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Autore: G RAFFA uwetta    17/12/2018    5 recensioni
“Le apparenze ingannano chi vuol farsi ingannare.” ( Roberto Gervaso )
Affidandoci al parere di amici e parenti, molto spesso ci inganniamo sulle persone.
Dal testo: "— Abbiamo un conto in sospeso e te la faremo pagare cara, — sentenziò. — Solo nell'ultima settimana sono spariti nove miei amici, — Aldobrando quasi singhiozzò al ricordo. — La Matriarca dice che è stato l’Orco Cattivo, cioè tu! — l’accusò."
Questa storia partecipa al contest ‘C’era una volta un... gatto’ indetta da Nuel2 sul forum.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla conquista di Itaca

Le apparenze ingannano chi vuol farsi ingannare.” ( Roberto Gervaso )



La mattina volgeva al termine quando, dalle foglie secche di una siepe, sbucarono cinque musetti dagli occhi vispi.

Vi dico che è qui, — bisbigliò quello più a sinistra.

Dove? Dove? — si intromise sgomitando quello di mezzo.

Ne sei sicuro? — chiese timidamente la più piccola.

Certo! — si intestardì il primo, scivolando sinuoso oltre il bordo rinsecchito. — Per di qua.

Portò i compari dentro un vecchio capanno dal soffitto decorato da ragnatele scure e gonfie di nidi di ragni. A ridosso di una parete, dei teli celavano delle sagome dalla forma squadrata.

Guardate qua! — esclamò eccitato Baldo, un furetto dal pelo chiazzato, mentre, appoggiato sulle zampe posteriori, mostrava agli altri una scatola che brillava colpita da un raggio di sole. — Se volete, ce ne sono altre, — aggiunse sfregando l’oggetto sulla pelliccia.

Non abbiamo tempo per queste cose! — si arrabbiò Aldobrando, il suo pelo marrone divenne ispido come la sua voce. — Siamo qua per catturare Ulisse, — li richiamò all’ordine gonfiando il petto.

Egle, dalla morbida pelliccia bianca, assentì, nascondendo dietro le palpebre un lampo di terrore.

Fate piano, ci siamo quasi, — sussurrò Aldobrando infilandosi tra due ceste di vecchi giornali.

Penelope, un furetto vispo e curioso, si fermò davanti allo sportello semi aperto di una vecchia stufa in ghisa, annusando l’aria.

Etch! — starnutì, il muso sporco di fuliggine.

Di riflesso chiuse gli occhi e, indietreggiando, andò a sbattere contro una pala che si schiantò al suolo producendo un gran clangore. Una nuvola maculata brulicò fino a lei schiamazzando preoccupata.

Ti sei fatta male? Trovato niente di interessante? Sei ammattita?! Ora lui lo saprà! — squittirono contemporaneamente i furetti.

Nel frattempo, mentre i vispi animaletti erano intenti a girare su se stessi in un vortice colorato, da uno stipetto appeso alla parete sgusciò un’ombra che si allungò fino a toccare il pavimento. Non vista, strisciò dietro la legna e circumnavigò il tavolo ingombro di cartacce. Impantanatasi nel tappeto infeltrito, sdrucciolò illesa contro un vecchio borsone usurato. Piantò le zampe a terra, risucchiò l’aria in gola e tuonò irritata:

Fuori dalla mia tana! — sorridendo ferina osservò i furetti paralizzarsi dal terrore, retrocedere un poco e aggrovigliarsi in un’unica palla di pelo.

Ulisse… — pigolò Aldobrando. Poi, ricordatosi chi era, si erse sulle zampe posteriori sfidando l’animale più grande. — Non abbiamo paura di te! — esclamò altisonante.

Sperando di non dare troppo nell’occhio, con la zampa anteriore diede dei colpetti dietro la nuca a Baldo che, memore del piano precedentemente stabilito, si raggomitolò su se stesso e rotolò in una zona buia. Con l’altra prese ad accarezzare il manto bianco di Egle, attirando su di lei lo sguardo duro dell’animale.

Ulisse denudò i denti che baluginarono sinistri nella luce polverosa del capanno. — Ho detto fuori dalla mia tana! — ripeté minaccioso piegando il capo in avanti.

Intanto Penelope, scivolando furtiva dietro una poltrona rattoppata in più punti, raggiunse Baldo.

