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Autore: LeanhaunSidhe    16/11/2018    12 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Kiki sospirò portandosi al fianco di suo fratello, stordito ma ancora abbastanza vigile. L'armatura doveva avergli attutito il colpo, anche se non gli sembrava più tutto libero nei movimenti. Sulla schiena, in particolare, spiccava una macchia scura che adombrava la lucentezza dell'oro. Iniziò a chiedersi se avessero fatto meglio ad allontanarsi anche loro, privi come erano della necessaria conoscenza su come affrontare quelle creature. Pronto a dar battaglia, espanse nuovamente il cosmo. Non sarebbe finita li, così velocemente, in quel modo assurdo. Nell'aria iniziò a diffondersi una leggera nebbia che sembrava impedire la visuale ed ottenebrare i sensi. La temperatura stava calando. Non andava bene. Scagliò un'altra onda di luce ed il suo tentativo ebbe il solo effetto di illuminarli maggiormente per brevi secondi. Inquieto, controllò di nuovo suo fratello. Deglutendo, girò su se stesso, preoccupato. Lo chiamò a voce: con la telecinesi era silenzio piatto. Non riusciva a spiegarsi il motivo: Mu l’aveva lasciato solo.


 

Mu barcollò appena. In quella nebbia gli venivano in fretta a mancare le forze. Dentro di sé, capiva che qualcosa non tornava. Gli sembrava che le mani pulsassero e vedeva ad intermittenza le proprie unghie crescere. Qualcosa, in lui, mutava. Una, due e mille voci si sovrastavano nella sua testa. Non riusciva assolutamente a scacciarle. Parlavano di sangue, di emozioni che lui non conosceva ed incutevano ribrezzo. Erano ringhi di belva che lo avvertivano che era più semplice arrendersi ed inutile opporsi, perché quando uno dei perduti ti tocca sei segnato. Il marchio non si può togliere e lui c’era cascato. Poteva diventare uno di loro. Temeva che, presto, sarebbe diventato lui il peggior pericolo per suo fratello. Forse, abbattere o per lo meno allontanare una delle creature che lo avevano colpito poteva rendere la loro azione meno efficace. Gli cantavano di vite recise e cadaveri massacrati nel sangue. Una rabbia furiosa gli cresceva dentro. Decise che a farne le spese sarebbe stato uno dei suoi aguzzini. Qualcuno arrivava verso di lui, neppure troppo velocemente. Era rallentato a causa di quella malia ma si disse che non importava. Se ne sarebbe andato o, nella peggiore delle ipotesi tramutato in uno di quegli esseri immondi. Sicuramente. Ma mai si sarebbe spento senza lottare. Il suo pugno, caricato di cosmo, aveva tagliato la nebbia. Poi, però, vide la verità e la volontà di rivalsa si trasformò terrore, sul suo viso. Non c’era nessun nemico. Gli sfuggì un gemito dalle labbra nel rendersi conto che non aveva di fronte nessuno dei perduti ma solo un'altra vittima. Nella follia che gli avevano instillato nella testa, aveva attaccato la principessina.

Forse, fu per la pesantezza che ghermiva il suo corpo o solo per la fortuna sfacciata: la ragazza riuscì a spostarsi prima dell'arrivo del suo attacco. Lo fissò, tremante, per qualche istante, cercando di calmarsi e normalizzare il respiro. Aveva poi teso la mano verso di lui, che gli gridava invece di scappare, poiché, presto non sarebbe più stato padrone delle sue azioni. Seleina, però, aveva negato, fino ad arrivare a pochi passi. Gli spiegò che, se lui fosse già diventato come i perduti, per lei non ci sarebbe stato scampo alcuno e non poteva assolutamente permettere che un uomo con un cosmo sconfinato come il suo si unisse ai nemici. Poi, sarebbero stati ancora più difficili, da ricacciare.

“Vieni con me.”

Lo aveva invece invitato. La voce gentile che più che un richiamo dolce ebbe il potere di un obbligo. Perché Seleina aveva implorato Haldir ed il suo signore concedeva sempre appoggio ai suoi figli più devoti e quando il domatore delle anime esercita il suo potere non c’è anima vivente che possa opporsi, neppure un dio, figurarsi un uomo.

“Vieni con me e presto sarai di nuovo padrone di te, salvo.”

