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Un fiore che sboccia, una pianta che
appassisce, una nuvola che va per il cielo. La natura è una madre prodigiosa e
per evitare di annoiarci escogita tutti i trucchi del suo mestiere millenario.
Tutto cambia dunque, tutto passa, ci
regala in un attimo la sua bellezza e poi se ne và, in una serie meravigliosa
di avventure e di scoperte.
Ci si sentiva come dei grandi esploratori
osservando le continue trasformazioni delle piante, del cielo, dei prati,
dell’atmosfera. Non esistevano mai fenomeni identici e ogni cosa variava da un
attimo all’altro.
E così si avvicendavano le stagioni, gli
anni, i secoli o i minuti. Quello che c’era prima non c’era più poco dopo o era
diventato diverso; tutto passava e si rinnovava, in un processo vecchio come il
mondo, ma sempre fresco, affascinante. E non restava altro che immergersi nel
continuo flusso di vita nuova, per amare di più la natura e sentirsi vivere e mutare
con essa.
Naruto tutto quello lo sapeva e per
questo si guardò intorno, sorridendo soddisfatto.
L’aria era tiepida, tersa e suadente,
rallegrata da un leggero venticello che si divertiva a far frusciare le foglie,
contro ogni previsione il sole splendeva alto nel cielo limpido. Era una di
quelle tipiche giornate di inizio primavera che riempivano il cuore di profumi
e di gioia. I prati si erano spogliati
del freddo e cupo mantello invernale per indossare un fine e morbido manto di
erbetta. Le aiuole erano disposte artisticamente, sapientemente coltivate. Le
prime ad apparire come al solito erano state le primule, simili a occhietti
gialli e poi le viole, nascoste all’ombra delle siepi fiorite di biancospino. E
ancora le pratoline, bianche e a forma di stella, mentre gli alberi avevano
perso quel loro aspetto invernale di scheletri dolenti e bei ricami candidi e
rosati si stendevano sui loro rami. Svettavano cercando di raggiungere il cielo
gli ippocastani, con le loro larghe foglie a ventaglio, gli aceri col fusto
dritto a chiazze d’argento, i tigli, i pioppi e i salici, protesi a toccare la
superficie ondulata dell’acqua e a riflettersi in essa.
Erano nate le prime gemme, sbocciate
nella loro pienezza sui rami, gonfie di linfa e di vita. Di mattina presto,
erano fresche di rugiada ed il sole del giorno le riempiva di sfumature e di
forza e sembravano aprirsi alla sua calda luce. E tra il verde dei prati, tra
le tenere foglioline, spuntavano tulipani selvatici gialli e rossi, giunchiglie
profumate e anemoni violetti e ancora i boccioli delle rose, il glicine con i
suoi grappoli lilla, carichi di dolce nettare, attorno ai quali ronzavano le
api golose.
I fiori nella loro serena semplicità
ingioiellavano la terra come pietre preziose, in un tripudio di colori e
profumi, simili a un tappeto variopinto screziato e frastagliato di mille
tinte.
Molte persone, approfittando del bel
tempo, avevano deciso di uscire e i vialetti che si snodavano agili, salendo e
discendendo a formare graziose collinette nascoste dagli alberi antichi, erano
colmi di gente spensierata e allegra: madri che trasportavano i figli in
carrozzine ricoperte di veli e di trine e chiacchieravano tra di loro facendo
trillare, con gesto pacato, un sonaglino, dondolando le carrozzine o rinchiudendone
le tendine perché il sole non disturbasse il sonno dei loro piccoli. Poco più
in là un gruppo di vecchietti rideva allegramente rievocando i bei tempi
andati, si battevano pacche sulle spalle, scherzavano come tanti bambini. Negli
spiazzi invece una frotta di bambini correva e giocava, chi in bicicletta, chi
in pattini o monopattino, con palle di gomma o fucili di plastica, creando una
gran confusione con le loro grida di incitamento,
Lentamente, lungo i vialetti avanzò una
guardia, spingendo con aria indolente i pedali di una vecchia bicicletta. Come
la videro avvicinarsi, i bambini si allontanarono dai prati con il timore che
li sgridasse perché era vietato calpestarli, ma in una giornata come quella chi
avrebbe resistito alla tentazione di farvi sopra due capriole?Anche la guardia
sembrò capirlo, perché pur vedendo benissimo le impronte rimaste impresse,
chiuse un occhio e non rivolse il più piccolo cenno di rimprovero a nessuno dei
trasgressori.
Poco lontano una fontana con getto
potentissimo sollevava una colonna d’acqua verso il cielo per poi lasciarla
ricadere in mille e mille gocce nel laghetto sottostante.
La nota più bella di quella parte di
giardino infatti era il laghetto: l’acqua si increspava leggermente sotto la
carezza del vento e i cigni candidi scivolavano leggeri tra le ninfee.
Tutto era fresco e gaio.
Era già mezzogiorno, il cielo era chiaro,
il vento portava un profumo dolce e penetrante e lui aveva già fatto un
ritratto. Poteva andare meglio?
Fu in quel preciso istante che il destino
mise in campo il suo cavallo.
Naruto si voltò verso il terrazzo su cui
si trovava e vide un’immagine che da quel giorno gli sarebbe rimasta impressa a
fuoco nel cuore per sempre.
Lì, in piedi e tranquillamente poggiata
sul parapetto, stava la creatura più bella che avesse mai visto.
I lunghi capelli fini come seta e scuri
come una notte senza stelle, le danzavano intorno al viso di porcellana, dalle
fattezze di bambola. Gli occhi socchiusi, ombreggiati dalle lunghe ciglia
ricurve, le labbra sottili e leggermente schiuse, il naso piccolo e dritto alla
francese. Anche se completamente vestita di nero, appariva come ricoperta
d’oro, avvolta dai caldi raggi del sole e circondata dai suoi fasci luminosi.
