludwig poggiò i bagagli sul legno e entrò dentro per salutare Roma, prima degli altri. Li sentirono parlare per due o tre minuti, durante i quali Antonio notò che una pellicola di sudore stava riempendo la fronte di Feliciano nonostante il freddo, “Non preoccuparti.” Antonio gli sussurrò con dolcezza e questo lo fece sorridere. Sentirono finalmente la rumorosa risata del nonno, sembrava veramente divertito, Ludwig uscì più pallido di prima. Antonio gli diede una pacca dietro la schiena “Ci vediamo allora, Lud.” Rise brevemente, Ludwig rispose sorridendo educatamente e con un semplice “A presto.”
Salutò Lovino con una stretta di mano, sembrò che si sorrisero sinceramente. Antonio non sapeva che, mentre lui ormai non c’era più all’orfanotrofio, Lovino e Ludwig erano diventati molto più amici di quanto ricordasse. Quando i due si allontanarono, Ludwig con la valigia più pesante e Feliciano con il bagaglio più leggero, Lovino sospirò “Speriamo non gli venga in mente di scappare.” Con braccia incrociate.
Antonio rise “Ludwig non glielo lascerà fare, tranquillo.”
Si guardarono per un attimo, Lovino si bagnò le labbra, provò a parlare ma decise di tornare in casa. “Fa freddo.” Ammise.
Più tardi Feliciano tornò a casa, rimase in camera, sul letto, quasi tutto il giorno. Le poche volte che lo videro uscire dalla stanza i suoi erano gonfi e rossi.

***

Dicembre, 1958

Antonio si andò a sedere sul divano, dove Lovino era seduto ad imparare qualche nuova canzone con la chitarra. Era pomeriggio inoltrato, ormai dalla finestra si vedeva già il cielo buio. Il nonno era uscito con Feliciano, per andare in farmacia. Antonio infatti aveva dormito quasi tutta la mattinata a causa dei sintomi influenzali che aveva.
“Levati di torno, o la mischierai anche a me.” Gli disse spostando la chitarra. Antonio invece si accomodò meglio e poggiò la testa sulla spalla di Lovino.
“Dopo vi ripagherò per le medicine.”
Lovino alzò gli occhi al cielo “Ma sta zitto.” Antonio sorrise con gli occhi socchiusi. Il naso gli bruciava parecchio ed era convinto che fosse completamente rosso e screpolato.
“Vuoi qualcosa per natale?” gli chiese Antonio.
L’albero era già stato fatto verso la prima settimana di dicembre. Il nonno aveva un vecchio albero minuscolo e solo poche decorazioni da metterci sopra. Dichiarò di non fare l’albero da tanti anni ormai, e nessuno fece domande sul perché.
“No.” Lovino rispose facendo un cenno con la testa.
“Potrei comprarti qualcosa io.”
“Non mi serve nulla.”
Antonio alzò la testa e si trovò di fronte a Lovino. Provò a baciarlo, ma Lovino gli poggiò le dita sulle labbra per spostarlo.
“Non vuoi?” gli chiese imbarazzato per quello che aveva fatto. Lovino ci pensò un attimo e disse “Mi ammalerò di questo passo.” E si alzò in piedi.
Antonio avrebbe voluto approfittare volentieri di un’occasione come quella, ma Lovino non voleva saperne e non poteva certo costringerlo. Pensò di voler finalmente parlare seriamente dell’argomento, invece si addormentò sul divano a causa della febbre senza rendersene conto.

***

Mancava una settimana a natale, i piani erano già stati stabiliti: la mattina in chiesa, poi a casa per il pranzo di Natale e si doveva restare in famiglia tutto il giorno. Non avevano familiari lì, i genitori e la sorella del nonno non avevano potuto vedere nemmeno l’arrivo degli anni ‘50.
Il nonno non frequentava quasi per nulla la chiesa, ma diceva che delle festività era un obbligo andarci. A Lovino l’idea di dover festeggiare il natale non interessava molto. Era solo un giorno come gli altri in cui si mangiava di più. Non aveva nemmeno voglia di passarlo con il fratello che non avrebbe fatto altro che lamentarsi per tutto
il tempo perché probabilmente la Germania avrebbe avuto qualche paesaggio innevato bellissimo, mentre in Italia avevano solo alberi secchi e piante morte.

