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Autore: Alexa_02    24/12/2018    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Henry

 

Durante i miei lunghi e faticosi diciassette anni di vita, ho potuto contare su tre certezze assolute: mia sorella è la persone migliore del pianeta, studiare è ciò che so fare meglio e mi piacciono i ragazzi nel modo in cui dovrebbero piacermi le ragazze. Non ho mai dubitato di nessuna di queste cose. Nemmeno dopo un brutto voto, nemmeno quando Jules si è persa nei meandri della tossicodipendenza e nemmeno quando Emily Hall mi ha infilato le mani nei pantaloni ad una festa in terza superiore. Anzi credo di aver appurato le mie certezze proprio quando queste hanno rischiato di vacillare.
Ora, perso tra la nebbia di insicurezze e dubbi, mi aggrappo alle mie convinzioni come ad una scialuppa di salvataggio. Vorrei che qualcuno mi lanciasse una salvagente, perché sono sicuro di non poter nuotare in mare aperto in questo modo.

“Zuccherino, stai bene?” domanda la mamma appoggiata allo stipite della porta. Guardarla ogni giorno così felice e spensierata mi lacera dall'interno ogni minuto di più. Osservarla mentre si destreggia nel suo labirinto di bugie e apparenza mi fa uscire di testa. Si comporta come se fosse tutto normale, come se il fatto di aver lasciato i propri figli da un giorno all'altro non fosse più un problema.
Sorrido meccanicamente e le mostro il libro di letteratura. “Sono solo un po' stanco, troppo studio”.

Inclina la testa perfettamente pettinata e arriccia le labbra. “Dovresti rilassarti un po'. Lascia quei libroni enormi per un paio di ore, ti farà bene”.
Non le entra in testa che questi libroni enormi determinano il mio futuro e la vita che sto provando a costruire con fatica e dolore. Se lasciassi andare ora, tutto il lavoro sarebbe sprecato. Vorrei urlare. “Sì, hai ragione. Probabilmente farò una pausa, ora”.
Sorride fiera di sé “Bravissimo. Tra un paio di ore si mangia, sai che fine hanno fatto Aaron e Julianne?”.

Probabilmente stanno facendo sesso nella macchina di Aaron alle tue spalle. “Non ne ho idea, se so qualcosa te lo dico”.
Sospira affranta. “Pensi che si odino?”.
Mi mordo la lingua per non ridere. “Cosa?”.

Si avvicina. “Prima hanno discusso e Aaron è scappato via. So che non vanno molto d'accordo, ma pensavo avessero trovato una sorta pace”.

Sì, mamma, hanno trovato una sorta pace. Vanno molto d'accordo, più di quanto potresti mai immaginare. “Non lo so, mamma. Forse fanno ancora un po' di fatica a gestire la nuova sistemazione”. Voglio una medaglia per le bugie che riesco a tessere ogni giorno.

Entra definitivamente in camera e si siede senza permesso sul mio letto. “So che è stato difficile ma ormai siamo una famiglia, non trovi?”.

No, non lo penso. “Certo, mamma”.

Giocherella con un filo del cardigan. “Hai parlato a tua sorella della storia di tuo padre?”.

Le budella si capovolgono nell'addome colpendo in pieno il cuore. Il senso di colpa si sovrappone alla vergogna in un miscuglio acido che infiamma la mia pazienza. “No” borbotto “Ancora non capisco perché me lo hai detto”.
Mi accarezza una mano. “Volevo che capissi le mie scelte e che capissi quelle di tuo padre”.
Sbuffo. “Potevi dirlo anche a Jules. Odio mentirle”.
Accartoccia la faccia in un'espressione triste. “Lo so, ma tua sorella è ancora fragile...tutto quello che ha passato...”.

Salto in piedi come una molla. “Jules non è fragile!” tuono “È la persone più forte e tenace che abbia mai conosciuto e se fossi sincera con lei, ci sarebbero molti meno problemi tra di voi”. Sono stanco di questa situazione. “Ci sarebbero molti meno problemi in generale”.
Si incupisce e mi regala una delle occhiate che di solito sono destinate a mia sorella. “Quindi è colpa mia se si droga...”.
Il suo vittimismo mi manda il sangue alla testa. “Non si droga più! E sì, in parte è colpa tua”.

