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Autore: Ksyl    07/12/2018    12 recensioni
Seguito di Crossroads, qualche mese dopo
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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La storia ha inizio qualche mese dopo la fine di "Crossroads", Kate è incinta di Lily

Castle entrò lentamente e senza fare rumore nell'ufficio di sua moglie, al momento sguarnito, e andò direttamente alla finestra, lasciando che lo sguardo vagasse senza meta verso l'esterno, anche se era troppo distratto per registrare una traccia visiva dell'animato mondo sottostante. Completamente assorto nei suoi pensieri, non si accorse di stringere con troppa forza il cellulare che teneva in mano, come se temesse che l'oggetto nascondesse indesiderati poteri ultraterreni in procinto di sfuggire alla sua presa. Lo ripose in tasca, con deliberata cautela.

Si era presentato al distretto molto in anticipo rispetto a quanto concordato quel mattino, quando l'aveva baciata sorridente augurandole buona giornata. Era incerto su come sua moglie avrebbe reagito a una decisione che doveva apparirle frutto di un impulso improvviso e poco ponderato – tipico della sua natura, avrebbe detto - quando invece era, come da molte tempo a questa parte, solo frutto della solita estenuante lotta interiore che combatteva dentro una mente prossima al cortocircuito.

La verità, che faticava ad ammettere perfino a se stesso, per quanto si sforzasse di essere onesto, era che spesso non aveva idea di quale fosse la cosa giusta da fare con lei, tenuto conto di quello che aveva passato solo qualche mese prima e delle attuali condizioni.
A starle premurosamente vicino per come avrebbe voluto c'era il rischio di opprimerla e, sottilmente, convincerla che lui non la ritenesse in grado di svolgere le sue mansioni con la professionalità che le era sempre appartenuta. Non era così, era il primo a riconoscerlo. Al lavoro lei era puntigliosa ed efficiente come sempre, forse perfino di più. Non era quello a preoccuparlo. Era solo... faticava a trovare le parole esatte.
Non era la Kate che aveva imparato a conoscere. Lo scarto era minimo, ma innegabile, e sospettava che lei se ne rendesse conto e per questo stesse raddoppiando gli sforzi per apparire irreprensibile. Normale. Come se temesse che qualcuno potesse coglierla in fallo, e scoprire quelle zone buie che lui intuiva con la precisione di un uomo innamorato in grado di disegnare a occhi chiusi la mappa delle sue emozioni inespresse.

La gravidanza, annunciatasi nel peggior modo possibile, con un tempismo che avrebbe beneficiato di una programmazione più assennata da parte loro, invece della spensierata noncuranza da cui si era originata, procedeva a scossoni, laddove era stato fervente desiderio di chiunque vederla scivolare placidamente verso la sua naturale conclusione, portando con sé gioia e consolazione, e non continua apprensione, come di fatto stava accadendo. Si passò una mano sulla fronte, scoprendosi esausto.
Era stato più che consapevole, fin dall'inizio e forse più di chiunque altro, ai tempi, che non sarebbe stato facile. Ed era altrettanto consapevole – e grato, ogni minuto della sua vita - della fortuna che avevano avuto a sopravvivere entrambi, nonostante le probabilità avverse e farlo a sorpresa insieme a una nuova vita che era, giocoforza, vista da tutti come un simbolo di rinascita. Una sorta di sconfitta delle tenebre del mondo.
Non intendeva lamentarsi. E non lo faceva, infatti. Se lo ripeteva in continuazione, silenziosamente, Non voglio lamentarmi... E sopprimeva in luoghi che non voleva visitare quel ma che gli saliva alle labbra.

Era solo molto stanco, si disse, per via dell'inquietudine ininterrotta che gli si era posizionata saldamente accanto da quando si era risvegliato nel letto d'ospedale, con l'assoluta certezza che fosse morta.
Non riusciva a smettere di temere che qualcosa, in quella gravidanza che considerava miracolosa, sarebbe andato storto. Sentirlo con tanta forza lo turbava, perché lui era quello ottimista, quello baciato dalla sorte, quello che manifestava nella realtà concreta ogni tipo di desiderio, compresa la loro famiglia, in procinto di formarsi. E quindi dove era il problema? Non lo sapeva. Era qualcosa di vago, irrazionale, ma impossibile da cancellare. Una terra sconosciuta per lui. In più, era assolutamente certo che nessuno dei due avrebbe retto il colpo della perdita della cosa più preziosa e fragile che avessero, quella su cui si erano aggrappati per ripartire, e che tale eventualità avrebbe fatto crollare tutto il resto. Perché era così che vivevano da mesi, lottando perché quella vita rimanesse al sicuro dentro il corpo di sua madre, che doveva prendersi cura di sé e di un'altra vita, senza avere a disposizione la solita incrollabile forza fisica, persa quel mattino sul pavimento del loft.