La sua mano tesa fu afferrata esitante e lei, ringraziando gli dei, l’aveva accolta. Non l’avrebbe più lasciata andare. Finalmente, poteva anche avvertire Kiki che tutto era finito e poteva raggiungere Zalaia. Ora, non le restava che raggiungere insieme a Mu il campo.


 

****************


 


 

 

Zalaia aveva iniziato a contare i minuti da che la sua amica era partita. Non ascoltava minimamente le chiacchiere delle persone vicino a sè e stava richiamando diversi fuochi fatui. Un bambino si era accucciato alla spalla della madre ed aveva iniziato a tremare, nell'osservare quel giovane cavaliere in armatura nera dal viso pallido, che bisbigliava parole sinistre a cose che lui non vedeva. Zalaia era concentrato. Minuscole fiamme chiare iniziarono ad addensarsi attorno a lui ed il loro lieve bagliore iniziava ad essere più evidente, nella luce del giorno che andava morendo. D'un tratto evanescenti figure umane presero lentamente forma attorno a lui. Un'anziana credette di impazzire: l'uomo che era apparso nella realtà viveva ormai da molto tempo solo nei suoi ricordi.

Zalaia, infatti, stava diventando nervoso: il pensiero della sua amica, rimasta sola, gli mordeva le viscere. Ringhiò sommessamente: probabilmente si trattava di gelosia. Forse, semplicemente non voleva. Non poteva accettare che un'altra della sua razza perisse per degli esseri umani. Anche lui era umano per metà e si era sempre vergognato delle sue origini: troppo oscuro il passato di suo padre, troppo macchiato il suo nome. Così come sua madre era stata rovinata da un cavaliere del Grande Tempio, la femmina per cui stava iniziando a provare dei sentimenti rischiava di perire a causa di due di loro.

Da tempo i lemuriani che il giovane Dunedain proteggeva, accorgendosi del cambiamento della sua indole, si erano allontanati e ritirati fra loro.

Ai loro occhi, ora, quel cavaliere nero dai capelli color sangue era del tutto simile agli spettri che padroneggiava. Nel momento in cui videro la falce, sua tradizionale arma, comparire nella sua mano sicura, il loro cuore martellò violento nel petto. Sembrava apparsa la morte a pretendere il suo bottino di anime. Invece, i fuochi fatui si erano distanziati tra loro, circondandoli tutti. Zalaia si stava concentrando più intensamente. Dalle tenebre erano apparsi altri lemuriani, che solo qualcuno dei presenti aveva riconosciuto, o quasi. Il loro sguardo, però, era spento, lontano. Quando riconobbero le persone del villaggio, l'anziana che ne riconobbe uno lo chiamò per nome. Poichè l'età aveva annebbiato le sue pupille ma non la sua memoria, non aveva mai dimenticato il viso di suo marito, perito tanti anni prima. Anche lui la riconobbe, ne fu certa, nel momento esatto in cui si incrociarono i loro sguardi. La paura, allora, non potè più nulla contro la curiosità ed il bisogno di sapere. L'anziana corse verso quel giovane che aveva le sembianze di un angelo maledetto e lo chiamò forte. Zalaia, che un po' umano lo era ancora, ne ebbe pietà.

"Ho richiamato qualcuno che conoscevi?"

Era in quei momenti che si rendeva conto di quanto il potere dei domatori delle anime dei viventi poteva essere efficace.

Presto, apparve il lemuriano più giovane: era stato avvertito da Seleina che suo fratello era con lui e poteva raggiungere il resto della sua gente.

Zalaia, finalmente libero da quell’obbligo fastidioso, interruppe la concentrazione. Si destò, come se uscisse da uno stato di trance. Non si curò minimamente dei presenti che gli domandavano quale sarebbe stato il suo agire. Mostrò la falce. Si apprestava a rimandare quei perduti nel buco da cui erano usciti. Doveva fare in fretta. Voleva tornare al campo per controllare coi propri occhi la situazione della sua amica e di quel fesso che si stava portando appresso.


 

Note: ho fatto una piccola revisione del testo, dove mi sembrava poco chiaro. Ho preferito, tuttavia, lasciare il capitolo breve, come era inizialmente. Sperando che ancora ci sia qualcuno che passa di qua, buona lettura.
   
 
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