Era lì, si disse, la sua prossima
modella, una ninfa da ritrarre in tutta la sua sfolgorante bellezza, piccola
creatura angelica strappata al cielo.
Si avviò con passo deciso e fermo verso
la donna, un lampo determinato e risoluto a rendere più cupo l’azzurro dei suoi
occhi.
*
Ma ora che c’era?Da cosa nasceva quel
dolore, quella sofferenza che la lacerava?Dalla consapevolezza di aver perso
ogni cosa…Ridicolo..e paradossale. Proprio ora che aveva raggiunto ciò che
desiderava e aveva ottenuto la ricchezza e il posto che le spettava, capiva di
non esserne soddisfatta. La fama però le interessava..Oh quello di sicuro..Solo
che..Già, solo che?Cosa mancava?Cosa non andava?
“Mi scusi..”
Un tocco gentile, una leggera pressione
al braccio e Hinata si ritrovò per la seconda volta nella giornata alle prese
con qualcosa che la lasciò senza parole.
D’accordo che era un po’ ingenua, ma non
così tanto pensò dopo aver ascoltato la richiesta a suo avviso strampalata di
quel ragazzo.
Sapeva benissimo che di solito sono le
persone a chiedere di essere ritratte e non il contrario o almeno credeva…Oh,
insomma! Non si sbagliava, l’aveva visto con i suoi occhi vagabondando per i
viali. La richiesta di quello che capì pittore anche dai tre segni di vernice
marrone, simili a graffi, sulla guancia destra, la fece boccheggiare
leggermente.
Voleva farle un ritratto?E quanto le
sarebbe costato?
Glielo chiese, ma lui rispose con un
sorriso a trentadue denti.
Ok..ora cominciava a preoccuparsi..Non era
uno psicopatico, vero?
“Niente.” sorrise se possibile ancora più
allegramente di prima e la percorse con lo sguardo da capo a piedi. Sotto
quell’analisi Hinata sentì le guance andare a fuoco e si costrinse a chiedere
balbettando, “Ni-Niente?”
“E’ gratuito e se permetti il ritratto
vorrei tenerlo io.”
Tenerlo lui?
Accidenti, ma era Eco?Sapeva solo
ripetere le ultime parole di ogni frase?
“Perché?”chiese sbattendo gli occhi
stupita. Perché voleva conservare il dipinto di una perfetta sconosciuta?A meno
che…
Non gli diede nemmeno il tempo di
rispondere e si voltò cominciando a incamminarsi nella direzione opposta con
ampie falcate, quasi correndo. Se quel tipo sperava di far soldi facendole un
ritratto per poi rivenderlo al miglior offerente, si sbagliava di grosso.
“Ehi!Scusa ti stavo spiegando..” cominciò
Naruto raggiungendola e bloccandola per il polso.
“Cosa vuoi spiegarmi?” lo interruppe lei,
rivolta verso di lui con il busto. “Pensi che non abbia capito cosa hai
intenzione di fare?Vuoi farmi un ritratto!”
Naruto allargò gli occhi leggermente e si
portò la mano destra dietro al collo massaggiandoselo, la sinistra infilata
nella tasca dei jeans.
“L’idea sarebbe quella in effetti..”
Hinata sgranò gli occhi e gli puntò il
dito contro il petto, avvicinando di botto il suo viso a quello dell’uomo.
“Credi che sia una stupida?Tu speri di rivenderlo al miglior offerente!”
Se Naruto rimase sbalordito da
quell’uscita inaspettata, non lo diede a vedere più del dovuto limitandosi ad
alzare un sopracciglio in un’espressione di silenzioso sconcerto. Puntò i suoi
occhi azzurri in quelli grigi della donna, invitandola a continuare, cosa che
non fece.
“Perché dovrei fare una cosa del genere?E
scusami tanto, ma non mi reputo il grande pittore che a quanto pare tu pensi io
sia. Anche se il soggetto in questione, tu, è fuori ogni dubbio incantevole,
non credo che qualcuno comprerebbe mai il quadro di un pittore sconosciuto come
me. E poi chi ha mai detto che io sarei disposto a venderlo?”
Hinata lo osservò sorpresa.
“Vuoi solo dipingermi e tenere il quadro
per te?” mormorò confusa, mentre le guance si imporporavano nuovamente.
Naruto assentì, rivolgendole un grande
sorriso.
“Accetti di posare per me per le
prossime…” guardò l’orologio al suo polso con il cinturino di pelle logoro e
sdrucito, di nuovo lei e ancora l’orologio. “Tre ore sono troppe?” chiese con
la stessa espressione di desolato dispiacere che qualche ora prima era dipinta
sul volto del giornalista con cui aveva diviso il taxi.
“No..” si affrettò a rispondere lei.
“No.”ripeté. “Non ho nulla da fare, oggi
ho la giornata libera.”
Le stava facendo un favore..Ora doveva
soltanto decidere come trascorrere la restante metà pomeriggio.
Naruto le sorrise ancora, dicendole
“Perfetto.” e cominciò a tirarla verso
il terrazzo da cui si erano allontanati, prendendola per mano.
Cinque minuti dopo Hinata era stata
comodamente fatta sedere su uno sgabello di legno chiaro posizionato di fronte
alla tela.
Naruto dietro di essa, pennello nella
mano destra e tavolozza nell’altra era già all’opera. Sapeva di dover rimanere
immobile, così si limitò a muovere gli occhi, osservando interessata i quadri
del ragazzo posizionati al suo fianco, l’uno accanto all’altro: verdi praterie;
campi di grano al sole, chiazzati di rosso e d’azzurro dai papaveri e dai
pallidi fiordalisi; monti bianchi che si stagliavano nel cielo, coronati dal
vapore lieve delle nuvole; un bosco, percorso da raggi improvvisi di luci tra
il verde degli alberi e dei cespugli, quando la brezza leggera ne muoveva
adagio le foglie e i rami.
