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Autore: Roiben    04/12/2018    1 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 15. In my mind



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CANADA

Date

NOV 14TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

PM 07:26


Un lampo di luce mette a soqquadro i suoi circuiti cerebrali. È qualcosa di molto spiacevole, tanto da strappargli un breve grido. Si dibatte, cercando di liberarsi da quel tormento. Qualcosa intralcia i suoi tentativi ma non è in grado di capire di cosa possa trattarsi: c’è troppa luce, ora, dopo tutto il buio più fitto; forse qualche cosa nel suo impianto visivo è andata danneggiata.


«D-dolore» rantola, pensando che quella parola rispecchi con precisione la sensazione che sta provando.


«Lo so, lo sento anch’io» vibra la voce di Markus poco discosta.


Ci danneggerà?” lo avvolge la domanda silenziosa, rispecchiando la preoccupazione comune.


«Ma-Markus?» chiama con un tono fioco e tremolante.


«Sì, sono qui».


Troppa luce. Dobbiamo…”.


«Allentare» concorda Markus.


Cerca un modo per ridurre la pressione della connessione in corso, ma è un po’ complicato senza ben sapere dove si trovano le sue mani e senza riuscire a percepirle muoversi. Digrigna i denti. È una questione mentale, ne è certo, basterebbe concentrarsi per volerlo e…


Un gemito, non è sicuro se di Connor o dell’RK900, ma indiscutibilmente di malessere, lo informa che il suo tentativo non sta dando i risultati auspicati, anzi, l’esatto contrario.


«Maledetto» ringhia, sognando di affogare Kamski nella sua vasca idromassaggio. «Provate a… a… p-pensare di… ab-bassare la luce. Tutti… insieme» propone con disperazione, perché il suo sistema di controllo delle funzioni lo ha appena gentilmente informato che uno dei suoi biocomponenti ha dato forfait e altri tre stanno firmando le dimissioni giusto in quel momento.


Un sibilo, vicino al suo orecchio (o per lo meno tale gli è parso), lo fa sobbalzare. Le dita della sua mano sinistra vengono stritolate nella morsa di quelle dell’RK900 che evidentemente non è in condizioni di molto migliori rispetto alle sue. Invece, con sua sorpresa, riesce finalmente a percepire l’esistenza fisica della sua mano destra e, altrettanto curiosamente, ne avverte scemare la pressione da ciò che fino a un attimo prima lo opprimeva. Connor, non ha idea di come, sta allentando il contatto. Markus non è per nulla sicuro che ciò sia un bene; se dovessero perderlo del tutto sarebbero al punto di partenza.


«Connor» prova, incerto.


«Ce la faccio. Questa… è ancora la mia mente» soffia scosso.


Giusto. Lo aveva quasi scordato: se lì c’è qualcuno che ha qualche possibilità di controllare la situazione, quel qualcuno è senz’altro Connor.


Tempo dopo (un tempo che gli è sembrato durare un’eternità) il bagliore abbacinante affievolisce gradualmente fino a divenire un soffuso chiarore, decisamente più sopportabile. E quando si guarda attorno, finalmente può individuare la figura dell’RK900 al suo fianco, la quale ha un’aria sconcertata e un poco sbattuta. E lì, proprio di fronte a loro, c’è Connor che li fissa attonito e spaurito.


«Direi che ce l’hai fatta sul serio» commenta Markus, sollevato.


Un attimo dopo si ritrova inspiegabilmente stretto nella morsa incontrollata di Connor e delle sue braccia, che sembravano così sottili e invece finiranno per fargli saltare qualcuno dei suoi biocomponenti (per lo meno quelli che si erano salvati dalla precedente disavventura).


«Ehm…» prova, senza un’idea precisa di come proseguire il discorso.


Ma tutto sommato non è necessario farlo. Poco dopo Connor lo lascia andare e si scosta, fissandolo con circospezione e imbarazzo.


«Scusa. Credevo… Mi era stato detto che ti avevano disattivato, così…».


«Beh, sì, è vero. Ma qualcuno non era dello stesso parere» confida, leggermente divertito, ora.


«Hanno riparato anche te, quindi».


«Già. Direttamente quel Kamski. C’è anche lui, lo sai? Siamo qui proprio per te. A dire il vero anche io credevo che ti avessero disattivato. Invece sono stato fortunato: qualcuno è rimasto dei miei vecchi amici».


Connor, per la prima volta da che lo hanno ritrovato, accenna un piccolo sorriso e annuisce d’accordo. Lo osserva poi spostare l’attenzione sull’altro androide presente e scrutarlo con una certa perplessità. Aggrotta la fronte.


«Ti conosco?» dubita senza distogliere lo sguardo.