Si alza oscillando sui tacchi. “Non le ho messo io in mano la droga!”.

“Le hai spezzato il cuore, però!” ribatto con forza.
Inclina le spalle e abbassa lo sguardo verso il pavimento. “Questo lo so” singhiozza “Lo so, perfettamente”.
Il fatto che lo sappia non la spinge a scusarsi, mai. In questi momenti capisco benissimo gli scatti di Jules e tutto il suo odio. Lei non lo cova, non lo nasconde e non la lacera dall'interno. “Scusa, mamma” la stringo tra le braccia cercando di non romperla “Non è colpa tua, dimentica quello che ho detto”.
Sorride debolmente e ricambia la stretta. “Non ti preoccupare, tesoro. So che sei stressato per la scuola. Ne riparleremo più avanti”.
No, non lo faremo. “Va bene”.

La lascio andare e lei si allontana. “Ti voglio bene”.
“Anche io”. Provo a volerle bene, davvero, ma alcune volte è davvero difficile. La guardo andare via e mi lascio cadere sul letto a peso morto. Che situazione disastrosa.
Il cellulare vibra sul comodino sfiorando il bordo. Lo afferro e leggo il messaggio.

Casa libera. Ti va di fare un salto? D.

Ed ecco un'altra situazione disastrosa. La differenza è che questa, in parte, mi rende estremamente felice.

 

Sgattaiolo giù per le scale, attraverso il salotto e la cucina. Lascio un biglietto sul frigorifero avvisando che sono andato a fare due passi ed esco di soppiatto in giardino.
La casa dei Rogers si trova alla destra della nostra e i giardini sono separati da una siepe bassa e uno steccato di legno bianco. Appoggio il piede sul barbecue di mattoni, afferro lo steccato e salto dall'altra parte. Il giardino dei Rogers è perfettamente potato e curato, quasi in modo maniacale. La porta del garage è socchiusa e io mi ci infilo dentro.
La prima volta che sono sgattaiolato in casa di Dylan avevo il cuore a mille e l'inalatore costantemente in mano. Ora mi sembra di essere diventato Diabolik.

Salgo la scala a chiocciola, attraverso il corridoio pieno di foto di famiglia e raggiungo la camera di Dylan. Lui è appeso al barra per le trazioni che è inchiodata al soffitto. Flette le braccia tirandosi verso l'alto e facendo guizzare la schiena muscolosa. Il sudore gli cola lungo la spina dorsale finendogli nei pantaloncini di spugna che gli sono calati leggermente lungo i fianchi. Non importa la sessualità, Dylan Rogers è un'opera d'arte per chiunque lo osservi.
Senza fiato e con la bocca secca mi schiarisco la gola per non rischiare di strozzarmi. Lui molla la sbarra e atterra sul parquet. Si gira lentamente disarmandomi con la visione dei suoi addominali perfettamente scolpiti. Sorride facendomi tremare le ginocchia e inclina la testa di lato toccandosi la nuca con la mano. Cerco a tentoni l'inalatore nella tasca, mi spruzzo in gola il medicinale e ricomincio a respirare correttamente.
Si morde il labbro cercando di non ridere. “Lo prendo come un complimento”.
La sua voce calda e passionale mi fa vibrare lo stomaco. “Lo è”.

Elimina la distanza fra noi e mi cattura le labbra con le sue. Il mio corpo risponde come stregato. Ogni preoccupazione si dissolve. Ogni dramma scompare. Ci siamo solo noi e nessun altro al mondo. Vorrei restare così per sempre.

Mi infila le dita tra i capelli e mi tira verso il letto. “Mi sei mancato da morire”.

“Anche tu” bofonchio contro le sue labbra. Eccome se è così.