Lovino si svegliò più tardi del solito, sorpreso che il nonno non fosse andato a disturbarlo di prima mattina. La gola gli bruciava e quando provò a parlare uscì molto più rauca. Nel letto accanto a lui mancava suo fratello, dal corridoio non proveniva nessuna voce invece. Quando uscì dalla stanza trovò suo nonno che spazzava in cucina.
“Buongiorno.” Tossì e cercò di schiarirsi la gola.
“Ti sei ammalato anche tu adesso.” Rise il nonno. Lovino si guardò attorno.
“Dove sono tutti?”
Il nonno alzò le spalle “Volevano farsi entrambi una camminata immagino.” Poggiò la scopa al mobile della cucina. “Prendi la cesta con i panni da lavare e vai al lavatoio pubblico stamattina.”
Lovino sbuffò “Non possiamo prendere una bacinella e riempirla d’acqua. Ti prego non farmi andare lì.” Il nonno gli aveva affidato il compito due volte prima di allora. Il lavatoio, oltre ad essere il luogo dove tutti in paese andavano a lavare i propri vestiti, era un luogo per i pettegolezzi delle signore e le ragazze del paese. Arrivato lì avresti sicuramente saputo chi avrebbe dovuto sposarsi in primavera, chi era incinta oppure chi era scappata con il proprio fidanzato per sposarsi. Insomma, le donne portavano le loro figlie, e stavano lì a starnazzare mentre lavavano. Era un ambiente che aveva messo a disagio Lovino e avrebbe preferito non tornarci più. In casa loro avevano (miracolosamente) l’acqua corrente, probabilmente il nonno aveva fatto in modo di averla così da non doversi ritrovare a fare quello che facevano solo le donne in paese, ma quando i vestiti da lavare erano troppi dovevano raggiungere il lavatoio.
“Piantala di lamentarti e sbrigati, altrimenti farai tardi, c’è un sacco di roba da lavare.” Lo sgridò il nonno.
Lovino uscì di casa coprendosi al meglio la gola, con entrambe le braccia manteneva la cesta pesante e camminò lentamente pensando a dove potessero essere andati Antonio e Feliciano. Dovette andare in direzione del paese e girare verso la via vecchia, quindi raggiunse un vicolo dove si trovava il famigerato lavatoio. Era tutto in marmo e riunite attorno ad esso c’erano già alcune signore intente a chiacchierare. Quando Lovino si avvicinò e lasciò cadere la cesta, riposando momentaneamente le braccia, le vide squadrarlo da capo a piedi. Fece un cenno con la testa, prese delle camicie e iniziò a lavarle cercando di ignorare le signore. Non gli interessava nemmeno sapere di che cosa stessero parlando. La sua mente era bloccata su Antonio, che stava forse facendo una passeggiata, chissà dove e chissà per quale motivo.
Tu sei il nipote di Roma?” Lovino fu interrotto mentre strofinava una camicia del nonno contro il marmo seghettato, da una signora anziana “Gli assomigli parecchio, sai.” Continuò. “Da giovani eravamo compagni di scuola.” Lovino rimase ad osservarla senza rispondere, poi annuì e tornò ai suoi vestiti.
“Tuo nonno da giovane era una testa calda.” Continuò lei “Te lo ricordi, Carla?”
La donna che venne interpellata rispose senza smettere di lavare un vestito “Sì che me lo ricordo, mi fece anche la corte una volta.”
“A chi non l’ha fatta!”
e poi risero tutte insieme.
“Era veramente bello da ragazzo.” Disse una senza pensarci e Lovino alzò lo sguardo per osservarle tutte, con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i capelli bianchi o quasi, c’erano donne un po’ più giovani e anche delle ragazze della sua età o quasi.