E ancora, bimbi dai capelli color dell’ebano e dagli
occhioni neri, una coppia di signori anziani teneramente abbracciati su una
panchina ad osservare il tramonto e un volto incompleto di donna. Aveva un
dolce e gaio sorriso sulle morbide labbra a cuore, un viso ovale dalle fattezze
fini e aggraziate e capelli rosso fuoco a incorniciarglielo con boccoli e ricci
sul collo d’avorio. La carnagione rosea e bianca era stata realizzata con
pennellate leggere e soffici che erano riuscite perfettamente a creare la
levigatezza della pelle liscia e vellutata. Eppure nella perfezione di quel
volto mancava qualcosa, poco sopra il naso costellato di impercettibili efelidi.
Quell’angelo era stato privato degli occhi.
E Hinata capì senza che glielo dicesse
che quella donna era sua madre.
Abbandonò la vista di quel volto mite e
studiò il ragazzo di fronte a lei.
Spalle larghe, fisico asciutto e
imponente, pelle leggermente abbronzata, aveva un qualcosa di saldo e di
imponente, di caloroso, come il sole. Forse quell’impressione era provocata dai
capelli dorati, una zazzera disordinata ed arruffata, o dagli occhi. L’azzurro
lieve del cielo, del mare, così vasto e profondo e dei laghi. L’azzurro, oltre
che rosei, dei sogni di ognuno.
L’azzurro del fiordaliso sbocciato tra il grano
e dei timidi e graziosi nontiscordardimé. Tenue, delicato, quel colore riposava
lo sguardo ed era come una dolce carezza su un volto affaticato. E quel perenne
sorriso..Hinata rimase ferma a studiare quel sorriso, ad abbeverarsene come un
assetato che ha attraversato il deserto, a cercare di carpirne il segreto. Quel
riso appena accennato sulle labbra piegate verso l’alto, che traeva fonte da un
ottimismo senza limiti, da un’allegria a da una spensieratezza senza freni, le
scaldò il cuore e in un riflesso incondizionato anche le sue labbra si
stirarono in un sorriso dapprima stentato e poi sincero e leggero come un
petalo di fiore.
“Come ti chiami?”
La sua voce le giunse bassa e carezzevole
come il vento.
Il suo nome?Cercò di ignorare l’ansia che
la divorava. “Hinata…” un sussurro, ma lui lo sentì benissimo.
“Naruto.” rispose lui alla tacita domanda
della ragazza
“Non è un nome usuale qui in Francia.” mormorò
lei sempre distante.
“Come il tuo.” replicò allora lui, sempre
sorridendo.
“Mio padre era ambasciatore in Giappone e
mia madre francese di nascita, innamoratasi a prima vista dei kimono, degli
origami e del ramen, trovò esotico chiamarmi in questo modo. Lei stessa cambiò
il suo nome in uno più orientale.” spiegò.
“Sono…?”
“Morti?Si..Un incidente aereo..tanti anni
fa.”
“Mi dispiace…”
Un sorriso più grande da parte dell’uomo,
come per ringraziarla.
Ringraziarla di cosa poi?Lei..non aveva
fatto nulla. Non faceva nulla da anni ormai, facendosi trasportare dalle
correnti, incapace di prendere decisioni, fare semplici scelte come i vestiti
da indossare.
Incapace di vivere.
“E infine vorrei immortalare il volto di
mia madre,
così difficile da ritrarre in tutta la
sua purezza.
Saprei usare tutta la meravigliosa
tecnica del colore
per trasportare sulla tela la sua stessa
anima.
Allora, serenamente, deporrei il pennello
e porrei fine alla mia opera di artista,
così degnamente compiuta
per eternare più il modello che
l’artista.”
Il parco si era svuotato quel minimo che
bastasse a renderlo meno affollato e a far tirare un sospiro di sollievo ad
Hinata, sempre terrorizzata dall’idea di essere riconosciuta. In quel momento,
quando erano passate da poco le tre e lei stava già posando da un paio d’ore,
il fato decise che quella partita si stava prolungando troppo e mise in campo
la sua regina.
La prima goccia la colpì sulla guancia. Cristallina
e limpida come una lacrima, quella stilla d’argento le scese lungo la gota di
pesca fino al mento. Pochi secondi e cominciò a piovere, un breve acquazzone
primaverile.
Hinata aprì l’ampio ombrello nero
mantenendo il manico ricurvo con tutte e due le mani, pronta ad andarsene,
mentre il lento scrosciare della pioggia provocava un fuggifuggi generale e le
persone cercavano frettolosamente rifugio sotto le fronde spaziose dei maestosi
alberi, sperando fosse di breve durata.
Ma non se ne andò. Rimase lì, ferma sotto
il lento scrosciare dell’acqua ad osservarla scendere dal cielo e ricadere
adagio come una coperta invisibile sul terreno; i goccioloni cadere dalle
nuvole nere e dense, invadere ogni cosa, scendere lungo i tronchi a rivoli, la
terra assorbire quanta più acqua potesse e serbarla come un tesoro. Dal suolo
cominciò a salire il caratteristico odore della pioggia, il profumo intenso
dell’humus bagnato e le foglie, prima velate dalla polvere, scintillarono più
di prima. Strinse con maggiore forza il manico, aumentando la presa e si alzò
il bavero del cappotto, chiudendolo con un grosso bottone sulla gola.