 

 

Sono uscito con ragazzi di ogni tipo, dichiarati e non, ma nessuno mi ha mai fatto sentire al settimo cielo come Dylan. Con lui è come avere a disposizione la più grande biblioteca del mondo tutta per te e per tutto il tempo che vuoi. È come risolvere il cruciverba più difficile al primo colpo. È come immergersi nell'oceano per la prima volta.
“A cosa pensi?” domanda rotolando tra le lenzuola color mattone. Mi osserva con dolcezza intrecciando la le sue dita con le mie.
Mi giro sul fianco. “Nulla in particolare”.
Sorride avvicinando il naso al mio. “Vuoi sapere a cosa sto pensando io?”.
Chiudo gli occhi godendomi la sensazione e annuisco. Mi accarezza il collo con la mano libera. “Stavo pensando che non mi sono mai sentito così bene come adesso”. Mi ritrovo disteso sulla schiena e lui sopra di me. Lo guardo e non riesco a respirare. “Amo passare il tempo con te, lo sai?”. Il cuore mi batte in gola. Si china per baciarmi con lentezza. Il primo tocco è delicato, come una piuma, poi le nostre labbra si dischiudono e mi abbandono in lui. I nostri cuori battono all'unisono, le mani afferrano e stringono.

Ci perdiamo.

Ci ritroviamo.

Più volte.

Finché non siamo storditi e senza fiato. I contorni si confondono, la vita è messa da parte e di conseguenza abbassiamo anche la guardia.
“Cosa...” squittisce una vocina sulla soglia della camera.
Entrambi sobbalziamo tra le lenzuola e osserviamo terrorizzati Amanda Rogers, la madre di Dylan. Lei ci guarda schifata e furiosa. Tremola come una bomba sul punto di esplodere. “Dylan...cosa...lui...”.
“M-mamma, posso spiegare” balbetta Dylan allontanandosi il più possibile da me. “Non è come sembra”.
Lei si stringe l'orlo dell'abito tra le dita e lo accartoccia. “Non provare a negare!” strepita “Credi che sia stupida! So quello che sta succedendo!”.
Lui si alza e infila i pantaloni. “N-no, mamma, io...”.

Alza la mano con un gesto freddo. “Non voglio sentire le tue bugie! Hai idea di che razza di abominio tu stia commettendo?!”.
Mi infilo i jeans e la maglietta il più rapidamente possibile. “Signora Rogers”.
Mi punta gli occhi grigi addosso e mi incenerisce. “Stai zitto! Non voglio sentire la tua voce!Tu e tua sorella siete due mele bacate, proprio come vostro padre!”.
Stringo i denti cercando di accusare il colpo. “Noi stiamo...”.
Lei afferra Dylan come un rapace. “Voi non siete niente e mai lo sarete! Va contro natura!” strattona il figlio verso la porta “Venite entrambi con me! Subito!”.

Senza darci modo di opporci, ci trascina verso casa mia. Spalanca la porta senza essere stata invitata e si mette ad urlare come una allarme antincendio. Jim e mamma smettono di guardare la televisione e sobbalzano spaventati.
“Cosa succede?” domanda mamma andandole incontro.
“Vostro figlio! Ecco cosa succede!” sbraita.
Jim spegne il televisore e salta in piedi. “Amanda, spiegati per favore”.
Lei si passa le mani nei capelli arruffandoli in un nido. “Li ho trovati a fornicare!” guaisce “Insieme!”.
Dylan cerca di rimpicciolirsi ma la mano artigliata della madre non glielo permette. Mamma abbassa lo sguardo a terra, consapevole della situazione, e Jim sembra congelato. Fissa Amanda con il vuoto negli occhi.
“Non stavamo...” sospiro “Non è...”. Non so davvero da dove cominciare.

April strilla. “Esigo dei provvedimenti!”.
Jim si mette in mezzo alzando le mani. “Cerchiamo di non correre, magari si è trattato di un fraintendimento”.
“Non ho frainteso un bel niente, Jim!” strepita lei “Erano nudi a letto insieme! Tira tu le somme”.
Lui si gira verso di me con lo sguardo carico di disgusto e delusione. La sensazione che mi provoca è così forte che mi ritrovo ad indietreggiare.
“Mio figlio non è un finocchio!” strilla lei “È tutta colpa sua!”.
La realtà su cui poggio i piedi comincia ad ondeggiare e proprio quando ho più bisogno di lei, Jules entra dalla porta insieme ad Aaron. Sorridono immersi nei loro sentimenti finché non si trovano in mezzo alla situazione.
Jules si guarda intorno “Cosa succede?”.