“Bello quanto suo nipote?” Disse una donna, aveva forse trent’anni, e tutte scoppiarono di nuovo a ridere. Mentre Lovino divenne rosso, i suoi occhi si incontrarono per qualche secondo con quelli di una ragazza, che conosceva con i capelli ricci, che lo guardò, sorrise e arrossì a sua volta. Lovino abbassò lo sguardo e avrebbe preferito sparire. Gli mancavano ancora tanti capi da lavare e questo lo fece sospirare ancora una volta.
“Lovino.” La ragazza con i capelli ricci lo chiamò, a Lovino sembrò si chiamasse Anna o qualcosa del genere, era con un’amica. “La mia amica…” e indicò con la testa la ragazza accanto a lei “Si chiedeva se Antonio fosse fidanzato, voleva sapere qualcosa in più su di lui.” la sua amica guardò in basso e si nascose. Lovino la fulminò con lo sguardo senza rendersene conto.
“No, non è fidanzato.”
“Davvero?”
finalmente parlò lei. Lovino inarcò un sopracciglio. “È così carino pensavo lo fosse.” Quello che si creò nel petto del ragazzo era un miscuglio fra orgoglio e gelosia. Le rispose solo sorridendo, cercando di essere gentile. Anna arrossì quando lo vide con quell’espressione. Lovino la ignorò e strofinò un’ultima volta la camicia di Roma per passare ad un suo jeans, rattoppato già due volte almeno da Emma.
“La prossima volta gli andrò a parlare, stamattina mi è mancato il coraggio.” Rise. Lovino alzò la testa di scatto.
“Dov’era?” tossì le parole a causa della sua gola. “Antonio, dov’era stamattina?” poi si soffermò a pensare come quella ragazza sapesse il suo nome, e che cosa voleva, ma lasciò perdere quei pensieri.
“Era vicino la piazza, non so dove sia ora.” Rispose lei un po’ intimorita.
Lovino guardò la cesta con i panni. “Ragazze.” Quelle lo osservarono con espressione persa.
“Lascio per un po’ questa roba qui, fateci attenzione.” Sorrise di nuovo, e le due annuirono subito. Si aggiustò le maniche e si passò una mano fra i capelli. Quando si allontanò sentì dire dal gruppo di signore, e le ragazze.
“Però è proprio un bel ragazzo.”
“Sembra anche bravo e a modo.”
“Beata quella che se lo sposerà!”
Sentì Anna ridere in modo subdolo.
Ignorò quei discorsi e continuò per la sua strada, non gli interessava minimamente cosa pensassero le ragazze di lui.
Andò verso la piazza in fretta e continuava a pensare a quello che gli era stato detto. Antonio era fidanzato? No, non lo erano. Ma quindi loro due cos’erano? Solo l’idea di poterlo immaginare con quelle ragazza gli fece rigirare lo stomaco per la gelosia. Ma apparentemente, per qualche ragione, Lovino era quello che Antonio voleva, quindi non sarebbe mai andato con quella ragazza, almeno così si stava convincendo. Questo fece arrossire Lovino e dovette coprirsi la bocca per non far vedere a chi era in giro che stava ridendo da solo. Quando arrivò nella piazza con il pavimento bianco iniziò a guardarsi intorno, non c’erano bambini perché erano probabilmente a scuola, in un bar lì vicino vide dei signori seduti fuori e dai quei pochi negozi entravano e uscivano persone adulte. Lovino poi notò una figura a lui familiare in lontananza, ma non era Antonio, era Feliciano.
“Feli!” si avvicinò “Non pensavo fossi qui.” Gli disse e le forme di Feliciano diventarono più nitide ai suoi occhi. Lui lo guardò ma non disse nulla.
“Scusami, Lovi, non mi va di parlare.” Abbassò la testa e si allontanò.
Lovino rimase immobile, con la bocca semiaperta. “Torniamo a casa insieme.” Gli disse.
Feliciano si voltò e tornò indietro, lo guardò con i suoi occhi dolci e sorrise. Lovino poi pensò alla cesta con i panni e ad Antonio.
“Aiutami a lavare i panni al lavatoio prima di andare a casa.” Poi aggiunse “Antonio?” Lovino continuò a guardarsi attorno, voleva dire che avrebbero parlato un’altra volta.
“Non lo so.” Feliciano alzò le spalle “Sarà a casa.” e non parlarono più.

