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Autore: Emmastory    20/11/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod
 
 
Capitolo XXVII

Pillole di gelosia

Il mattino era arrivato, ma il sole faceva fatica a mostrarsi agli abitanti della foresta, apparendo ai miei occhi troppo pigro per ricomporsi dopo il suo letargo dietro ai monti. Sveglia da poco, oziavo fra le coperte, e restando ferma a guardare il soffitto della mia stanza, meditavo. Ad essere sincera, non avevo alcuna voglia di alzarmi, e inibendo uno sbadiglio, nascosi il viso nel cuscino. La luce solare non era poi così forte, ma ancora scossa dai miei trascorsi, credevo che restare da sola sarebbe stata la cura per il mio malessere. L’aiuto di mia madre era stato a dir poco insperato, e pensandoci, lasciavo scorrere il tempo. Il silenzio era la mia unica compagnia, o almeno lo fu fino a quando un singolo suono lo ruppe come vetro. Acuto e lamentoso, al mio udito vagamente simile ad un pianto, e poco dopo, un ticchettio già sentito. Seccata, incolpai l’orologio appeso al muro della cucina, trovandomi poi costretta a ricredermi. Quello che sentivo era un miagolio, e Willow era l’unica colpevole. Viveva in casa con me da ormai qualche tempo, e ora che sembrava essersi ristabilita completamente dall’eccessiva magrezza di cui aveva sofferto, non aveva desiderio dissimile dallo starmi accanto, colmando la quiete delle mie giornate con le sue dolci fusa. Basse e quasi intermittenti, mi scaldavano il grembo e le mani quando la tenevo in braccio accarezzandola, e pur essendo ancora sdraiata a letto, potevo giurare di riuscire a sentirle chiaramente. Continuava ad insistere e miagolare, e stanca, io la ignoravo. Le volevo bene, ed era vero, ma nonostante tutto non aveva voglia di far nulla. I ricordi della notte scorsa non facevano che tornarmi in mente, torturandomi le membra senza che potessi fare nulla per fermarli. Non le parole e l’incoraggiamento di mia madre, ma bensì la lite con Christopher. Erano passati soltanto due giorni, e pur investendo ogni grammo delle mie energie nel farlo, non riuscivo a smettere di pensarci. Dopo il nostro più recente screzio, ci eravamo separati, e rimasta sola, mi sentivo malissimo. La signora Vaughn era stata chiara nel dire che era la sua vicinanza a ferirmi, ma se era davvero così, perché ora soffrivo tanto? Questa era la domanda che aleggiava nel mio animo senza alcuna posa, e per la quale sapevo bene di aver già trovato una risposta. Il mio dolore derivava dallo sconfinato amore che provavo per lui, e dopo essermi abbandonata all’ennesimo e cupo sospiro, finalmente mi decisi ad alzarmi. Stropicciandomi quindi gli occhi assonnati e cisposi, liberai uno sbadiglio, e appena un attimo dopo, non vidi che la mia immagine riflessa nello specchio. Osservandomi, non vidi nulla di diverso. La stessa altezza, gli stessi occhi azzurri, gli stessi capelli castani come le foglie in autunno. In altri termini, sempre io. Sempre Kaleia. Nel tentativo di conservare il buonumore, sorrisi. “È un nuovo giorno.” Pensai, fiduciosa. In quel momento, un brivido mi percorse la schiena, e il sangue mi si gelò nelle vene. Era primavera, ma faceva più freddo di quanto pensassi. Non dandovi peso, uscii dalla mia stanza, sentendo ancora una volta i miagolii di Willow. Felici di vedermi, mi era corsa incontro, e abbassandomi, l’avevo presa in braccio, stringendomela al petto. “Buongiorno anche a te, micia.” Dissi, accarezzandole piano la testa e lasciando che mi leccasse la mano. Un comportamento decisamente più indicato per un cane, ma che sorridendo debolmente, le concessi senza una parola. “Sì, ti voglio bene anch’io.” Le sussurrai, stringendola ancora con dolcezza e amore. Per tutta risposta, la gatta mi posò una zampa sulla guancia, avendo cura di non usare gli artigli. Lasciandola fare, mi lasciai sfuggire una risata, e raggiungendo il salotto, incrociai lo sguardo di mia madre. “E così Willow ha svegliato anche te, vedo. Lascia