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Autore: Emmastory    30/11/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXIX

Ricerca d’un amor perduto

Un incoraggiamento, una parola gentile, una spinta nella giusta direzione. Non mi era bastato altro, e aprendo la porta di casa, mi ero precipitata fuori. La fortuna voleva che non fossi sola, ma allo stesso tempo ero troppo concentrata e sicura di me stessa per guardarmi indietro. Il mio amato Christopher era nei miei pensieri, e oltre lui, nient’altro. Sky mi arrancava accanto, ma i miei occhi erano fissi su un solo obiettivo. Lui. Non sapevo dove cercare, e non potevo negarlo, ma più il tempo scorreva, più ero decisa. Ne era ormai trascorso fin troppo, ma ancora memore dei nostri allenamenti, sapevo bene che le nozioni apprese un giorno mi sarebbero servite. In breve, il mio cammino si trasformò in corsa, e le suole delle mie scarpe lasciavano impronte ben visibili fra l’erba. Aveva piovuto da poco, la terra si era trasformata in fango, ma io ero stoica, e non me ne curavo. Il sole era tornato a splendere risvegliandosi dal suo letargo fra nuvole e monti, picchiando abbastanza da disturbarmi la vista e in alcuni casi l’equilibrio. Ero cauta, e fra un passo e l’altro, un conosciutissimo dolore al fianco tornò a ripresentarsi. Una fitta al fianco mi tolse il respiro, e fermandomi, dovetti posarci una mano per tentare di lenirlo.  “Tutto bene?” chiese a quel punto Sky, vicina e con il fiato più corto del mio. “S-Sì, andiamo.” Risposi a malapena, annaspando in cerca d’aria e facendo fatica a respirare. “Sei sicura? Ci conviene riposare.” Replicò lei, guardandomi negli occhi e posandomi una mano sulla spalla. “No, sto bene.” Continuai, testarda. “Kaleia, dico davvero. So che ci tieni, ma ne va della tua salute.” Insistette lei, con una vena di preoccupazione nella voce. “Lo so, ma…” biascicai, sentendo quella frase morirmi inaspettatamente in gola. “Niente ma, sai quanto sia importante.” Questa fu la sua risposta, di fronte alla quale non ebbi reazione dissimile dal sospirare abbassando gli occhi. “Hai ragione.” Sussurrai poco dopo, sconfitta. “Su, vieni.” Disse allora lei, prendendomi la mano e accompagnandomi all’ombra dell’albero più vicino. Annuendo, mi limitai a seguirla, e premendo la schiena contro il tronco che trovammo, scivolai fino a terra, incurante di scivolare sull’erba bagnata. Lentamente, si asciugava al sole, ed evitandone i raggi, fissai lo sguardo sul mio ciondolo. Nonostante la fretta, non l’avevo dimenticato, e prendendolo delicatamente fra le dita, respirai piano, quasi impercettibilmente. Quasi istintivamente, strinsi quel gioiello con forza, e facendomi quasi male, per poco non piansi. Il mio non era dolore, ma nostalgia, e soltanto guardarlo mi riportava alla mente i ricordi del nostro amore. Le ricerche erano iniziate da poco, ma nonostante questo mi sembrava di camminare metaforicamente in cerchio, brancolando nel buio come mai era successo prima. Sempre ad occhi chiusi, provai a calmarmi, e nello spazio di un momento, la voce di Sky mi ridestò dai miei pensieri. “Ce l’hai da molto?” azzardò, riferendosi al mio smeraldo e mostrando una genuina curiosità. “Sì, ed era un suo regalo.” Mi limitai a rispondere, tardando poiché troppo concentrata su un futuro triste e avverso. “Parli al passato.” Mi fece notare lei, non perdendo la concentrazione e ignorando la leggera brezza fra i suoi capelli. A quelle parole, non risposi, e scuotendo la testa, mi voltai, ma solo per non mostrare che piangevo. In silenzio, certo, ma piangevo, e con gli occhi velati dalle lacrime, mi scossi nei singhiozzi, del tutto decisa a lasciar perdere l’argomento. Il silenzio che si creò fra di noi fu tale da rischiare di renderci sorde, e arrabbiata, mi alzai subito in piedi. “È ovvio.” Ringhiai poco dopo, inviperita. “Kaleia, scusami, cercavo solo di…” balbettò lei in risposta, più che mai confusa dalla mia reazione. “No, zitta. Sta zitta. Tu non sei come me, non lo sarai mai. Christopher è sparito, non lo vedo da giorni, e tu vuoi aiutarmi, ma non riesci a capire. Il nostro amore va oltre le leggi, ed è per questo che ora… ora potrebbe essere morto per colpa mia!” finii per gridare scoppiando all’improvviso, travolta da mille emozioni che non fui neanche in grado di identificare. Rabbia, dolore, rancore, gelosia, o probabilmente un misto di tutte quante. Ora come ora, era Sky ad avere il rapporto idilliaco che avevo vissuto e che ora sognavo, e per qualche strana ragione, le sue ultime parole mi avevano ferita e adirata. Non sapevo cosa mi avesse spinto a farlo, quale meccanismo fosse scattato dentro di me, ma una cosa era certa. Con il favore della luce, potevo e dovevo rimettermi in marcia. Nei due anni quasi trascorsi, Christopher era sempre stato la mia roccia, e ora sentivo di dover ricambiare il favore. Ad essere sincera, ero certa che avesse tutto sotto controllo, ma con questa singola consapevolezza ormai troppo misera per soddisfarmi, ero arrivata a temere il peggio, togliendo le briglie ai miei pensieri e lasciando che migliaia di scenari si formassero nella mia mente, e puntualmente, erano tutti uno peggiore dell’altro. Pronta, ricominciai a camminare, e allontanandomi a passo svelto, sparii fra gli alberi e il resto della vegetazione. Le lacrime che avevo versato mi offuscavano la vista, e pur sforzandomi, mi muovevo a fatica. Il dolore al fianco persisteva, ma restando concentrata, non osavo demordere. “Posso farcela.” Mi ripetevo, recitando quelle due sole parole come un antico e vedico mantra. Non curandomi d’altro, camminai per quelle che mi parvero ore, sentendo in lontananza solo la voce di Sky, che correndo a sua volta, cercava di richiamarmi a sé. Troppo lontana perché potesse raggiungermi, la sentivo gridare il mio nome e avvertirmi del pericolo, ma io non l’ascoltavo, e non soltanto a causa della distanza fra di noi. Una volta sola, mi fermai a riflettere, sollevando lo sguardo fino ad incontrare il cielo e piangere ancora, versando lacrime che non avrei visto cadere. Vicine o lontane, anche ora che ero scappata eravamo in due. Lei aveva scelto di affiancarmi, ed io avevo un unico obiettivo, ovvero impegnarmi nella ricerca di un amore che credevo perduto.

 
   
 
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