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Autore: Emmastory    01/12/2018    6 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod
 
 
Capitolo XXX

Ira e altre tempeste

Correvo. Il mio cammino si era trasformato in corsa, e intorno non avevo che erba, alberi e fiori. La luce del sole regnava ancora nel cielo, e ancora piangendo, non volevo ascoltare niente e nessuno. Il sibilo del vento si mischiava ai miei singhiozzi, e la rugiada del mattino non abbandonava il verde della foresta nel pomeriggio iniziato da poco. Restavo in silenzio, ma questo si rompeva come fragile vetro con ogni secondo, anche a causa della forza con cui le suole delle mie scarpe colpivano il terreno. Piangere mi aveva oscurato la vista  e resa maldestra, ma non volevo cadere, e pur certa di apparire goffa, facevo del mio meglio. Lento e inesorabile, il tempo continuava a scorrere, e per l’ennesima volta, una fitta di dolore al fianco mi impedì di respirare. Incapace di governare quel dolore, mi fermai, e fu allora che fra le fronde la sentii di nuovo. “Kaleia! Ti prego, fermati! Mi dispiace!” era la voce di mia sorella, e continuava ad implorarmi di smettere di correre e fermarmi prima che fosse troppo tardi. Non avrei voluto ascoltare, andare avanti e continuare per la mia strada, ma quella volta il dolore fu più grande di qualsiasi cosa, e arrestando il mio cammino, rimasi immobile finchè non mi raggiunse. “Eccoti! Grazie al cielo ti ho trovata. Hai una vaga idea di dove stessi andando?” mi chiese, ansimando e tenendo lo sguardo fisso su di me. Colta in fallo, negai con la testa, e sfiorandomi la mano, lei sorrise debolmente. “Non importa. Ora ti aiuterò davvero, d’accordo?” disse poi, tendendomi una mano perché la stringessi, così da suggellare quel patto che minuti prima, per rabbia o chissà quale altra ragione, ero arrivata a spezzare come le corde di un’arpa. Decisa, le strinsi la mano, e annuendo, accusai ancora dolore. Quasi istintivamente, posai una mano sul fianco già indolenzito, e quasi con orrore, scoprii che non era più la principale causa del mio malessere. Lentamente, provai a spostare la mano, e fu allora che capii. Il mio segno era al suo posto, e lo stesso valeva per la croce incisami nella pelle dalla signora Vaughn. Nera come il suo smalto in quel giorno, e somigliante all’ecchimosi che per lungo tempo avevo dovuto sopportare, ora appariva perfino più scura, e come se non bastasse, brillava. “Che succede?” azzardò Sky, preoccupata e spaventata al tempo stesso. “Non ne sono sicura, ma credo non sia nulla di buono.” Risposi soltanto, per poi chiudere gli occhi e restare dov’ero, in un religioso silenzio indice di concentrazione. Quello che stavo per usare era un potere che avevo sperimentato poco, ma in una situazione di quel calibro, provare non costava nulla, e come ben sapevo, avrebbe letteralmente potuto salvare la vita mia e di Christopher. Respirando a fondo, mi concentrai arrivando al limite delle mie possibilità, e come mi aspettavo, ebbi una visione. Era successo soltanto un’altra volta mentre andavo alla ricerca di Sky e Noah, ma da allora avevo imparato a controllarlo, e quello che vidi mi scioccò. Il volto della strega, uno strano simbolo e alti alberi dalle foglie color carbone. Inquieta come non mai, strinsi la mano di mia sorella, e portando una mano al petto, realizzai con quale velocità stesse battendo. Senza volerlo, inciampai in una stupida roccia, e rischiando di cadere, lottai per tenermi in piedi. Con riflessi fulminei, Sky mi tenne stretta,e  una volta riacquistato l’equilibrio, espirai. “Tutto bene?” fu la sua ovvia domanda, dettata dall’ansia che in quel momento le tirava il volto. “No, ma dobbiamo andarcene, e subito.” Replicai, seria. “Cosa? E dove?” chiese ancora Sky, tremante e incerta sul da farsi. “Non lo so, ma ovunque è meglio che qui, ora vieni.” Dichiarai, svelta. Senza dire altro, mia sorella si decise a seguirmi, e malgrado una leggera esitazione, sfidai il mio stesso coraggio, addentrandomi con calma mostruosa nella parte più buia e inesplorata della foresta. Stando a quanto ricordavo, la signora Vaughn viveva oltre quel punto, e nonostante al momento non fossi sicura di nulla, un tentativo era la mia unica speranza. Muta come un pesce, Sky sembrava aver smesso di respirare, e camminando, fui costretta a tenere gli occhi bassi e borbottare fra me e me, finendo per pronunciare parole che per lei non avevano senso. La colpa di tutto questo era unicamente imputabile alle voci, che di nuovo nella mia mente, parevano avermi fatto visita solo per tormentarmi. “Te l’avevamo detto, Kaleia.” Disse una, sussurrando sinistramente e non facendo altro che beffarsi di me. “Lui non può proteggerti.” Aggiunse un’altra, denigrando a quel modo l’amore che in due anni avevamo costruito. Nervosa, strinsi i denti e accelerai il passo, ma prima che potessi concentrare il pensiero altrove, la terza non mancò di presentarsi. “È un umano che a malapena ci comprende.  Ti fidi davvero di lui? Al tuo posto non lo farei. Non hai visto? È fuggito da te in più di un’occasione. Tu credi che ti ami, ma lui ti teme. Ti teme, giovane fata. Non ce la farai mai, non maturerai abbastanza, eppure non vuoi ammetterlo a te stessa. Sei patetica. Siete patetici.” Un discorso lento, criptico e dal ritmo cadenzato, colmo di una malizia che mi disgustava e completato da un sarcastico e acido risolino. Non riuscendo più a controllarmi, aprii di colpo gli occhi, sentendo la mia energia magica scorrermi nel corpo e nelle vene, e così com’erano arrivate, le voci sparirono. Non le sentii più per quella che mi parve un’ora, e al loro posto, un fischio assordante, seguito dal rombo di un tuono. Sobbalzando per lo spavento, mi voltai verso Sky, ma lei mi mostrò le mani, conscia di non aver fatto nulla. Confusa, non seppi cosa pensare, e in un attimo, la  fredda pioggia iniziò a cadere, bagnandoci il corpo e le ali. Alla ricerca di salvezza, mi riparai lì dove la vegetazione era più fitta, e sollevando lo sguardo, a sera ormai scesa, capii di aver raggiunto la mia meta, ma di aver allo stesso tempo scatenato nel mio viaggio ira e altre tempeste.     

 
   
 
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