***

Antonio varcò la soglia del portone e sentì Roma lamentarsi mentre si lasciava cadere su una sedia.
Lovino?” chiese lui e Antonio rispose subito.
“Sono io!” fece capolino dall’ingresso e Roma era accomodato mentre si massaggiava una gamba. “Ho pulito un po’ ovunque e ora mi fa male tutto.”
“Lo avrei fatto io, non serve che ti sforzi tanto.” Antonio disse subito gentilmente, Roma rise e scosse la testa.
“Ce la faccio ancora.” Disse in un’ultima risatina. “Che sei andato a fare?”
“Volevo fare una passeggiata.” Disse lui tranquillamente. “Vorrei trovare qualche lavoro da fare, devo anche assolutamente imparare l’italiano.”
Roma fece per alzarsi e Antonio lo fermò. “Devo fare qualcosa?”
“Il pranzo.” Disse lui guardando l’orologio, era l’una ormai. “Ci sono dei fagioli.” Si accomodò di nuovo e Antonio andò in cucina. Prese il pentolone pieno di fagioli e iniziò a preparare.
“Io prima aveva un negozio.” Roma cominciò. Ad Antonio piaceva sentire le sue storie. “Ero un barbiere.” La sua mente si spostò al barbiere dove sarebbe dovuto andare a lavorare quando era in Inghilterra, il lavoro che Gilbert gli cercò con tanta cura. Ebbe un tappo allo stomaco.
“Crescere mio figlio da solo e pensare al lavoro fu terribile.”
“Quando hai avuto tuo figlio?” chiese Antonio mentre la fiamma dell’accendino toccò i fornelli.
“Subito dopo la guerra.” Rispose tranquillamente “Amavo molto mia moglie.” Aggiunse con un tono amaro.
Antonio si voltò a guardarlo “Lovino e Feliciano da piccoli com’erano?” iniziò a pensare a come ricordava Lovino quando erano piccoli, sembrava che quel bambino le avesse passate tutte. Gli piaceva immaginare come poteva essere prima dei cinque anni.
“Non li ho visti molto.” Antonio fece per cambiare discorso, ma Roma lo interruppe “Erano bambini particolari.” Rise “Lovino piangeva ogni volta che mi vedeva.” E rise ancora di più.
“Cosa?” Antonio rise a sua volta.
“Sì!” il nonno si calmò per un momento “Mi vedeva così di rado, che quando succedeva piangeva a dirotto per la contentezza. La mamma non sapeva mai come calmarlo!”
Antonio provò ad immaginare la scena, se Lovino lo avesse saputo si sarebbe arrabbiato tantissimo adesso.
“Eppure li vidi pochissime volte.” Tornò in sé “A volte dimenticavo i loro nomi, perché non vedevo mai nemmeno mio figlio.” Si premette le labbra e pensò “Eppure lui aveva questa convinzione che io li odiassi tutti.” Scosse la testa “Ma non parliamo di questo, vuoi sapere qualcosa sul nonno di Ludwig?”
“Sì, certo!” Antonio girò i fagioli con un cucchiaio di legno, quando finì di mescolare si voltò e incrociò le braccia.
E Roma si mise a raccontare di quando era ragazzo, della guerra, di sua moglie e della sua amicizia con il nonno di Ludwig e Gilbert, domandandosi che fine avesse fatto il suo amico ora che erano vecchi.