Amanda le punta un dito contro. “È lei la causa di tutto questo! È un parassita che intossica tutto ciò a cui si avvicina”.

Jules sbatte le palpebre velocemente e indietreggia verso Aaron. Lui si irrigidisce. “Signora Rogers ma che diavolo dice?”.
“Amanda abbassa la voce per favore” la riprende la mamma.
“No! Non provare a dirmi cosa fare, tuo figlio a corrotto il mio!”.
Aaron e Jules si avvicinano e lei mi stringe la mano confusa. “Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?” brontola Aaron facendoci da scudo.
Amanda spalanca le braccia con un'espressione folle dipinta sul volto. “Non è chiaro?! Quella tossica ha influenzato negativamente suo fratello facendolo diventare un finocchio!”.

La mano di Jules mi stringe con più forza. “Crede davvero che la sessualità funzioni così? E per l'amor di Dio siamo nel ventunesimo secolo, apra gli occhi e si evolva!”.

Amanda avanza verso di lei e Aaron le si piazza davanti. “Sei una criminale e una tossica, non meriti nulla dalla vita!”.
Jules stringe i denti. “Crede che me ne freghi qualcosa di quello che pensa una donna bigotta come lei?” ride senza allegria e inclina la testa “Crede davvero che sia colpa mia o di Henry se a suo figlio piacciono gli uomini? Davvero? Non le è passato per la testa che magari la cosa sia nata un bel po' prima del nostro arrivo”.
Sbianca e smette di colpo di urlare. Si gira lentamente verso il figlio e comincia a tremare. “Dylan” mugola con voce lacrimevole “Ti prego...” sospira singhiozzando “No-n è così, vero?”.
Dylan la fissa congelato, non respira e non si muove. Si stringe le braccia al petto e soppesa le sue scelte. Da un lato la vita che ha sempre sognato che è piena di lotte e sofferenze, dall'altra la sua vita vuota e semplice avvolta in una menzogna. Lo fisso con tutta l'intensità possibile ma lui non mi guarda mai. Sono fermo davanti ad un dirupo aspettando che mi afferri o che se ne vada, ma non fa nessuna delle due cose. Lui mi spinge nel vuoto senza rimorso.
“È colpa sua, mamma. Io non sono così, te lo giuro” mormora piatto “Non sono così”.
Il ronzio che mi riempe le orecchie non mi permette di sentire altro, non ne ho bisogno. Precipito nel vuoto, senza fiato e con un buco al posto del cuore. Vorrei rannicchiarmi oppure urlare, ma non riesco a fare nulla.
La mano calda e rassicurante di Jules mi stringe con impeto e decisione, mi tiene saldo ad una realtà in cui non vorrei rimanere per nulla al mondo.

La voce di Amanda mi arriva da lontano. “Non lo voglio più vedere vicino ai miei figli” sentenzia “Nemmeno quell'altra”.

Jim sospira “Mi sembra una decisione prematura, potremmo parlarne e trovare lo sbaglio alla base delle loro decisioni”.
Lei arriccia il naso disgustata. “Io non credo. Da quando sono qua non hanno portato che guai, sono due mele marce”.
La mamma le si avvicina “Amanda, avanti...”.
“No. Sei una mia cara amica April e questo non cambierà, ma i miei figli non entreranno più in questa casa” spinge Dylan verso la porta. “Spero possiate curare tutte le serpi che si annidano in questa famiglia dimenticata da Dio”. Esce sbattendo la porta e portandosi via il mio cuore.
Il silenzio cala sulla stanza e nessuno si muove, finché Jim non esplode. “Tu ne eri a conoscenza?”.
Mamma alza le mani “N-no” balbetta “No, della loro relazione no”.
“Ma del fatto che è...è...” perde la voce e stringe la mascella.
“Omosessuale” mormora Jules “Non è una brutta parola, ne una malattia. È quello che è, fatevene una ragione”.