Rimase lì semplicemente. Un’ombra scura nel
grigiore circostante, sovrastata da un cielo plumbeo e un’atmosfera
improvvisamente cupa e uggiosa.
Naruto intanto correva affannato intorno
ai suoi quadri, coprendo le tele e avvolgendole nelle loro protezioni. Uno dopo
l’altro i dipinti furono posati in un grosso borsone blu impermeabile. Si voltò
per posare l’ultimo, quello incompleto con la madre e trovò una piacevole
sorpresa. Era asciutto, in alcun modo rovinato dalla pioggia. Hinata con il suo
grosso ombrello si era premunita di coprirlo e di fare in modo che l’acqua non
lo danneggiasse, facendo sciogliere i colori o mischiandoli.
Senza guardarlo, aspettò che lui posasse
il ritratto insieme agli altri, ma anche quando ebbe svolto quell’ultima
operazione e sistemato cavalletto e colori, rimase a coprirlo dalla pioggia.
A quel punto fu impossibile per entrambi
fare finta di niente e Hinata, riscoprendo una gentilezza e degli istinti che
aveva schiacciato in quegli anni, ritrovando la sua vera indole, si affrettò a
domandargli imbarazzata, “Posso offrirti un passaggio?”.
E Naruto, con quel sorriso che lei aveva
già compreso gli fosse proprio, si chiuse il cappotto di lana appena indossato,
mise il borsone a tracolla e provocando piacevoli vampate ad Hinata, mise una
mano sulla sua intorno al manico.
Fu naturale e conseguente per la donna
infilare il suo braccio sotto a quello dell’uomo e farsi portare da lui,
ovunque stessero andando, in una riscoperta dimostrazione di fiducia e
affidamento, facendosi largo tra le opprimenti strade asfaltate e le continue
minacce di bagni imprevisti offerte dalle pozzanghere, superate con agilità da
entrambi.
“Posso offrirti il pranzo?”
La casa che i suoi genitori gli avevano
lasciato in eredità era stata una delle prime ad essere costruita nel
dopoguerra. Circondata da prati e campi, era una struttura ormai cadente e in
sfacelo, eppure lui vi era molto affezionato e questo sia perché costituiva
l’unica cosa che lo legasse ai genitori prematuramente scomparsi sia perché tra
quelle mura e quei mattoni rotti, gli sembrava quasi di sentire il profumo
della madre, verbena..
Anche quell’isolamento dal resto della
città caotica era stato di breve durata però; i campi erano spariti per far
posto a palazzi di quattro o cinque piani, moderni e brillanti di vernici e di
vetri. Le strade, un tempo appena tracciate, erano state asfaltate ed
illuminate. Ora arrivava lì perfino l’autobus. All’angolo della strada però,
nonostante tutti i cambiamenti, rimaneva intatto ed uguale a se stesso un
edificio, caro ai vecchi che lì si riunivano per discutere di politica, al
tavolino e davanti a un bicchiere di vino rosso. Anche i giovani non
disdegnavano la vecchia osteria all’angolo della strada. Era lì come sempre quella
cara, sonnolenta, campagnola, osteria; il cuore del quartiere ormai in pezzi.
Era una vecchia costruzione grigia, anonima e un po’ anacronistica in mezzo a
tutte quelle case nuove e un giorno o l’altro sarebbe stata sopraffatta
dall’ansia del nuovo che dominava ormai il mondo.
Chissà probabilmente di lì a qualche mese
sarebbe sorto un grande e luccicante bar..
Per fortuna quel giorno era ancora
lontano..
Anche perché altrimenti lui dove sarebbe
andato a mangiare il suo adorato ramen?
Sballottata di qua e di là, Hinata era
stata costretta ad attraversare mezza città, cosa non da poco soprattutto se si
consideravano due fattori: primo il suo non essere abituata a fare certe
scarpinate, secondo, ben più importante se si considerava il primo, l’avere i
piedi rinchiusi in stivaletti di pelle strettissimi, vere e proprie gabbie
infernali.
Guardandosi intorno mentre riprendeva
fiato, Hinata si accorse di un altro problema, peggiore dei precedenti. Dove
accidenti l’aveva portata Naruto?
Ma soprattutto perché l’aveva seguito senza
fiatare?Misteri della vita.
Ah..l’amour…gioca strani scherzi,
nevvero?
“Stiamo andando al mio ristorante
preferito.” chiarì.
Oh..adesso si che tutto si
spiegava…stavano andando al suo ristorante preferito..
Hinata ci pensò e ci ripensò su, ma per
quanto si sforzasse, non riuscì a capire. Era assolutamente necessario portarla
fin lì per mangiare qualcosa?E poi..
La voce di Naruto la riscosse dai suoi
pensieri, “Arrivati!” disse e le mostrò con uno sguardo d’orgoglio, per lei
davvero incomprensibile, uno stabile diroccato con un’insegna sbilenca che
pendeva su un lato e si manteneva per puro miracolo.
“Ehm…”
Il sorrise del ragazzo si fece ancor più
sicuro. “La prima impressione è sempre questa, ma poi non vorresti più uscire,
te lo assicuro.”
Oh non ne dubitava..
Il suo sguardo doveva dirla lunga su
quello che le stava passando per la testa, perché la felicità dell’uomo si
appannò di poco, facendo offuscare anche gli occhi. La scrutò pensieroso e le
girò intorno, facendola arrossire. Stava cominciando ad abituarsi a quegli
odiosi sbalzi di temperatura..
“Forse sarebbe meglio se togliessi tutti
i gioielli. Sai..per precauzione..” le rivolse un sorriso di scuse, ma lei già
pensava al peggio, un peggio che prevedeva la sua fine in una scatola di latta,
fatta in tanti pezzettini.