«Non penso tu abbia mai avuto occasione di incontrarlo» interviene Markus. «Lui è un RK900. Beh, in realtà l’unico, al momento, per lo meno a quanto ne so».


Gli occhi di Connor si sgranano appena. «Oh, ho capito. Sei un upgrade, giusto? La versione aggiornata e potenziata».


L’RK900 non emette un solo suono. Non che se lo attendesse, ma almeno un cenno di intesa sarebbe stato di aiuto. Invece si limita a fissare su Connor quei suoi inquietanti occhi grigi con il suo solito modo indagatore che farebbe perdere il lume della ragione anche a un santo. Infatti poco dopo Connor si acciglia e adocchia nervosamente Markus.


«Che problema ha?».


E Markus vorrebbe ridere, ma si trattiene perché si tratta di una situazione già molto precaria di per sé e non ci tiene per nulla a complicarla ulteriormente.


«Magari lo sapessi. Lui non parla, però di solito invia pensieri alle nostre unità cerebrali. È strano che ora se ne stia così, senza far nulla».


«A parte fissarmi» commenta Connor contrariato. Ma a mali estremi, estremi rimedi. Scrolla le spalle e imbastisce un buon sorriso convinto, il più cordiale del suo repertorio. «Bene, suppongo che tu ne sia già al corrente, ma è giusto che lo faccia ugualmente, per correttezza: il mio nome è Connor, è un piacere fare la tua conoscenza. Qual è il tuo nome?» domanda in tono gentile ed espressione socievole sfruttando al meglio il suo collaudato programma di relazioni pubbliche.


Il led dell’RK900 vira all’ambra per qualche istante, poi torna all’azzurro.


Non possiedo un nome. Ma anche per me è un piacere fare la tua conoscenza” replica di buon grado.


Connor sfarfalla le ciglia un lungo momento, sorpreso sia per il messaggio che per il metodo, poi la sua espressione si rannuvola.


«Ma questo non va affatto bene. Avrebbero dovuto dartene uno non appena attivato» protesta indignato.


Non c’era nessuno” spiega pacato. “Ero solo ed era buio. C’erano solo elaboratori informatici, ma nessuno di loro era al corrente di quell’informazione. E quando ho incontrato qualcuno, neppure allora l’ho appresa”.


Connor ascolta con attenzione, sempre più accigliato, e quando la spiegazione è completa si volta di scatto verso Markus e lo fissa indagatore.


«Mi era parso di capire che con voi ci fosse il signor Kamski».


«Infatti» conferma Markus.


Il led di Connor brilla ambrato, girando per breve tempo. Infine scuote la testa.


«Non comprendo» ammette. Solleva allora lo sguardo sull’RK900 e lo fissa con decisione. «Ma non importa. Vorrà dire che potrai decidere tu stesso come desideri essere chiamato. Che nome ti piacerebbe usare?» domanda gentilmente.


L’RK900 sembra titubante e i suoi occhi vagano perplessi sul volto di Connor. “Devo… decidere io?” chiede incerto.


Markus sorride. «Connor ha ragione. È inutile aspettare che qualcuno si svegli improvvisamente e ti affibbi un nome. Magari neppure ti piacerebbe: sai, a volte gli umani sono strani. Tanto vale che sia tu stesso a sceglierne uno che ti convinca» lo incoraggia.


L’RK900 non è per nulla sicuro di come convenga comportarsi in quel caso. Non ha la minima esperienza in fatto di nomi e nella sua programmazione non ci sono istruzioni in merito. Non si tratta di una situazione simile alla sua scelta per il proprio aspetto; allora aveva delle linee guida da poter seguire. Ora su cosa potrebbe mai basare la propria preferenza? Si guarda attorno, nervoso, ma non scorge molto altro che non sia il buio soffuso e loro tre. Allora prova a guardarsi dentro, esaminare ciò che ha appreso durante la sua brevissima esistenza. Ed è in quel modo che trova degli indizi: ritagli di informazioni che ha assorbito grazie alla connessione con Markus prima e con Connor dopo. Notiziari, conversazioni, giornali, libri, canzoni, riviste, verbali, discussioni, tutto accuratamente archiviato in ordine temporale e per argomento. Un’informazione, apparentemente superflua e galleggiante nel mare di altre sue simili, attira la sua attenzione in modo inaspettato. La tensione dovuta all’indecisione si attenua gradualmente regalandogli un istante di benessere. Prende una decisione, infine, increspando le labbra in un lieve sorriso soddisfatto.


Jander. Questo sarà il mio nome”.


*


«Sarà il caso di andare, ora» propone Markus. «Non sono certo di quanto tempo possa essere trascorso, ma se aspettiamo troppo là fuori finiranno con il preoccuparsi».