È tutto troppo, ecco cos'è. Mi muovo verso le scale come se qualcosa mi tirasse. Diverse voci mi chiamano ma le ignoro tutte. I miei piedi mi portano al bagno e io li seguo. Mi chiudo a chiave nella stanza e lascio che crolli tutto.

Il dolore.

La rabbia.

La delusione.
Le onde del dolore mi sovrastano, mi avvolgono e mi trascinano a largo.

 

 

Una voce calda e familiare mi culla. Arriva da lontano scaldandomi e ridestandomi dal mio coma di lacrime. Apro lentamente gli occhi e il bagno mi appare come attraverso una goccia d'acqua.

Don't let them in, don't let them see

Be the good boy you always have to be

Conceal, don't feel, don't let them know

Well, now they know

 

Lentamente mi alzo e mi stropiccio gli occhi incrostati. Rotolo fino alla porta e mi ci appoggio. La voce melodiosa di Jules filtra da sotto il legno, accompagnata da lo strimpellare della chitarra.

Let it go, let it go

Can't hold it back anymore

Let it go, let it go

Turn away and slam the door

 

Frozen?” domando rauco “Davvero?”.
Canta l'ultima strofa ridacchiando e poi smette di suonare. “Mi sembrava azzeccata come scelta” sospira “Il testo è molto profondo”.
Annuisco anche se non può vedermi. “Sì, hai ragione”.
Si muove e appoggia la chitarra a terra. “Posso entrare?”.
Non capisco neanche perché lo chiede. “Si, certo”.
Scivolo di lato lasciando che apra la porta. Entra nella stanza e si siede al mio fianco sul tappetto polveroso del bagno. Mi appoggia la testa sulla spalla e mi stringe la mano. “Mi dispiace da morire, Hen”.
Il dolore mi sovrasta nel momento in cui mi torna tutto in mente. “Non dirmelo”.
“Non per le stronzate della bigotta, ma per Dylan” stringe la mascella “È stato un codardo”.
Sentire il suo nome mi fa bruciare il cuore. “Non lo biasimo” borbotto.
Spalanca gli occhi. “Scherzi, vero?”.

Alzo le spalle. “Perchè dovrei biasimarlo? La sua famiglia lo stringe alla gola da quando è nato, soprattutto sua madre. Questa città è un covo di religiosi e pettegoli che non lo lascerebbe vivere. Ha fatto bene a negare tutto, avrei fatto lo stesso se non fossi... se non lo...”. Resta in silenzio troppo a lungo. “Cosa stai pensando?”.

Mi afferra il viso con entrambe le mani e mi costringe a guardarla negli occhi. “Io ti amo più di quanto ami me stessa, lo sai vero?”. Annuisco. “Mi uccide che tu debba vivere in questo modo e se mi troverò vicina a Dylan, non ti prometto che farò la brava”. Oh, sono sicuro che non la farà. “Non mi interessa assolutamente se ti piacciono i ragazzi, le ragazze, le mucche o i tricicli, sei mio fratello nonostante tutto. E dico tutto Henry”. So che è così, ma è fantastico sentirselo dire. “E sappi che farò il culo a chiunque provi a dirti che quello che senti è sbagliato”. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e la vedo sfuocata. “Sei perfetto come sei, Henry, perché sei davvero tu”. Mi stringe forte a se e finalmente la terra smette si vorticare. Jules mi rende saldo, scaccia la paura e rende il mondo un po' meno spaventoso.
La lascio andare. “Se lo dici tu”.
Annuisce con forza. “Io ho sempre ragione” si tira su e mi porge una mano “Ora usciamo da questo bagno e affrontiamo il mondo”.
 

 

Fisso con intensità la macchia di sugo incrosta sul bancone della cucina e cerco di grattarla con l'unghia del pollice.
“Io proprio non capisco” sospira Jim stropicciandosi la faccia “Vorrei sapere perché non sono stato messo a conoscenza di questa...situazione”.