E se fosse stato un assassino?Lanciò
un’occhiata in tralice all’uomo e si disse che tutto poteva essere. Chissà
magari dietro quell’aspetto angelico si nascondeva davvero un pazzo
pluriomicida..
Con mano malferma si tolse il pesante
orologio di swarovsky buttandolo nella borsa senza il minimo riguardo. Stessa
fine fecero un bracciale in metallo e pasta di vetro madreperla, orecchini con
perle e stelle di diamanti e una collana di perle e argento.
Naruto osservò quei gioielli senza una
parola, soltanto le rivolse uno strano sguardo mentre buttando la sicurezza
alle ortiche anche gli occhiali da sole finivano sul fondo della borsa.
Hinata invece che arrossire di nuovo, cosa
che stava cominciando a urtarle i nervi, trovò molto più interessante la punta
curva dei suoi stivaletti.
Naruto sembrò capire il suo imbarazzo e
smise di squadrarla. Ed entrarono.
C’era un buon profumo fu la prima cosa
che pensò entrando.
La seconda, meno razionale, fu che erano
circondati.
L’ambiente, in aperto contrasto con
l’esterno, era confortevole e familiare, caldo e accogliente. Un po’ meno le
facce che la attorniarono. Una decina di persone, dai diciassette ai cinquanta
anni, le stavano intorno, osservandola con quell’espressione che ormai lei era
abituata a riconoscere a miglia di distanza. Ohi ohi…
“Ma questa non è..?”
“Ma no!Che dici scemo!”
“Ma è una bambola gonfiabile?”
“Si certo..”
“Una bambola avrebbe di sicuro più curve
di lei.”
“State zitti idioti!Non vedete che la
spaventate?”
Naruto le passò un braccio intorno alle
spalle protettivo in una presa delicata e rassicurante. A quel gesto seguì un
silenzio surreale e poi le urla ripresero più forti di prima. Sembravano
facessero a gara a chi gridasse più forte.
“Ha portata la sua ragazza!”
“Naruto ha la ragazza, Naruto ha la
ragazza, Naruto ha la ragazza..”
“Ma non è che è malata?Sembra un po’
pallida..”
“Lo è di sicuro per stare con un’idiota
del genere.”
“Naruto ha la ragazza, Naruto ha la
ragazza, Naruto ha la ragazza..”
“Silenzio mocciosi!”
Hinata, frastornata, guardò riconoscente
la donna che aveva posto fine a quel trambusto.
Lunghi capelli biondi legati in due
codini, pelle dorata e profondi occhi nocciola, simili a topazi e con un che di
felino, un’affascinante donna si fece largo nella baraonda, assicurandosi mentre
passava di dare gomitate e pugni a chiunque avesse la malaugurata sfortuna di
sfiorarla.
Indossava un’ampia e scollata camicia di
seta verde, pantaloni neri e sandali dal tacco alto aperti sul davanti. Le
unghie lunghe e quadrate smaltate di un intenso bordeaux.
Alta e dalle forme prosperose, quella
misteriosa donna la scrutò a lungo e poi alzò la mano. Hinata chiuse
istintivamente gli occhi, ma il tocco che le sfiorò il viso fu una fugace
carezza, breve ed impalpabile quanto un battito d’ali, quella che avrebbe
capito solo più tardi essere la sua benedizione.
“E’ un piacere per me conoscere la santa
che sopporta il mio figlioccio. Il mio nome è Tsunade.”
Tsunade..Ricordava di aver già sentito
quel nome, ma dove?
Purtroppo non ebbe il tempo di
ricordarlo, perché si ritrovò spinta verso il bancone immacolato in fondo alla
stanza, su uno sgabello uguale a quello su cui Naruto l’aveva fatta sedere al
parco, di nuovo assediata da tutti. Eppure, stranamente, non provò alcun moto
di fastidio verso tutte quelle persone..
Chissà, forse la sua agorafobia aveva
deciso di darle tregua. Sapeva benissimo Hinata che quella serenità dipendeva
dal semplice fatto di non essere stata riconosciuta. E anche se veniva guardata
come un alieno, cosa gliene importava?Ciò che davvero contava era per una volta
non essere costretta a nascondersi. Non c’era nessuna Hinata Hyuga lì, solo
Hinata.
Pochi secondi e di fronte a sé comparve una ciotola scura con qualcosa di
molliccio al suo interno.
Ehm..Cosa si aspettavano facesse?Che
mangiasse quella roba?
Osservò i volti intorno a lei e capì che
sì, era quello che avrebbe dovuto fare. Accanto a lei Naruto aveva già il volto
immerso nella ciotola e stava divorando rumorosamente qualunque cosa ci fosse
al suo interno.
E bravo..la lasciava nella fossa dei
leoni a combattere da sola quindi?
Prese il cucchiaio appena offertole da
una ragazza con una chioma crespa e fulva come la criniera di un leone e si
arrischiò a domandare cosa fosse quella roba, anche se in termini più educati e
moderati.
Lo sguardo stralunato dei ragazzi la fece
arrossire sino alla punta dei capelli e Naruto, sentendo il silenzio intorno a
loro farsi improvvisamente pesante, si decise a riemergere dal piatto.
“Oh, si anche se è giapponese..”
“Per metà.” lo corresse bisbigliando lei.
“D’accordo.” bisbigliò lui di rimando.
“Anche se è giapponese per metà, Hinata
non ha mai mangiato ramen in vita sua.”
L’urlo apocalittico di un ragazzo alle
sue spalle la rese sorda in un orecchio.
“Non ha mai mangiato ramen?!?!?!”
Capelli scuri e arruffati come quelli di
Naruto, sguardo sfrontato e sicuro, Konohamaru, come comprese dal sussurro
depresso della ragazza di poco prima, le lanciò un’occhiata allucinata come
chiedendole in che mondo vivesse e lei arrossì ancor più furiosamente, punta
sul vivo.