Era stato più facile, all'inizio, scherzare nel loro modo privato incomprensibile agli estranei, per esorcizzare l'idea spaventosa di un'esistenza senza l'altro. Erano stati pieni di euforia per tutto. Per essere vivi, per avere un progetto, qualcosa di concreto da contribuire a far crescere. Uno scopo che li faceva andare avanti.
Lentamente, avevano smesso di farlo. Non erano andati a Parigi, come lui aveva proposto. Non avevano cambiato l'intero arredamento del loft, o almeno il pavimento della cucina. Si sforzavano di evitare quel punto, oltrepassandolo con aria fintamente distratta. Aveva provato a sollevare l'argomento, ma lei si era chiusa in se stessa e i medici avevano suggerito di non farla agitare, dopo l'ultimo episodio, l'ultimo di una serie e quello più grave, che aveva fatto temere a tutti che la gravidanza fosse sul punto di interrompersi molto prima del dovuto. L'intento di non farla agitare, se pure prescritto – ordinato – da qualcuno di più competente di loro, aveva tuttora il potere di farla adirare più di quanto le fosse consentito e tutto questo si stava trasformando in un enorme vicolo cieco nel quale si perdevano con inquietante frequenza e che forse li stava allontanando.

Quelle parole, solo pensate e mai espresse, gli provocarono una familiare fitta dolorosa nel petto, che si affrettò a scacciare con forza.
Il pericolo era passato, si ripeté. Lo dicevano tutti. Era scritto nero su bianco nella voluminosa cartella dove tenevano tutta la documentazione relativa alla gravidanza. Se chiudeva gli occhi riusciva a vederlo stampato sul documento ospedaliero, conservato dentro il cassetto dello studio.
La bambina – era una femmina, proprio come lui aveva previsto, perché aveva un dono e certe cose le sentiva - era una guerriera, esattamente come aveva sempre dimostrato di essere dal primo minuto della sua esistenza.
Dopo essere stata dimessa e dopo un congruo – a lui era sembrato breve - periodo di riposo a casa, Kate aveva insistito per tornare al lavoro, nonostante il suo parere contrario, ma quello positivo dei medici che le avevano dato il nullaosta, purché rimanesse dietro la sua scrivania e non si stancasse – come se lei fosse famosa per essere una creatura docile e inattiva.

Ma si era morso la lingua e aveva lasciato che facesse quello che desiderava senza opporsi, limitandosi ad aggiungere affanno alle sue solite pene. Non l'aveva intralciata in nessun modo. Si era limitato a passare in ufficio di tanto in tanto, con discrezione, per ricordarle di prendere le vitamine, anche se sapeva perfettamente che non se ne sarebbe dimenticata. Convinta com'era che ogni ostacolo che aveva vissuto da quando era incinta fosse dovuto a una sorta di colpa originaria che doveva scontare lei sola e per motivi che nessuno sapeva, forse nemmeno lei, era più che ligia alle indicazioni che riguardavano la propria salute.

Quel giorno, mentre tentava di andare avanti con il nuovo romanzo, procrastinando invece come al solito per colpa di mille altri pensieri che nulla avevano a che vedere con la trama, aveva ricevuto a sorpresa una telefonata da parte di Allison, il medico che in ospedale, dopo la sparatoria, l'aveva aggiornato sulle condizioni di Kate e si era occupata di lei. Da allora la donna non aveva smesso di prendersi cura di tutti loro, mostrando un'affettuosa tenacia nel star loro accanto, nonostante la gravidanza fosse attentamente seguita da un'intera equipe di medici, viste le condizioni precarie di salute della madre e l'andamento altalenante.
Si era stupito che chiamasse proprio lui. Sapeva che ogni tanto lei e Kate si vedevano da sole e ne era felice, perché tornava dai loro incontri un po' più sollevata, più sorridente, non la Kate che aveva rischiato di morire sul pavimento della propria casa, aggrappata alla sua mano, un'immagine impossibile da cancellare. Si era fatto da parte, aveva lasciato che diventasse una sorta di confidente super partes, che intanto le dava un occhio anche professionale.

Aveva risposto con una delle sue solite battute, ma il tono di lei l'aveva subito zittito e turbato. No, non c'era niente di grave, si era affrettata a comunicargli, niente che non sapessero già, andava tutto bene, da un punto di vista medico. Anzi, era la prima volta dopo molto tempo in cui potevano rilassarsi. Aveva parlato in fretta, per rassicurarlo il prima possibile, consapevole del livello di allerta nel quale viveva costantemente. Si era calmato solo un po', non del tutto convinto che non fosse il preludio di una cattiva notizia.