Mamma sgualcisce un guanto da cucina. “Volevo parlartene davvero... solo che...”.
Jim sbatte la mano sul tavolo. “Cosa? Pensavi che avrei fatto storie? Che gli avrei impedito di venire a vivere qui?” allunga una mano verso Jules “Non mi sembra di aver fatto nessun dramma su di lei e sappiamo tutti quello che ha fatto”.
Mia sorella schiocca la lingua e si sporge verso di Jim. “Sono davvero felice di essere il metro di paragone per ogni situazione”. Aaron le accarezza la mano dietro il bancone. “Ma qui la questione è un po' diversa”.
Jim la guarda con astio. “In che modo sarebbe diverso?”.
Aaron intreccia le dita con Jules e lancia un'occhiataccia al padre. “Papà, per favore. Pensi davvero che l'omosessualità sia una malattia?”.
Lui sbuffa. “No, certo che no, ma non è di certo normale. Non è quello che vorrebbe il Signore”.
“Perchè tu sai esattamente cosa vuole” mormora sarcastico.
Jim scaccia le parole del figlio con la mano. “Non ha importanza. Amanda non parlerà di questa storia con nessuno e noi faremo lo stesso”.
Jules molla la mano di Aaron e mi affianca. “Davvero? Altre bugie?”.
“Va bene” acconsento.
“No” strepita lei “Basta, non devi essere costretto a stare dietro al loro velo di menzogne”.
Jim si avvicina guardandomi per la prima volta negli occhi. “Puoi essere ciò che vuoi, basta che tu lo tenga per te e lontano da questa casa” sospira “Non voglio che Liv si confonda o altro”.
Jules annuisce “Certo! Nascondiamo la verità sotto il tappeto, tanto non vederla significa che non esiste” mormora sarcastica.
“Non credo che tu sia nella posizione di fare commenti, Julianne” sospira Jim. Lei lo guarda con odio e risentimento, nello stesso modo in cui osserva la mamma. “Faremo come ho detto, fine della discussione. Non parlerete più con i Rogers, non li vedrete più e ogni domenica verrete con noi in chiesa. Questa famiglia ha bisogno di una sana dose di religione”.
Jules ride con forza. “Io non vengo proprio da nessuna parte”.
“Non ho mai detto che puoi scegliere” ribatte Jim alzando la voce. “Siamo una famiglia e da ora in poi farete ciò che diciamo noi. La pacchia è finita”.
Jules si volta verso la mamma “Non hai intenzione di fare nulla?”.

Lei smette di guardare il pavimento e alza lo sguardo vuoto verso la figlia. “Farete quello che decidiamo Jim e io, che è il meglio per voi”.

 

 

Jules marcia con rabbia avanti e indietro, con mani strette sui fianchi e lo sguardo furioso che viaggia lungo la sua stanza. Aaron sbuffa e le afferra il braccio. “Smettila, Jay, mi fai venire il mal di mare”.
Lei lo respinge. “Non riesco a stare ferma, tutto questo è completamente ingiusto”.
Mi stringo il suo cuscino al petto. “Ha ragione lui”.
Lei mi punta un dito contro “Non ci provare! Non ha ragione, non in questo caso. Devi essere libero di fare quello che vuoi, con chi vuoi”.
Alzo le spalle. “Stavo facendo quello che volevo e guarda il risultato. Ho quasi rovinato la vita di Dylan e ho perso la stima di Jim”.

“Che si fotta!” sbraita. “Dovresti avere la sua stima indipendentemente da tutto. Se non gli piaci può andare al diavolo”. Guarda Aaron. “Senza offesa”.
Lui le sorride con dolcezza. “Sono d'accordo con te”.

“Io non sono come te, Jules” mormoro “Non riesco a fregarmene di tutto”.
Sale su letto con noi e mi accarezza la guancia. “Devi cominciare, fratellino. Le persone fanno troppo schifo perché tu possa accontentarle tutte”.
So che ha ragione, ma proprio non ci riesco. Non voglio essere felice se la mia felicità può andare a discapito degli altri. “Farò finta di essere qualcun altro, non è un problema. Manca poco alla fine del liceo, una volta lontano da qui sarà diverso”.

   
 
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