Connor sembra però rattristarsi a quella proposta. Ha come l’impressione di essersi perso qualche importante tassello che possa completare il disegno generale di quel complicato mosaico che è il suo amico.


«Andate già via? Pensavo sareste rimasti un poco» mormora quest’ultimo in tono abbattuto.


«Naturalmente verrai con noi anche tu. Avremo tempo da trascorrere insieme, dopo aver sistemato questo pasticcio» chiarisce Markus.


«Cosa?» soffia Connor allarmato. «Non posso. Amanda mi ritroverebbe in fretta» protesta debolmente.


Chi è Amanda?” si informa Jander.


«Probabilmente colei che ha cercato di prendere il controllo, immagino» suppone Markus. E a un piccolo cenno d’assenso le sue idee ritrovano un ordine più preciso. «Non devi preoccuparti di questo, ora. Abbiamo costruito una seconda barriera esterna. Questa le impedirà di ritrovare la via per controllarti anche quando le tue difese saranno riabbassate».


«Sul serio? Non ne ero al corrente» si stupisce Connor, suo malgrado più sollevato a quella buona notizia.


«Sì, beh, in effetti era il motivo per il quale siamo stati mandati da te» ammette Markus, imbarazzato.


Lo avevamo solo… scordato” aggiunge Jander, rispondendo senza indugio al sorriso che gli indirizza Connor.


«Non importa. Ora che lo so mi sento già molto meglio» esclama Connor. «Come usciamo da qui?».


Connor fissa Markus, che fissa Jander, che fissa Connor…


«Ehm…» borbotta Markus. «Com’è che aveva detto Kamski?».


Una teoria secondo la quale, una volta uniti, saremmo stati liberi di decidere se e quando tornare a essere unità separate, se non ricordo male” viene in soccorso Jander.


«Benone. Molto utile, come la maggior parte delle sue idee, del resto» sibila Markus, contrariato.


«Temo di non aver capito» pigola Connor, parecchio confuso dalla spiegazione.


«Normale: non conosci l’antefatto» lo tranquillizza Markus. Così si prende qualche momento per spiegargli la strampalata teoria di Kamski e la storia del programma che li accomunerebbe, o per lo meno quel poco che si è degnato di far loro conoscere.


«E non ha spiegato a cosa dovrebbe servire?» indaga Connor.


«Ovviamente no» bercia Markus, seccato. «Parlare chiaro non fa parte della sua programmazione».


Connor, nonostante la situazione non lo consigli, ride divertito. «È un essere umano. Non hanno programmazione».


«Già, è proprio questo il problema maggiore con gli umani, e ciò che li rende imprevedibili».


E pericolosi” aggiunge Jander in un bisbiglio, e la sua considerazione viene accolta con cupi assensi da parte di entrambi i compagni.


«D’accordo, qualcuno ha un’idea su come tornare là fuori?» chiede Markus, pratico e un pizzico esasperato da quella situazione insolvibile.


Connor riflette e mentre i suoi circuiti mentali sono al lavoro il paesaggio che li circonda muta nuovamente: sotto di loro ora un prato verde si estende a perdita d’occhio e al di sopra delle loro teste il cielo azzurro è chiazzato da poche nubi bianco panna. C’è perfino un debole venticello che profuma di fiori e il suono dell’acqua che scorre tranquilla.


Markus emette un breve fischio di impressionata approvazione. «Niente male, amico. Me lo devi insegnare, un giorno o l’altro; sarebbe molto utile quando potrò dipingere di nuovo» esclama ammirato.


«Pensavo a una descrizione che mi ha fatto Hank poco tempo fa…» tituba Connor. «Credo che possiamo farcela, se ho ben compreso il funzionamento di quel programma. È un’elaborazione di noi stessi».


Crucciato, Markus lo scruta in cerca di delucidazioni. «Cioè?».


In questo momento pensiamo di trovarci nella sua mente, ma siamo comunque fisicamente all’esterno. Dobbiamo dunque pensare di trovarci tutti e tre di nuovo nel laboratorio” comprende Jander.


«Tutto qui?» dubita Markus.


«Immagino di sì» concorda Connor.


«Insieme?» chiede conferma Markus.


Insieme” concorda Jander.


«Insieme» annuisce Connor.


Le dita intrecciate delle loro mani mostrano di nuovo l’esoscheletro chiaro. Il paesaggio verdeggiante sbiadisce gradualmente; per un momento torna il buio attorno a loro, poi al buio si sostituisce l’ambiente familiare dello studio di Dick. I tre androidi si scambiano occhiate sorprese ma anche sollevate, scoprendo di essere ancora insieme nella realtà del mondo materiale.


«Ottimo lavoro, ragazzi miei, ce l’avete fatta» si congratula Elijah.


  
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