Ok, non aveva mai mangiato ramen ma per ottimi
motivi.
In primis era una ballerina e in quanto
tale era costretta a seguire una dieta rigidissima, ferrea ed equilibrata,
senza potersi permettere di sgarrare neanche una volta. Anche ingrassare di un
etto o qualche centimetro in più su pancia e fianchi, potevano costare lo scarto
da una selezione o spettacolo. In secondo luogo si trovavano a Parigi, patria
delle crepe, dei flute di champagne e del caviale, perché avrebbe dovuto
mangiare brodi dall’aspetto pericoloso o pesce crudo?
Dopo aver messo a tacere il gruppetto, Naruto
si voltò verso di lei, sorridendo con quel suo fare così confortante.
“Mangia.” ordinò perentorio con un ghigno
quasi sadico.
Stava scherzando, vero?
Non riusciva neanche a immaginare quante
calorie contenesse quel coso.
Lo vide roteare leggermente gli occhi e
guardarla divertito.
“Una ciotola sola non è la fine del
mondo. La vera tragedia sarebbe non assaggiarlo. Lo so che stai morendo di
fame..”
Come a confermare le sue parole, il suo
stomaco fece comprendere quanto fosse poco restio ad ingurgitare qualcosa di
solido, di qualsivoglia forma e colore.
Eppure Hinata non era ancora disposta a
cedere e continuava ad osservare poco convinta la pietanza.
Naruto allora alzò le mani in segno di
resa. “Ti farò smaltire tutto dopo…”
A quelle parole dalla parte dei ragazzi
si alzò un coro di fischi ed urli tali che costrinse Tsunade stessa ad
intervenire nuovamente per metterli a tacere.
Senza essersi accorto di nulla, Naruto
proseguì imperterrito “Immagino tu non sia mai stata a Notre-Dame, mi sbaglio?”
Hinata si limitò a negare col capo, continuando
a fissare sconsolata e leggermente contrita il ramen. Fulminò un raviolo,
verdura, tagliatella, pezzo di carne o qualunque cosa fosse, riaffiorato
improvvisamente, ma non servì a nulla perché quello rimase lì dov’era ad osservarla
borioso e arrogante.
Si trattava di un solo boccone in fondo,
norme basilari di buona educazione, poi si sarebbe scusata adducendo come causa
questioni di salute o cose del genere. Si, poteva funzionare. Si fece forza e
coraggio ed impugnò con maggior decisione il cucchiaio.
Assaggiò e senza darsi la pena di
masticare mandò giù il boccone e...
Era davvero buono! Altro che le poltiglie
incolori e insapori ipocaloriche che era solita mangiare. Tofu..Bleah..Mai più,
mai più, promise al suo stomaco che gorgogliava felice.
Mentre la bella ballerina riscopriva le
gioie del cibo e dei suoi surrogati, riallacciando i rapporti con vecchi amici
di lunga data, noti con i simpatici nomi scientifici di proteine, carboidrati,
glicidi e lipidi, Naruto non ancora sazio alla sua terza ciotola, cominciò a
rispondere stentatamente alla raffica di domande che lo investì.
E pensare che tutti erano a conoscenza di
quanto il momento del pasto fosse sacro per lui.
A incorrere nei rischi e pericoli che ne
conseguivano tuttavia, era l’unica persona che posse permettersi di dire o fare
qualsiasi cosa con il ragazzo.
Protesa verso di lui, con le grazie messe
bene in vista, provocante e seducente senza nemmeno che se accorgesse, Tsunade
diede inizio all’interrogatorio giornaliero.
“Quanti ritratti hai fatto prima che
cominciasse a diluviare?”
Naruto continuò tranquillamente ad
ingozzarsi, alzando in direzione della donna il dito indice e metà del medio.
Uno e mezzo.
Le labbra piene della donna si strinsero
in una smorfia.
Messa da parte la ciotola perfettamente
ripulita, il ragazzo alzò lo sguardo.
“Quello del mezzo ti ha pagato almeno?”
Sentita tirata in mezzo, Hinata alzò la
testa e aspettò che Naruto rispondesse.
Cosa che non fece comunque. La indicò
semplicemente e le sopracciglia sottili della donna si arcuarono leggermente
come le ali di un gabbiano. Esaminò con maggior attenzione e interesse il volto
diafano della ragazza e un lampo di comprensione le baluginò nello sguardo.
Quegli occhi con i bordi lievemente a
mandorla e dal colore così chiaro ed intenso.
Si voltò nuovamente verso di lui, adocchiando
i piatti vuoti.
“Finito?”
“Era tutto squisito Tsunade, come al
solito.”
Lei lo guardò ed emise uno sbuffo
sprezzante.
“Immagino sia superfluo chiederti di
pagare il conto.”
“Immagini bene.”
“Te la abbono soltanto perché non sei
solo..Questa volta offre la casa.”
“Grazie.”
Un tsk poco gentile o un grugnito
beffardo, a seconda dell’udito, fu l’unica risposta che riuscì ad ottenere. Naruto
si alzò dal comodo sgabello, buttandosi su una spalla il cappotto. Posò una mano
sulla spalla di Hinata che già in piedi di fianco a lui, litigava con i bottoni
cercando di chiuderli e insieme si avviarono verso la massiccia porta di mogano
del locale, inseguiti dagli occhi di tutti i presenti.
Prima di aprirla, si voltò verso la donna
e con un sorriso le chiese “Tienimi buono Kakashi per qualche giorno per
piacere. Dovrei riuscire ad avere i soldi per il 20 o giù di lì e non ho alcuna
intenzione di dormire da Sai..Casa sua sembra la tana del lupo.”