Rachele, furetto poco saggio ma docile, fiutò l’aria puntando gli occhietti tondi verso la finestra. Riconoscendo l’odore pungente che le solleticava il naso, si arrampicò fino alla finestra. Schiacciò il musetto contro il lurido vetro e picchiettò le unghie con insistenza, frustando la coda eccitata.

Non saremo noi ad andarcene! — gli tenne testa Aldobrando che, a sua volta, mostrò i propri denti. — Abbiamo un conto in sospeso e te la faremo pagare cara, — sentenziò. Ulisse rise sguaiato, trattenendo lo stomaco con le zampe anteriori, gli occhietti socchiusi puntati sul pelo bianco di Egle.

Davvero? — lo sbeffeggiò l’animale più grande. — E cosa avrei fatto di così grave da meritare il vostro castigo? — chiese ilare. Intanto, gli altri due furetti, recuperata una corda abbandonata in un angolo, quatti quatti, si avvicinarono alla sua folta coda.

Solo nell’ultima settimana sono spariti nove miei amici, — Aldobrando quasi singhiozzò al ricordo. — La Matriarca dice che è stato l’Orco Cattivo, cioè tu! — l’accusò.

Io? — domandò perplesso Ulisse. — E cosa dovrei fare con i tuoi amici? Giocare a nascondi-la-cena ? — riprese a ridere sarcastico. Aldobrando, la schiena ritta per sembrare più alto, tenne gli occhi fissi su di lui mentre il cuore gli batteva all’impazzata. Sapeva perfettamente cosa stava accadendo alle spalle dell’altro animale e fremeva d’aspettativa, sperando solo che il suo pelo non lo tradisse.

Ma che?! — bofonchiò Ulisse quando, attirato da un forte schianto, si girò e scoprì di avere la coda legata. Aldobrando ruggì felice: — Ora, ci dirai dove tieni nascosti i nostri amici!

Guarda. Guarda. Chi abbiamo qui? — ghignò una voce roca, mentre la sua ombra sovrastava i furetti. — Gastone, chiudi la porta! Non voglio farmeli sfuggire! — urlò, agguantando per il collo Penelope, che squittì sorpresa. Baldo, gettatosi in soccorso dell’amica, si arrampicò sulla gamba del nuovo venuto. Finì anche lui stretto in una morsa. Con due falcate, l’ombra raggiunse i teli e scoperchiò una gabbia arrugginita.

Scappa! — sbraitò Ulisse, mentre si divincolava dalla corda. — Prendi la tua amica e infilati là, — indicò una breccia nel muro.

Il furetto, sconcertato, si riscosse solo quando Egle gli sussurrò spaventata: — Andiamo.

Prima di sparire dentro il buco, Aldobrando si girò.

Raggiunto l’umano, Ulisse lo morse al polpaccio e, senza prendere fiato, si voltò mostrando la coda ritta, pronto a scoccargli in faccia la sua arma segreta. Immediatamente, una nuvoletta densa e maleodorante appestò l’aria facendo lacrimare l’umano che, impossibilitato a respirare, lasciò cadere i due furetti e fuggì. La puzzola gli caracollò dietro.

Illesi e frastornati, i cinque furetti tornarono a casa mortificati. Si sentivano in colpa. Avevano dato per scontato che l’Orco Cattivo fosse Ulisse. Invece, a rapire i loro amici era stato l’umano: colui dalla cui mano tesa avevano accettato il cibo.

Da allora, non incontrarono più Ulisse ma, nei loro cuori, sperarono di essere stati perdonati.



Note dell’Autrice : questa storia partecipa al contest ‘C’era una volta un... gatto’ indetta da Nuel2 sul forum.

Spesso l’eccessiva fiducia verso alcuni, piuttosto che altri, è figlia del pregiudizio. Ci riteniamo astuti nella scelta delle persone cui circondarci. Invece tutto nasce da un banale malinteso, una palese incomprensione che vizia le nostre opzioni.

Non credo possa valere come morale, ma è una riflessione scaturita dal mio vissuto.

I riferimenti all’opera di Omero sono puramente casuali.

L’immagine del banner non è mia.

Per il significato dei nomi dei personaggi mi sono avvalsa dell’aiuto di questo sito http://www.oggi.it/oggi/oroscopo/significato-dei-nomi/significato-nomi-a.shtml#a-b-c-d.

Le nozioni generali su questi adorabili animaletti – mio fratello ha tentato di allevarne uno in appartamento – le ho prese qui https://it.wikipedia.org/wiki/Mustela_putorius_furo; per la puzzola qui https://it.wikipedia.org/wiki/Mustela_putorius.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

   
 
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