che esca, non chiede altro.” Mi disse, sollevando la propria tazza da caffè e bevendone un sorso. Confusa, la guardai senza capire, e rimettendo la gatta a terra, scoprii che mia madre aveva ragione. Difatti, e quasi  a voler avvalorare la sua stessa tesi, si avvicinò subito alla porta di casa, sfiorandola con le zampe anteriori e dando per la terza volta voce ad un miagolio straziante. Incredula, mi scambiai con mia madre una singola occhiata d’intesa, e senza dire nulla, lei si limitò ad annuire con sicurezza. La conoscevo, e sapevo bene che quel gesto poteva significare una sola cosa. Potevo lasciarla andare, senza problemi o condizioni. Annuendo, aprii quella porta, e restando ferma sulla soglia, guardai la mia cara amica a quattro zampe muoversi lentamente fino all’erba, per poi fermarsi e sdraiarsi a riposare, rotolandosi occasionalmente fino a giacere nel verde a zampe all’aria. A quella sola vista, sorrisi ancora, meravigliata dal luccichio che il sole conferiva ai suoi occhi. Diversi l’uno dall’altro, erano uno azzurro e l’altro marrone, e per qualche strana ragione, mi spingevano sempre a pensare. Proprio come me, diversa da qualunque altra fata, anche lei lo era da qualsiasi altro gatto, e nonostante dirlo potesse sembrare sciocco o addirittura folle, la invidiavo. Nonostante le sue differenze, era sempre stata libera di vivere la sua vita sin dal giorno della sua nascita, e muovendo un solo passo in avanti, calpestai l’erba senza timore, e unendomi a lei, respirai a pieni polmoni. Di lì a poco, una meravigliosa sensazione di calma mi investì in pieno come un’onda di marea, e riaprendo gli occhi tenuti chiusi per godere meglio il momento, sentii il calore del sole sulla pelle, unito a flebili ma chiare voci in lontananza. A quanto sembrava, non ero da sola, e aguzzando la vista, li notai. Sky e Noah erano come sempre seduti sulla riva del lago, intenti a godersi lo spettacolo offerto dal brillare di quelle acque, unito come sempre a quelle del loro amore. Ero felice per loro, non potevo negarlo, ma in quel momento, vederli così felici mi disturbava. Non riuscivo a spiegarmi il perché, ma venendo improvvisamente colta da un sentimento di disgusto misto a rabbia, spostai subito lo sguardo altrove. Ricordavo bene che Sky mi avesse ripreso a causa delle mie effusioni con Christopher, che forse l’avevano davvero stufata, e ora eccola lì, abbracciata al ragazzo che amava, e che intanto, non contento della seppur minima distanza fra i loro corpi, l’aveva annullata prendendola in braccio come una bambina e permettendole di stare sulle sue ginocchia. Una scena adorabile, la cui vista mi portò però vicina alle lacrime. Intanto, il tempo scorreva, e in quesito ancora irrisolto continuava a riverberare nella mia mente producendo un’eco infinita. Scuotendo la testa, provai a liberarmene, ma questo non demorse, diventando perfino più insistente di prima. “Perché? Perché a me?” mi ripetevo, affranta. Come ogni volta, la risposta tardava ad arrivare, e sedendomi all’ombra di una quercia, posai la mano sul tronco, poi chiusi gli occhi. I miei poteri di fata si limitavano al controllo sulla natura che avevo intorno, lo avevo ormai imparato perfettamente, ma distratta dai miei pensieri e dal mio dolore, non riuscii nell’incanto che avevo in mente, e proprio come la prima volta, una spina mi si conficcò nel palmo, ferendomi e facendolo sanguinare. Stringendo i denti, sopportai il dolore, e riacquistando la capacità di vedere, notai ai miei piedi un piccolo rovo. Era inutile. Avevo provato ad usare la magia per distrarmi, ma i miei cupi sentimenti aveva di nuovo interferito, anche se portavo al collo il gioiello che avevo ricevuto in regalo. Quasi istintivamente, nascosi le mani nella tasca della veste, ma abbassando lo sguardo, presi delicatamente quel monile fra le dita, esaminandolo con cura e notando che la sua luce non proveniva più dal sole, ma da una sorta di nucleo interno. Ad essere sincera, non avevo