Un d’accordo stentato, un coro di risate
e un ciao piccioncini caloroso e Hinata e Naruto uscirono rifocillati e
ritemprati, pronti ad immergersi nuovamente
nella caotica e vivace metropoli cittadina.
“Sai chi era quella, Tsunade?”
Konohamaru si voltò, un’espressione
basita sul volto. La donna che stava beatamente fumando una sigaretta, lo fissò
con sguardo derisorio.
“Hinata Hyuga, prima ballerina all’Opèra.”
“Davvero?” domandò chi non l’aveva
riconosciuta appena entrata.
“In effetti aveva un aspetto costoso…” sussurrò
una ragazza mora in fondo.
“Hai visto la borsa e gli stivaletti di
pelle?Tutto firmato te lo dico io.” rispose un’altra.
“Se non l’avessi vista mangiare con i
miei occhi, avrei detto che fosse anoressica.”
“Con quel maglione di lana poi sembrava
ancora più magra. Si vedevano le ossa delle spalle.”
“Io credo sia esile di corporatura e poi
fa ginnastica. Ginnastica sai, è quella cosa che si fa per mantenersi in forma
e non diventare piccole balenottere come te.”
Un ringhio sordo e cominciò una piccola
baruffa tra Konohamaru e Moegi.
“Basta voi due!” La voce autoritaria e
scocciata di Tsunade troncò sul nascere quella che presto si sarebbe
trasformata, degenerando, in una disputa generale tra ragazzi e ragazze.
“Si può sapere perché non hai fatto in
modo che si presentasse?Io volevo l’autografo!”
“Idiota!” gli ringhiò contro lei “Non hai
visto che a malapena riusciva a parlare con voi imbecilli?Mocciosi senza
cervello..”sibilò in loro direzione “Sareste capaci di tutto per far soldi
eh?Anche a spese di una ragazza qualunque..” e spense con uno scatto rabbioso
la sigaretta appena finita sul bancone di legno.
A quelle secche accuse Konohamaru non
incassò la testa tra le spalle come gli altri, ma la alzò orgogliosamente.
“Ragazza qualunque?” ribatté “Quella è
piena di soldi!Non sa neanche cosa siano i problemi!Vive in un attico supermoderno,
circondata di domestici!”
“Stupido idiota, credi che i soldi siano
felicità?”
“No, ma..”
“L’hai guardata in faccia?Ti sembrava
felice, spensierata, senza problemi?”lo scimmiottò, crudelmente ironica e
sarcastica.
“Il mondo dello spettacolo è spietato e
brutale. Probabilmente l’ora trascorsa qui in mezzo a noi, in questa catapecchia,
è stata la più bella della settimana..Come chiameresti una persona che pur di fuggire
dalla sua vita è pronta a trascorrere la sua giornata con un perfetto
sconosciuto?”
“..Naruto sa chi è?” disse infine il
ragazzo, volgendo gli occhi alla porta.
“Certo che lo sa, ma non è allocco come
voialtri. A lui non sono mai interessate queste sciocchezze. L’averla portata
qui significa solo una cosa.”
Moegi, sempre la prima a capire i
discorsi della donna sgranò gli occhi. “Gli piace?” chiese contenta.
“Cosa!?A Naruto piace quello stecchino?Ma
se non sapeva neanche cosa fosse il ramen!”
La ragazzina gonfiò le guance
indispettita, mentre i capelli le volavano intorno come dotati di vita propria.
“Sei un caprone quando vuoi!Che ti importa del cibo?Ciò che conta è che lo
faccia felice. Sono così belli insieme..”concluse sognante
“Sarà..Speriamo soltanto che questa
storia finisca bene..”
“Ho un buon presentimento al riguardo.”
Alle parole di Tsunade, tutti nella sala
tirarono unanimemente un sospiro di sollievo. Si fidavano ciecamente del giudizio
della donna. Sembrava quasi avere un sesto senso per quelle cose.
Si, sarebbe andata bene e quei due forse
si sarebbero aiutati a vicenda..
E’
pura sorpresa."
Godfried
Danneels
Anche le foglie sembravano d’argento
nella luce del sole.
L’uno di fianco all’altra, Naruto e
Hinata erano tranquillamente seduti sugli scomodi sedili della metropolitana.
Prossima meta
Hinata era impaziente di visitarla, di
vedere con i suoi occhi lo sfondo della famose vicende di Quasimodo e della
bella Esmeralda.. Dopotutto lei stessa l’aveva interpretata.
Indossati nuovamente gli occhiali, basco
ben premuto sulla testa, si era legata i capelli in un contorto chignon
mantenendolo con uno dei pennelli di Naruto.
Naruto.. Strinse forte la mani a pugno
contro la stoffa dei pantaloni, osservandolo con la coda dell’occhio. Aveva un
profilo regale, si disse e uno spirito energico e agguerrito come quelli dei cavalieri e degli eroi delle antiche
leggende.
Ed era bello. Non un’illusoria bellezza, mera
apparenza o avvenenza fisica, ma un fascino che oltrepassava l’esteriorità, un
incanto che proveniva dal cuore, dal suo animo leale e puro, sincero e onesto.
Era così diverso dagli uomini che conosceva..Così straordinario nella sua
semplice normalità.
Sarebbe potuto passare senza problemi per
il principe azzurro delle fiabe della Disney con quei capelli del colore del
grano maturo, gli occhi celesti e la scintillante armatura.
Spostò lo sguardo verso il finestrino,
temendo di essere colta in fallo.
Lo conosceva da appena qualche ora e già
si sentiva profondamente legata a quell’uomo.
Cosa sapeva di lui?Il nome e che gli
piaceva mangiare il ramen. Davvero poco, eppure tanto di più se paragonato a
quanto conoscesse di persone che lavoravano con lei da una vita.