Lovino e Feliciano spalancarono la porta. Reggevano insieme al cesta piena di panni, e trovarono Antonio che ascoltava il nonno parlare mentre apparecchiava. Portarono i panni fuori e li avrebbero stesi dopo pranzo, anche se con quel freddo ci avrebbero messo più tempo del dovuto. Il nonno annunciò che i fagioli erano pronti e
quindi dovevano sbrigarsi prima che si raffreddassero.
Durante il pranzo Antonio notò che Feliciano non parlava con Lovino, ma con lui e suo nonno scherzava come sempre. Roma si alzò per prendere un coltello con cui tagliare il formaggio e Antonio lo seguì con una scusa.
“Roma.” Gli disse in un sussurrò. L’altro si voltò a guardarlo con il coltello da cucina in mano. “Ancora non si parlano quei due, hanno litigato.”
“Ho parlato con Feliciano qualche giorno fa.” Aggiunse lui, sussurrando a sua volta. “Più tardi parlerò con Lovino allora.”
Antonio sorrise e tornò a tavola.

***

Più tardi, nel pomeriggio, Feliciano tornò a chiudersi in camera, si mise probabilmente a dipingere qualcosa. Lovino rimase con il nonno a giocare a carte, mentre Antonio era nell’altra stanza ad accendere il fuoco nel camino. Lovino lo sentì litigare un paio di volte con il fuoco. Nel momento esatto in cui Lovino stava facendo scopa, Antonio annunciò di dover tagliare altra legna e sparì nel giardino.
“Senti…” Il nonno gli disse con gli occhi puntati alle sue carte, lanciò e prese un tre. “Quando hai intenzione di risolvere con tuo fratello?”
Lovino sbatté le palpebre e inarcò un sopracciglio “Non sono io il problema.”
Si fissarono per un momento. “Guarda che tocca a te.” Gli fece notare il nonno e Lovino lanciò la sua carta.
“So che è arrabbiato con te perché non lo hai fatto andare con Ludwig.” In quel momento i loro occhi si toccarono e Lovino iniziò a pensare che il nonno era troppo sveglio per non aver capito.
“Tu…” Lovino cominciò. Poi le parole morirono nell’aria. Sarebbe stato troppo rischioso chiedergli qualcosa riguardo Ludwig e Feliciano. “…Credi che io non abbia ragione?” disse alla fine, dopo una lunga pausa.
“Tuo fratello è libero di fare quello che vuole Lovino.” Il nonno parlava pacatamente e con lo sguardo serio. “Dovreste parlarne.”
Lovino poggiò le carte sul tavolo e lo stesso fece Roma.
“Cosa dovrei dirgli?” lo chiese con un po’ di imbarazzo. “Non voglio che parta.” le lacrime gli appannarono la vista. Il nonno si agitò e si alzò in piedi.
“No, no, Lovino, non devi piangere.” Gli poggiò una mano sulla testa. L’umiliazione che provò in quel momento era talmente tanta che dovette fermare le lacrime premendosi le mani sugli occhi e scacciando il braccio di suo nonno.
“No! Non serve!” gli urlò e rimase con la testa abbassata per non farsi vedere. Gli sembrò che il nonno stesse sorridendo.
“Tu sai perché per lui è così importante partire per la Germania.” Roma gli disse, tornando al discorso di prima. Lovino realizzò: Il nonno sapeva. Lovino emise solo un suono mozzato e poi tirò su con il naso, si passò il dorso della mano sugli occhi e tornò in sé. Avrebbe accettato che avrebbe dovuto di nuovo salutare suo fratello. Aveva passato anni ad aspettarlo per poter stare insieme, ma ormai erano grandi e i loro progetti erano cambiati, lo avrebbe accettato.
Prese le carte e lanciò un sette sul tavolo, quindi prese il sette di denari e annunciò in tono di sfida “Sette bello!”
Il nonno osservò Lovino quasi intenerito, poi scoppiò a ridere.