davvero mai fatto caso a quel dettaglio, e notandomi, Sky si scostò da Noah, e alzandosi da terra, si ripulì al meglio il vestito da terra e fili d’erba, per poi guardarmi e avvicinarsi a me. Nel farlo, fece segno all’amato di aspettarla, poi si mosse. “Kaleia, come stai?” azzardò, incerta e dubbiosa. “Male.” Fui svelta a rispondere, evitando il suo sguardo e fissandolo sul cespuglio di rovi che senza volerlo avevo creato. “Sono qui se vuoi parlarne.” Mi rispose lei, sorridendo appena e posandomi una mano sulla spalla. “Grazie, ma non adesso. È troppo doloroso.” Replicai, fredda e distaccata come solo lei sapeva essere. Colpita, Sky alzò le mani in segno di resa, poi mi strinse a sé in un delicato abbraccio. “Sarò sempre qui per te, sorellina mia.” Disse soltanto, con la voce ridotta ad un sussurro. Muta come un pesce, mi crogiolai in quell’abbraccio e nel suo calore, potendo giurare che per un attimo, il piccolo lampo di luce presente nel mio ciondolo diventò un’altrettanto piccola scarica elettrica. C’era ancora molto che non sapevo su quel gioiello, e avrei scoperto ogni dettaglio solo con il tempo, ma ora, e soltanto grazie all’aiuto di mia sorella, ero riuscita a riacquistare la calma che avevo perso, e pronta a parlarle, trassi un profondo respiro. Mi ero rialzata per lasciarmi abbracciare, e sentivo che tacere non aveva più senso. “Sky, ascolta. Non è colpa tua, e anzi, non è di nessuno, ma… non so come dirlo, ma la situazione è incomprensibile per me. Abbiamo litigato e Christopher mi ha lasciata da sola. So che sono passati appena due giorni, ma fa malissimo.” Ammisi, non provando che vergogna nell’incontrare i suoi occhi di un azzurro meno intenso di quello dei miei e sospeso fra il ghiaccio e un’altra sfumatura che non ero in grado di definire. Mantenendo il silenzio, lei attese che finissi di parlare, e solo allora, uno scoiattolo e la sua compagna si palesarono all’orizzonte. Data la distanza, non ero certa che si trattasse di Bucky, né potevo esserlo, ma fu in quell’istante che continuai. “E poi guarda.” Dissi infatti, indicando quella dolce coppietta di roditori. “Non avrei mai creduto che uno scoiattolo si sarebbe accasato prima di me.” Aggiunsi poco dopo, con la voce già rotta da un pianto che a malapena soffocavo. Triste come e forse più di me, Sky ascoltava senza proferire parola, e come se tutto facesse parte di una sorta di maledizione, un’altra coppia di animali mi si parò davanti. Stavolta erano due volpi, e strofinando i musi l’uno contro l’altro, sembravano baciarsi. Inspiegabilmente, mi sentii punta sul vivo, e pur mordendomi la lingua, non riuscii a darmi un freno. “Non ci credo, anche loro.” Borbottai infatti, scocciata. “Kaleia…” mi chiamò allora mia sorella, riportandomi subito alla realtà. “Cosa?” replicai, con il morale più nero della fredda notte. “Scusa.” Disse appena lei, tenendo bassa la voce e guardandomi negli occhi. “Come?” non potei evitare di chiedere, sconvolta. “Mi hai sentito, scusa. Conosco te e Christopher, so cosa c’è fra di voi, e ora che sei sola, mi comporto come se Noah fosse l’unico a contare. Mi dispiace se la cosa ti fa star male. Cosa posso fare per aiutarti?” continuò, ripetendosi e offrendomi con quelle parole la mano amica che da tanto aspettavo. “Aiutami. Aiutami a ritrovarlo.” Risposi, volgendo lo sguardo all’orizzonte e serrando i pugni, decisa. “D’accordo, fu la sua sola risposta, seguita da un rapido cenno del capo e da una stretta di mano. Annuendo, suggellai con lei quel così importante patto, e ritornando a casa nel pomeriggio, richiamai a me la cara gatta Willow, impegnandomi nei preparativi di un viaggio che avrebbe potuto essere pericoloso, ma allo stesso tempo salvifico, in quanto solo ritrovare il mio amato Christopher avrebbe potuto guarire e curare il mio giovane cuore e il mio sangue, ora entrambi compunti e avvelenati  da migliaia di minuscoli aghi e pillole di gelosia.  
 
   
 
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