Ma.. essere a conoscenza di quelle cose
cosa comportava?Non erano più semplici estranei, persone incontratesi per caso
e mai riviste. Forse erano conoscenti, amici?
Aveva visto casa sua, il luogo dove era
cresciuto, osservato la sua famiglia. Non erano uniti da legami di sangue
eppure potevano definirsi in altro modo se non in quello?Nella locanda c’era
calore, affetto, una tenerezza e un attaccamento l’uno all’altro che lei non
aveva mai conosciuto.
Sapeva quanto era fortunato Naruto?
Ora ricordava, riusciva a rievocare il
motivo che l’aveva spinta ad abbandonare il Giappone appena diciottenne.
Ufficialmente, per ottenere il consenso e i permessi della famiglia, era stata
la maggiore possibilità di affermarsi, di diventare più facilmente qualcuno in
quel mondo di sete e chiffon, di vestiti firmati e fiori contraffatti a
spingerla fino in Francia, ma la realtà solo lei la conosceva.
Era stata pura e semplice necessità,
l’esigenza di essere libera, il bisogno di dover dare conto delle sue azioni
solo a se stessa, il desiderio di vivere e di conoscere quei sentimenti di
tenerezza e calore che erano mancati nella sua vita nella capitale nipponica,
così profondamente ancorata al culto delle tradizioni di famiglia e per nulla
interessata ai suoi desideri. Amicizia, amore, poco importava, lei era venuta
lì per quello.
Per amare ed essere riamata e per offrire
questi suoi sentimenti in un reciproco dono.
Voleva piangere e ridere insieme al
pubblico, ballare fino a sentire i piedi diventare insensibili al dolore,
dimenticare se stessa, perdersi nelle espressioni della gente e riconoscersi
negli occhi trasparenti e lucidi come specchi di ognuno, saltare da una mente
all’altra con le ali alle gambe, volare fino a innalzarsi oltre il cielo,
toccare la luna e poi lanciarsi verso la terra.
La fama..Come aveva potuto ridurre le sue
aspirazioni a quelle mire così misere, quelle brame e cupidigie così estranee
al suo essere?A ventiquattro anni aveva raggiunto traguardi mai desiderati,
obiettivi mai ricercati.
Quel giornalista aveva ragione..Dov’era
finita la ragazza di sei anni fa?Come aveva potuto guastare i fini puri e
disinteressati di quella adorabile ninfa?
Gli eventi l’avevano indurita così
tanto?Aveva rinunciato al suo cuore e a se stessa così facilmente?Come aveva
potuto essere così autodistruttiva?
Il labbro inferiore tremò leggermente e
lei si affrettò a portare la mano alla bocca per nascondere quel debole
tremolio.
“Sai…” bastava così poco a
tranquillizzarla?Solo la sua calda presenza vicino a sé e la sua voce garbata?
“Tsunade tanti anni fa era una grande
cantante dell’Opèra..Non starò a qui a spiegarti nei particolari gli eventi, ma
al culmine della sua carriera è cominciato contemporaneamente il suo lento
declino.
Quel mondo non faceva per lei
semplicemente; veniva messa continuamente sotto pressione e Tsunade così
decisa, forte e anticonformista era vista con occhio ancora più severo. In
seguito alla morte del fratello minore e del fidanzato, nello stesso incidente
dei miei genitori, ha cominciato a cercare di dimenticare e soffocare il dolore
nell’alcool e nel fumo. Le conseguenze puoi immaginarle..E’ stata estromessa
dal Teatro e le sigarette le hanno rovinato i polmoni. Ora si diverte
limitandosi a strillare contro di noi, ma a me ha raccontato che anche avesse
la possibilità di tornare indietro, rifarebbe esattamente le stesse cose e che
la felicità l’ha raggiunta occupandosi di noi. Dice che siamo la migliore marca
di sigarette in circolazione..” rise e Hinata, gli occhi lucidi, sentì la scia
delle lacrime sul volto e il sapore salato sulle labbra.
“La fama non è tutto…” sobbalzò
leggermente e Naruto le strinse la mano, una presa delicata e al tempo stesso
forte.
La
fama non è tutto..
Un vento improvviso scosse le piante ai
lati della piazza, sollevando piccoli granelli di polvere in vorticosi
mulinelli. All’orizzonte, proprio nel punto in cui il sole stava per scomparire
nel suo letto rosso, tra il rosa e l’oro, era visibile una piccola nube color
del piombo che si muoveva rapida, come spinta da un vento turbinoso.
Quell’ombra era Hinata. A piedi scalzi, i
lunghi capelli sciolti intorno a sé, ballava con tutta l’anima e la passione
che aveva, senza pensare e seguendo note lontane, completamente illuminata dai
riverberi e dai bagliori dell’arcobaleno.
La compagnia di zingari dall’angolo della
piazza si avvicinò e la melodiosa musica di un violino si fece strada nel cuore
dei presenti.
Latte e miele la sua pelle, come una
ninfa dei boschi qual era, Hinata giocò il suo incantesimo quando al silenzioso
e muto richiamo di Naruto risposero voltandosi ed incontrandolo due occhi
grigi, brillanti e lucenti come gemme, raggianti e gioiosi di quel luccichio
ritrovato dopo troppo tempo che era mancato.
In quel preciso istante il pittore
fallito seppe di aver trovato quello che cercava da anni e il suo cuore
ricominciò a battere, mentre un sorriso autentico gli aleggiava sul volto.
Scacco matto per il destino.
E in quel momento Hinata capì quello che
aveva sempre saputo, ma cercato di dimenticare.
C’era qualcosa di più importante della
fama. Per esempio un paio di occhi azzurri e il sorriso di una bambina.
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