Con un lungo panegirico che lo aveva disorientato, anche perché Allison era sempre molto attenta nella scelta delle parole per non tradire le confidenze di Kate e il segreto professionale, gli aveva fatto capire – o almeno era quello che lui aveva compreso – che forse sarebbe stato meglio, no, non aveva detto "meglio", non si sarebbe mai espressa in quei termini. Aveva usato altre parole, che non ricordava. Ma il senso era che consigliava loro, in modo amichevole e non clinico, di prendersi una vacanza. Subito.
Avevano trascorso un periodo molto pesante e adesso che potevano tirare un sospiro di relativo sollievo – la bambina sembrava fortemente intenzionata a venire al mondo secondo i tempi previsti, dimostrando una volontà ferrea che prometteva di dare a tutti quanti del filo da torcere, una volta cresciuta – perché non si concedevano una pausa lontana dal lavoro, dagli impegni? E da quella maledetta casa, aveva aggiunto lui tra sé, per nulla stupito che Allison li conoscesse tanto bene e che dimostrasse ancora una volta la sua sensibilità.
Aveva parlato con tono gaio molto attenta a non far trapelare nessuna forma di preoccupazione per il benessere emotivo di sua moglie, che invece lui aveva colto chiarissimo.

Non era solo lui, quindi, a trovarla sempre più affaticata, pensierosa, troppo seria, quasi incupita. Si era accusato di essere troppo ansioso, di vedere segnali che esistevano solo nella sua testa. Di pretendere ottusamente, anzi, di trovarsi davanti la Kate di una volta, cosa che non poteva accadere tanto presto o forse mai, nemmeno lui del resto era quello di prima. Aveva tentato, inutilmente, di convincersi di aver esasperato ulteriormente certe sue tendenze iperprotettive.
Kate non stava bene, era ora di ammetterlo. Non era un disagio visibile, era qualcosa radicato a un livello che perfino lui faticava a interpretare, a raggiungere, perché sepolto nel profondo.
Del resto aveva subito un trauma che avrebbe avuto bisogno di cura, pazienza e delicatezza per essere superato. Invece si era dovuta rimboccare le maniche e occuparsi a tempo pieno di un'altra vita. Aveva dovuto mettere da parte i propri bisogni legittimi per devolvere le sue esigue forze al minuscolo essere umano rannicchiato in un corpo molto provato. Era un impegno sovrumano, a pensarci bene, che lei aveva assolto con enorme devozione e grazia. Ma la tragedia che che avevano vissuto insieme e che lei tentava, con volontà ferrea, di disciplinare in nome di un bene più grande, ogni tanto – sempre più spesso – dava piccole tracce di sé.
Kate meritava di essere accudita come non gli aveva mai permesso di fare. Avrebbe voluto infonderle la propria forza – in due forse avrebbero racimolato qualche grammo in più di energia- , ma sapeva che a lei serviva sapere di essere in grado di farcela da sola. Anzi, per due. Era fatta così, e lui l'amava per questo.

Sì, l'idea di andarsene per qualche tempo era perfetta, ragionò. Averlo deciso gli regalò una subitanea chiarezza. La vista tornò lucida e lui poté ammirare le chiome dorate degli alberi che avevano atteso con pazienza che lui si rendesse conto della loro bellezza e che parvero suggerire un tacito consenso. La sua mente febbrile era già all'opera per organizzare la loro fuga, anche se quel termine suggeriva un alone romantico intorno a qualcosa che invece aveva bisogno di essere pianificato attentamente, per poter gestire eventuali emergenze mediche. Ma a quello avrebbe pensato più tardi. Anzi, non ci avrebbe pensato del tutto. Non voleva focalizzarsi su quello che sarebbe potuto andare storto, non era forse già successo abbastanza? Non si sarebbe fatto rubare preziosi attimi di ottimismo, solo perché avevano vissuto mesi di costante allarme, al punto che sembrava quasi normale stare sempre in ansia. Ne aveva abbastanza.
Il punto adesso era un altro, il punto era convincere sua moglie. Udì i suoi passi in rapido avvicinamento e si sentì quasi colto in fallo. Si volse ad accoglierla, stampandosi in volto il sorriso meno artificioso che riuscì a produrre con poco preavviso. Sperò che bastasse a occultare le idee frenetiche che vorticavano appena sotto la facciata impassibile.

Nel tempo mi sono chiesta se avesse ancora senso raccontare dei Caskett, se avessi ancora qualcosa da dire, perché ogni storia ha un nucleo di significato senza il quale non parto nemmeno ad approfondire le emozioni che si porta con sé. Prima o poi smetterò di scriverle e prima o poi smetterà di esserci qualcuno che vuole leggere le mie storie se non adesso, più avanti, ma è qualcosa che sono consapevole accadrà, è solo la realtà dei fatti, non pessimismo (* non è un modo di farmi dire, ma no, ti leggeremo sempre, pure quando sarai anziana e con problemi di memoria, e ci chiederai come si chiama quella poliziotta che ha sposato Richard Castle).

Non è adesso quel momento, scrivere dei Caskett è ancora qualcosa che mi dà molta gioia, che mi fa stare bene, che mi permette di esprimere quello che per me è il meglio della vita.

È la prima volta che li tengo per me fino alla fine, senza pubblicare in corso d'opera, senza parlare a nessuno della trama, senza condividerli. È stato strano, da un lato penso che scrivere di loro È condividerli (i Caskett danno il massimo quando fanno da collante, secondo me), dall'altro ho vissuto giorni in cui eravamo solo noi tre, ed è stata un'esperienza piacevolissima. Grazie a chi leggerà, come sempre. Silvia

   
 
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