Più tardi Feliciano uscì di casa dicendo di voler uscire a fare una passeggiata per le campagne. Il nonno fece un cenno a Lovino che lo seguì subito. Fuori casa si guardarono e iniziarono a camminare uno accanto all’altro. Quando furono abbastanza lontani da casa, immersi del tutto nel paesaggio rurale, percorrendo la via di pietre affiancata da un susseguirsi di larghi campi, Feliciano parlò.
“Vogliamo fare pace?”
“Sei tu quello incazzato con me.” Rispose seccato Lovino e parlando creò delle nuvole nell’aria.
“Mi dispiace.” Feliciano mise le mani in tasca “Non volevo arrabbiarmi.”
Lovino guardò in aria prima di decidersi a parlare, questi erano i tipo di discorsi che odiava di più in assoluto. “Scusami.” E dirlo gli sembrò maledettamente difficile. “Sei libero di scegliere quello che vuoi.”
Il volto di Feliciano si illuminò “Davvero?”
“Non sono contento che tu parta.” Disse subito “Anzi, la cosa mi secca parecchio.”
Feliciano si nascose nelle spalle “Siamo diventati grandi Lovino.”
Rimasero immobili per un attimo fra le campagne. “Vogliamo sederci lì?” gli indicò un prato e per poi notare delle piante di cachi in lontananza “Non c’è il padrone nelle vicinanze.” Rise e Lovino lo seguì. Presero tre cachi a testa e si sedettero nel prato poco più distante.
“Dovremmo prenderne di più per portarle al nonno.” Notò Feliciano. “O forse si arrabbierebbe?”
“Feli, quello sarebbe il primo a rubarle se ne avesse la possibilità.” Lovino gli disse mentre mordeva il frutto e suo fratello rise.
“Quindi posso partire?” Feliciano era tornato a regalargli i più bei sorrisi poteva offrire.
“Sì…” Confermò l’altro e rimasero in silenzio.
“Grazie.” Lo disse prima di prendere un boccone “Io credo che il nonno lo abbia capito.” Gli confidò “Abbiamo parlato e… io credo lui sappia tutto.”
Lovino avrebbe voluto confermare, ma Feliciano sembrava troppo spaventato. “No, non credo.” Fu a quel punto che suo fratello annuì “Sicuramente non è così.” E si tranquillizzò.
Lovino si era portato le ginocchia al petto e Feliciano aveva poggiato la testa sulla sua spalla “Mi mancherete.”
“Ma tornerai…” La sua voce era risuonata troppo triste rispetto a come la aveva immaginata.
“Certo!” tornò diritto “Ovviamente tornerò a trovarti, Lovi. Te e il nonno!” poi si poggiò una mano sul mento e pensò “Ma Antonio invece? Resterà qui?”
L’altro ammise un po’ timidamente “Sì.”
Feliciano si stese sul terreno, un po’ freddo e umido e Lovino fece lo stesso. Osservarono il cielo grigio-azzurro e calò nuovamente il silenzio. Qualche uccellino cinguettò in lontananza, un altro cachi, ormai troppo maturo, cadde da un albero e rimbalzò sul terreno. Le nuvole si spostarono e Lovino pensò che i vestiti non si sarebbero mai asciugati con quel tempo. Questo lo fece tornare alle ragazze che aveva incontrato quella mattina e qualcosa nel suo petto iniziò a spingere per farlo parlare.
“Feliciano… ” Lovino gli disse rompendo il rumore del vento sugli alberi.
“Mh?”
“Io sono innamorato di Antonio.”
I suoi nervi erano tesi, le guance rosse, non credendo nemmeno lui a quello che aveva ammesso coraggiosamente ad alta voce per la prima volta.
Feliciano comparve nel suo campo visivo con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta in un’espressione di autentico stupore.












---Angolo dell'autrice----
Ce la farò a pubblicare entro il 2018 i due capitoli finali? Lo scoprirete nelle prossime puntate.
   
 
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